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Magnifica Communitas Podii Rainaldi – Perinaldo: statuti, convenzioni e documenti inediti di una Signoria ghibellina sorta tra Provenza e Liguria
Magnifica Communitas Podii Rainaldi – Perinaldo: statuti, convenzioni e documenti inediti di una Signoria ghibellina sorta tra Provenza e Liguria
Magnifica Communitas Podii Rainaldi – Perinaldo: statuti, convenzioni e documenti inediti di una Signoria ghibellina sorta tra Provenza e Liguria
E-book796 pagine8 ore

Magnifica Communitas Podii Rainaldi – Perinaldo: statuti, convenzioni e documenti inediti di una Signoria ghibellina sorta tra Provenza e Liguria

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Il libro nasce dalla ricerca su Perinaldo, borgo sito nell’entroterra ligure a pochi chilometri da Ventimiglia e Monaco. È un saggio storico dove i protagonisti sono i documenti, la maggior parte di carattere inedito, rinvenuti all'interno di vari fondi archivistici nazionali ed internazionali. La ricerca ha permesso di ritrovare parte del materiale disperso nel 1672, ricostruendo quel filo di memoria che legava il castello ai primi conti di Ventimiglia, passando alle dinastie genovesi degli Zaccaria e dei Doria, giungendo ai Duchi di Savoia del XVIII secolo. Strutturalmente l’opera si divide in tre parti: la prima ripercorre l’origine del centro e il suo sviluppo fino alla fine del Seicento. La seconda, è la sezione degli approfondimenti in cui si analizzano gli inediti statuti del 1580, ritenuti dispersi, e rinvenuti in un fondo notarile taggiasco. L’ultima parte è dedicata alla trascrizione documentaria, composta da 37 documenti prodotti dalla comunità perinaldese, che vanno dal XI al XVII secolo, tra cui sono presenti l’elenco dei ventimigliesi del 1186; quello degli abitanti di Dolceacqua del 1389; la convenzione con Sanremo del 1451; e una convezione con Ventimiglia del 1539.
LinguaItaliano
Data di uscita20 feb 2015
ISBN9788891177667
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    Anteprima del libro

    Magnifica Communitas Podii Rainaldi – Perinaldo - Francesco Corvesi

    F R A N C E S C O                  C O R V E S I

    M A G N I F I C A     C O M M U N I T A S

    PODII RAINALDI

    PERINALDO

    STATUTI, CONVENZIONI E DOCUMENTI INEDITI DI UNA SIGNORIA GHIBELLINA SORTA TRA PROVENZA E LIGURIA

    DAI CONTI DI VENTIMIGLIA AI DUCHI DI SAVOIA (XI - XVIII SEC.)

    Titolo | Magnifica Communitas Podii Rainaldi –

    Perinaldo: statuti, convenzioni e documenti inediti

    di una Signoria ghibellina sorta tra Provenza e Liguria

    Autore | Francesco Corvesi

    Immagine di copertina | a cura dell’Autore

    ISBN | 9788891177667

    © Tutti i diritti riservati all’Autore

    Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta senza il

    preventivo assenso dell’Autore

    Youcanprint Self-Publishing

    Via Roma, 73 – 73039 Tricase (LE) – Italy

    www.youcanprint.it

    info@youcanprint.it

    Facebook: facebook.com/youcanprint.it

    Twitter: twitter.com/youcanprintit

    Graphic design & layout: Francesco Corvesi

    Editing: Marta Di Giovenale, Annalisa Burattini

    Frontespizio:

    (al centro)

    Ricostruzione grafica di un’antica insegna perinaldese: Lo stemma del paese di Perinaldo nel 1784 porta due leoni affrontati (fonte C. SCRIBANI ROSSI, La Famiglia Maraldi: Genealogie e notizie varie, s.l. 1930, Archivio privato, p. 168).

    (in basso)

    Riproduzione del testamento cinquecentesco di Giovanni Ludovico Viale fu Bartolomeo di Apricale, abitante a Perinaldo, conservato nei protocolli del notaio Ludovico Balbo (ACA, Ludovico Balbo, Registro senza numero, anni 1514-1523, c. 107 v. 29/12/1516).

    Tenuissimae sanguinis lineae dicatum

    Gentilissimi Lettori,

    l’antica storia del nostro borgo non finisce di stupirci, essa ci distingue dagli altri paesi liguri per la ricchezza di avvenimenti, in questo caso documentati da una ricerca minuziosa e precisa.

    Il merito di aver raccolto quanto leggerete va allo storico Francesco Corvesi, un cognome già sentito e più volte modellato dai parroci che nel tempo hanno curato l’archivio parrocchiale.

    Un caro amico, Nilo Calvini storico della Liguria, in particolare quella occidentale mi diceva verrà un giorno in cui tutti i documenti conservati negli archivi saranno riprodotti e collocati in un grande archivio telematico nazionale.

    È quanto si sta cercando di fare per gli archivi di stato, ma per i fondi minori, quelli comunali, notarili, o ecclesiastici, la strada da percorrere è ancora molto lunga.

    Questi fondi minori sono delle miniere dove inaspettatamente è possibile riscoprire ancora oggi, tra le carte consumate dal tempo, dei veri tesori documentali che ci parlano del nostro ricco passato.

    Ne sono un esempio le Convenzioni, antichissime tregue, che nei secoli passati la nostra Comunità strinse con i castelli vicini affinchè si garantisse la pace. Od ancora più emozionante è il rinvenire negli atti di un notaio cinquecentesco, i nostri antichi Statuti che pensavamo dispersi per sempre.

    La lettura di quei capitoli, rappresentanti la Costituzione che i nostri predecessori si diedero per regolare la vita civile della Comunità, dopo quattrocentotrenta anni dalla loro stesura, sollecita un sentimento di ammirazione e d’orgoglio per la modernità del pensiero, la complessità della forma e le finalità delle norme, concepite per tutelare le fasce più deboli della società di allora.

    In quelle leggi sarà possibile riconoscere nomi, luoghi e tradizioni ancora vivi nella nostra memoria.

    L’esperienza di chi si accinge alla ricerca mirata inerente la storia di un castro, come si diceva un tempo, e del suo territorio è avvincente e riesce a coinvolgere con passione chi la conduce.

    La ricerca affascina: è come camminare nei meandri di una caverna, dove di volta in volta si scorge una luce. Questa luce non è solo un documento, è la conoscenza degli splendori e delle miserie della vita dell’uomo, un po’ come l’organo di una chiesa che suona per le gioie e per i dolori.

