La mano azzurra
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Edgar Wallace
Edgar Wallace (1875-1932) was a London-born writer who rose to prominence during the early twentieth century. With a background in journalism, he excelled at crime fiction with a series of detective thrillers following characters J.G. Reeder and Detective Sgt. (Inspector) Elk. Wallace is known for his extensive literary work, which has been adapted across multiple mediums, including over 160 films. His most notable contribution to cinema was the novelization and early screenplay for 1933’s King Kong.
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Anteprima del libro
La mano azzurra - Edgar Wallace
AZZURRA
1.
Mister Septimus Salter suonò per la terza volta il campanello sulla sua scrivania ed emise uno strano grugnito di disapprovazione.
Era un uomo anziano e in carne, con il faccione rosso e grassoccio, le basette bianche. Sembrava più a un contadino ricco che a un legale di successo.
Era vestito in maniera assurda, fuori moda, con la camicia a collo alto e una cravatta nera, di satin, che risaltava su un panciotto a fantasie floreali modello 1850, anno in cui mister Salter era ancora al passo con i tempi. Quegli anni, poi, erano passati e lui era rimasto indietro mentre tutto andava avanti. E anche se era diventato un avvocato importante nella Londra che conta, non aveva abbandonato il suo vecchio stile.
Risuonò ancora il campanello, era sempre più impaziente.
- Proprio strano quel tizio! - borbottò e, alzandosi andò nella piccola stanza del suo segretario, o almeno dove quest'ultimo di solito lavorava.
Pensava fosse vuota, ma non era così. Di fianco della scrivania sporca di inchiostro c’era una sedia sulla quale era accovacciato un giovanotto, si teneva la testa fra le mani e leggeva alcuni documenti sparsi alla rinfusa sul tavolo.
- Steele! - esclamò mister Salter con voce decisa, e il lettore, trasalendo, scattò sull'attenti. Era alto più della media e con le spalle larghe, dava l’impressione di essere in piena forma.
La sua pelle scura rivelava il suo amore per la vita all’aria aperta. Il naso diritto e la bocca decisa, il mento volitivo, erano un chiaro riferimento alla sua vita di soldato, come tutto il suo viso, forgiato da quattro anni di guerra.
Adesso sembrava confuso, somigliava più a uno studentello colpevole che a un ufficiale che aveva abbattuto ottanta aerei nemici e che era ritornato alla base con una dozzina di proiettili in corpo.
- Davvero, Steele - disse mister Salter con aria di rimprovero - lei è imperdonabile. È la terza volta che la chiamo.
- Mi dispiace moltissimo - si scusò Jim Steele, e quel suo sorriso disarmante toccò il cuore del vecchio avvocato.
- Che cosa stava facendo? - bofonchiò mister Salter notando le carte sparse sul tavolo. Poi con un gesto impaziente gli chiese: - Non ne ha ancora abbastanza del caso Danton?
- No, signore - rispose calmo Steele. - Sento che lady Mary Danton potrebbe essere ritrovata e penso che, se ciò accadesse, potremmo sapere molte cose circa la sua scomparsa, una in particolare sconcertante... - Si fermò. Aveva timore di essere indiscreto.
Mister Salter lo guardò attentamente prendendo un po’ di tabacco.
- A lei non piace mister Groat? - chiese, e Jim scoppiò in una risata.
- Ecco, signore, non è piacere o non piacere... - replicò. - È che io non sopporto quel genere di persona. C'è solo un motivo per cui un uomo di trent’anni può essere fiero di non aver fatto la guerra, essere morto prima.
- Soffriva di cuore - ribatté mister Salter non molto convinto.
- Ma certo - annuì Jim con un ghigno. - Nell’esercito questi personaggi li chiamavamo poveri di cuore
. È una patologia che colpisce prima di una battaglia e che conduce li pazienti in infermeria mentre dovrebbero essere al fianco dei loro compagni, al fronte. Mister Salter fissò le carte.
- Le metta via, Steele - disse con un tono calmo. - Non ricaverà niente dalla ricerca di una donna che dev’essere sparita quando lei era un bambino di cinque anni.
- Mi piacerebbe, signore... - riprese Steele, esitante. - Naturalmente non sono cose che mi riguardano - sorrise - e non è mio diritto domandarlo, ma mi piacerebbe sapere qualcosa di più su quella scomparsa, sempre che lei ne abbia tempo e voglia. Non ho mai avuto il coraggio di chiederglielo prima. Com'è andata veramente?
Mister Salter restò perplesso per un momento, poi il suo cipiglio si trasformò in sorriso.
