Ricominciamo da gesù bambino
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Ricominciamo da gesù bambino - Gianni Ferraresi
Natale!"
RACCONTI DI VITA
ANGELO
Le nostre partenze erano sempre affannose anche per il carico non trascurabile costituito da me, mia moglie, i nostri quattro bambini, il cane di grossa taglia, più una serie di bagagli abbastanza ingombranti. Questi ultimi difficilmente stavano tutti nel bagagliaio della nostra Fiat 1400 e allora una parte di essi doveva essere legata sul tetto della vettura con corde elastiche.
Il cane, un bell’esemplare di pastore abruzzese, stava accovacciato sul pavimento del sedile anteriore destro lasciando ai piedi di mia moglie, seduta al mio fianco, uno spazio vitale ben riscaldato dal suo lungo e soffice pelo.
Quella sera di dicembre, antivigilia di Natale, il carico più voluminoso del solito, a causa dei regali di Natale, mi aveva impegnato non poco per sistemarlo nel bagagliaio e sul tetto della macchina.
Il tempo non era l’ideale per viaggiare: una foschia che prometteva di trasformarsi in nebbia fitta scivolava in banchi sulla nostra vettura ferma ad attendere di imbarcarsi sul Ferry Boat che dal Lido di Venezia, attraversando la laguna, ci avrebbe scaricato a Piazzale Roma e di qui ci saremmo diretti sulla terra ferma.
Il buon senso ci avrebbe consigliato di rimandare la partenza, ma come si poteva non festeggiare il Natale con la nonna che ci attendeva a Copparo, nostro paese di origine? Si trattava di una consuetudine troppo consolidata nella nostra famiglia per poterla eludere.
A Copparo abitava ormai soltanto mia mamma: mio papà, entrambi i genitori di Virginia e tutti i nostri nonni riposavano al cimitero e l’unica sorella di Virginia si era trasferita assieme al marito e ai loro numerosi bambini in America, mentre io ero figlio unico. Rimaneva dunque soltanto la mia mamma che, però, con la sua esuberanza li rappresentava tutti e, quasi si sentisse depositaria di una sacra consegna, ci attendeva per trascorrere assieme quella che, con la Pasqua e il giorno dei Santi e dei Morti, era una ricorrenza per noi ineludibile.
Quando la mia mamma era più giovane, alcune volte eravamo riusciti, con fatica, a portarla dove abitavamo noi, cioè al Lido di Venezia, ma poi, con l’età che avanzava, era doveroso che fossimo noi ad andare da lei.
I nostri viaggi verso Copparo erano andati sempre bene; quella sera, però la nebbia incombente mi preoccupava un poco.
Passammo con il Ferry verso le 20 e raggiungemmo la terra ferma
e quindi l’entrata in autostrada che erano quasi le ventuno. Qui costatammo che la foschia era rimasta molto leggera e ci rallegrammo.
Tutto bene allora? Non proprio perché a pochi chilometri da Monselice la foschia iniziò a infittirsi. Rallentai e, accesi i fari antinebbia, iniziai a procedere più lentamente.
I bambini dormivano, mia moglie e il cane invece avevano avvertito la difficoltà della situazione e stavano attenti e un po’ tesi.
A un certo punto, inaspettato, come un pericolo improvviso, si abbatté su di noi il buio quasi assoluto: l’impianto d’illuminazione della vettura non funzionava più. Capii subito il grave pericolo in cui, improvvisamente, ci eravamo venuti a trovare. Oltretutto eravamo su di un tratto di autostrada immerso nella campagna e non illuminato. Rallentai, sterzai leggermente a destra e mi sistemai sulla corsia di emergenza, poi feci scendere tutti i bambini e mia moglie e li invitai a portarsi giù dalla scarpata che sopraelevava l’autostrada dalla campagna.
A quell’epoca non si usavano ancora i cellulari; non sapendo, quindi, cosa fare mi misi dietro la mia macchina e iniziai a far segnali alle auto e ai camion che passavano.
Invano: nessuno sembrava accorgersi di me. Evidentemente la velocità alla quale marciavano non consentiva loro di fermarsi a una distanza sufficientemente vicina alla mia macchina.
Non sapevo veramente più come uscire da quella situazione, quando decisi di ricorrere all’aiuto dall’Alto e dissi forte a mia moglie e ai bambini:
Preghiamo assieme Gesù perché ci dia una mano. Chiediamogli questo regalo di Natale!
Sì, va bene papà
, disse Carlo il mio maggiore, recitiamo assieme un’Ave Maria.
Si preghiamo la Madonna!
Dissero tutti gli altri.
Mai preghiera ci aveva trovato così uniti, fiduciosi e devoti.
Mia moglie, subito dopo, propose ai bambini, per tenerli su di morale:
Cantiamo tutti – Giovane donna –!
Era un canto che conoscevamo bene perché lo facevamo spesso nella nostra parrocchia del Lido.
Il canto si snodava fiducioso, mentre io cominciavo a essere sempre più preoccupato e disperavo ormai di potermela cavare in fretta da quella situazione che, all’aumentare della foschia, dell’umidità e del freddo, si faceva per noi sempre più problematica.
Devo ammettere che in un frangente simile non mi era mai capitato di trovarmi e allora mi rivolsi agitato al Signore chiedendogli a bassa voce ma con forza:
Ci vuoi dare una mano, sì o no?
Con il passare dei minuti avrei anche aggiunto altro, sennonché un camion non molto grande si fermò sulla corsia di emergenza a una trentina di metri davanti a me e poi, acceso un faro posteriore, fece marcia indietro sino quasi a toccare il muso
della mia macchina che, così illuminata, era ben visibile.
