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La Saga di Amnia - Vol.2: L'Ultimo Raggio di Sole
La Saga di Amnia - Vol.2: L'Ultimo Raggio di Sole
La Saga di Amnia - Vol.2: L'Ultimo Raggio di Sole
E-book576 pagine7 ore

La Saga di Amnia - Vol.2: L'Ultimo Raggio di Sole

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LA SAGA DI AMNIA


"LA SERIE EPIC FANTASY CHE HA GIÀ CONQUISTATO MIGLIAIA DI LETTORI"

Perfetta per i fan di R. A. Salvatore, J. R. R. Tolkien, Margaret Weis & Tracy Hickman, George R. R. Martin, Terry Brooks e di tutti gli amanti dei Giochi di Ruolo, in particolare di D&D!

TRAMA:


Ricordate, popoli di Amnia!
A dispetto di tutte le vostre certezze, delle speranze e delle illusioni, una sola legge su Amnia va rispettata sopra ogni cosa: l’equilibrio deve essere sempre preservato.

Amnia: 912.
La Profezia dell’Equilibrio si è realizzata, e la guerra tra Vàlor e Tyran, tra lo Spirito della Libertà e lo Spirito dell’Ordine, sembra volgere al termine. Ma proprio nel momento in cui la vittoria di Tyran è ormai certa, Mantus, il “dio rinnegato”, volge a suo favore il trionfo finale.
Ma chi è davvero Mantus e perché vuole dominare Amnia?
Qual è la ragione per cui è rimasto rinchiuso nello Scrigno dei Mali Maggiori?
Chi aveva fatto giungere gli otto mortali dal futuro e perché?
LinguaItaliano
Data di uscita23 apr 2023
ISBN9791222098227
La Saga di Amnia - Vol.2: L'Ultimo Raggio di Sole

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    Anteprima del libro

    La Saga di Amnia - Vol.2 - Aligi Pezzatini

    Prologo

    Oltre il velo del sogno

    Nalia era seduta su un piccolo isolotto di terra arido, sospeso nel nulla. Il cielo era buio, privo di stelle. Aveva quasi dimenticato da quanto tempo stava aspettando, in quel luogo che non sarebbe mai dovuto esistere, e sentiva la speranza farsi sempre più esigua.

    D’un tratto apparve una luce e la vide, davanti a lei, girata di spalle. Era bellissima, con i lunghi capelli dorati sciolti lungo la schiena e i ciuffi argentati che formavano una coroncina. Era come si ricordava: giovane.

    Provava una profonda vergogna nel mostrarsi a lei in quelle condizioni, con la tunica lacera, i capelli deturpati e il corpo afflitto da numerose e terribili ferite, ma doveva farle sapere cosa l’avrebbe attesa se non avesse seguito le sue parole.

    «Ti aspettavo» disse, facendosi percepire.

    La nuova arrivata si voltò e l’espressione del suo viso tradì il dolore nel vedere l’altra, così simile a lei, violata in quel modo atroce.

    «Cosa ti è successo?» Le domandò con un filo di voce.

    Quando i loro sguardi si incrociarono, Nalia percepì che non tutto era ancora perduto e allora le parlò, spiegandole ogni cosa.

    Alla fine, le due donne si strinsero le mani come per infondersi forza.

    «Buona fortuna, giovane Nalia» disse quella ferita. «Spero che il tuo futuro sia molto differente dal mio.»

    Poi la vide scomparire, lasciandola sola.

    Nalia diede un ultimo sguardo al desolato isolotto in cui era rimasta per così tanto tempo. Finalmente adesso poteva sorridere. Mentre una lacrima di gioia le scendeva lungo la guancia, mormorò:

    «Vivi anche per me, giovane Nalia, e non lasciare che il dolore della verità ti accechi.»

    Finalmente poté smettere di trattenere la propria essenza e quel luogo scomparve. E lei con esso.

    PARTE PRIMA

    Quando la luce si estingue

    Capitolo 1

    L’assedio di Camaran

    T

    remain II di Calondorn, Imperatore di Anosia, stava camminando nervosamente avanti e indietro davanti al proprio trono, sotto gli sguardi terrorizzati dei nobili che si erano rifugiati nel Palazzo Imperiale, a Camaran. Il pallore del suo volto era accentuato dalla barba scura e dai lunghi capelli neri e lisci, un po’ unti, che gli ricadevano sulle spalle; si rigirava la corona d’oro tra le mani, mentre faceva di tutto per non ascoltare la discussione tra l’evocatore di Corte Kamil, un uomo autoritario, con barba e capelli lunghi e neri, e il generale Varo, calvo e con una benda dorata a coprire l’occhio destro, perduto in battaglia.

    Tremain ricordò con angoscia quando la notizia della caduta della Roccaforte del Sole era arrivata, circa un mese prima: aveva provocato gravi ripercussioni sul morale di gran parte dei cittadini della capitale. Per ridare fiducia alla popolazione, Galor, il figlio dell’Imperatore, aveva subito assunto il comando della Prima Legione dell’Esercito Imperiale per riorganizzare la difesa della capitale. Tuttavia, due giorni dopo, era giunto l’annuncio che aveva fatto precipitare tutti nel panico: l’Armata di Tyran era in marcia verso Camaran. Non era stato facile convincere i cittadini a non fuggire: era stato necessario far vedere più soldati sulle mura e sulle torri, nonché aumentare le pattuglie lungo le strade della città; erano stati addirittura banditi alcuni tornei per distogliere l’attenzione della gente dalla minaccia incombente. Qualche nobile, nonostante tutto, aveva deciso di partire per l’Alleanza Posidonia, ritenendo che fosse al di là della portata e degli interessi dell’Egemonia, ma alla fine molti avevano deciso di restare e, nientemeno, di aiutare a difendere la città e le proprie case.

