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Fading Flames Vol. I - Eredità Perdute
Fading Flames Vol. I - Eredità Perdute
Fading Flames Vol. I - Eredità Perdute
E-book250 pagine3 ore

Fading Flames Vol. I - Eredità Perdute

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Info su questo ebook

In un mondo distante e in un tempo ancora più distante, un vasto impero si trova sull'orlo del collasso a causa della spietata avidità e l'incrollabile egoismo dei suoi recenti sovrani.

La tensione è palpabile in ogni angolo delle estese e rigogliose terre dei cinque regni uniti sotto la bandera dell'impero e si respira aria di tempesta.

Quando un giovane tenente dell'Esercito Imperiale realizza che è ormai necessario un radicale cambiamento e decide di prendere la questione nelle proprie mani scatena a sua insaputa una serie di eventi destinati a cambiare la vita di tutti. Tra complotti, guerre civili, spaventosi incontri con esseri provenienti da un altro mondo e la riapparizione di alcuni degli ultimi superstiti di una gloriosa civiltà del passato, il destino dell'Impero di Yarghand rimane appeso a un filo.
LinguaItaliano
Data di uscita7 ott 2015
ISBN9788892503519
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    Anteprima del libro

    Fading Flames Vol. I - Eredità Perdute - Claudio Lepre

    Lepre

    Capitolo I

    Arenato

    Ingram camminava a passo svelto sulla larga strada principale adornata di piccoli negozi e botteghe, mentre i paesani si muovevano veloci e a testa bassa come operose formiche. La piccola cittadina di Linden era piuttosto popolata per trovarsi alla periferia del regno di Langstar. Gli abitanti erano persone umili che non osavano opporsi alle orribili condizioni di vita a cui erano stati costretti per timore di eventuali rappresaglie da parte dell'Esercito Imperiale, soprattutto adesso che un decorato tenente di tale esercito era stato stazionato lì con il suo drappello di soldati. Tutti si chiedevano per quale motivo Ingram Taine, un ambizioso ufficiale che aveva mostrato nella sua carriera encomiabile abilità fosse stato improvvisamente ricollocato dal regno principale, Yorkstar, a una cittadina rurale sperduta. Un ragazzino corse fuori dalla casa su un piccolo balconcino di legno che dava sulla strada per osservare con occhi pieni di ammirazione l'avanzata dei soldati. Erano sette, tutti equipaggiati con l'armatura dell'esercito di Yorkstar, che provocava un modesto tintinnio a causa delle varie parti metalliche che impattavano fra di loro con ritmo regolare. Due uomini guidavano la squadra e il ragazzino si soffermò su quello che li precedeva tutti, marciando con evidente sconforto e impazienza. Doveva essere il tenente di cui parlavano tutti quando erano sicuri di non essere sentiti, a giudicare dall'armatura leggermente diversa dalle altre. Indossava un corpetto d'acciaio lucente sopra la maglia di ferro standard data a ogni soldato, un elmo aperto sul viso solcato da decorazioni nei lati e una cappa sulla spalla destra di uno scurissimo color rosso vino, con ricamato in oro lo stemma reale di Yorkstar: una stella stilizzata a otto punte con un vortice di fiamme al centro. Ingram notò il ragazzino sul balcone che lo fissava con venerazione e ciò lo mise a disagio, riconoscendo l'orribile compito che era stato mandato a svolgere in quella tranquilla comunità. Il nuovo re, Joyfrick di Yorkstar, l'aveva personalmente mandato lì a riscuotere periodicamente ingenti tasse dalla popolazione già stremata e costretta a vivere al limite della dignità umana. Era stata una punizione la sua, a causa della sua relazione con Diarmaid di Furrstar, la nipote del precedente re. Dopo averla giustiziata, così come ogni parente stretto del suo predecessore, Joyfrick l'aveva stazionato il più lontano possibile dalla Capitale dell'Impero, forse per evitare rappresaglie o forse unicamente per umiliarlo. Ingram si domandò spesso cosa gli avesse impedito di fare una follia, e ogni volta si dava la stessa risposta, che era una sempre variazione dell'idea che il regno stava affrontando già da tempo una situazione critica e che ogni mossa avventata avrebbe potuto avere ripercussioni gravi sull'intera popolazione. Quindi aveva stretto i denti, cercato di mantenere la propria dignità e il proprio autocontrollo, e accettato il suo nuovo odiato incarico. Non avrebbe mai immaginato sarebbe stato così orrendo. Si sentiva un mostro sporco dentro ogni volta che chiedeva anche solo una moneta d'argento, figurarsi quando, come in quella splendida giornata soleggiata, doveva chiedere una ingente quantità d'oro alla falegnameria di Linden. La voce di Flint, il suo secondo in comando, lo strappò via dai suoi cupi pensieri.