- Penso, Steele, che lei sia il peggior segretario che io abbia mai avuto - esclamò quasi disperato. - E se non fossi il suo padrino e non sentissi il dovere di darle una mano, le scriverei una lettera cordiale con la quale le comunicherei che il lavorò che svolge non sarà più indispensabile da questo fine settimana.
Jim Steele rise.
- Me lo aspetto da quando lavoro per lei - esclamò.
C’era come un lampo negli occhi del vecchio avvocato. Era molto affezionato a Jim Steele, molto di più di quanto il ragazzo pensasse. Ma non erano soltanto l’amicizia e il senso di dovere che lo spingevano a tenere Jim alle sue dipendenze. Era affidabile, utile, anche se non sentiva il campanello quando lavorava nel suo studio.
- Chiuda la porta - disse mister Salter con un fare burbero, e poi, quando il giovanotto fu di ritorno, aggiunse, puntandogli addosso un dito ammonitore - le racconto come è andata non perché voglio soddisfare la sua curiosità. Lo faccio perché spero che così le uscirà dalla testa questa ossessione per il mistero che avvolge la scomparsa di lady Mary Danton! Lady Mary era la sola figlia del conte di Plimstock, una dinastia che non esiste più. Quando era ancora una ragazzina sposò Jonathan Danton, un magnate armatore, ma il matrimonio non andò per il verso giusto. Jonathan Danton era una persona volgare e insensibile, oltre che ammalato. Lei conosce i problemi di cuore di Digby Groat, bene: la patologia di Jonathan era altrettanto grave. Penso che la sua malattia fosse in qualche maniera legata al rapporto frustrante che aveva con la moglie. La bambina che ebbero non portò comunque la pace tra loro. Vissero sempre separati. Lui venne qui prima di partire per l’America, e seduto a quel tavolo, siglò il più strano testamento che mi sia mai capitato di leggere. Lasciò tutto a sua figlia Dorothy, che a quell’epoca aveva tre o quattro mesi. In caso di morte di lei, tutto sarebbe spettato alla sorella di lui, la signora Groat, ma solo dopo vent'anni dalla morte della bambina. Intanto alla signora Groat rimaneva la rendita della tenuta.
- Perché questo testamento? - chiese Jim, sconcertato.
- Credo non sia difficile da capire - replicò mister Salter. - Era un modo per tutelarsi contro una possibile scomparsa della bambina in tenera età, e prevedeva che lady Mary avrebbe potuto opporsi al testamento. Il testamento non sarebbe stato comunque impugnabile per vent'anni. Ma tutto ciò non servì a nulla - proseguì con calma - perché mentre Danton si trovava in America, lady Mary e la bambina scomparirono. Nessuno immaginava dove fossero ma la bambina e una governante, un tipo strano che si occupava della piccola, vennero rintracciate a Margate. Forse c’era con loro anche lady Mary ma nessuno ne ha mai avuto la prova. Quello che sappiamo è che la governante, figlia di un pescatore, capace quindi di pilotare una barca, un giorno d’estate portò la bambina a fare una gita al mare e venne sorpresa dalla nebbia. È certo che la piccola imbarcazione venne investita da un vaporetto; infatti i rottami furono ritrovati una settimana dopo con a bordo il cadavere della ragazza. Nessuno ha mai saputo cosa sia realmente accaduto a lady Mary. Danton ritornò un paio di giorni dopo i fatti e sua sorella, la signora Groat, lo informò. Per lui fu un colpo tremendo.
- E lady Mary? Nessuno l'ha più vista?
Salter scrollò la testa.
- Vede, ragazzo mio - spiegò alzandosi e mettendogli una mano sulla spalla - anche se lei trovasse lady Mary, ciò non cambierebbe la situazione della signora Groat e di suo figlio. C’è solo un'attrice, cha una piccola particina in questa tragedia, che potrebbe trarre beneficio del testamento di Jonathan Danton... ma lei - abbassò la voce, fino a sussurrare - vive solo nei nostri ricordi, nei nostri ricordi!
Seguì un momento di silenzio.
- Capisco, signore - rispose Jim senza esitazione - ma...
- Cosa?
- Sento che c'è qualcosa che non torna in questo mistero e penso che con un po' di impegno sarei in grado di risolverlo.
- Dovrebbe essere un detective - esclamò ironicamente.
- Vorrei tanto esserlo - fu la risposta inaspettata. - Quando due anni fa l'imprendibile Banda dei Tredici rapinava le banche ho offerto il mio aiuto a Scotland Yard.