    A mano a mano che i giorni passavano e che la lenta avanzata dell’Armata di Tyran diventava sempre più una realtà, Tremain aveva avuto l’idea di provare a negoziare con il console Albios, colui che era a capo dell’esercito nemico. Forse con una grossa somma di denaro, o con qualche cessione dei territori più periferici, avrebbe rinunciato ad assediare Camaran. Tuttavia, se da un lato si aspettava le veementi reazioni contrarie di Varo e di Kamil, dall’altro era rimasto sorpreso dalla rabbia di suo figlio, che rigettava l’ipotesi di qualunque accordo con quei maledetti rettiloidi. Tremain comprese che Galor era stato molto vicino a definirlo un vigliacco e ammise che, se lo avesse detto davvero, non avrebbe fatto altro che affermare la verità.

    Da ormai due giorni l’immensa Armata di Tyran si era insediata a qualche centinaio di metri dalla città, e varie pattuglie tentavano in continuazione di minare la resistenza delle possenti mura difensive della capitale. Ormai i rumori di colpi ed esplosioni erano diventati quasi una comune e fastidiosa abitudine.

    Tremain smise di camminare avanti e indietro e si guardò intorno.

    La grande sala del trono era illuminata dai globi di luce eterici che pendevano dal soffitto, dato che i vetri delle grandi finestre erano stati coperti da pesanti assi di legno per la sicurezza dell’Imperatore. Le pareti erano addobbate con arazzi variopinti e con quadri che rappresentavano il fulgido passato del Casato regnante; Tremain provò vergogna per il suo fallimento nel presente. La maggior parte delle persone rifugiate lì, una sessantina tra nobili e ricchi possidenti con le loro famiglie, era raggruppata lungo la parete a sinistra del trono, dove si trovava anche un’ampia nicchia, usata di solito come disimpegno per i soldati. Dalla parte opposta, più vicino al piano rialzato del trono, l’evocatore Kamil e il generale Varo stavano ancora discutendo animatamente tra loro. L’Imperatore aveva colto solo alcuni sprazzi della loro conversazione, ma aveva capito che stavano discutendo delle modalità di un’eventuale ritirata, per portarlo in salvo qualora il Palazzo fosse stato occupato. Si sentì quasi sul punto di desiderare che non si mettessero d’accordo e che i nemici lo catturassero, così tutta quella maledetta situazione sarebbe finalmente terminata.

    Tremain sollevò la mano sinistra; subito un giovane coppiere si fece avanti per porgergli un calice in cui versò del vino rosso da un’anfora dorata. L’Imperatore si rimise la corona in testa, prese la coppa e bevve tutto d’un fiato. Poi, senza un attimo di esitazione, si fece versare dell’altro vino.

    La grande e massiccia porta di ingresso della sala del trono si aprì, interrompendo i macabri pensieri dell’Imperatore. Il principe Galor entrò velocemente nel salone; aveva i corti capelli castani umidi per il sudore e il viso glabro rosso e accaldato; indossava un’armatura dorata con sul petto i simboli di Vàlor e della casata di Calondorn, il leone rampante che brandiva un fulmine come una lancia. La sua agitazione era evidente da come si tormentava le mani. Con lui, oltre a una decina di guardie, c’erano il secondo consigliere Noris, un uomo abbronzato con corti capelli biondi, e l’elementalista di Corte Baldwin, un uomo con capelli e barba rossi tagliati corti e una vistosa bruciatura sulla guancia sinistra. Al loro ingresso, Kamil e Varo interruppero la loro discussione.

    Il Principe guardò prima il Generale, poi l’evocatore e infine suo padre con il calice in mano. Quindi annunciò:

    «L’esercito nemico è riuscito a creare una breccia alla Porta Ovest. Ho inviato rinforzi alle pattuglie di quella zona, ma la situazione è critica. Dovremmo proteggere tutti gli edifici sensibili della città, ma non abbiamo abbastanza uomini per farlo...»

    Subito Kamil si fece avanti, porse un rapido ma rispettoso inchino al principe, poi disse:

    «Lasciate che me ne occupi io! Le forze eteriche di Tyran non hanno più la possibilità di eseguire evocazioni dopo la scomparsa dei demoni, quindi non ci sarà nessuno che potrà bandire le mie creature. Posso evocarne diverse decine da mandare in aiuto ai soldati impegnati nella difesa degli edifici.»

    «Fallo!» Rispose immediatamente Galor, e subito l’incantatore si avviò verso la finestra più vicina, che due guardie gli aprirono all’istante.

    «Sapete che non sarà sufficiente un incantesimo per fermare l’Armata di Tyran» intervenne Noris con la sua voce nasale. «Sono quasi tre volte più di noi: i numeri contano molto in una battaglia!»

    Subito si avvicinò Varo, che squadrò severamente il Consigliere con l’unico occhio, infuocato.

    «Lascia che alla battaglia pensi chi se ne intende» lo rimbeccò con fermezza. «I numeri saranno importanti per le finanze di cui ti occupi, ma in una battaglia una buona strategia può avere la meglio su un esercito più numeroso.» Poi si rivolse a Galor e aggiunse, con voce meno dura: «Non lo ascoltate, Principe: non tutto è perduto, non ancora.»

    Galor gli sorrise, anche se non con gli occhi, in cui si intravedeva ancora una profonda amarezza per la tragicità della situazione.

    L’Imperatore bevve un altro sorso, poi andò verso il trono con un’andatura barcollante e vi si sedette, appoggiandosi pesantemente al bracciolo sinistro, versando in terra un po’ di vino.

    «Ma certo» dichiarò infine con la voce impastata. «Perché preoccuparsi? Nessuno ha mai violato le mura di Camaran!»