    In questi ultimi anni ci siamo confrontati più volte con lunghe e piacevoli chiacchierate circa l’origine di località, cognomi, chiese e santuari.

    Una sensazione piacevolissima, riscontrare in Francesco questa passione per Perinaldo e per i suoi trascorsi. Una passione che coglierete anche voi leggendo il suo lungo racconto della nostra e anche sua Perinaldo.

    Sono certo di fare cosa gradita ringraziando l’amico Francesco, a nome mio, dell’amministrazione e di tutta la cittadinanza che con orgoglio rappresento.

    Francesco Guglielmi

    Sindaco di Perinaldo

    Prefazione

    Come spiega l’Autore nella premessa, questo libro vuole ricostruire la memoria storica di Perinaldo che, per i secoli più antichi, ha rischiato di andare irrimediabilmente perduta nell’incendio appiccato il 28 agosto 1672 da un gruppo di militari Corsi al soldo di Genova nell’ambito del conflitto sabaudo-genovese, i quali, dopo essere penetrati nella casa comunale, avevano dato fuoco all’archivio che vi era conservato.

    Purtroppo la storia è piena di episodi simili e le perdite di interi archivi, per i più disparati motivi, non si contano. La loro distruzione o dispersione è però solo in minima parte dovuta ai conflitti; certo non possiamo dimenticare, ad esempio, le ingenti perdite subite da quello notarile genovese colpito dalle bombe incendiarie di Luigi XIV nel 1684, ma nel corso del tempo i danni maggiori alla documentazione archivistica sono stati in realtà causati dall’incuria di chi doveva custodirli.

    Ancora ai giorni nostri, soprattutto nei piccoli comuni, quando i documenti, dopo aver assolto la funzione di archivio corrente, diventano archivio storico sono spesso considerati come un inutile ingombro e pertanto vengono relegati in soffitte, scantinati (umidi o addirittura esondabili) o in altri locali inidonei alla loro conservazione, andando quindi incontro ad un rapido deterioramento. In alcuni casi le carte, tanto gravemente danneggiate da essere considerate irrecuperabili, sono state distrutte. Solo per limitarci agli archivi di cui si parla in questo volume segnaliamo la triste sorte toccata all’archivio dei francescani che, invaso dai vermi, è stato usato per concimare le rose del giardino del convento.

    Per fortuna le comunità non vivono isolate: per ragioni politicoeconomiche, per prosperare e svilupparsi intessono relazioni con i comuni limitrofi e con lo stato centrale. Questo fa sì che molti documenti – perlomeno quelli più importanti – siano redatti in più esemplari depositati presso i contraenti ed i soggetti che li hanno prodotti (cancellerie, notai ecc.).

    Una parte di documentazione si è salvata proprio grazie ad alcuni notai che trasferendosi hanno portato con sé i propri protocolli. Come quelli del notaio Amandolesio, originario di Rapallo, che roga a Ventimiglia tra il 1258 ed il 1264, conservati all’Archivio di Stato di Genova; quelli di Ludovico Balbo di Apricale presso l’Archivio Storico Comune di Apricale o di Paolo Laura di Baiardo nella Sezione dell’Archivio di Stato di Sanremo. Ma abbiamo anche professionisti chiamati a ricoprire incarichi di cancelleria, come Cherubino Ardizzone di Taggia che durante gli anni in cui fu luogotenente di Dolceacqua inserì tra i propri cartulari quelli della cancelleria, portandoli poi con sé a Taggia, dove oggi si trovano presso l’Archivio Storico del Comune. In questo modo si è salvata una fonte inedita e insperata che sopperisce a quella grande mancanza di documentazione che accomuna tutti i centri dell’antico Marchesato.

    Questi pochi esempi illustrano bene come, anche nella malaugurata eventualità che l’intero archivio di una comunità venga distrutto, non tutta la sua documentazione sia da considerarsi irrimediabilmente persa, in quanto potrà essere almeno in parte ricostruita grazie a questa sorta di archivio diffuso.

    In questi casi naturalmente il compito dello storico sarà molto più arduo perché dovrà andare a cercare ad una ad una le tessere, sparpagliate in vari archivi pubblici e privati, per ricomporre il puzzle della storia.

    E questo è proprio il lavoro svolto da Francesco Corvesi che, nel corso di diversi anni, ha pazientemente raccolto la documentazione su Perinaldo dispersa in numerosi archivi e biblioteche (Archivi di Stato di Genova, Imperia – sezioni di San Remo e Ventimiglia – e Torino; Archives départementales des Alpes-Maritimes di Nizza; Archivi storici dei comuni di Apricale, Dolceacqua, Perinaldo e Taggia; Archivio della Curia Vescovile di Ventimiglia; Archivi parrocchiali di Apricale, Dolceacqua, Perinaldo e San Biagio della Cima; Istituto Internazionale di Studi Liguri di Bordighera e Biblioteche di San Remo, del Senato della Repubblica e Bibliothèque Nationale de France di Parigi).

    Il risultato di queste scrupolose ricerche è raccolto in questo ponderoso tomo nel quale l’Autore – usando fonti edite e inedite – ha ricostruito, talvolta fin nei minimi dettagli, la storia politica ed economica di Perinaldo e del Marchesato di Dolceacqua.

    Scorrendo il volume si comprende – se ancora ce ne fosse bisogno – l’importanza delle fonti notarili (private), talvolta considerate di second’ordine o residuali rispetto a quelle pubbliche (atti di sovrani o di parlamenti, trattati ecc.), soprattutto per la Liguria dove si ricorre al notaio per qualsiasi negozio. Nei secoli XV-XVI il numero di professionisti operanti nell’area intemelia è talmente elevato che molti di loro per sopravvivere devono mettere a frutto tutte le loro conoscenze giuridiche e letterarie alternando l’attività notarile con altri incarichi quali l’arbitro, il causidico, il maestro (come il notaio Ludovico Balbo che intorno al 1513 tiene una scuola per i pupilli di Perinaldo), il procuratore, oppure mettendosi al servizio della curia episcopale o del comune.

    Queste testimonianze ci offrono uno spaccato della vita quotidiana a Perinaldo e nella Signoria dei Doria: consentono di analizzare i rapporti tra i Doria e i loro sudditi, fra clero e laici, di conoscere gli usi, le consuetudini e le leggi che disciplinano la convivenza fra cittadini e all’interno della famiglia, lo svolgersi delle diverse attività quotidiane e la loro regolamentazione, seguire lo sviluppo dei commerci e dei traffici, dell’agricoltura e della pastorizia, l’edificazione di chiese e conventi e ricavare così i dati necessari per la costruzione di una mappa del territorio con precise indicazioni dell’antica toponomastica.