- Ma davvero? - esclamò l’avvocato sarcastico. Aprì la porta ma poi si girò improvvisamente. - Perché l’avevo chiamata? - domandò. - Ah, sì, adesso ricordo! Revochi tutti i contratti di affitto dei Danton nella proprietà nel Cumberland.
- La signora Groat ha intenzione di vendere? - domandò Steele.
- Non lo può ancora fare - rispose l’avvocato - ma il tredici maggio, se non ci saranno colpi di scena, diventerà la proprietaria di tutti gli averi di Danton.
- O lei oppure suo figlio - aggiunse Jim con un tono allusivo. Aveva seguito il suo datore di lavoro in un'altra stanza, dove conservava una serie di scatole logorate dal tempo.
- Un detective... - ripeté mister Salter sedendosi al tavolo. - E di cosa occorre dotarsi per questa nuova professione?
Jim sorrise, ma l'espressione del suo viso era seria.
- Di fede - rispose con calma.
- Di fede? E cosa significa fede per un detective? - chiese sorpreso mister Salter.
- È la sostanza di tutte le speranze, l’evidenza delle cose invisibili. - Jim rispose con un tono solenne e per un po' mister Salter non rispose. Poi prese un foglio e scrisse qualche annotazione per Jim.
- Provi a cercare queste azioni che si trovano nella camera blindata - disse, ma nonostante il tono scherzoso era rimasto colpito.
Jim prese il foglio e lo lesse. Stava cominciando a parlare quando qualcuno bussò alla porta e un impiegato entrò.
- C'è mister Digby Groat, signore. Potete riceverlo? - chiese.
2.
Mister Salter alzò gli occhi divertito. - Sì - rispose con un gesto e quando Jim fece per andarsene lo fermò. - Lei può restare, Steele. Mister Groat mi ha scritto chiedendomi di vedere quelle azioni e lei lo condurrà nella camera blindata.
Jim Steele non disse nulla.
Poco dopo l’impiegato aprì la porta ed entrò un giovanotto.
Jim l’aveva già incontrato e ogni volta che lo incrociava gli piaceva sempre meno. Un viso lungo e triste, gli occhi assonnati, il mento largo, i baffetti neri, e le orecchie grosse erano tratti fisiognomici banali che un artista avrebbe ritratto a occhi chiusi. Ma dopo tutto Digby Groal era un bell’uomo. Neanche Jim poteva negarlo. Inoltre il suo maggiordomo, un uomo da ringraziare, lo rendeva squisitamente elegante, dalla testa impomatata alla punta delle scarpe.
La sua giacca all’ultima moda era perfetta, nel suo cappello a cilindro era possibile specchiarsi. Entrò spandendo intorno una scia delicata di Quelques Fleurs e Jim arricciò il naso. Gli uomini che si profumavano, anche se erano eleganti, non gli andavano giù.
Digby Groat guardò l’avvocato e Steele con il suo sguardo languido e presuntuoso che l’avvocato odiava come il suo segretario.
- Buon giorno, Salter - disse.
Prese il fazzoletto di seta dalla tasca e, dopo avere spolverato una sedia, si sedette senza che nessuno l'avesse invitato, appoggiando le mani inguantate di giallo sul suo bastone d'ebano con il pomo dorato.
- Conosce mister Steele, il mio segretario? - domandò Salter.
L’altro annuì con la sua testa lucida.
- Oh, certo, ha ricevuto la Victoria Cross¹, non è vero? - chiese con una voce stanca. - Immagino che troverà noiosa questo tran tran, Steele? Un posto del genere annoierebbe anche me a morte.
- Magari - ribatté Jim. - Ma se avesse vissuto sulla sua pelle quattro anni di guerra, ringrazierebbe il cielo per questo paradiso di pace e tranquillità.
- Immagino di sì - rispose secco l’altro. Non aveva gradito l’allusione di Jim al suo mancato arruolamento.
- Bene, dottor Groat... - ma l’altro lo fermò con un cenno.
- La prego di non chiamarmi dottore - disse con un'espressione addolorata. - Mi farebbe piacere che dimenticasse che ho studiato medicina e che mi sono laureato in chirurgia. L’ho fatto per soddisfazione personale, e se tutti cominciassero a chiamarmi così verrei svegliato nel cuore della notte dai pazienti più strani e infelici.
Per Jim era una cosa del tutto nuova che quest’uomo malinconico fosse un medico.