    Galor scosse la testa deluso. Lanciò un’occhiata verso il gruppo di nobili sotto la nicchia grande, e non poté non notare il terrore nei loro volti. Stava per dire qualcosa per confortarli, quando dalla finestra aperta si sentirono provenire delle grida di allarme. Corse a fianco di Kamil, dove già erano affacciati anche Varo, Baldwin e Noris. La periferia occidentale della città era in guerra: alte colonne di fumo si alzavano dai palazzi lontani, e si sentivano deboli rumori di battaglia giungere da laggiù, sempre più vicini.

    «Vàlor aiutaci» supplicò Galor, incredulo. Però subito si riprese e chiese: «Com’è possibile tutto questo, dannazione?»

    «Devono aver approfittato della crepa alla Porta Ovest» rispose Baldwin, indicando i segni di lotta intorno a quella zona. «Evidentemente la continuità delle difese eteriche anti-intrusione si è persa quando la porta è stata sfondata.»

    «Ma non può essersi aperto uno squarcio tale da permettere l’apertura di portali così grandi» intervenne Kamil, che era un esperto in materia. Poi, dopo un attimo di esitazione, aggiunse: «A meno che...»

    I due incantatori si scambiarono un’occhiata incredula. Baldwin imprecò:

    «Maledizione, la Scuola del Sangue! La Gran Sacerdotessa ci aveva anche avvertiti di stare attenti.»

    Il Principe si voltò verso di loro e chiese:

    «Cosa possiamo fare per contrastarli?»

    «Non è una cosa facile da improvvisare» gli rispose Kamil. «Abbiamo bisogno di tempo per studiare un contro-incantesimo efficace.»

    Allora Galor si rivolse al Tenente che comandava le guardie giunte con lui e gli ordinò:

    «Raduna gli uomini rimasti a Palazzo e forma uno sbarramento qui fuori: dobbiamo guadagnare tempo per poter rispondere agli incantatori nemici e ricacciarli indietro! Non prendere i soldati qui dentro: devono proteggere l’Imperatore.»

    «Sì, maestà» rispose il Tenente, e subito uscì.

    Galor si voltò verso il trono e vide suo padre che si faceva nuovamente riempire di vino il calice. Il secondo consigliere notò lo sguardo sconsolato del Principe, gli si affiancò e gli sussurrò con discrezione all’orecchio:

    «Potrebbe essere l’occasione per convincere vostro padre ad abdicare: un avvicendamento sul trono potrebbe dare nuovo vigore agli animi dei soldati e della popolazione.»

    Per un lungo istante Galor si dimenticò di respirare. Dopo il primo anno di guerra, da quando Tremain aveva deciso per una autodistruttiva tattica di attesa, quel pensiero arrivava a tormentarlo nelle occasioni più diverse, soprattutto durante la notte. Ogni volta era riuscito a ricacciarlo indietro, con un senso di vergogna per ciò che implicava nei confronti di suo padre, ma con il passare del tempo diventava sempre più difficile, soprattutto quando vedeva Tremain in quelle condizioni. Galor riprese a respirare e, ricordandosi improvvisamente di un fatto, si voltò verso Noris e gli disse tra i denti:

    «Non credo che voi siate la persona giusta per avanzare questo suggerimento, Consigliere: mi ricordo molto bene che due anni fa voi foste il primo ad appoggiare la risoluzione attendista di mio padre.»

    Noris chinò mestamente il capo, ingoiando il rospo, e si allontanò da lui, mentre si fece avanti Varo, serio in volto.

    «I soldati sono schierati qui sotto, maestà» lo informò. «Dalla finestra potete dare un’occhiata alla situazione.»

    Il Principe annuì e si affiancò a Kamil e a Baldwin, che stavano ancora discutendo su quale fosse il migliore contro-incantesimo da impiegare. Ignorandoli, dato che non aveva le conoscenze adatte per aiutarli, si affacciò alla finestra e osservò i soldati che, nella piazza a circa una decina di metri più sotto, si erano schierati a difesa dell’ingresso del Palazzo Imperiale.

    Stava pensando se fosse il caso di dire qualche parola per sollevare il morale di quei soldati, ultimo baluardo in difesa dell’Imperatore, quando uno strano bagliore verde comparve nell’estremità più lontana della piazza. Galor strabuzzò gli occhi, incapace di comprendere cosa stesse accadendo. Poi, la luce divenne un disco verticale con un alone verde scuro e subito interruppe la discussione dei due incantatori con un tono di urgenza:

    «Signori, cos’è quello?»

    I due si girarono verso la piazza e, dopo qualche istante, Kamil disse meravigliato:

    «Non è possibile: quello è un portale!»

    Allarmato, Galor gridò subito ai soldati che erano nella piazza:

    «State attenti! Sollevate gli scudi e disponetevi a difesa stretta!»

    Poi si girò verso Kamil e gli chiese:

    «Come possiamo fermare quei portali? Se continua così, l’esercito di Tyran ci invaderà anche dall’interno e i nostri uomini che presiedono le difese periferiche saranno circondati e senza scampo!»

    Inaspettatamente, Kamil emise un profondo sospiro di rassegnazione. Galor e Baldwin lo fissarono sorpresi.

    «Questa è la punizione per aver criticato Nalia» spiegò l’Evocatore con voce dimessa.

    «Cosa vorresti dire?» Lo spronò Galor.

    «Prima di partire in guerra con la Seconda Legione, la Gran Sacerdotessa mi aveva chiamato in disparte per avvisarmi che gli incantatori di Tyran avevano riesumato le pratiche della Scuola Proibita. Le ribattei che non sarebbe stato possibile alcun ritorno dell’Eteria del Sangue, dopo che le Torri l’avevano sigillata, ma lei insistette nell’affermare che saremmo stati tutti in pericolo; aggiunse poi che conosceva un modo per annullarne gli effetti, ma per farlo era necessaria una fede incrollabile... Be’, sapete cosa penso della religione, come gran parte degli incantatori: a quel punto smisi di ascoltarla e me ne andai chiamandola piccola bambina saccente e illusa. Lei mi richiamò più volte, ma io non mi voltai...»