    Con questo volume, nel quale sono narrate le vicende storiche di Perinaldo dal X al XVII secolo – un lungo arco di tempo durante il quale il borgo è passato dal dominio dei conti di Ventimiglia, alla Repubblica di Genova alla Signoria dei Doria di Dolceacqua –, è stata recuperata buona parte della memoria storica andata in fumo nel lontano 1672. I 37 documenti pubblicati in appendice (compresi tra il 1061 e il 1653) e gli statuti del 1580 – che si credevano irrimediabilmente perduti e che sono stati ritrovati tra gli atti del notaio Paolo Laura – sono solo una piccola parte della grande mole documentaria esaminata e rappresentano una fonte preziosa.

    In conclusione si tratta di un’opera che non può mancare in ogni casa di Perinaldo, indispensabile per chi vorrà approfondire o intraprendere nuovi studi sul Marchesato di Dolceacqua – che troverà in questo lavoro informazioni precise sui fondi archivistici dai quali iniziare le ricerche – o anche semplicemente per conoscere la storia di quest’angolo di Liguria, perché un popolo senza memoria è un popolo senza futuro (Luis Sepulveda) e rischia di essere spazzato via come un albero senza radici.

    Fausto Amalberti

    MAGNIFICA COMMUNITAS PODII RAINALDI

    PERINALDO:

    STATUTI, CONVENZIONI E DOCUMENTI INEDITI

    DI UNA SIGNORIA GHIBELLINA SORTA TRA PROVENZA E LIGURIA

    Premessa

    Il 28 agosto 1672, nell’ambito del conflitto sabaudo-genovese, un gruppo di militari Corsi al soldo di Genova, con l’intento di entrare nei domini del duca di Savoia, occupa il castello di Perinaldo posto al confine dei due Stati. Dopo una lunga resistenza, gli invasori riescono ad entrare nel borgo fortificato mettendolo a ferro e fuoco.

    Alcuni di loro irrompono nella casa comunale incendiando l’archivio che per secoli era stato conservato gelosamente in quei locali. Le pergamene trecentesche, le delibere dei consoli, gli statuti comunali e le convenzioni vengono perse irrimediabilmente.

    In un attimo, tutta la storia del borgo veniva distrutta, e con la perdita di quelle carte veniva a mancare il riferimento per gli storici di uno strumento atto a comprendere parte delle relazioni intercorse tra i vari centri del Ponente Ligure.

    Questo studio nasce da quel giorno; dal momento in cui arsi nel fuoco, si sono volatilizzati i nomi, le vicende e le narrazioni di quei luoghi, lasciando spazio alle fervide leggende liguri.

    La sfida è stata grande: rintracciare i documenti superstiti, cercando di costruire quegli intrecci di eventi che si sono succeduti, non solo nella storia del castello, ma di tutti i centri ad esso connessi. Dalla reale posizione socio economica, all’apporto che i suoi abitanti hanno dato nello sviluppo della Signoria ghibellina dei Doria.

    Di Perinaldo si sa relativamente poco, sia per la mancanza delle fonti primarie, ricostituite dal 1700, sia perché è stato oscurato dalla celebrità di uno dei suoi figli più illustri, l’astronomo Giovanni Domenico Cassini, considerato a pieno titolo uno dei più importanti scienziati del Seicento.

    Questo studio non vuole dare le risposte a tutti i dubbi che pervadono il borgo, vuole essere solo un ulteriore strumento per far conoscere la straordinaria storia di questi luoghi che non ha eguali.

    Li dove oggi termina l’Italia e inizia la Francia, è posta una lingua di terra che nei secoli è stata oggetto di numerose contese. Ogni borgo, villa o castello ha mantenuto una caratteristica che lo differenzia dall’altro, in cui è impossibile non rimanere colpiti dalla complessità delle sue vicende, che sono propri dei centri di confine.

    Chi si avvicina per la prima volta a questi luoghi non potrà non notare il fermento leggendario che l’avvolge. Sarà possibile scorgere Triora con le sue streghe che hanno riempito le cronache giudiziarie del Seicento.

    La valle del Verbone, la più dotta di queste terre, che dal borgo di San Biagio ha visto nascere grandi poeti come i Biamonti, o la stessa Perinaldo, patria di quegli astronomi che hanno legato il proprio nome alle grandi scoperte scientifiche del Seicento e che ancora oggi risuonano negli spazi cosmici con i satelliti a loro intitolati.

    Dolceacqua, sede di quei terribili Doria che non lesinarono lasciare leggende nelle anime dei suoi abitanti.

    Monaco con gli ambiziosi Grimaldi, in continua lotta per il potere. Verso i monti vi è Tenda con quei Lascaris, discendenti dell’ultimo imperatore greco di Nicea, che ancora parlando d’Oriente, si contrapposero agli antichi consoli comunali che per primi combatterono per affrancarsi dal potere feudale, rivendicando il loro diritto alla libertà.

    Il principato benedettino di Seborga con la sua unicità, che per secoli era stato amministrato dai monaci provenzali di Lerino, rivendicante ancora oggi la propria indipendenza.

    Storie di chiese, di monasteri, di vescovi accecati dall’ira, di umili santi che nella carità del messaggio evangelico risplendono nella gloria degli altari. Di guerre fratricide per il possesso di un pezzo di terra.

    Le vicende di una manciata di paesi che stanchi delle vessazioni subite dal capoluogo rivendicano e ottengono l’indipendenza costituendosi in piccola repubblica e ... incominciano a prosperare: la Magnifica Comunità degli Otto Luoghi.

    Storie di viaggiatori inglesi che prima di tutti hanno apprezzato il carattere dei rivieraschi e le loro tradizioni, esaltandosi nella semplicità dei loro gesti. Storie di guerre, intrighi, assassini, vendette e perdoni. Storie di cavalieri e dei loro ordini soppressi; storie di segreti legate a quelle antiche pietre, sussurrate nelle fredde sere d’inverno dagli anziani. Tutto questo non può lasciare indifferente il lettore che si accosta per primo a questi luoghi.

    Perinaldo nasce e si sviluppa circondato da queste realtà con cui si è interfacciato ed ha condiviso eventi e tradizioni. Nato come roccaforte dei conti di Ventimiglia, e posto nel mezzo del circuito delle antiche strade che collegavano i centri alpini con la costa e, da quest’ultimo, con l’Oriente; Perinaldo ha subito l’influenza di queste vicende al quale non è possibile dare una traccia completa per la mancanza di documenti. Le guerre e le invasioni, come accennato, hanno distrutto tutta la sua storia più antica. Solo la lunga ricerca negli archivi ha potuto portare alla luce parte di quella storia che, se anche non completa, almeno integra quella relativa ai rapporti con le comunità vicine.

