I piaceri viziosi
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Info su questo ebook
Segue una trattazione delle relazione, soprattutto sessuali ed amorose fra uomo e donna e di come queste , soprattutto l'idea di "innamoramento", abbiano portato in declino la moralità umana e la istituzione del matrimonio.
Infine tre raconti: "I due Pellegrini", "Il primo distillatore" e "Parabole" che illustrano con i fatti, proprio a modo di parabola, le sue tesi.
Nato nel 1828 a Jasnaja Poljana (Tula) da famiglia nobile e ricca, Tolstoj a nove anni rimase orfano della madre a due anni e del padre e venne allevato da alcune zie molto religiose. Studiò lingue orientali, poi giurisprudenza, senza arrivare a laurearsi. Frequentò i salotti aristocratici di Mosca e San Pietroburgo; poi nel 1851 si volse alla carriera militare, che abbandonò dopo la guerra di Crimea.
Dopo aver offerto invano l'emancipazione ai suoi contadini, servi della gleba, viaggiò in Europa, dove venne in contatto con la letteratura occidentale e con esuli russi votati a idee di riforma sociale.
Rientrò in patria nel 1858 e sposò Sof'ja Bers, dalla quale ebbe tredici figli. Si stabilì a Jasnaja Poljana, lontano dai centri mondani, dedicandosi con passione all'insegnamento a favore dei figli dei contadini. La sua inquietudine esistenziale e la sua sensibilità alle grandi questioni sociali sfociavano in un'intensa crisi spirituale: Tolstoj si staccò dalle istituzioni politiche e dalla chiesa ortodossa ed elaborò una concezione religiosa e morale fondata sui valori di solidarietà, non violenza, povertà, tipici del cristianesimo primitivo.
Entrato in contrasto con la moglie e con una parte dei figli, il 28 ottobre 1910 abbandonò, vecchio e malato, la sua casa, ma dopo pochi giorni dovette fermarsi alla piccola stazione di Astapovo, dove morì.
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Anteprima del libro
I piaceri viziosi - Lev Nikolaevič Tolstoj
I piaceri viziosi
ed altri racconti
Lev Nikolaevič Tolstoj
traduzione di Eugenio Wenceslao Foulques
I Piaceri Viziosi
I due Pellegrini
Il primo distillatore
Parabole
1902
Lev Nikolaevič Tolstoj
traduzione di Eugenio Wenceslao Foulques
Tutti i diritti di riproduzione, con qualsiasi mezzo, sono riservati.
In copertina: смерть ивана грозного
, Konstantin Makovsky, 1839-1915
Prima edizione italiana 1902
Prima edizione ebook 2017
Edita da Scrivere, servizio di editing digitale
Testi ed immagini sono di pubblico dominio o Creative Commons
www.ebook-italiani.info
I Piaceri Viziosi
I liquori ed il tabacco
I.
Qual'è la vera causa dell'enorme consumo che fanno gli uomini di tutte le specie di eccitanti e di narcotici, come il vino, l'acquavite, l'ascisc, l'oppio ed alcuni prodotti meno noti e meno in uso, come la morfina, l'etere, e parecchie altre sostanze analoghe? Qual'è l'origine di questa abitudine presa da quasi tutti gli uomini, e perchè mai questa abitudine si è sparsa con tanta rapidità e si mantiene con tanta tenacia fra le persone di tutte le classi e di tutte le posizioni, tanto fra i selvaggi quanto fra i popoli civili? A che dunque attribuire questo fatto indiscutibile che là dove il vino, l'acquavite, la birra sono sconosciuti, si consuma l'oppio, l'ascisc, ecc. mentre poi l'uso di fumare si può dire universale?
Donde mai può venire questo bisogno che provano gli uomini d'immergersi in uno stato di torpore e di ebbrezza? Domandate alla prima persona che vi capiterà d'incontrare: «Che cosa vi ha forzato ad assorbire, per la prima volta, della bibite alcooliche, e perchè, una volta incominciato, continuate a berne?» E vi si risponderà: «Bevo perchè mi piace e perchè tutti bevono.» E forse si aggiungerà: «Bevo anche per rianimarmi, per eccitarmi il cervello.»
Esiste poi un'altra categoria di persone che non si chiede neanche se è utile o nocivo il bere liquori spiritosi, e che dà per pretesto che il vino è buono per la salute, che fortifica il corpo, – in altri termini, la gente si fonda sopra un fatto, la cui falsità è stata riconosciuta da moltissimo tempo.
Fate la stessa domanda ad un fumatore. Chiedetegli che cosa gli ha suggerito l'idea di fumare per la prima volta e ciò che lo spinge a perseverare in questa abitudine. La risposta sarà presso a poco la stessa: «Per dissipare la melanconia. Inoltre, è un uso universalmente sparso: tutti fumano.»
Una risposta analoga, o quasi, ci sarebbe fatta, senza alcun dubbio, da tutti quelli che fumano l'oppio, l'ascisc, o che si fanno delle iniezioni di morfina: «Per dissipare idee tristi, per eccitare l'attività cerebrale,... e poi perchè, oramai, tutti lo fanno.»