    Galor tornò a guardare il portale e, con terrore, vide l’ampio disco vibrare come le increspature sulla superficie di uno stagno. Una fila di soldati rettiloidi ne uscì in assetto di battaglia e rapidamente i militari si disposero ai suoi lati. Poi, dal portale uscì un uomo con una lunga tunica di raso nero, bordata di rosso e di verde, e con il volto coperto da una maschera di metallo brunito metà rettiloide e metà umana.

    «Il console Albios» sbottò il Principe. «Quel bastardo è qui!»

    L’uomo a capo delle armate di Tyran alzò lo sguardo fino alla finestra del Palazzo Imperiale e vide Galor. Allora sollevò un braccio e lo indicò, quindi disse a gran voce:

    «Ecco lassù il Principe ereditario dell’Impero di Anosia, il figlio primogenito di Tremain II il Pusillanime, che controlla lo stato delle sue truppe e della sua città.» Abbassò la mano, ma alzò la voce rivolgendosi direttamente a lui: «Principe Galor, se hai ereditato un po’ dell’indole di tuo padre, non farci perdere tempo e apri le porte del tuo palazzo, così metteremo fine, senza versare altro sangue, a questa ridicola battaglia che ormai avete perso!»

    Galor sentì la rabbia montargli in corpo, fino a uscirgli dalla gola con un impeto furioso in un forte grido:

    «Mai ci arrenderemo a voi!»

    Dalle mani di Baldwin partì una Palla di Fuoco diretta verso Albios. Il Console non si scompose: sollevò un braccio e, quando la sua mano toccò il globo infuocato, quello si dissolse nel nulla come se non fosse mai esistito.

    «Non è possibile!» Sbottò l’incantatore, incredulo. «Anche se appartenesse alla Scuola della Difesa, non potrebbe fare una cosa del genere...»

    Il Console avanzò di altri due passi, poi disse di nuovo a gran voce:

    «Proprio perché sappiate che noi non vi temiamo, vi concedo cinque minuti per arrendervi e per aprirci le porte. Se non ottempererete, penserò io a spalancarci la strada fino alla sala del trono!»

    Sempre più colmo di rabbia, il Principe gridò:

    «Anosia non si arrenderà mai!» Poi, rivolto ai soldati disposti a difesa del Palazzo, ordinò: «Uomini, attaccate! Difendete la vostra patria!»

    Senza indugio, i soldati partirono all’attacco, urlando il nome di Vàlor. Il primo impatto tra i due opposti schieramenti provocò un forte clangore metallico.

    In quello stesso istante, Galor sentì qualcuno che gli afferrava il braccio per richiamare la sua attenzione. Si girò e vide Noris seriamente preoccupato.

    «Non credo sia il caso che voi e vostro padre rimaniate qui» disse il secondo Consigliere. «Anche se il Palazzo Imperiale cade, voi non dovete finire prigionieri dell’Egemonia, o sarebbe la fine di ogni speranza per l’Impero di Anosia. Usate il passaggio nascosto in fondo alla sala del trono, e raggiungete il porto tramite la rete fognaria. Là è pronta da tempo una nave per condurvi in salvo all’Alleanza Posidonia, dall’Imperatrice vostra madre e dal vostro fratello più piccolo, già ospiti di una nobile famiglia di Boga.»

    Galor era indeciso sul da farsi. Guardò i due incantatori e il Generale, quindi tutti e tre annuirono. Poi Varo aggiunse:

    «Credo che non ci sia altra soluzione: se il Console vi troverà, vi farà giustiziare per coronare la fine della guerra. Andate, mio Principe, e portate l’Imperatore in salvo. Non rimane che attendere tempi migliori per riprenderci ciò che ci stanno rubando senza onore.»

    Il Principe non poté far altro che annuire a sua volta.

    «Grazie» disse rivolto ai tre amici, cercando di non far trasparire la commozione. «Grazie per i vostri preziosi consigli e per tutto quello che avete fatto. Che Vàlor vi protegga.»

    Kamil gli si avvicinò e scambiò con lui la stretta all’avambraccio, solitamente usata come segno di vittoria, ma qui intesa come gesto di speranza, quindi gli sussurrò:

    «Temo che per noi neanche Vàlor possa fare più nulla. Ma, se sacrificheremo la nostra vita per qualcosa a cui crediamo, allora avremo fatto la differenza, e la nostra esistenza avrà avuto un senso.»

    Anche il Generale gli strinse l’avambraccio e disse:

    «Adesso è giunta la nostra ora, il momento di uscire di scena: ritardarlo sarebbe un inutile spreco di risorse. La speranza è che, con le nostre ultime gesta, voi possiate raggiungere la salvezza per poter un giorno ricostruire quello che oggi è stato distrutto.»

    Infine, fu Baldwin a scambiare la stretta all’avambraccio e a dirgli a bassa voce:

    «Prendete vostro padre e uscite. Vedrete che, dopo questa giornata devastante, non oserà più ridursi in quelle condizioni. E allora sarà davvero l’Imperatore che Anosia merita.»

    Galor non riusciva a trattenere le lacrime.

    «Grazie davvero, a tutti e tre» riuscì a dire con voce roca.

    Senza aggiungere altro, il Generale ordinò ai soldati più vicini di scortare il Principe e l’Imperatore verso il porto.

    «Io vi farò da guida, mio signore» disse Noris, affiancandosi a Galor. «Conosco bene il passaggio e non rischieremo di perderci nei meandri dei sotterranei.»