- Sono venuto per consultare i contratti d’affitto di Lakeside - proseguì Groat - Vede Salter, ho avuto un’offerta, meglio, mia madre l’ha avuta, da un’impresa che intende costruire un hotel sulla sua proprietà. Mi pare che nel contratto ci sia un punto che impedisca la costruzione di edifici del genere. Se le cose stanno così, il vecchio Danton è stato un po' stupido e anche sconsiderato a comprare una simile proprietà.
- Mister Danton non ha fatto niente né di stupido né di sconsiderato - ribatté Salter tranquillo - e se lei mi avesse anticipato tutto nella sua lettera, avrei potuto telefonarle per darle tutte le informazioni e risparmiarle di venire fin qui. In ogni caso, Steele l'accompagnerà nella camera blindata per consultare le carte a suo piacimento.
Groat squadrò Jim con un'aria scettica.
- Si intende di contratti? - chiese. - E dovrei proprio scendere nella sua cantina infernale e prendermi un raffreddore? Non potrebbe portarmeli lei?
- Si sieda pure nell’ufficio di mister Steele, glieli porteremo - sospirò Salter che non sopportava i clienti come Jim. Inoltre aveva come la sensazione che, una volta entrati in possesso dell'eredità Danton, i Groat avrebbero cambiato legale.
Jim prese le chiavi e tornò carico di fascicoli. Si accorse, però, che Groat non era più con il suo principale.
- È nel suo ufficio - spiegò Salter. - Gli porti i contratti e glieli illustri. Se c’è qualcosa che non va, la raggiungerò subito.
Jim trovò il giovanotto nel suo ufficio. Stava leggiucchiando un libro che aveva preso da uno scaffale.
- Cosa significa dattilologia?
- chiese girandosi quando Jim entrò. - Vedo che ha un libro su questo argomento.
- Impronte digitali - spiegò Jim in maniera sbrigativa. Non sopportava il modo di fare superiore dell’uomo e poi Groat stava esaminando la sua biblioteca personale.
- Ah, impronte digitali? - commentò Groat rimettendo il libro a posto. - Le interessa questo argomento?
- Un po’ - rispose Jim. - Ecco i contratti d'affitto di Lakeside, mister Groat. Li ho letti nella camera blindata e non mi pare ci siano ostacoli alla costruzione di edifici.
Groat prese il documento e lo sfogliò, una pagina dopo l'altra.
- No... - disse alla fine e poi, posando il documento, disse di nuovo: - E così lei è interessato alle impronte digitali? Non pensavo che il vecchio Salter si interessasse ai crimini.
- Le pratiche solo legali sono poche - commentò Jim.
- E questi cosa sono? - domandò Groat
Vicino alla scrivania di Jim uno scaffale conteneva una serie di quaderni neri.
- Sono i miei appunti - rispose Jim, e l’altro si girò con un sorriso canzonatorio.
- Mi domando su che cosa possa prendere appunti... - continuò e, prima che Jim potesse fermarlo, prese uno dei quaderni.
- Se non le spiace - disse Jim con un tono di voce deciso - vorrei che non toccasse i miei documenti.
- Mi spiace, ma credevo che tutto nell’ufficio di Salter avesse a che fare con i clienti dello studio.
- Lei non è il solo nostro cliente - replicò Jim. Non perdeva le staffe facilmente ma quel giovanotto presuntuoso lo stava davvero innervosendo.
- Di che si tratta? - chiese Groat con voce melliflua, voltando una pagina.
Jim, appoggiato alla scrivania, lo fissava e improvvisamente vide le gote giallognole del giovanotto diventare sempre più rosse. I suoi occhi neri si incupirono e il suo interesse crebbe a dismisura.
- Di che si tratta? - chiese con una voce tagliente. - Su che razza di cose sta...?
Controllandosi a fatica scoppiò a ridere ma la sua fu una risata falsa e posticcia. - È un tipo straordinario, Steele - esclamò tornando al suo solito modo di fare. - Sono meravigliato dall'interesse che dimostra per questo genere di cose.
Ripose il quaderno da dove l’aveva preso e finse di leggere il contratto d’affitto con attenzione. Ma Jim, mentre lo fissava, si rese conto che non stava leggendo, anche se girava le pagine.
- Va bene - esclamò posando il documento e afferrando il suo cappello a cilindro. - Una volta deve venire da noi a cena, Steele. Ho fatto costruire un laboratorio dietro la nostra casa di Grosvenor Square. Il vecchio Salter mi chiama dottore! - Ridacchiò come se avesse detto qualcosa di divertente. - Bene, se mi farà la cortesia di essere mio ospite le mostrerò qualcosa che rende merito a questo titolo.
I suoi occhi neri fissavano Jim mentre la sua mano inguantata di giallo abbassava la maniglia.