    «La falegnameria non va da nessuna parte Taine, e di certo non a nessuno dispiacerà se arriviamo tardi a riscuotere l'oro.» disse, accelerando il passo e portandosi alla sua destra.

    «Forse. Puoi chiamarlo egoismo se vuoi, ma voglio fare questa cosa in fretta.» sputò fuori Ingram, frustrato, per nulla desideroso di dover stare più del dovuto sotto gli sguardi afflitti e rancorosi dei locali. «Per quale motivo dobbiamo rendere la vita di questa gente un inferno comunque? A cosa è dovuto questo incremento esorbitante delle tasse? Non ho sentito di nessun nuovo grandioso progetto o di una guerra imminente. Se lo chiedi a me, il re vuole solo arricchirsi per vivere una vita il più sfarzosa possibile prima che una lama gli si conficchi nel cuore come ai due che l'hanno preceduto. Questo Impero rema verso il tracollo.» continuò, fantasticando sulla morte del sovrano. Flint gli lanciò un'occhiataccia.

    «Fossi in te eviterei di dire cose del genere, Ingram. Il nostro compito non è mettere in questione gli ordini, ma eseguirli. Lasciamo che siano i capi a vedersela con le motivazioni.» disse, fissando la falegnameria davanti a sé. Ingram non rispose se non con un «Finiamola in fretta.» e si diresse all'interno dell'edifico principale, dove fu accolto da un rimbombante frastuono dovuto ai vari piccoli e grandi utensili utilizzati dai numerosi lavoratori impegnati a tagliare, levigare e modellare il legno. La segatura sul pavimento attutiva il rumore dei passi di Ingram, che nonostante fu notato da alcuni degli operai raggiunse le spalle del grosso uomo barbuto che dirigeva il posto, impegnato a parlare con la moglie e il figlio adolescente. Quando Ingram lo toccò su una spalla con la mano guantata l'uomo si girò quasi a rallentatore e impallidì alla vista del tenente e dei soldati al suo seguito. Ingram si schiarì la voce.

    «Signor Eastmund, immagino lei conosca il motivo della mia visita. È in ritardo con i pagamenti, e temo che il tempo a sua disposizione sia scaduto: il suo debito è pari a 33 monete d'oro e 27 d'argento.» Ingram tentò di mantenere un tono calmo e autoritario mentre attendeva la risposta dell'uomo, che si portò la mano sulla folta barba accarezzandola nervosamente. Poi parlò: «Ebbene, maledetto, non ho l'oro che cerchi, mi dispiace! Voi sanguisughe imperiali non fate altro che renderci la vita un inferno! Ho una famiglia e dei lavoratori da mantenere, e non vi darò un'altra moneta!» il viso gli diventò rosso a causa dell'afflusso di sangue alla testa, la voce gli tremava di rabbia e esasperazione.

    Ingram lo fissò per qualche secondo e ancora una volta si sentì un mostro. Deglutì la saliva, che gli sembrò un amarissimo e denso veleno, si aggiustò l'elmo, abbassò lo sguardo e continuò con voce bassa, vergognandosi di ciò che stava per dire:

    «...In questo caso, temo sarò costretto ad arrestarla e a confiscarle qualunque bene di valore, mi dispiace.» disse fissando l'uomo all'altezza dello stomaco, senza avere la forza di guardarlo negli occhi.

    «Ti dispiace? Vi darò io un dannatissimo motivo per dispiacervi!» urlò l'uomo, sovrastando con la sua voce persino il rumore della lavorazione del legno, che si interruppe di colpo quando tutti i lavoratori si girarono a guardarlo.

    Fu un istante. Il colosso, che sovrastava Ingram di una decina di centimetri, afferrò fulmineo un uncino per tronchi dal tavolo alla sua destra e lo conficcò con tutta la forza che aveva in corpo nella clavicola del guerriero. L'arma improvvisata, realizzata per afferrare tronchi e non per combattere, ebbe difficoltà a penetrare efficientemente il corpetto del tenente, rimanendo incastrata e arrivando a malapena a penetrare di un centimetro nella carne di Ingram. Il guerriero trattenne un grugnito e fece un paio di veloci passi indietro, strappando l'uncino dalla mano del falegname. Non ebbe il tempo di pensare che Flint, portatosi avanti, estrasse velocemente la spada e lanciò un fendente contro l'uomo.