    Centro integrante della Signoria ghibellina dei Doria, ha mantenuto una parvenza di autonomia rispetto agli altri borghi, per via di quel rapporto particolare che lo vincolava ai primi conti di Ventimiglia. Le sue più antiche chiese, testimonianza di una non chiarita origine monastica, lo ricollega a quei monaci cistercensi che nel Ponente Ligure furono di passaggio.

    Per ultimo, lo studio degli statuti del 1580, redatti in volgare, completano la complessa storia giuridico-sociale dei centri ponentini, che hanno dato forma alle consuetudini legislative locali di tutto il distretto.

    Perinaldo, ancora oggi continua ad affascinare per i suoi misteri, e questo studio vuole dare solo un piccolo contributo alla riscoperta delle vicende di quello che è conosciuto come il Poggio delle Stelle.

    ABBREVIAZIONI

    ILLUSTRAZIONI

    Tutte le fotografie, se non diversamente indicato, sono opera e di proprietà dell’autore. I disegni dei paesaggi, in inchiostro di china, sono opera di William Scott, pubblicate nell’opera ottocentesca The rock village of riviera (cfr. W. SCOTT, The rock village of riviera, London 1898).

    AUTORIZZAZIONI

    La riproduzione dei documenti d’archivio è consentita con le seguenti autorizzazioni: Sezione Archivio di Stato di Sanremo n. 1892/28.34.09 del 14/10/2014. Sezione Archivio di Stato di Ventimiglia n. 1892/28.34.09 del 14/10/2014. Archivio di Stato di Genova n. 26/14 – Prot. 4169 cl.28.28.00/95.35. Comune di Taggia n. 12834 del 4 giugno 2014, Comune di Apricale e Comune di Dolceacqua.

    E SU CONCESSIONE DEL

    MINISTERO DEI BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI

    Le immagini riguardanti i luoghi di culto, le chiese, gli oratori e le cappelle sono state pubblicate con autorizzazione n. 517/2014 rilasciata dalla

    DIOCESI DI VENTIMIGLIA – SAN REMO

    Si vieta la riproduzione, anche parziale, delle singole immagini.

    PROPRIETÀ LETTERARIA

    Tutti i diritti di riproduzione e traduzione dei testi sono riservati all’autore con l’obbligo di citare la fonte. Le fotografie, i disegni, le illustrazioni e le cartine, dove non indicate, sono di proprietà dell’autore e se ne vieta altresì la riproduzione.

    SECOLI X – XII

    (901 - 1200)

    L’egida edificatrice dei conti di Ventimiglia

    Per comprendere le motivazioni che hanno portato alla nascita della rocca di Perinaldo bisogna prima di tutto inquadrare gli eventi che hanno interessato la regione delle Alpi Marittime del X secolo. Nel punto più estremo della Liguria, in quella zona che era considerata la porta occidentale d’Italia, si era sviluppata un’importante signoria posta tra la Costa Azzurra, le Alpi e la Provenza, avente per capoluogo la città di Ventimiglia.

    A quel tempo imperava su tutto il territorio comprendente l’antico municipio romano di Albintimilium, l’ombra della potentissima famiglia dei conti di Ventimiglia. Il loro dominio corrispondeva con l’antica diocesi che si estendeva da oriente a occidente, da Taggia a Monaco, e dal mare fino alle Alpi, comprendendo i luoghi di Tenda e Briga, fino al confine con i territori pedemontani di Limone e Vernante.

    Fig. 1) Mappa del Ponente Ligure.

    All’epoca di Carlo Magno, dopo che nel 776 distruggendo il Regno dei Longobardi, si cinse della corona di re d’Italia, la penisola venne spartita tra l’Imperatore e il Pontefice, includendo la Liguria Marittima nella Marca della Tuscia, e in seno ad essa, il municipio romano di Albintimilio ebbe la dignità di Comitatus ¹.

    È inutile sottolineare che questa zona era molto importante dal punto di vista politico ed economico, in quanto rappresentava un rilevante snodo per i commerci che dal mare si indirizzavano verso il Piemonte e l’Europa settentrionale. Deteneva, allo stesso tempo, un fondamentale ruolo strategico, poiché si prestava ad essere un naturale Stato cuscinetto tra la nascente potenza di Genova, che premeva a levante per implementare i propri traffici, e il Regno di Provenza a occidente, che cercava di imporre la propria politica nel resto d’Europa. La stretta di questi due colossi, come vedremo, ne determinò il disfacimento.

    Il primo documento ufficiale che ci parla dei conti di Ventimiglia ² è una copia trecentesca di un testamento del 954 ³ in cui Guido, imperiale conte di Ventimiglia e Lunigiana, marchese delle Alpi Marittime, dovendo partire contro i perfidi saraceni dona ai suoi figli Corrado (futuro conte di Ventimiglia), Ottone (futuro marchese delle Alpi Marittime) e Rolando (a breve conte di Lunigiana ⁴ e Garfagnana) i feudi e di conseguenza tutte le terre a lui assoggettate.

    Lega ai monaci benedettini del monastero di Lerino in Francia, la proprietà e le rendite della chiesa di San Michele, fatta costruire dal padre su un uliveto di loro proprietà, posto sotto la rocca di Ventimiglia ⁵.

    Stabilisce per lui e per la propria famiglia il diritto d’albergo all’interno dell’ospizio attiguo a San Michele, ogni volta che si troveranno a Ventimiglia, segno questo che i conti non risiedessero stabilmente in città.

    Ordina ai propri eredi di costruire nella chiesa suddetta, un sepolcro sotto l’altare di Sant’Antonio, stabilendo il diritto per se e i suoi successori di esservi sepolti.

    Completa la donazione cedendo al monastero di Lerino alcuni territori posti tra la detta chiesa di San Michele, il fiume Roia e il castello di Seborga ⁶. In quest’ultimo adempimento intravediamo un importante attore, il borgo di Seborga, elevato a principato dai monaci nel Duecento, che comparirà più volte nella storia di Perinaldo e nelle relazioni con i paesi vicini.

    In documenti successivi, in particolar modo quello del 1039, i nostri Conti aggiungono un elemento in più sulla loro natura, dichiarando che essi, i figli e gli eredi vivono secondo i dettami della legge romana (lege romana viventes) ⁷. Su questo preciso punto ⁸ gli studiosi si sono interrogati sull’origine della famiglia comitale, sulla loro provenienza, sul loro ruolo politico, ma soprattutto sulla loro antichità.