    Il Principe annuì e prese sottobraccio suo padre, sorreggendolo nel suo precario equilibrio. Subito una delle guardie si affiancò dall’altra parte per aiutarlo.

    «Andiamo» disse Galor, commosso. «Questo non è un addio: torneremo e riprenderemo la nostra città! Libereremo il nostro popolo!»

    Noris toccò due pietre nel muro in fondo alla sala del trono e aprì la porta nascosta, rivelando un corridoio buio. Un soldato gli porse una lanterna e, senza indugio, Galor accompagnò l’Imperatore nell’oscurità che conduceva verso la salvezza.

    Capitolo 2

    Soltanto un po’ di felicità

    N

    alatien era in piedi a braccia conserte, vestito con una tunica blu bordata d’argento, intento a osservare la sorella e gli altri compagni. Se ne stava appoggiato al muro di una delle case che si affacciavano sulla piazza ovest del Quartiere Centrale, lungo la strada che girava intorno al Palazzo, dove si stavano svolgendo i festeggiamenti per il matrimonio di Firion e Liriel. C’erano i compagni arrivati con loro dal futuro; c’era Nalia con le accolite Helen e Korin; c’erano il generale Dario con Inza e il barbaro Orson; c’erano altre persone, sia soldati che civili, conosciute nei mesi che avevano vissuto nella Roccaforte. C’era anche l’incantatrice Aselia, la nuova maestra di Liriel, con le due allieve gemelle Lara e Mara, che però, stranamente se ne andarono a metà del pranzo. Purtroppo, qualcuno mancava all’appello, come il suo maestro, il bibliotecario Lumis, deceduto durante l’assalto dell’esercito di Tyran alla Roccaforte.

    La giornata era calda e assolata, nonostante mancasse ancora una decina di giorni all’inizio della primavera. Anche nei due giorni precedenti c’era stato bel tempo, interpretato come un segno di buon auspicio per il matrimonio e per il futuro di Liriel e Firion. Qualcuno aveva anche ipotizzato che fosse colpa della luna spezzata se il clima era stravolto e faceva così caldo, ma, ovviamente, non c’erano prove a convalidare quelle supposizioni.

    In quel momento, concluso il pranzo, sua sorella e Firion stavano dando il via alle danze. Con un misto di divertimento e di invidia, Nalatien vide che Joel era stato invitato contemporaneamente da Noa e da Inza, mentre Morgase aveva chiesto a Keldon di ballare e Duncan lo aveva praticamente spinto tra le braccia della druida. Poi il paladino aveva invitato l’accolita Korin, la sorella di Inza, e aveva seguito l’amico nel mezzo della piazza.

    Il chierico sembrava essersi ripreso abbastanza bene dopo la paura che aveva fatto prendere a tutti i suoi compagni, a causa dell’esorcismo con cui aveva assorbito dentro di sé il Bàlor di Sanderia. Tuttavia, una mattina Nalatien era passato al tempio presente all’interno del Palazzo Centrale. Non che volesse pregare Vàlor: semplicemente cercava un luogo tranquillo dove riflettere. Pensava di non trovare nessuno, invece vide Nalia che pregava imponendo le mani sul petto del chierico, inginocchiato davanti a lei. Subito si era nascosto dietro una colonna, rimanendo a osservarli fino alla fine, quando aveva sentito Nalia dire a Keldon qualcosa di sconvolgente:

    «Non devi mai smettere di pregare ogni mattina per il mantenimento del sigillo che contiene dentro di te il signore dei demoni. Le mie lacrime lo hanno reso più forte, ma proprio per questo hanno bisogno di essere sempre alimentate di energia divina, di cui, come sai, la preghiera è la principale fonte. Non devi mai abbassare la guardia, perché, se le mie lacrime sono il nuovo sigillo, la tua volontà è la loro chiave.»

    Keldon aveva ringraziato Nalia chiamandola mia dea in un tono talmente solenne da far venire i brividi a Nalatien: per un chierico, avere davanti la divinità a cui aveva dedicato la vita intera doveva essere qualcosa di incredibilmente gratificante e appagante; e se, addirittura, la tua divinità si preoccupava per te e per la tua salute, doveva essere davvero un’estasi. Per un attimo, l’elfo si era ritrovato a invidiare Keldon e la sua fede.

    Mentre si affrettava per uscire dal tempio senza essere visto, sulla porta Nalatien si era quasi scontrato con Joel, che doveva essersi nascosto da qualche altra parte. Entrambi si erano guardati senza dire nulla, poi la Maschera aveva fatto cenno all’elfo di andare avanti e lui era uscito in silenzio.

    Nalatien era grato che quanto accaduto a Keldon a Sanderia avesse avuto qualche strascico a lungo termine, perché così l’attenzione degli altri su di lui si era lentamente allontanata: in fin dei conti, la sua morte e resurrezione si era conclusa in breve tempo e non aveva avuto seguiti eclatanti, mentre i problemi di Keldon coinvolgevano tutti quasi quotidianamente.