    «No! Fermati!» la voce uscì tuonante dalla bocca di Ingram, ma era troppo tardi. L'affilata lama d'acciaio di Flint squarciò diagonalmente il corpo di Eastmund, che fu scaraventato all'indietro e nonostante il goffo tentativo della moglie e del figlio di afferrarlo rovinò disastrosamente a terra. Il resto dei soldati puntò le balestre contro i lavoratori ma Ingram, più furioso che mai, ordinò a tutti di abbassare le armi. Estrasse l'uncino dalla spalla sinistra con un movimento netto, si fermò ad osservare per un istante la punta insanguinata, e poi lo lanciò via. Eastmund giaceva a terra, con la moglie e il figlio inginocchiati al suo fianco, in preda a spasmi e colpi di tosse, fissando con aria terrorizzata il tenente. Il sangue sgorgava a fiotti dalla grossa ferita e si spargeva sul pavimento impregnando la segatura e trasformandola in una pasta rossastra. L'uomo agonizzò ancora per qualche istante, per poi immobilizzarsi all'improvviso, fissando il soffitto con occhi spenti. La moglie strillava e piangeva a singhiozzi, mentre il figlio fissava il cadavere del padre senza emettere un suono. Ingram si sentì crollare il mondo addosso. Ordinò ai soldati di uscire e li precedette, e non appena fu fuori si piegò in avanti sentendosi soffocare, si tolse l'elmetto e lo gettò a terra. Quando la mano di Flint gli si posò su una spalla e lo costrinse a girarsi, Ingram lo fissò con uno sguardo carico di rabbia. L'uomo disse qualcosa, ma il tenente non sentì nulla, come se le sue orecchie fossero piene di ovatta. Tentò di controllarsi, ma alla fine cedette alla rabbia che gli cresceva dentro e tirò un montante diretto al mento di Flint con tutta la forza che aveva in corpo. L'uomo cadde sulla schiena e sputò sangue, guardando con sguardo interrogatorio e carico di cattiveria Ingram, che però gli aveva già dato le spalle, diretto verso l'accampamento militare appena fuori le mura della cittadina.

    Erano passati otto giorni dall'incidente alla falegnameria e Ingram li aveva passati isolato, chiuso nella sua tenda di comando appena fuori la città. Si era rifiutato di riscuotere ulteriori tasse dalla popolazione nonostante le continue proteste di Flint. Era sicuro che il compagno avrebbe fatto rapporto su di lui, ma non gli importava, quelle persone avevano già i loro problemi a cui pensare. Fra questi, un nuovo gruppo di banditi si era insediato nei pressi di una vecchia miniera di argento sulle colline a ovest della città e avevano causato non pochi problemi nel corso degli ultimi mesi con continue razzie e furti. Inizialmente il tenente si limitò a intensificare la sorveglianza notturna, ma quando i banditi si spinsero troppo in là uccidendo un vasaio durante una delle loro intrusioni decise di risolvere il problema una volta per tutte. Aveva radunato i suoi uomini per una spedizione alla miniera al calar del sole, e si erano appostati poco lontani dall'ingresso con la copertura della notte, pronti a agire. Ci vollero un paio d'ore prima che la grossa porta d'acciaio che fungeva da ingresso alla miniera e che era stata costruita per impedire l'ingresso dei ladri quando il complesso era ancora in funzione si aprì con uno stridente rumore metallico. Dall'interno della galleria sgusciarono fuori sei figure, pronte a andare a fare nuovo bottino in città. Ingram li scrutò dall'ombra alzando il palmo della mano aperta sopra la testa, e tutti i balestrieri puntarono le loro armi ai banditi. Quando Ingram fu sicuro che nessuno dei sei sarebbe stato in grado di mettersi al riparo facilmente, strinse improvvisamente le dita a pugno e le frecce scoccarono veloci e agili attraverso l'aria fresca serale, andandosi a conficcare con precisione nella morbida carne dei sei uomini, che perirono prima di poter emettere un solo suono. Ingram fece segnale alle truppe di muoversi furtivamente fino all'ingresso della galleria, dove si prepararono a entrare per eliminare i membri restanti. Si era portato solo nove uomini, i più fidati, in quanto ormai la sua figura di autorità era stata minata dalle manovre di Flint e l'idea di dover contendere il comando dell'operazione con lui non lo aggradava. Gli uomini si mossero furtivamente attraverso il lungo corridoio scavato nella roccia, illuminato solo da qualche sporadica lanterna poggiata a terra. L'aria era pesante e si faticava a respirare. I timori di perdersi in quei cunicoli sparirono presto quando il gruppo si rese conto che le varie diramazioni erano state sigillate a causa dell'instabilità della miniera, il che lasciava un unico percorso possibile da seguire. Non ci volle molto prima che tutti fossero in grado di udire un indistinto parlottare e ridere da una zona aperta sulla fine della galleria. La stanza era una volta il luogo dove la quantità di argento estratta veniva contata e ripartita in grosse casse di legno prima di essere portata fuori su un carrello più lungo degli altri, ma era stata allestita come campo improvvisato dai banditi.

