San Benedetto Ullano: Raccolta di notizie, documenti, ricerche storiche ed il contributo dei Rodotà dé Coronei alla storia e alla cultura Nazionale Albanese
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San Benedetto Ullano - Vincenzo Rodotà
Rodotà
Il primo centro di cultura italo albanese
San Benedetto Ullano situato ai piedi del Colle S. Elia ha origini molto antiche, le prime notizie storiche risalgono agli ultimi decenni del XII secolo, quando fu feudo degli antichi Normanni di Montalto e che in quegli anni vi fondarono un Monastero Benedettino da cui il piccolo borgo prese il nome.
Oggi non tutti conoscono che, fra i paesi Italo Albanesi della Calabria, San Benedetto Ullano è stato il primo centro di cultura che ha dato un contributo non trascurabile alla vita intellettuale e religiosa di quelle popolazioni. Ciò è dovuto esclusivamente alla fondazione ed erezione del Collegio Italo Greco (1732-1734) senza del quale non si sarebbero avute le successive fiorenti Istituzioni culturali.
Il sacerdote Don Stefano Rodotà dei Coronei, 1717 dottore in Legge e Notaro Apostolico presso il Vaticano, considerando le tristi condizioni morali ed intellettuali dei suoi connazionali di Calabria spingeva le prime pratiche per l’erezione e fondazione in San Benedetto Ullano di un Istituto di cultura per la sua Regione, con a capo un vescovo Greco.
La nobile iniziativa però, per un complesso di circostanze non ebbe esito positivo.
Intanto il fratello minore, Felice Samuele Rodotà, chiamato a Roma al posto del bibliotecario della Vaticana, dove arricchiva la sua cultura letteraria, religiosa ed economica, aveva intanto l’occasione di conoscere e stringere amicizia con Lorenzo Corsini di Firenze. Essi spesso s’intrattenevano a discutere sulla necessità d’istruzione e formazione del Clero e del popolo Albanese che languiva in grave stato di abbandono ed ignoranza religiosa. In una di queste discussioni il Rodotà, predago della salita Pontificia del Corsini, (Cardinale nel 1710) riuscì ad ottenere da questi l’erezione del Collegio di San Benedetto Ullano. Nel 1730, il Corsini divenne Papa, con il nome di Clemente XII. Il Rodotà, ricordando le comuni aspirazioni, gli presentò la supplica, dove lo sollecitava a non abbandonare i suoi connazionali al loro triste destino
.
Clemente XII accolse con lieto animo la proposta del Rodotà, e l’11 ottobre 1732, emanò la bolla di fondazione dell’Istituto:
"Inter multiplices
Dum la, quae a Nobis"
ed elargì, a tale scopo, la somma di lire dodicimila scudi, di cui seimila personalmente ed altri seimila ex pontificio erario
.
L’Istituto, oltre che centro d’istruzione aveva anche lo scopo di riallacciare le relazioni con l’Oriente ed educare il popolo albanese alle discipline ecclesiastiche.[1]
D. Felice Samuele Rodotà e suo fratello D. Maurizio, portarono così a termine la benemerita impresa e quello che era considerato un sogno di quelle popolazioni, diveniva realtà coronata da pieno successo. L’Istituto fu allogato nel vecchio Palazzo Abaziale con annesso giardino concessi, dal Cardinale Garaffa ed i Rodotà provvidero, subito, con propri mezzi ad ampliare e ridurre la diruta Badia in forme di Collegio che dotarono di oggetti costosissimi: mobili, argenteria, di una ricca biblioteca e di una ragguardevole somma di danaro. (Extat elue donationis Istrum. rogat. manu Notar Caroli Pignat die 16 Febb. 1734 - Romae, in Arch. Colleg. de Propagand).
I Rodotà provvidero altresì, con proprie spese, al mantenimento di diciasette alunni e al pagamento dei docenti per oltre tre anni e cioè fino a quando l’Ente incominciò a realizzare le prime rendite di alcuni fondi avuti in donazione.
Opera davvero benemnerita fu dunque quella che importava, a quei tempi, non lievi sacrifici tanto che un giorno un domestico ebbe a dire scherzosamente al Rodotà:
Se continuerai così a dare, in breve tempo arricchirai il Seminario e diventerai tu povero
.
E il Rodotà, rispose:
Così io darò a Dio e sarò ricchissimo se avrò dato tutto al Seminario
.
Il Collegio – di cui i Rodotà diedero il nome di Corsini
– in omaggio al Papa Clemente XII – ebbe immeritata floridezza morale ed intellettuale e fu retto ed amministrato dallo stesso Vescovo Felice Samuele che ne era il Presidente.
Papa Corsini deputava intanto come primo Vescovo di Rito Greco Felice Samuele Rodotà insigne per pietà e per dottrina
che, per particolare disposizione di quel Pontefice, aveva la facoltà di celebrare nei due riti: il greco ed il latino, come da bolla … non transeat ad exsemplum...
.
Felice Samuele Rodotà, in seguito fu nominato Arcivescovo di Berea ed in tale qualità ottenne anche la facoltà di conferire, nel Collegio Seminario, laurea in Filosofia e Teologia.[2]
E grande fu la sua soddisfazione quando, dopo qualche anno, condusse a Roma alcuni alunni che dinanzi al Pontefice potevano discutere in lingua greca e latina.
Alla morte di Felice Samuele Rodotà, fu chiamato alla direzione del Collegio, il nipote dott. Pietro Pompilio Rodotà, professore di lingua greca presso il Vaticano ed Avvocato della Curia Romana, ma non accettò l’invito non sapendosi distaccare dall’ambiente romano e dall’insegnamento.
Egli – istruito nel Collegio Greco di S. Atanasio – diede all’Italia un’opera pregiata ed ammirata dal titolo: Dell’Origine, progresso e stato presente del Rito Greco in Italia
; tre volumi, Roma 1763, e, successivamente, pubblicò numerosi altri importanti lavori; ma il Rito Greco
resta l’opera sua più nota e giudicata dagli studiosi il massimo organo di consultazione sui problemi e sulla storia di Rito Greco.[3]
Da Angelo Zavarroni 1750 note storiche sul Collegio Italo Albanese.
In quella Storia a pag. 37 si legge, tradotta dal latino:
"Pertanto chiamati operia d’ogni specie, il Rodotà incominciò ad instaurare il Palazzo Abaziale e a trasformarlo in Seminario con sorprendente attività e a proprie spese, a spese così ingenti che quasi, quasi si pentì di non aver costruito di sana pianta il Seminario e forse anche di nuovo lo avrebbe costruito, se il Pontefice Massimo desiderando che quel perenne monumento della sua gloria fosse innalzato mentre ancora egli era in vita, non avesse spesso insistito per una rapida esecuzione. Il Palazzo infatti si trovò del tutto angusto per l’uso a cui dovea servire, fu necessario amplificarlo con nuovi vani, col Sacrario, con la sala da pranzo, con la cucina, e del resto quello che del vecchio edificio avanzava, era così malfatto e pericolante che la spesa per restaurarlo fu uguale alle spese occorrenti per un nuovo edificio.
Ma di letti, di tavole da pranzo, di banchi, di vasi, di utensili da cucina ed infine di suppellettili d’ogni genere fornì (il locale) con la massima rapidità perché potesse essere al più presto idoneo ad accogliere gli alunni. E in tale faccenda brillò anche la liberalità del fratello Maurizio, questi infatti trascurando del tutto la sua azienda domestica, si diede anima e corpo al Seminario (era sempre presente alle cose occorrenti per portare a termine il Seminario stesso) e stava