    Ricordava con disperazione la prima parte del viaggio di ritorno alla Roccaforte, perché tutti lo avevano tempestato di domande riguardo alla sua morte: tutti lo avevano visto investito in pieno dalla frusta infuocata del demone per salvare Morgase; tutti avevano sentito le grida di disperazione della druida sul corpo esanime di lui; tutti avevano udito Keldon affermare che non esistevano preghiere per riportare in vita i morti; tutti avevano sentito l’urlo di dolore di Liriel dopo quella sentenza ineluttabile. Eppure, nonostante l’evidenza dei fatti, tutti avevano visto Nalatien in piedi, perfettamente sano, e capace di evocare addirittura un angelo per aiutarli contro il Bàlor. Per svicolare a quelle domande a cui preferiva non rispondere, aveva raccontato di non ricordare cosa gli fosse accaduto: un attimo prima aveva sentito il colpo di frusta del Bàlor e l’attimo dopo si era risvegliato disteso a terra, solo. Aveva sentito il rumore della battaglia e lo aveva seguito, arrivando dai compagni, che subito aveva cercato di aiutare. Infine, per evitare che qualcuno tornasse a fargli domande, aveva iniziato a stare sempre più spesso lontano dagli altri: nessuno doveva sapere cosa gli fosse accaduto veramente, perché temeva che Nemesi avrebbe potuto reagire drasticamente per evitare che la sua presenza venisse rivelata. Soprattutto non voleva assolutamente che il dio facesse del male a sua sorella, a Firion e, meno che mai, a Morgase. La druida, ogni tanto, cercava di parlare con lui di quel giorno in cui era morto e misteriosamente tornato in vita, ma l’elfo ogni volta riusciva a trovare un modo per cambiare discorso, e spesso, in quell’ultimo periodo, aveva usato come scusa i preparativi per il matrimonio di Liriel.

    I pensieri di Nalatien tornarono alla cerimonia. Lui e Morgase erano stati i testimoni della sposa, mentre Keldon e Duncan quelli dello sposo. Il matrimonio era stato solennemente celebrato dalla gran sacerdotessa Nalia, vestita con una tunica argentata su cui portava i paramenti sacri d’oro che ripetevano più volte il simbolo di Vàlor; i lunghi capelli biondi le cadevano lisci dietro le spalle fino al fondoschiena, formando una specie di mantello dorato, mentre le dodici ciocche argentate erano intrecciate insieme a formare una coroncina intorno alla testa. All’inizio, la scelta di far celebrare il matrimonio a Nalia era sembrata inappropriata, considerando come gli elfi rifiutassero da sempre di sottomettersi a qualunque autorità morale estranea. Tuttavia, la rivelazione che lei era la figlia di Vàlor aveva reso la sua autorità ben superiore a chiunque altro, nonostante il suo aspetto fosse quello di un’umana: pertanto Firion e Liriel non avevano avuto alcuna remora ad acconsentire che fosse lei a benedire la loro unione.

    Purtroppo, gran parte della Roccaforte del Sole versava ancora in uno stato disastroso: nel mese trascorso era stato possibile risistemare adeguatamente soltanto il Quartiere Centrale. Per questo motivo, il rito si era svolto nel tempio del Palazzo Centrale e i successivi festeggiamenti in quella piazza secondaria.

    Nalatien era rimasto affascinato dal discorso che aveva tenuto Nalia per l’occasione: nonostante la gravità della situazione generale, la figlia di Vàlor era riuscita a concentrare l’attenzione di tutti sulla gioia del matrimonio che si stava celebrando, donando a ciascuno un po’ di pace e di speranza.

    I suoi pensieri vennero interrotti dall’arrivo di Morgase. La druida era vestita con un elegante abito lungo in pelle marrone scuro bordato di argento, e i suoi capelli castani erano raccolti in una curiosa treccia che risaliva verso l’alto in cima alla testa, simile alla coda di uno scorpione. Si era avvicinata a lui con la sua consueta grazia felina e gli aveva detto con un sorriso:

    «Cosa fai qui tutto solo? Vieni a divertirti un po’ insieme agli altri! Vàlor sa che ne abbiamo davvero bisogno, dopo tutto ciò che è successo.»

    L’elfo le fece un lieve sorriso.

    «Grazie, ma non mi è mai piaciuta la folla, lo sai. Mi va bene anche stare qui a guardare.»

    «Qualcuno potrebbe pensare che non sei contento che tua sorella si sia sposata...» insinuò lei.

    Per un istante Nalatien rimase interdetto, poi scosse la testa e replicò:

    «Ma certo che sono felice per lei! È solo che...» Si interruppe e pensò mestamente: Non so quanto ciò potrebbe essere gradito a lui.

    Vedendo che l’incantatore non proseguiva, la druida si appoggiò al muro al suo fianco, spalla contro spalla, e disse piano:

    «Capisco. Non vuoi che tornino di nuovo tutti a farti domande stupide del tipo: Che effetto fa morire? Oppure: Hai visto qualcosa mentre eri morto? O anche: In quel momento, sentivi la benevolenza di Vàlor o la malevolenza di Tyran? Ma non vuoi nemmeno che ti facciano le domande intelligenti, del tipo: Tutti sanno che è impossibile tornare dalla morte, eppure tu eri davvero morto, ci sono molti testimoni che l’hanno visto, e poi sei tornato in vita. Com’è possibile quello che ti è accaduto? O che, addirittura, vengano fuori strane insinuazioni come: Ma sei sicuro che non sia stato un demone a riportarti indietro?»

    Nalatien sospirò e soggiunse:

    «Sì, preferirei davvero evitare che succeda di nuovo.»

    Morgase gli sorrise e riprese:

    «Allora, se preferisci stare qui, resterò con te. Non è bene rimanere soli quando tutti festeggiano.»

    L’elfo rimase sorpreso da quanto gli facesse piacere sentire il contatto della spalla di lei contro la propria, e si trovò a desiderare qualcosa di più. Ma sentiva che l’entità dentro di lui era tutt’altro che soddisfatta di quei suoi pensieri. Tuttavia, decise di non allontanarsi da lei... Almeno finché posso ancora farlo, aggiunse poi mentalmente, con una nota di tristezza.

    «Cosa pensi del fatto che Nalia sia la figlia di Vàlor?» Gli chiese poi la druida, rompendo il silenzio. «Non ti sembra strano? Se gli dèi hanno avuto dei figli nel passato, perché noi non ne abbiamo mai sentito parlare?»

