La tempesta sedata...
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Susanna però è tra coloro che ce la fanno. La tempesta sedata racconta in prima persona le giornate più dure in ospedale, il percorso di isolamento, la guarigione, i tanti messaggi di solidarietà e di vicinanza che ha ricevuto da parte di parenti, amici e di quella folta comunità spirituale di cui fa parte da numerosi anni. Le preghiere, i brani del Vangelo, le parole dolci e profonde accompagnano questo testo che vuole essere una testimonianza forte di chi ha attraversato un’esperienza dolorosa oggi comune a molti e che è riuscito a rialzarsi, grazie anche alla forza della fede.
Susanna Testa Antoniol è nata a Milano nel 1957. È sposata con Luigi, madre di tre figli e nonna di sei nipoti. Ex insegnante elementare e assistente sociale, da 44 anni frequenta un movimento molto attivo nella Chiesa all’interno del quale svolge ruoli di pastoralità e di evangelizzazione. Per 14 anni insieme al marito ha condotto a Radio Mater due trasmissioni riguardanti la famiglia: “Famiglie che parlano ad altre famiglie” e “La casa sulla roccia”. Nel 2020 ha aperto sulla pagina Facebook RnS Famiglie una rubrica dal titolo “Vita da nonni”. La tempesta sedata nasce da un’esigenza di rielaborare un vissuto drammatico dopo aver attraversato l’esperienza estrema del Covid.
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Anteprima del libro
La tempesta sedata... - Susanna Testa Antoniol
Susanna Testa Antoniol
La tempesta sedata...
ai tempi del coronavirus
© 2021 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma
www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com
ISBN 978-88-306-3487-9
I edizione marzo 2021
Finito di stampare nel mese di marzo 2021
presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)
Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa
La tempesta sedata...
ai tempi del coronavirus
Al mio eroe, Luigi
Nuove Voci
Prefazione di Barbara Alberti
Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.
È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile:
Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere.
Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.
Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi
Non esiste un vascello come un libro
per portarci in terre lontane
né corsieri come una pagina
di poesia che s’impenna.
Questa traversata la può fare anche un povero,
tanto è frugale il carro dell’anima
(trad. Ginevra Bompiani).
A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.
Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.
Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.
Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterly. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov
.
Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.
Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.
Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.
«Guardando questa barca mi è venuto in mente uno dei due unici sogni che ricordo della mia vita.
Io e mamma eravamo in un porto su una barca così grande e la barca era attraccata al molo che si sviluppava lungo il fianco destro della stessa. Il mare nel porto era molto agitato, così agitato che per evitare che le onde sbattessero la barca sul molo, mentre mamma era al timone in alto fuori dalla barca, io continuavo, di corsa, a scendere da dove era lei fino giù ai motori stessi e in questa mia continua discesa e salita ero tutto sudato e pieno di caligine.
La barca era agitata dalle onde, ma grazie alla mamma al timone e io che tenevo i motori al massimo, non abbiamo permesso che finisse contro il molo.
Ad un certo punto il sogno è terminato con una visione di assoluta calma.
Quando la barca ha preso il largo navigava tranquillamente su un mare calmissimo, piatto, con il cielo azzurro e sereno, mentre io e la mamma eravamo sul molo e guardavamo felici questa meravigliosa immagine che avevamo davanti a noi.
Il significato che ha per me questo sogno è questo: la barca è la nostra famiglia, l’impegno che ci abbiamo messo per custodirla è la visione, l’immagine della navigazione tranquilla è la nostra consolazione di vedere i nostri figli navigare in acque tranquille.
Buon viaggio nostri tesori».
Papà con mamma
Codice rosso
Sono le due di notte di sabato 28 marzo.
Nel tardo pomeriggio di venerdì 27 mi hanno trasferito nel reparto B1 della clinica Humanitas.
Mi hanno appena messo l’Holter pulsorio che, sommato al catetere, alla corona di farfalline che partono dalla giugulare del collo, ai fili tutti colorati che mi attorniano la pancia, ai catodi sparsi qua e là, al saturimetro al dito, alla cintura intorno al braccio per la misurazione della pressione e all’immancabile signor Ossigeno che mi accompagna ovunque, mi rendono impossibile il sonno e nello stesso tempo mi fanno compagnia e mi proteggono da ogni male.
Guardo il monitor, vedo e ascolto il battito del mio cuore, leggo la frequenza cardiaca, leggo il livello di saturazione, leggo il valore della pressione e mi immergo nel ritmo del miei pensieri.
Sono viva!
Chi l’avrebbe detto?
Non ho mai pensato seriamente alla morte prima di questa esperienza, eppure in questo momento mi rendo conto di essere viva.
Essere vivi, e riconoscere di esserlo senza dare nulla per scontato, è un dono che andrebbe coltivato ogni giorno.
So che sono arrivata in ospedale in codice rosso.
So cosa vuol dire essere un codice rosso.
Vedo lo sguardo dei medici sconcertato e dispiaciuto. Sembra che dicano è ancora giovane per morire così
.
Mi interrogano: fuma? Fumava?