    Per diversi motivi si può dire che probabilmente i nostri Conti, non erano originari del ventimigliese e furono posti a controllo della contea dalla massima autorità di allora.

    Questo spiegherebbe il fatto che non avessero una residenza stabile a Ventimiglia (il centro all’epoca più importante della zona essendo sede del vescovato) chiedendo di essere ospitati nei locali attigui alla chiesa di San Michele.

    La necessità di donare una chiesa già allora importante come quella di San Michele, era segno dell’approvazione e supporto che ricercavano da parte di un protagonista prestigioso come quello dell’Abbazia di Lerino.

    Infine, sottolineando che vivessero secondo il diritto romano, prova che i nuovi Conti, una volta insediati nella contea, avessero accettato di vivere così come vivevano i propri sudditi, acquisendone la nazionalità, cioè quella romana, e riconoscendone la validità.

    Questo proverebbe che tutta la diocesi era regolata ancora da leggi che si rifacevano a quell’antico passato.

    Tracce di questa eredità la ritroveremo anche negli statuti comunitari della zona, compresi quelli di Perinaldo, che per secoli regolarono la vita pubblica della società.

    Villa Giunco

    La donazione del 954 diventa oltremodo importante nella nostra storia perché è in questo documento che compare per la prima volta il castello di Seborga con la definizione dei suoi confini, e cioè da:

    Cola Crucis et descendit per vallonum Vallis Organae et Mallazini et progreditur ad infima convallium, usque ad Passum de Lona et de dicto Passu ascendit ad Rocham Scuram supra Sepelegium, et ex alia parte sicut a dicta Cola Crucis progreditur per altiora loca montium medio existentium usque ad montem Nigrum et descendit per vallonum dicti montis, usque ad Passum de Gargo et iungitur ad dictam Rocham Scuram .

    In un documento successivo, questa volta del 1064, i discendenti del conte Guido, i fratelli Ottone e Corrado, confermando la donazione fatta precedentemente dall’avo ai monaci di Lerino, indicano più precisamente i confini della tenuta:

    … que posita sunt in loco ubi dicitur Vincedelo et Incanedelo, vel in eorum territoriis. Coheret eidem una parte fosato qui dicitur Monte Negro et ex alia parte fosato qui dicitur Vallebona, de tertia parte fines de Sepelegio, de quarta vero parte, de superiore capite, fines de Sepulcro usque ad Crucem ¹⁰.

    Studiando questo documento e quelli del 1060 e 1063 ¹¹, lo storico ventimigliese Girolamo Rossi, cadde inizialmente in errore identificando le zone di Vincedello e Canedello come i tenimenti della villa Giunco ¹² nel territorio di Perinaldo ¹³.

    In realtà queste due zone erano poste più in basso, nel punto in cui attualmente sorge l’abitato del Sasso, tra Bordighera e Seborga.

    Oggi il Giunco è una frazione del comune di Perinaldo, costituita da poche abitazioni sparse collegate alla chiesa campestre di Santa Giusta. Ma in passato questa doveva costituire un rilevante centro agricolo, al pari delle altre ville del circondario ventimigliese, come Camporosso o Vallebona, sia in termini di abitazioni che come passaggio commerciale.

    Infatti la località si trova in una posizione favorevole, costituendo lo snodo tra la direttrice Sanremo-Pigna-Tenda, e le vie di comunicazione che collegavano Taggia con Dolceacqua e Ventimiglia. Tenendo conto che in passato sono state rinvenute tracce del periodo imperiale romano, alcuni studiosi hanno ipotizzato che la chiesa di Santa Giusta sia sorta, come spesso accadeva nella rifondazione dei luoghi di culto pagani, sui resti di un antica area sacra. Ciò non sarebbe da escludere in quanto si ricollegherebbe alla storia di altri due edifici di culto antichissimi presenti nella valle del Verbone, rappresentati dalla chiesa di San Biagio e da quella campestre di San Sinforiano ¹⁴, che sono state erette su quello che una volta era l’insediamento romano della villa Martis.

    Il toponimo Giuncheo rimanda al latino iuncus cioè giunco, un tipo di pianta acquatica diffusa particolarmente nelle zone marittime, utilizzata nell’antichità per fabbricare oggetti con materie vegetali da intreccio. Forse nasce dalla presenza di un’azienda rustica dello sfruttamento e manifattura di canestri, ceste e panieri. Il luogo è ricco d’acqua e questa caratteristica avrebbe sicuramente avvalorato la tesi dello sfruttamento di tale pianta, e favorito l’aggregarsi di nuclei abitativi nei pressi delle sorgenti.

    Il Giunco, in definitiva, sarebbe da identificarsi come l’ultima villa del distretto di Ventimiglia, relazionata con gli altri centri della valle del Verbone e delimitata da due fortificazioni di difesa: quello settentrionale con la rocca di Perinaldo e quello meridionale, vicino al torrente, con il castro di Soldano. Nell’arco di due secoli, a causa dei sovvertimenti politici e delle guerre, questo borgo sarà completamente cancellato, e i suoi abitanti andranno a ripopolare il borgo all’interno della rocca perinaldese.

    La prima menzione ufficiale del nostro territorio si presenta nella sentenza del 13 luglio 1177 stipulata tra il vescovo di Ventimiglia e i consoli della città impegnati a regolarizzare i confini dei beni della chiesa di San Michele ¹⁵. In tale atto si indica come confine settentrionale della tenuta seborghina (questa volta non più omesso ma espresso), il territorio del castri de Junco ¹⁶. Ora vi è il dubbio se quel castri, ossia castello, sia riferito non al Giunco, ma alla rocca posta sul crinale che dominava la vallata, perché nei documenti successivi la frazione agricola viene sempre indicata con la dicitura villa e non come borgo fortificato ¹⁷.

    Il dubbio si rafforza leggendo l’analisi che lo storico Eugene Cais de Pierlas propone analizzando la pergamena: egli infatti asserisce che nel documento, uno dei punti di confine è stato raschiato e al suo posto è stata aggiunta la parola castrum de Junco, mentre nella trascrizione compare chiaramente il nome Podium Raynaldi ¹⁸.

    In questo caso non è chiaro se si è voluto fraudolentemente allargare il perimetro di Seborga ai territori posti fino al crinale per poter rivendicare dai Conti qualche diritto, oppure se è stato l’intento di correggere un’inesattezza topografica, restituendo il nome corrente di quella fortificazione che generalmente era indicata come rocca del Giunco.

    Questa località era nota a Girolamo Rossi che, rifacendosi ad antiche leggende, narra che l’abitato venne attaccato dai Saraceni ed incendiato, distruggendolo completamente.