    Nalatien provò uno strano brivido e le rispose:

    «In realtà non è l’unica cosa strana. Anche il nostro arrivo nel passato è strano. Come ci siamo arrivati? E perché? Penso continuamente a queste domande e non so darmi una risposta. E se neanche Nalia ci è riuscita...»

    «Hai ragione» concordò lei sorridendo, mentre vedeva al centro della piazza Liriel ballare con un impacciato Keldon. «Ciò che ci è successo fa nascere diverse domande a cui non sembra possibile rispondere. Però, dentro di me, sento che non è un caso se siamo finiti qui.»

    «Come puoi dirlo con tanta certezza?» Le chiese con curiosità, avvertendo la sua chiarezza mentale.

    Morgase esitò qualche secondo, indecisa se parlargliene, poi alla fine gli rispose:

    «Ha a che fare con le Fonti della Natura... Io qui, adesso, sento il canto degli spiriti della natura e loro rispondono al mio: avverto chiaramente la presenza della Fonte dello Spirito, mentre nel nostro tempo non l’ho mai percepita. Nel presente c’è solo un pesante e malinconico silenzio, tanto che nessun druido ricorda più la bellezza di queste melodie... È in questo periodo che svanirà per sempre per mano di quelli di Tyran.»

    Vedendo che parlare di quell’argomento la rattristava, Nalatien si affrettò a cambiare discorso:

    «Della luna spaccata a metà cosa pensi? Secondo te anche questo fenomeno ha a che fare con la nostra situazione?»

    Subito l’elfo sentì dentro di sé la voce:

    Bravo! Ottima domanda! Può essere interessante sapere cosa pensano gli altri di noi.

    L’incantatore cercò di rimanere impassibile, per non tradire l’euforia che era impressa in quel pensiero.

    «Non so se ha a che fare con noi» gli rispose, titubante. «Però, in effetti, tutto torna perfettamente con la situazione descritta nella Profezia dell’Equilibrio. A meno di un miracolo, il potere di Tyran ha superato di gran lunga quello di Vàlor. La Profezia diceva che, quando l’equilibrio si fosse decisamente spostato verso una delle due parti, la luna si sarebbe spezzata, e così è successo. Ma quello era solo il secondo segno. Il primo, che nessuno sembra aver colto, erano gli elfi che si alleavano con una delle due fazioni. In effetti, gli elfi si sono uniti a Vàlor...» Fece un sorriso amaro, poi aggiunse: «Forse hanno scelto la fazione sbagliata, ma non sono sicura che, se si fossero rivolti a Tyran, avrebbero avuto la libertà di mantenere le loro tradizioni e i loro legami...»

    In quel momento tutti i festeggiati erano impegnati in un ballo in cerchio, e Morgase non poté non sorridere nel vedere che anche Nalia si era unita alle danze.

    «Forse non è un male che gli dèi abbiano avuto dei figli» commentò indicando a Nalatien la Gran Sacerdotessa che ballava, con una mano stretta da Keldon e l’altra dalla giovane accolita Helen. «Questo fa sentire gli dèi più vicini, e fa uscire dalle persone la loro parte migliore...»

    Quando l’elfo rispose alle sue parole, la voce aveva un tono diverso dal solito, e la druida rabbrividì:

    «Può essere vero se consideri Nalia, ma non sono sicuro riguardo agli altri due.»

    «Cosa intendi dire?»

    «Nulla di particolare» rispose dopo un istante di esitazione, sorpreso anche lui dalle parole uscite dalla propria bocca. Allora tentò di fornirle una spiegazione il più plausibile possibile: «Se ciascuno dei figli degli dèi rispecchia gli ideali del proprio padre, allora quello di Tyran non sarà affabile come Nalia, non credi?»

    Morgase non poté che essere d’accordo con lui. Poi, però, si voltò sorridendo verso l’incantatore ed esclamò:

    «Comunque noi abbiamo Nalia, non lui, e dobbiamo approfittarne finché possiamo. Andiamo!»

    Lo prese per la mano e lo tirò verso il centro della piazza. Nalatien all’inizio cercò di resisterle, ma il semplice contatto con la sua mano gli infondeva una sensazione di gioia e di pace che non credeva possibile. Allora si arrese e la seguì, ricacciando indietro i cupi avvertimenti di Nemesi.

    <><><>

    L’incantatrice Aselia, come ogni giorno da un mese, stava scendendo le scale che portavano alla prigione, nel piano sotterraneo del Palazzo Centrale. Le sue allieve gemelle erano rimaste ad attenderla all’ingresso, nella guardiola. Teneva con cura sotto il braccio destro un fagotto di stoffa, felice: non riusciva ancora a credere di avere ritrovato la figlia che pensava di avere perso per sempre, per colpa di quelle maledette leggi della tradizione elfica, secondo le quali i mezzelfi erano soltanto dei mostri da uccidere.

    Non avrei mai potuto pensare che la mia Leliana fosse sopravvissuta, pensò per l’ennesima volta, fermandosi all’ingresso del corridoio che portava alla cella dov’era rinchiusa sua figlia. Ancora aveva qualche difficoltà a usare il suo nome umano di Miranda, come adesso preferiva essere chiamata. Seppi che Atrenas era ancora vivo, e che si era unito all’Esercito di Tyran tre anni dopo essersene andato. Fui contenta di sapere che almeno il mio amore era vivo, anche se così lontano. Tale gioia, però, si trasformò in un grande dolore quando gli elfi decisero di unirsi all’Esercito di Vàlor, perché temevo che avrei potuto incontrarlo in battaglia, e che sarei stata costretta a ucciderlo... E, a sentire lei, forse l’ho fatto davvero...

    Aselia scosse la testa per scacciare quel terribile pensiero. Miranda le aveva detto che Atrenas era stato ucciso da una maledetta Palla di Fuoco nella battaglia della Piana di Crandall. Ricordava di averne lanciate diverse quel giorno, dalle retrovie in cui gli incantatori erano asserragliati, e, con un brivido, pregò Vàlor di non essere stata proprio lei a ucciderlo.