    «D'accordo, quattro di voi tengano le balestre pronte a far fuoco, il resto con me, vediamo se qualcuno in questo branco di balordi ha il buon senso di arrendersi.» sussurrò Ingram, e i soldati annuirono.

    Due balestrieri si spostarono stando attenti a non farsi notare sul lato sinistro della stanza, e altri due fecero lo stesso sul lato destro. Quando furono in posizione, il tenente sfoderò la spada seguito dai suoi uomini e si incamminò a guardia alta verso il centro della sala.

    «Niente più scorribande per voi, cani. Adesso liberatevi di qualunque arma e seguiteci senza fare scherzi, se ci tenete alla vita.»

    In seguito al suo ingresso, tutti i banditi smisero di parlare e si alzarono di scatto in piedi, mano alle armi. Ingram ne contava in totale otto, che si scambiavano sguardi veloci e fugaci e parlavano sotto voce. Un formicolio risalì la colonna vertebrale del soldato, che lo interpretò come segnale che le cose non sarebbero andate tanto lisce. I suoi sospetti trovarono fondamento nel giro di qualche secondo, quando uno dei banditi sfoderò un ghigno sadico e strillò «Cosa aspettate? Scuoiate questi cani imperiali!» sfoderando la spada.

    I suoi compagni lo imitarono con un urlo quasi animalesco e si gettarono contro il gruppo di soldati. Quattro frecce schizzarono fuori dall'ombra e altrettanti uomini stramazzarono al suolo durante la loro carica, il restante scavalcò i loro cadaveri agilmente e si scontrò con i soldati. Il clangore delle spade echeggiò nella stanza. Ingram fu caricato da un uomo armato di una piccola ascia, che tentò di sferrargli un paio di letali colpi al capo, tutti agilmente schivati dal tenente che procedé a sbarazzarsi velocemente di lui con due rapidi colpi di spada al costato e al torso, per poi concentrarsi sul successivo assalitore. Il capo dei banditi lo caricò con una serie di rapidi fendenti, che tuttavia non riuscirono a trovare uno spazio libero nella difesa di Ingram, il quale li schermava tutti con ammirabile maestria. Quando il bandito tentò un poderoso affondo, Ingram si scansò verso sinistra e ne approfittò per disegnare una linea rosso sangue lungo la schiena dell'avversario, che strillò per il dolore e cadde faccia a terra dopo qualche passo. Il resto dei soldati si occupò velocemente dei rimanenti banditi. Ingram tirò fuori un fazzoletto di stoffa e lo utilizzò per pulire il sangue dalla lama prima di rinfoderarla, poi ordinò agli uomini di trasportare le casse cariche del bottino dei briganti indietro al villaggio.

    Di ritorno al campo Ingram fu accolto da Flint, che lo salutò fin troppo amichevolmente.

    «Amico mio! Hai spazzato via quella feccia senza perdere neanche un uomo ho sentito, la tua maestria mi sorprende sempre!» esclamò dandogli una pacca sulla spalla.

    «Non hai intenzione di lamentarti del mio comando e ricordarmi che dovremmo seguire gli ordini e riprendere la raccolta delle tasse stasera?» rispose Ingram, alzando un sopracciglio.

    «Andiamo amico, non è il momento di litigare. Non condividerò alcune tue scelte di comando, ma non posso fare a meno di ammirare la tua abilità. Avanti, andiamo alla taverna, lascia che ti offra un boccale di birra, alcuni dei ragazzi sono già là!»