    Una tradizione vuole che molti degli abitanti morirono nell’incendio, e le esequie funebri, ricordate ogni anno nella festa di San Giusto, si celebrano in quella località dal clero e dal popolo di Perinaldo, in memoria appunto di quell’avvenimento funesto ¹⁹.

    Fig. 2) Posizionamento di Perinaldo nel Ponente Ligure.

    Podium Rainaldi

    Purtroppo, allo stato attuale, non abbiamo nessun documento che certifichi la nascita del borgo, tanto meno il momento in cui ha assunto tale denominazione.

    Sappiamo solo che qualche anno prima, e precisamente nel 1164, il castello è oggetto di un accordo ²⁰, o per meglio dire di una dichiarazione fatta dal feudatario a favore dell’episcopato nizzardo, dove il conte Guidone Guerra si impegna a donare il castello di Drappo al vescovo di Nizza giurando per se e per i suoi successori di proteggere la persona e i beni del vescovo, consegnando in ostaggio, a titolo di garanzia, alcuni sudditi dei feudi di Sospello, Roccabruna, Perinaldo e Pigna ²¹.

    Il giuramento, datato 5 luglio, venne solennemente pronunciato davanti ai suoi uomini e alla presenza della contessa Ferraria ²², sua moglie, nel castello di Perinaldo e sottoscritto la domenica successiva a Nizza alla presenza dei consoli, dei canonici e dei borghesi ²³:

    Haec sunt nomina obstagiorum, quos pro hac firmitate et securitate tibi dono: Raimundus de Bravo, Olviarius de Crassa. Petrus Focaccia de Hospitelo et Faraldus Borroiona. Conradus Rufi, Petrus Fabri, Fulco Richelletti et filius eius, Steffanus Clericus et filius eius, Bonifilius Bertina, Anfossus Veronicus: isti de Roccabruna.

    Raimundus Rivelli, Ioannes Antiquus, Petrus Novelli, Petrus Agnelli, Ioannes Guglielmi: isti de Podio Rainaudi.

    Guglielmus Stacho, Martinus Bonici, Petrus Auberti, Ioannes Austadi, Guglielmus Ascheri: isti de Pina.

    Et domina comitissa Ferraria confirmando laudavit, in manu Raimundi, sacristae Necensis, et Guglielmi de Brellio, presbiterorum, in Podio, praesentibus marito suo Guidone comite, et Petro Revelli, homine suo. Facta sunt haec anno ab Incarnatione Dei filii CLXIIII Millesimo M., V iunii, feria prima luna XIII. In praesentia canonicorum et consulum, et burgesium etc., in claustro de Nicia, hora III, die dominica ²⁴.

    Questa è l’attestazione più antica che riporta l’esistenza non solo del castrum di Perinaldo, ma anche dei suoi abitanti, che fino ad ora non erano mai stati menzionati in nessun documento dei Conti.

    Conosciamo in questo modo i discendenti di quegli uomini che contribuirono all’innalzamento della primitiva fortezza che dominerà il crinale della valle del Verbone. I loro nomi sono: Raimondo Rivelli, Giovanni Antico, Pietro Novelli, Pietro Agnelli e Giovanni Guglielmi.

    Sul momento in cui si sia deciso di innalzare la rocca, non esistono documenti certi. Ci dobbiamo affidare alla tradizione, che vuole la sua costruzione tra il 1045 e il 1055 ad opera di Rinaldo, appartenente alla numerosa famiglia dei conti di Ventimiglia, che erano soliti prendere residenza nei vari castelli della zona. È per questo motivo che il poggio di Rinaldo, in latino Podium Rainaldi, nei secoli divenne Perinaldo ²⁵.

    Di questo personaggio, vissuto storicamente nel XI secolo, sappiamo che nel 1061, insieme ai figli, effettua una donazione a beneficio del monastero di Lerino, avente per oggetto un fondo sito sul monte di San Martino, nella zona del Carnolese (vicino Mentone), e di tutti gli altri beni e diritti acquistati dal vescovo Tommaso, suo congiunto, presenti nella stessa regione ²⁶.

    Per quanto riguarda il motivo della sua costruzione è chiaramente di tipo strategico-militare. La posizione in cui è stato eretto non è casuale, e chi l’ha realizzata doveva avere la necessità di controllare tutti i versanti.

    Posta sul punto più alto del crinale, la rocca, rappresenta un naturale punto di controllo. Probabilmente doveva costituire il punto centrale di quella rete di comunicazione atta a prevenire le incursioni dei nemici, che frequentemente si presentavano alle porte della Contea. Mediante le accensioni di fuochi dalle torri più alte, era possibile comunicare, in tempo reale fino alla città, l’avvistamento di eventuali nemici, cosicché si potesse procedere alla preparazione della controffensiva.

    È chiaro che chiunque avesse avuto il possesso di queste costruzioni, avrebbe avuto un importante potere. Ed è per questo motivo che Genova, nella politica di espansione verso ponente, cercò di acquisire in tutti i modi il controllo di questi punti strategici.

    La decadenza dei Conti

    Per gli abitanti di quel periodo non era facile capire i delicati equilibri che reggevano la politica di allora. I centri di potere erano diversi: da una parte c’era Genova che, acquistata l’indipendenza, aveva preso coscienza della propria forza e cercava di metterla in pratica espandendosi verso il mare; da un’altra vi erano i conti di Ventimiglia, legati ai loro antichi diritti feudali, che cercavano in tutti i modi di imporli ai propri sudditi riottosi; altro protagonista era il comune di Ventimiglia, formato dagli esponenti della nuova borghesia mercantile avida di potere, che cercava di emanciparsi a discapito di quei feudatari considerati ormai inutili e pretenziosi. Per ultimo vi era il conte di Provenza che premeva nei territori a confine con la Contea, in cui vantava diversi diritti, e mirava ad espandersi verso la Liguria.

    In questo quadro delicatissimo, i territori della contea di Ventimiglia stavano per diventare una polveriera pronta a esplodere in qualsiasi momento. I primi a cedere, come vedremo, furono i feudatari. Infatti i Conti, a causa delle continue pressioni provenienti internamente dal comune di Ventimiglia ed esternamente da Genova, incominciarono a mettere in atto quel processo di concessioni che li avrebbero portati a trasferire molti dei loro secolari diritti ai nuovi arrivati.

    Ed è così che nel 1038 il conte Corrado cedette al vescovo di Genova ben sei diritti sui territori di Sanremo e Ceriana, riconfermati poi dal figlio nel 1095. Seborga, come visto, apparteneva ai monaci benedettini di Lerino che l’amministrava mediante il Priorato fondato sulla chiesa di San Michele di Ventimiglia.

