YISRA'EL: Dagli inferni del mondo, alla Terra Promessa Un canto di Olocausto e Resurrezione, per un Popolo che ha scelto di non morire
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Odio, vendetta, rivalsa? No. In questo libro non c’è odio. Non si respira il sapore rancido della vendetta. Questo libro è uno sciabordio di fede. Una risacca di fede laica che non concede e non concederà nulla alla macabra follia degli assassini di popoli, agli stupratori della storia che ogni giorno, in questi giorni, massacrano gli uomini per uccidere anche Dio.
Ci sono le storie struggenti di uomini e donne, di bambini e bambine, di giovani che hanno visto i propri sogni svanire, dissolversi all’interno di una camera a gas, dilaniati da un proiettile, spazzati via dalla bomba di un kamikaze in un tranquillo pomeriggio a Gerusalemme.
Solo a volte, tra le sue righe, camminano angosce e ricordi ma poi giunge la certezza: “…Nemmeno un metro indietro, nemmeno un passo, nemmeno un piede. Qui siamo (Yisra’el) e qui resteremo per vivere in pace o in pace morire…”.
Ma accanto a questa dura, implacabile, composta certezza di chi ha giurato sull’Arca che mai e poi mai subirà un ennesimo sfratto, il libro è anche tenero e dolce. Una parola d’onore e d'amore, sulla propria vita e sulla propria terra, sulle future generazioni che qui nasceranno e qui vivranno… Ci sono stati troppi morti per morire ancora.
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Anteprima del libro
YISRA'EL - Michele D'Arcangelo
dell'autore
Vivere in pace o in pace morire
Non c’è lo strazio, in questo Canto, di chi ha subito le vergogne del mondo. Non c’è odio. Non si respira il sapore rancido della vendetta. Solo a volte, tra le sue righe, camminano angosce e ricordi ma poi giunge la certezza: …Nemmeno un metro indietro, nemmeno un passo, nemmeno un piede. Qui siamo (Yisra’el) e qui resteremo per vivere in pace o in pace morire…
. E qui la voce del poeta si fa alta, odorosa di orizzonti e il Canto diventa prosa, poi torna Cantico e il mare delle parole ritorna al mare. È uno sciabordio di fede. Una risacca di fede laica che non concede e non concederà nulla alla macabra follia degli assassini di popoli, agli stupratori della storia che ogni giorno, in questi giorni, massacrano gli uomini per uccidere anche Dio. Ma accanto a questa dura, implacabile, composta certezza di chi ha giurato sull’Arca che mai e poi mai subirà un ennesimo sfratto, il poema è anche tenero e dolce. Una parola d’onore, sulla propria vita e sulla propria terra, che le future generazioni qui nasceranno e qui vivranno…
Ci sono stati troppi morti per morire ancora
Tito Livio Ricci
Dedico questi canti
Dedico questi canti
al popolo del libro,
al popolo dell’arca,
al popolo della diaspora
al popolo della shoah,
al popolo d’Ysra’el,
ai suoi figli morti combattendo
per difendere la loro patria,
morti sognando
un’era di pace e libertà,
morti per la voglia di vivere
Nota dell'autore
Ho lavorato dieci anni (2001-2011) per scrivere queste poesie, dieci anni di dura penitenza che saranno di resurrezione se il popolo d’Yisra’el mi concederà il suo perdono, nell’assoluta certezza che io abbia finalmente capito da che parte sta la ragione e il torto e che il mio pentimento sia profondamente sincero.
Ho cantato la lotta delle genti di Palestina perché potessero avere un fazzoletto di terra su cui vivere, lavorare e morire in pace, non in guerra come in verità sta accadendo.
Non si costruisce una nuova nazione negando caparbiamente l’esistenza d’Yisra’el, facendo saltare autobus-scuola carichi di bambini, né tanto meno lanciando razzi sulle pacifiche città di quella Terra che gli Ebrei si sono riconquistata dopo duemila anni di esodo forzato, umiliazioni, ghettizzazioni, fino alla Shoah, la catastrofe, la soluzione finale
No, questo sistema di lotta non lo posso condividere, Yisra’el è la meta sognata dagli Ebrei sparsi in ogni angolo del mondo.
