Della stessa sostanza dei padri - Poesie al maschile
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Info su questo ebook
di Davide Rocco Colacrai
c’era l’ombra dell’uomo che sarei diventato
l’amore che si era congedato da me
cerchi di sospensione che invecchiavano il cuore
la carenza di felicità
una minestra raccolta nel mio cappello
gli ultimi istanti di una sigaretta sul marciapiede
valigie immobili e vuote
e tutto quel che rimane dopo il dolore e Dio
(da “La sottile bellezza dell’imperfezione”
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Anteprima del libro
Della stessa sostanza dei padri - Poesie al maschile - Davide Rocco Colacrai
Copertina
Ouverture in La maggiore per un corvo bianco1
(dedicata a Rudolf Nureyev)
Colui che danza cammina sull’acqua e dentro una fiamma2
Creo il senso alla vita con il corpo
da quando ho capito che è il mio strumento
per parlare al mondo,
per temperare la solitudine
a cui mi ha destinato il mio sogno
e dare voce all’urgenza di essere libero
e liberare quel canto
che brucia come lava e moltiplica la girandola del mio cuore
nell’infinito bianco di rosa
dove riconosco Dio.
Sono il poeta dalle scarpe lise
con l’assolo che ogni mio gesto preannuncia
e il suo senso,
la forma che doma la forza
dalle quale ha origine l’istinto del mio passo,
l’adagio che può un dardo
quando morde l’aria
e mi rende sulla scena la più grande dichiarazione d’amore.
È una ouverture, la vita, che non attende il sipario
per istruire le sue riverenze
con le quali foggia la poesia dalle ombre
e la bellezza del vento dai muscoli
quando sono tesi al cielo
in un respiro.
Danzo perché è il mio credo,
il mio bisogno,
le parole non dette, la mia povertà, il mio pianto
danzo perché sento l’universo tra le mani e l’asse buono del mio nome
[nei fouettés en tournant al mondo.3
1 In russo, un corvo bianco è un outsider, uno che va controcorrente, un ribelle.
2 Federico García Lorca
3 Gli ultimi quattro versi sono in parte presi, in parte ispirati alla Lettera alla danza, che Nureyev scrisse in punto di morte.
Mi chiamo Nicola e sono nato con trentacinque anni di ritardo
(dedicata a Nicola in un manicomio elettrico di un’Italia recente quanto basta)
L’istituto pareva […] un magazzino di elettrodomestici rotti
che il dottore li cura con l’elettricità come quello che dà un colpo al mangiadischi quando si incanta un disco4
Parlo con la mia ombra quasi fosse un amico d’infanzia
e la chiamo per nome,
insieme peregriniamo per i pochi spazi liberi
che questa scatola offre,
ricordano buchi di formaggio
attraverso cui è possibile affacciarsi sul mondo
e sognare, leccare la notte in un respiro
e fuggire con l’uomo esiliato da noi lontano dall’odore di silenzio
che striscia per le stanze e i corridoi
che si sovrappongono e perdono in un labirinto
nel quale si può solo morire.
Anche l’aria siamo costretti a condividere,
in questo paradiso di palude,
e le distanze e i vestiti,
e le virgole del giorno e l’attesa,
e il tempo nel suo cadenzare i gesti, e il dopo e il nulla.
Siamo frutti dello stesso cordone ombelicale,
tutti pecore nere senza la poesia della razza,
ognuno piegato su se stesso a conchiglia,
guardiano di quell’unico ricordo
che la vita gli ha piantato