    Nel 1157 il conte Guido è costretto a rinunciare a parte dei diritti su tredici paesi e cioè: Roccabruna, Gorbio, Poipino, Penna ²⁷, Castiglione, Brocco, Sospello, Lamenòr, Breglio, La Pennetta, Saorgio, Tenda e La Briga a favore del comune di Genova, e nel 1177, il castello di Mentone passa alla famiglia genovese dei Vento ²⁸.

    Fig. 3) Mappa dell’antica Diocesi di Ventimiglia.

    E mentre la Repubblica accresceva i propri interessi nelle zone periferiche della Contea, i rapporti dei sudditi con i Conti si logoravano a causa di quelle libertà che i feudatari si ostinavano a negare. Ed è legato al divieto di costituire la Compagna all’interno del comune, che i cittadini di Ventimiglia nel 1185, attaccarono ed espugnarono i castelli di Sant’Agnese, Roccabruna e Dolceacqua facendo rapina del bestiame comitale e delle loro provvigioni, costringendo il conte a giurare la Compagna. Quest’ultima era l’istituto associativo volontario e giurato, formato da cittadini liberi che volevano sottrarsi ai vincoli di vassallaggio, al fine di tutelare i propri interessi commerciali e politici.

    L’anno successivo, il 12 gennaio 1186 ²⁹, Genova ordina ai consoli di Ventimiglia Gandolfo Cassolo, Guglielmo Gandolfo, Fulco Bonnenbella e Guglielmo Genzana di riunire nella chiesa della Beata Vergine Maria di Ventimiglia i cittadini, chiedendo di sottoscrivere le convenzioni che erano state pattuite tra il comune ventimigliese e la Superba esigendone il rispetto e la completa osservanza. Il documento ³⁰, contenente l’elenco dei capi famiglia intervenuti in quell’occasione, ci restituisce anche il nominativo di un abitante della villa Giunco: tale Ascherio de Zunco ³¹.

    È interessante l’analisi di quei nomi, in quanto possono mostrare chiari collegamenti con alcuni cognomi ancora presenti nella zona intemelia e perinaldese ³².

    Fig. 4) Atto di vendita di metà dei diritti di Perinaldo, Penna e Roccabruna, datato 25 febbraio 1200.

    ___________________

    ¹ F. ROSTAN, Storia della Contea di Ventimiglia, Bordighera 1971, p. 21.

    ² Per una più dettagliata analisi sul tema si rimanda allo studio di M. ASCHERI, I conti di Ventimiglia e l’origine del Comune di Ventimiglia, in « Intemelion », 9-10 (2003-2004).

    ³ E. CAIS DE PIERLAS, I Conti di Ventimiglia, il priorato di San Michele ed il principato di Seborga, Torino 1884, p. 20. La copia è stata presentata dai monaci di Lerino in un arbitrato con la comunità di Ventimiglia.

    ⁴ La Lunigiana era l’antica zona, con capoluogo Luni, che si trovava al confine tra Toscana e Liguria.

    ⁵ H. MORIS, Cartulaire de l'Abbaye de Lérins, Paris 1905, vol. II, p. 184.

    ⁶ G. BELTRUTTI, Briga e Tenda. Storia antica e recente, Bologna 1954, p. 28.

    ⁷ M. ASCHERI, I conti di Ventimiglia cit., p. 12.

    ⁸ Altre potenti famiglie di origine straniera, come gli Estensi, professavano la legge longobarda; i marchesi di Toscana la legge bavara; o la legge salica come gli Arduini di Ivrea (cfr. G. BELTRUTTI, Briga e Tenda cit., p. 21).

    ⁹ G. PISTONE, Origine e storia del principato di Seborga, Seborga 2004, p. 275.

    ¹⁰ H. MORIS, Cartulaire de l'abbaye de Lérins cit., p. 186.

    ¹¹ G. PISTONE, Origine di Seborga cit., p. 263: « 21 dicembre 1063. Nell’anno della incarnazione di Nostro Signore Gesù Cristo millesimo sessantesimo quarto, mese di giugno, indizione prima. Nel monastero di San Michele Arcangelo che è costruito presso il Castrum di Ventimiglia sul fiume Roia. Noi Ottone e Corrado, conti fratelli, figli del buonanima Corrado conte egli stesso, che dichiariamo di voler vivere nel rispetto della legge romana ... confermiamo che sono tutti i beni donati di nostro diritto, posti nella contea di Ventimiglia e sono posti nel luogo detto Iancedello e in Canedelo ovvero nel loro territorio, confinante lo stesso da una parte con il fossato detto Monte Nero, da altra parte il fossato detto Vallebona, da altra parte i confini con Sepelegio, dalla quarta parte ossia dalla parte superiore confini di Seborga fino alla Croce ».

    ¹² G. ROSSI, Gli statuti della Liguria, in « Atti della Società Ligure di Storia Patria », XIV (1878), p. 123.

    ¹³ G. ROSSI, Storia della città di Ventimiglia, Oneglia 1886, p. 39: Il Rossi apprende queste notizie dal manoscritto del can. Girolamo Lanteri di Ventimiglia dal titolo Discorso sulle antichità di Ventimiglia.

    ¹⁴ B. DURANTE - M. DE APOLLONIA, Albintimilium, antico municipio romano, Cavallermaggiore 1988.

    ¹⁵ M. ASCHERI, I conti di Ventimiglia cit., p. 23 in nota: nella descrizione del sigillo consolare è presente un leone con la scritta « S. consulum V. ».

    ¹⁶ G. PISTONE, Origine di Seborga cit., p. 275: « Castrum de Sepulcro et eius territorium sicut incipit in capite Montis Nigri ad locum qui dicitur Elesebella, et descendit per vallonum dicti montis ad Passum de Gargo, et inde ad Roccam Scuram, et de dicta rocca descendit ad passum de la Lona, et progredit insursum per vallonum de Battallo, usque ad territorium Castri de Iunco ».

    ¹⁷ E. CAIS DE PIERLAS, I Conti di Ventimiglia cit., p. 125.

    ¹⁸ E. CAIS DE PIERLAS, I Conti di Ventimiglia cit., p. 23; G. ROSSI, Il principato di Seborca e la sua zecca, lettera al chiarissimo commendatore Domenico Promis, in « Archivio storico Italiano », n. 62, XIII (1871), s. III, 2, pp. 257-259.