- A proposito - esclamò - le sue ricerche potrebbero portarla in un territorio molto pericoloso e nemmeno un'altra Croce al valore potrebbe ricompensarla adeguatamente.
Chiuse piano la porta alle sue spalle e Jim Steele aggrottò la fronte.
Cosa diamine voleva dire con queste parole?
si chiese. Poi si rammentò del quaderno che Groat aveva fatto passare e che aveva avuto su di lui un effetto così potente.
Lo prese e, sulla prima pagina, lesse: Appunti sulla Banda dei Tredici
.
3.
Quel pomeriggio Jim Steele andò nell’ufficio di mister Salter. - Vado a prendere un tè, signore.
Mister Salter guardò l'orologio solenne che ticchettava sul muro di fronte alla scrivania.
- Sta bene - bofonchiò. - Lei è un bevitore di tè molto puntuale, Steele. Perché diventa rosso? Una ragazza...?
- No, signore - rispose Jim a voce alta. - Qualche volta incontro una signora all’ora del tè, però...
- Vada allora - lo interruppe il vecchio - e la saluti per me.
Jim sogghignò, ma era ancora rosso in viso quando arrivò a Malborough Street. Affrettò il passo perché era un po’ in ritardo e tirò un sospiro di sollievo quando, entrando nella sala da tè, notò che al suo tavolo non c'era ancora nessuno.
Mentre la sua sagoma alta e atletica attraversava la sala riservata agli habitué molte persone si girarono, perché Jim Steele aveva un fisico scultoreo e i suoi occhi simpatici avevano fatto strage di cuori.
Ma era uno di quegli uomini troppo idealisti per non prendere sul serio certi argomenti. Dopo il liceo si era subito trovato in guerra e mentre altri della sua età trascorrevano la vita a portare le ragazze a ballare, la sua anima era imprigionata tra i ferri roventi del conflitto.
Si accomodò al tavolo e la cameriera arrivò a prendere l’ordinazione.
- La sua fidanzata non si è ancora vista, signore.
Era la prima volta che la ragazza chiamava così Eunice Weldon e Jim si irrigidì.
- La signorina che prende con me il tè non è la mia fidanzata - esclamò con una certa freddezza e, vedendo che la ragazza era rimasta male, continuò con una risatina che illuminò i suoi occhi irresistibili: - è solo una cliente, fidanzata con voi...
- Mi spiace - sussurrò la cameriera scrivendo nervosa sul libretto delle ordinazioni per nascondere la confusione. - Immagino che voglia ordinare il solito?
- Sì, il solito - rispose Jim con un tono serio e poi, lanciando un’occhiata verso la porta, si alzò per salutare la ragazza entrata proprio in quel momento.
Era snella e diritta. Camminava con una dignità decisa, chiunque si trovasse davanti a lei magari con l'intenzione di importunarla era costretto a farsi subito da parte, per poi maledire la propria timidezza dopo averla scrutata. Aveva il viso di una Madonna, una Madonna con gli occhi azzurri, le labbra rosse e un'espressione piena di vitalità. Era un fiore che stava per sbocciare. Nei suoi occhi di cielo brillava tutta la sua femminilità e contemporaneamente si leggeva un avvertimento.
Per altri tratti sembrava una bambina. La bocca tenera, il mento arrotondato, la gola bianca e la pelle senza un difetto erano ancora un ricordo della sua infanzia, che la facevano diventare ancora più attraente.
Guardò intensamente Jim che le andava incontro tendendole la mano. - Sono in ritardo! - disse con voce allegra. - In studio c'era una noiosissima duchessa che voleva essere fotografata in diciassette pose diverse, sono sempre le persone i sempliciotti a creare i maggiori problemi...
Si sedette togliendosi i guanti e sorrise alla cameriera.
- L’unico modo che la gente semplice ha di sembrare bella è farsi fotografare bene - disse Jim.
Eunice Weldon lavorava a Regent Street, nello studio di un fotografo alla moda. Jim l’aveva incontrata in quella sala da tè. Accidentalmente le tende delle finestre avevano preso fuoco e Jim si era bruciato una mano nel tentativo di spegnere l'incendio. Eunice Weldon gli aveva medicato la ferita.
Un piacere fatto da un uomo a una donna potrebbe non portare molto lontano. Ma quando è una donna a dare una mano a un uomo, questo significa sempre almeno amicizia. Le donne sospettano dei piaceri che gli uomini possono fare loro e nonostante ciò si sentono responsabili dell’uomo che hanno aiutato, fosse anche per una cosa insignificante.
Da allora si erano visti quasi tutti