Si potrebbero dare motivi simili, senza cadere nell'assurdo, per spiegare l'uso di girare i pollici l'uno intorno all'altro, o fischiare, o canticchiare canzonette, insomma divertirsi con qualcuno dei mille mezzi conosciuti, i quali non esigono nè sperpero di ricchezza naturale, nè dissipazione di grande attività umana, e che non son nocivi nè per quelli che se ne servono nè agli altri.
Invece, le abitudini di cui abbiamo parlato non hanno questi caratteri innocenti. Per produrre tabacco, vino, acquavite, ascisc od oppio in quantità sufficiente da bastare all'enorme consumo che se ne fa oggigiorno, bisogna consacrarci milioni e milioni di jugeri delle migliori terre, e ciò in mezzo a popolazioni che muoiono di fame; e milioni di essere umani (per esempio, in Inghilterra, l'ottava parte di tutta la popolazione) occupano tutta la loro vita ad estrarre prodotti narcotici.
E non basta: il consumo di questi prodotti è incontestabilmente nocivo al massimo grado, poichè ha per risultato dei mali che producono la perdita di un più gran numero di esseri umani che non le guerre più sanguinose e le epidemia più tremende.
E questi uomini lo sanno. Lo sanno così bene che non si può, neanche per un istante, credere ai loro argomenti quando dicono che hanno contratto questa cattiva abitudine solo per dissipare la melanconia e rianimarsi, o semplicemente perchè tutti fanno così.
Evidentemente ci dev'essere un'altra spiegazione di questo strano fenomeno. Incontriamo spesso, nella vita, dei genitori affettuosi che vogliono bene alla loro prole, che son pronti a fare qualunque sacrifizio pel suo benessere, e che, intanto, consacrano, per procurarsi dell'acquavite, del vino, della birra, dell'ascisc, del tabacco, delle somme di danaro che sarebbero assolutamente sufficienti, se non per nutrire i loro sventurati figli affamati, almeno per soddisfare ai loro bisogni più impellenti.
È dunque evidente che se l'uomo, posto dalle circostanze o dalla propria sua volontà nel bivio fra la necessità di sottomettere la sua famiglia (che pure gli è cara) a tutte le privazioni o ad astenersi dal consumo di narcotici ed eccitanti, sceglie il sacrifizio della propria famiglia, si è che vi è spinto da un motivo ben più possente che il semplice desiderio di cercare le delizie dell'ebbrezza o che il pensiero che quest'uso è sparso nel mondo intero.
Per quanto io possa essere competente, per esprimere la mia opinione a riguardo – i miei dritti a questa competenza consistono unicamente nella conoscenza teorica dell'opinione degli altri uomini che ho raccolta nei libri, e nell'osservazione che ho potuto fare sui miei simili, e, più particolarmente, su me stesso al tempo in cui bevevo ancora vino e fumavo tabacco, – formulerò questi motivi nel modo che segue:
Nel periodo della sua vita cosciente, l'uomo ha spesso l'occasione di distinguere in sè due esseri assolutamente distinti: l'uno, cieco e sensitivo; l'altro, veggente e pensante. Il primo mangia, beve, si riposa, dorme, si riproduce e si muove come una macchina a cui si sia dato corda per un certo tempo. Il secondo, invece, l'essere veggente e pensante, unito all'essere cieco e sensitivo, non agisce da sè: non fa che controllare ed apprezzare la condotta del compagno, aiutandolo attivamente quando lo approva, rimanendo passivo nel caso contrario.
Possiamo paragonare questo essere cosciente all'ago di una bussola di cui una punta indica il Nord e l'altra il Sud, e che è coperto, in tutta la sua estensione, da un corpo opaco; l'ago rimane invisibile fintantochè la rotta della nave è buona; ma comincia ad oscillare ed a diventare visibile allorchè la nave devia dal suo cammino.
Nell'istesso modo, l'essere pensante che si manifesta per mezzo di ciò che chiamiamo «coscienza» indica sempre dove si trovano il bene ed il male, ma non ce ne accorgiamo fin tanto che ci troviamo sulla buona strada. Ma appena abbiamo commessa un'azione contraria alla nostra coscienza, l'essere pensante appare e c'indica fino a che punto abbiamo deviato dalla buona via. Nell'istesso modo che il marinaio, appena accortosi che sbaglia strada, non continua la sua rotta se non quando ha rimesso la sua nave nella direzione indicata dalla bussola – se pure non ci tiene a smarrirsi volontariamente, – così l'uomo, avendo osservata la divergenza fra la propria coscienza e la sua attività sensitiva, non può continuare ad agire prima di aver messo d'accordo la sua attività e la sua coscienza, – a meno che voglia deliberatamente respingere la testimonianza della sua coscienza che condanna le sue cattive azioni.
Si può dire che tutto il genere umano segue l'una e l'altra di queste due direzioni: o si sottomette ai dettami della coscienza, oppure li rigetta e si abbandona ai suoi istinti volgari.
Alcuni uomini seguono la prima via, altri la seconda. C'è un solo ed unico mezzo