    ¹⁹ G. ROSSI, Storia del Marchesato di Dolceacqua e dei Comuni di Pigna e Castelfranco, Oneglia 1862, p. 41 (d’ora in poi Storia di Dolceacqua, Pigna e Castelfranco).

    ²⁰ Il Gioffredo, in merito a questa vicenda, suggerisce che sia proprio Perinaldo il luogo in cui venne effettuato il giuramento, anche se sarebbe più probabile che si tratti di Puget-Theniers (Poggetto) località vicino a Nizza, denominata in antico appunto Podio.

    ²¹ C’è molta confusione sull’identificazione di questo luogo, dovuta al fatto che nelle donazioni precedenti, e in quelle successive, i feudi ceduti insieme a Roccabruna sono Gorbio, Poipino e Penna, dove quest’ultima è identificata con la Piene, nell’alta val Roia. In questo caso invece, si tratterebbe proprio dell’abitato di Pigna, in quanto ad un’analisi più approfondita sui nominativi citati, questi cognomi (o pseudo tali) non compaiono nel giuramento fatto dai pennaschi nel 1157, mentre al contrario, sono presenti in quello fatto dagli abitanti di Sospello (Cespeel) e Roccabruna: « De Penna iuraverunt: Coçoso Dontaçol, Guillelmus Dontaço, // Iohannes Cravus, Peire Lunnese, // Iohannes Recodo, Peire Eurardusm, // Bernardus Crarianan, // Peire Gallus, Iohannes Malleto, / (c. 31 r.) Andreas Enganel, Peire Guera, Iohannes Marlan, // Tebaldus de Iohanne Rainaldo, Iohannes Boniçus, // Rovos, Peire Peipinus, Peire Andreas, // W(illelmus) Maioco, Martinus Turel, Martin Turel, // Iohannes de Pegia, Lambertus Nicola, Comparatus Lunense, // Iohannes David, Enricus de Penna, Lamberton, // Peire Daniel, Opiço, Pero Matalon … 1157 III Kalendas augusti » (cfr. I Libri Iurium della Repubblica di Genova, a cura di A. ROVERE, Genova-Roma 1992 in « Fonti per la storia della Liguria », vol. II; Pubblicazioni degli Archivi di Stato, Fonti, XIII, pp. 278-280. Già in Liber Iurium Reipublicae Genuensis, a cura di E. Ricotti, Torino 1857, Historiae Patriae Monumenta, VII, c. 228).

    ²² La contessa Ferraria verrà di nuovo menzionata in occasione della cessione dei castelli alla città di Genova, inserendo come clausola che alla nobildonna vada l’usufrutto del feudo di Penna (La Piene). « hoc tamen salvo quod post meum decessum ferraria habeat in usufructu penne donationem quam ei feci » (cfr. I Libri Iurium cit., p. 277 già in CAFFARO, Liber iurium cit., vol. I, c. 227).

    ²³ P. GIOFFREDO, Storia delle Alpi Marittime, Torino 1839, (Historiae Patriae Monumenta, IV - Scriptorem II), libro II, col. 427.

    ²⁴ Vedi DOCUMENTO II.

    ²⁵ F. GUGLIELMI, Perinaldo nel Marchesato di Dolceacqua, Perinaldo 1982, p. 22.

    ²⁶ Vedi DOCUMENTO I.

    ²⁷ La Piene.

    ²⁸ F. ROSTAN, Storia della Contea cit., p. 26.

    ²⁹ Vedi DOCUMENTO III.

    ³⁰ L’atto è stato notato dal prof. Nilo Calvini nella sua opera « Relazioni medioevali tra Genova e la Liguria Occidentale » (cfr. N. CALVINI, Relazioni medioevali tra Genova e la Liguria Occidentale (secoli X-XIII), Bordighera 1950 (Collana storico-archeologica della Liguria occidentale. IX).

    ³¹ Un altro abitante della villa è registrato nel 1264 in occasione di un ipoteca ascritta su alcuni terreni di Vallebona. Tra i confinanti Debem, vedova di Gadiosi del Giunco: « Debem uxor quondam Gadiosi de Çunco »: cfr. L. BALLETTO, Atti rogati a Ventimiglia da Giovanni di Amandolesio dal 1258 al 1264, Genova-Bordighera 1985 (Collana storica di fonti e studi. 44 e Collana storico-archeologica della Liguria occidentale. XXIII), p. 620.

    ³² Vedi DOCUMENTO III: Nell’elenco dei consiglieri ventimigliesi è possisbile ritrovare una probabile derivazione dei cognomi moderni come Biamonti (dal nome personale Baiamondo), Bonsignori (anch’esso dal nome personale Bono Senior), come pure Ascheri (Ascherio), Durante, Anfosso diffuso soprattutto nella zona di Taggia. Mentre sono già formati i casati dei Sasso (Saxus), Calvi (Calvus), Mauro (Maurus), Balbo (Balbus), Guercio (presenti anche a Perinaldo nel XV sec.), Cassini (Casinus) e Pisano (Pisanus). Questi ultimi due smentiscono in qualche modo la favola che li vuole originari dalla Toscana del XIII secolo, a seguito delle battaglie intercorse tra Genova e Pisa. Soprattutto per i Cassini perinaldesi, che si rievocava un’origine senese, anche ragguardevole, per dar lustro al casato dell’astronomo trasferitosi alla corte di Francia.

    Ma la realtà è molto più semplice e lineare di quanto si potrebbe pensare, visto che era presente già nel XI secolo, in Tenda, la famiglia Cassio, che tradisce non solo la sua origine romana, ma soprattutto la sua chiara derivazione locale.

    (a) La seguente genealogia è stata compilata tenendo conto delle ricerche effettuate dagli storici ottocenteschi (Rossi, Cais de Pierlas, Labande, Saige) comparandola con i documenti originali tuttora esistenti negli archivi di Genova e Nizza, e integrata con gli ultimi studi effettuati dai contemporanei Calvini e Beltrutti. Sono stati omessi i rami non direttamente collegati alla stesura di questo studio.

    (b) L’antico stemma dei Conti di Ventimiglia era uno scudo di sangue al capo d’oro, aggiunto in seguito al motto Prae militibus unus. Tuttavia il Gioffredo, nel suo manoscritto sulla Storia delle Alpi Marittime, afferma che alcuni Conti portarono come insegna un leone leopardato ed altri un castello vicino al mare.

    SECOLO XIII

    (1201 - 1300)

    La caduta di Ventimiglia e la Signoria dei Castro

    La ribellione dei ventimigliesi non era passata in sordina, e irritata da tali comportamenti, Genova gettò nel 1192 le basi di un accordo segreto con

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