    Le guardie aprirono la porta del corridoio e quella della cella dov’era rinchiusa sua figlia. Allora l’elfa entrò, con il cuore in gola.

    Miranda era seduta sulla panca che fungeva anche da letto, disposta lungo la parete opposta alla porta. Indossava una semplice tunica marrone, senza maniche, e aveva i lunghi capelli neri che le ricadevano disordinatamente sulle spalle e dietro la schiena; le caviglie erano legate tra loro da una corta catena.

    «Mi dispiace per il tuo trattamento» esordì Aselia, con tono mesto.

    La prigioniera sollevò lo sguardo verso di lei e le rispose, con una punta di fierezza:

    «Non importa che tu lo dica tutte le volte. Se fossimo a parti invertite, il trattamento delle prigioni della Cittadella del Sangue sarebbe ben più disagevole.»

    «Ti ho portato qualcosa da mangiare» riprese mentre le porgeva il fagotto che aveva tenuto finora sottobraccio, e che emanava un invitante profumo. «Viene dai festeggiamenti per il matrimonio di... No, non importa, tanto non li conosci.»

    Miranda prese quello che l’elfa le stava porgendo con un po’ di diffidenza e lo aprì. Il suo stomaco la tradì con un brontolio, rivelando che aveva molta più fame di quanto volesse dimostrare. Subito la mezzelfa addentò un pezzo di formaggio e un attimo dopo una pagnotta.

    «Non ti hanno dato da mangiare stamattina?» Le chiese Aselia, meravigliandosi della sua voracità, mentre si sedeva sullo sgabello vicino alla porta.

    «Sono un ufficiale nemico» rispose, senza fermarsi. «Non penso di essere una priorità per il vostro servizio di approvvigionamento, considerando che, dopo la sconfitta, dovreste essere a corto di risorse.»

    L’incantatrice scosse la testa, con un timido sorriso.

    «Non vuoi demordere, vero? Continui a lanciare frecciatine anche se sei rinchiusa in una cella.»

    «Mio padre non mi ha insegnato ad arrendermi» le ribatté, smettendo di mangiare e guardandola negli occhi. «Se lo hai conosciuto davvero, dovresti saperlo!»

    «Ancora con questa storia?» Le replicò, severa. «Ti ho dimostrato ampiamente che lo conosco e che sono davvero tua madre! E ti ripeto che mi dispiace se non ho avuto il coraggio di contravvenire alle leggi elfiche e non ho potuto crescerti... Non credere mai che lasciarti andare sia stato facile! Se fosse dipeso da me, sarei andata via con Atrenas, ma è stato lui stesso a dirmi di restare, di non rovinare la mia vita diventando un’esiliata, una reietta.»

    «Molto comodo da parte tua» commentò lei sarcastica, riprendendo a mangiare.

    Aselia respirò a fondo più volte per calmare la propria rabbia, poi riprese a parlare con un tono sommesso che sorprese Miranda:

    «È più facile per una mezzelfa che per un’elfa vivere insieme agli umani o ai rettiloidi. È la nostra maledizione quella di non essere accettati da nessuno. Perché, secondo te, a Crandall è stata creata l’Enclave Elfica? Credi davvero che sia stato, come dicono tutti, perché noi non vogliamo mescolarci con gli altri? In realtà, non siamo noi che desideriamo isolarci, sono gli umani e i rettiloidi che non vogliono averci intorno.»

    «Perché mai?» Chiese Miranda, colpita da quelle parole.

    «È molto semplice: noi elfi suscitiamo invidia perché la nostra vita è lunga il doppio della loro, senza contare i nostri sensi più sviluppati e la nostra sensibilità innata all’Eteria. Non è soltanto un arrogante vanto, ma è la pura e semplice verità. Tu stessa, grazie all’eredità che hai ricevuto dal mio sangue, ti sarai sicuramente accorta che le tue capacità sono migliori, in confronto ai rettiloidi e agli umani.»

    «Io non sono mai stata trattata male né dai rettiloidi, né dagli umani al servizio dell’Egemonia.»

    «Certo, perché tu sei il frutto della corruzione del sangue elfico e ti ritengono meno perfetta, quindi più simile a loro, anche se le tue orecchie ricordano loro in ogni momento la tua origine.» Inconsciamente, Miranda si portò la mano destra alla punta dell’orecchio; Aselia fece un sorriso di comprensione, quindi riprese: «Inoltre, in questo modo, pensano di avere soggiogato al loro volere un essere con sangue elfico, e ne sono soddisfatti.»

    «Questa è solo la vostra visione» sbottò Miranda, dopo aver messo in bocca l’ultimo pezzo di salsiccia. «Allora che mi dici delle leggi elfiche per cui i mezzelfi come me devono essere uccisi come se fossero mostri?»

    Aselia sospirò, con in volto una strana espressione dispiaciuta.

    «In verità quella legge non esiste per proteggere la nostra razza dalla corruzione causata dalla diluizione del nostro sangue con quello umano. In fin dei conti, Ardèsia ci ha creati più simili agli umani che ai rettiloidi. C’è un motivo se non esistono mezzelfi di sangue rettiloide...»

    «Cosa intendi dire?» Le chiese, confusa.

    «È il motivo principale per cui i rettiloidi odiano gli elfi. Non ti sei mai chiesta perché non esistono rettiloidi maschi incantatori?»

    «In effetti avevo notato questa stranezza. Ho provato anche a chiedere spiegazioni, ma non ho mai avuto risposta. Forse Trisk’Àlish sa qualcosa, ma non me ne ha mai voluto parlare.»

    «Già, il tuo

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