Facciamo che così sia e che nessuno possa immaginare o desiderare il contrario.
Gran parte di questo mio ravvedimento lo devo al Generale Evandro Vicentini che con la sua lungimirante saggezza e conoscenza storica, ha saputo indicare a Michele, suo modesto amico caporale, qual è la via della verità che un vero poeta deve perseguire.
Michele d’Arcangelo
YISRA’EL
Perchè non sono più tuo figlio Palestina
Il tuo popolo mi era entrato nel cuore
con la violenza di una tempesta di luglio.
Era gente povera il tuo popolo,
di nomadi e pastori,
gente che voleva conquistare,
con la ragione,
una landa di terra su cui lavorare,
vivere e morire.
Sono un poeta e ho creduto alle tue parole,
mi sono battuto per te qua e là per il mondo, come un figlio si batte per la madre.
Ho consumato la voce per cantarti
e dimostrare agl’increduli che volevi la pace,
che nel tuo seno facevano nido le colombe non i falchi.
Stanco, mi sono addormentato all’ombra di un ulivo, era una dolce notte di mezzo estate
e Gaza pareva tutta uno sciabordio di risacche,
un fermento alle marine di barche che tornavano cariche di prede guizzanti…
Una tempesta di tuoni ha interrotto il mio sonno, all’improvviso,
eppure il cielo era sereno, la luna aveva il colore dell’ocra
e le stelle sembravano diamanti fosforescenti.
Sognavo di sognare?
Poi l’incanto s’infranse
e dall’estremo confine dell’oasi
si levò nell’aria una voce
che sembrava uno scroscio di pianto:
"Poeta a questo sono servite
le tue canzoni di pace, le promesse,
le accuse che hai rivolto al mio popolo
già martoriato nell’animae nel corpo?
Se la tua fede era sincera, se ti hanno ingannato,
tradito, esci dal tuo sogno e guarda:
Le stragi di Tel Aviv, Perdes Hannah,
Vienna, Entebbe, Londra, Parigi,
Roma, Oslo, New Yorck.
Le guerre di aggressione e di sterminio…
le ricordi?
La guerra di scempio scatenata dai Paesi arabi:
Libano, Siria, Giordania, Iraq, Egitto,
una specie di soluzione finale
condotta fra l’assoluta
indifferenza di tutto l’Occidente.
Avevamo appena dichiarato l’indipendenza.
Ci salvammo e vincemmo.
Caddero in quei giorni d’inferno e fuoco
tutte le divergenze fra noi e tutti ci unimmo:
i profughi appena sbarcati, con ancora sulle braccia tatuato il numero di matricola,
i giovani, che quasi le loro bocche sapevano di latte
le donne, i vecchi,
le destre, gl’integralisti, le sinistre,
l’Hagana, la Palmach, l’Irgun, la Banda Stern…
Ci unimmo per evitare una seconda diaspora,
certi che i morti non hanno più colore.
Poi venne il martirio della guerra d’Egitto che vincemmo,
la guerra dei sei giorni, che vincemmo,
la guerra del Kippur, che vincemmo,
il terrorismo, l’unico che tuttora non abbiamo vinto.
Poeta si può santificare un kamikaze
che uccide bambini, cittadini inermi
nel nome di Allah, il Clemente, il Misericordioso?
Una folgore di luce mi attraversò il cervello,
e la mia coscienza, la mia onestà poetica ritrovarono la giusta via.
Palestina, mi avevi promesso il dialogo,
l’onesto confronto e invece?
Hai udito pure tu quella voce d’oasi
che pareva uno scroscio di pianto?
Io sì, ed è per quella voce
che non sono più tuo figlio, Palestina.
Non sono…
Si era sparsa la voce e dai canneti l’eco tornò ai sordi che io fossi nemico degli Ebrei.
Come può un poeta che intinge la sua penna nel cuore e il suo inchiostro è il sangue essere nemico del Popolo del Libro?
Da Tito a Ben Gurion sono trascorsi milleottocentosettantotto anni durante i quali il seme di Gerusalemme ha dato piante e pomari qua e là per la Terra.
Isole di rugiada divina e frutti di cultura luminosi come piccoli soli nell’universo infinito.
E cos’hanno contrapposto gli umani più che umani adoratori del bene?