    L'improvvisa allegria di Flint insospettì Ingram, che tuttavia alla fine si lasciò convincere dall'allettante idea di allentare un po' la tensione con un boccale di birra. La locanda si chiamava La serpe assetata e l'insegna raffigurava un serpente avvolto intorno a tre boccali di birra schiumosa. Una volta dentro le narici di Ingram furono assalite da una molteplicità di odori diversi, dall'odore di alcol, di gran lunga il più intenso, a quello di noci e sudore. Un piccolo candelabro illuminava il locale, cosparso di piccoli tavoli circolari dove erano presenti alcuni paesani ansiosi di affogare nell'alcol la loro disperazione. Il bancone era di legno chiaro, intaccato in molti punti e piuttosto sporco persino per gli standard di un posto del genere. Sugli sgabelli una mezza dozzina di soldati era già impegnata a sorseggiare la bevanda fresca. Quando Ingram e Flint si unirono a loro, il barista gli si avvicinò. «Cosa posso portarvi?» chiese, stizzito dalla presenza degli uomini.

    «Mostra un po di rispetto, paesano, sei davanti a un eroe! Il nostro tenente qui presente ha appena sgominato il gruppo di briganti che vi fanno vedere i sorci verdi da mesi, dovresti offrirgli qualcosa per ripagarlo!» irruppe Flint.

    Il barista fissò scrupolosamente Ingram, poi decise di versare ai due un boccale offerto della casa e si allontanò per servire gli altri clienti ai tavoli. Il tenente sorseggiò senza fretta la bevanda fresca, godendosi quell'aroma intenso.

    «Da cosa è dovuta questa improvvisa allegria, se posso chiederlo?» disse a bassa voce Ingram, continuando a bere.

    «Non lo sai? Sono stato promosso finalmente! I miei duri sforzi sono stati ripagati!» rispose Flint, battendo una mano sul tavolo in preda all'entusiasmo.

    «Promosso?»

    «Ebbene si, al grado di...Tenente.» sogghignò, l'espressione entusiasta trasformatasi in una terrificante. «Ed il mio primo ordine da Tenente è quello di liberarmi di te...»

    Solo in quel momento Ingram realizzò che gli altri soldati avevano smesso di bere e lo stavano fissando, mentre Flint aveva portato la mano sul manico del pugnale che portava alla cintola. Non appena si apprestò a estrarlo, Ingram lo colpì con il boccale mezzo pieno alla testa, frantumandolo in un milione di schegge che si sparsero sul pavimento e facendo cadere Flint dallo sgabello al suolo con un tonfo sordo. Due grosse braccia gli si avvilupparono intorno al torace e fu costretto a tirare una poderosa testata al naso del soldato che lo tratteneva per liberarsi dalla sua presa e correre verso l'uscita. Non appena spalancò la porta di ingresso Ingram si trovò davanti un balestriere, che non attese molto prima di premere il grilletto. La freccia volò pericolosamente veloce verso la testa del tenente, che riuscì a scansarla per un soffio, prima di caricare di corpo il soldato scaraventandolo al suolo e successivamente dirigersi verso le stalle. Ingram corse così veloce che i polmoni iniziarono a bruciargli a causa dell'improvviso sforzo, mentre un rivolo di sudore gli solcava la fronte. Fu costretto più volte a deviare il suo percorso a causa dell'incontro con qualche guardia che prontamente si univa al suo inseguimento. Quando finalmente intravide le stalle, fece un ultimo scatto verso di esse eliminando ogni altro pensiero dalla sua mente tranne quello di salire su un cavallo e sparire nel cuore della notte. Un leggero fischio precedette l'infilzarsi di una freccia nella sua schiena all'altezza delle spalle. Il corpetto impedì che penetrasse troppo in profondità, ma il dolore fu lancinante e strappò un urlo a Ingram. Una volta nella stalla, il tenente ebbe meno di qualche secondo per scegliere quello che gli sembrò il cavallo più veloce, montarci su e scappare verso la foresta. Dalle sue spalle arrivò qualche altra freccia, che fortunatamente non lo colpì, ma ben presto le urla delle guardie che lo seguivano si persero nella quiete della notte e il rumore degli zoccoli.

    Quando il sole mattutino gli accarezzò il viso, filtrato dalle foglie degli alberi, Ingram aprì lentamente gli occhi marroni e profondi. Si alzò lentamente dal giaciglio di foglie improvvisato e fu subito colto da una fitta di dolore

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