Scese dal camion un giovane dal viso cordiale che mi chiese: Cosa le è successo?
È saltato evidentemente l’impianto elettrico della macchina e siamo al buio più completo.
Siamo?
Ah, sì, c’è tutta la mia famiglia giù dalla scarpata.
Il giovane si sporse per vedere e sorpreso disse:
Ci sono molti bambini! Poveri…
Poi, un po’ preoccupato, mi chiese:
Il motore va?
Sì.
Allora lo avvii e chiami tutti i suoi e li faccia entrare in macchina. Così intanto staranno al caldo.
E se lei, come penso, dovrà andar via rimarremo di nuovo tutti al buio con il pericolo che qualche macchina ci possa investire.
No, io rimango qui finché non arrivi la Polstrada.
Ma passerà del tempo!
Non importa io non vi abbandono.
Felicemente sorpreso da questa generosa risposta, chiamai Virginia e i bambini che subito scalarono
speranzosi il terrapieno assieme al cane che li precedeva muovendo la coda e li invitai a entrare nella macchina, che intanto io avevo messo in moto e così avrebbero potuto scaldarsi.
Che bravo quel giovane
, disse Virginia e, prima di sedersi al riparo e al caldo, volle ringraziarlo informandosi anche se il suo ritardo avesse potuto procurargli dei fastidi sul lavoro.
Signora, non si preoccupi. Voi, in questo momento, siete il mio lavoro.
E fece un bel sorriso.
Virginia, sorpresa per questa risposta, lo ringraziò di tutto cuore e gli chiese il nome.
Mi chiamo Angelo.
Per noi sei proprio un angelo! I nostri nomi sono…
Bene, adesso però scaldatevi.
E così dicendo faceva segno a me e Virginia di salire in macchina, dove si erano già piazzati i nostri figli e il cane.
Così facemmo. Pure il nostro giovane si andò a sedere nella cabina del suo camion.
Passò quasi un’ora e finalmente un paio di poliziotti in moto si fermarono e, saputo del guasto, avvertirono subito con la loro ricetrasmittente il soccorso stradale
che giunse di lì a poco.
Salutammo e ringraziammo il nostro giovane soccorritore, che continuò subito il suo viaggio, mentre noi fummo trasportati a Monselice. Lasciammo l’auto in un’officina aperta anche di notte perché collegata con il soccorso A.C.I. Qui, dopo aver appreso del tipo di guasto, ci invitarono a andare a dormire in un albergo vicino dandoci una buona speranza di avere per il giorno seguente la macchina riparata.
Il giorno dopo, a metà mattina, l’impianto elettrico della nostra automobile, opportunamente riparato, era tornato a funzionare; allora partimmo, in tutta fretta, per Copparo dove la mia mamma ci stava aspettando con ansia.
Il giorno dopo era anche la vigilia di Natale e il tempo si era fatto corto per le cose che dovevamo preparare: Presepio, albero, pranzo, predisporre i regali di nascosto e poi recarci, tutti assieme, alla Messa di mezzanotte.
Riuscimmo a fare tutto e bene. I ragazzi, dopo l’avventura in autostrada si sentivano più uniti tra loro e responsabilizzati e così ci dissero:
Quest’anno vogliamo fare il Presepio più grande degli altri anni.
Mia mamma ci aveva anche procurato altre nuove statuine e un bel po’ di muschio che aveva fatto raccogliere alla sua giovane aiutante in un campo vicino a casa.
Il presepio, una volta finito, occupava mezza sala d’ingresso ed era veramente bello. Tutti i ragazzi avevano contribuito a farlo ed erano orgogliosi ed euforici per il risultato ottenuto.
Virginia ed io, felicemente sorpresi, li lodammo tutti.
Sì, grazie
, disse Carlo, però non vi siete accorti che manca ancora qualcosa.
E cosa?
Disse Virginia.
Manca l’angelo.
Mormorò Arrigo.
Non vedete gli angeli che sono sulla grotta?
Osservai, sorpreso da quanto stavano dicendo i miei due ragazzi.
No papà.
Disse Carlo. Poi girò il capo e soggiunse: Guardate, ecco l’angelo che arriva!
Virginia ed io vedemmo le nostre due bambine, Orsola e Giovanna, avanzare assieme e mentre l’una teneva sulle palme delle mani un camioncino giocattolo, l’altra reggeva, ben in evidenza, la statuetta di un Angelo.
Poi sistemarono il camioncino davanti alla grotta e l’angelo vicino alla cabina del camion.
Allora capii che il Signore parlava al cuore dei bimbi più che al mio o piuttosto che loro erano più pronti di me ad ascoltarlo. Così avevano inteso che quel camion in autostrada non era uno dei tanti che c’erano sfrecciati a fianco ma che era stato inviato direttamente dal Padre, con un angelo dentro, per aiutarci.
Grazie ragazzi, la vostra Fede e le vostre preghiere sono giunte in Cielo e sono state ascoltate.
Buon Natale allora a tutti voi e alle vostre mogli e mariti e soprattutto ai vostri bambini, gli amati nipoti miei e di Virginia che certamente con la loro Fede e le loro preghiere sono in grado di capire meglio di noi l’amore di Dio e la Sua azione salvifica nella nostra vita quotidiana.
CANDIDO E LA FIGLIA MALVINA
Malvina era la mia dolce e comprensiva nonna materna. L’equilibratrice della mia infanzia.
Il sistema educativo dei miei genitori, troppo improntato sulla prudenza, tendeva a bloccare ogni mia iniziativa che fosse al di fuori dei loro schemi.
Pochi, quasi nulli, gli elogi per timore che io mi montassi la testa.