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Mendel puo
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E-book194 pagine2 ore

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Mendel è un adolescente di provincia, geniale ma problematico. Frequenta poco la scuola e le sue energie sono interamente assorbite dallo studio di esperienze extracorporali e dalla confezione di cd che contengono battiti binaurali, un ritrovato elettronico-terapeutico, che egli mette gratuitamente a disposizione di chiunque, allo scopo di testarne gli effetti. Il progetto consiste nel perfezionare il suo prodotto affinché esso sia in grado di guarire l’amico Milo da un male incurabile. Ma la faccenda assume ben presto risvolti imprevedibili a causa della comparsa in paese di Fab, un bizzarro ed enigmatico ricercatore, alienicida reo confesso, che coinvolge Mendel e i suoi amici in un’impresa utopistica di grandi proporzioni.

Convinto da Fab ad impegnarsi per far tornare la Nuova Estate dell’Umanità, Mendel si lancia nella sua più grande impresa, ma da quel momento in poi, niente sarà più lo stesso e gli eventi assumeranno contorni tali da condurre lui e la sua amica Bianca alla scoperta di dimensioni sconosciute, fuori e dentro se stessi.

Moderno e atipico romanzo di formazione, Mendel può si muove su coordinate originali e inconsuete, che mescolano ufologia e psichedelia, cospirazionismo e stati alterati di coscienza, ma anche misticismo, filosofia e impegno sociale. Un caleidoscopio semiserio di immagini metaforiche che trasportano il lettore nel contesto di un microcosmo di disagio e inquietudini adolescenziali ma anche alla ricerca di una diversa soluzione, di una via per sfuggire a un destino segnato da un ineluttabile disincanto verso il mondo. Se è vero, come scriveva Beckett, che la fine è nel principio, eppure si continua, allora quello che può Mendel è spingersi oltre il contemporaneo cinismo malinconico per suggerire la riscoperta dello stupore e tentare un respiro più ampio che possa schiudere prospettive diverse e un diverso futuro.
LinguaItaliano
Data di uscita17 feb 2016
ISBN9788869822476
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    Anteprima del libro

    Mendel puo - Riccardo Santilli

    Riccardo Santilli

    Mendel può

    Cavinato Editore International

    © Copyright 2016 Cavinato Editore International

    ISBN: 978-88-6982-247-6

    I edizione 2016

    Tutti i diritti letterari e artistici sono riservati. I diritti di traduzione, di mem-orizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi

    © Cavinato Editore International

    Vicolo dell’Inganno, 8 - 25122 Brescia - Italy

    Q +39 030 2053593

    Fax +39 030 2053493

    cavinatoeditore@hotmail.com

    info@cavinatoeditore.com

    www.cavinatoeditore.com

    Progetto grafico, copertina e impaginazione a cura di Simone Pifferi

    Indice

    1. Come poco prima di svegliarsi o di addormentarsi

    2. Inventare il pieno dal vuoto

    3. La piscina sta affondando dentro una piscina più grande. L’intenzione positiva

    4. Giocare a nascondino con l’uomo invisibile

    5. Anguria con semi infiniti. Il rumore del sole

    6. Chewingum masticati come cervelli dopo i sogni

    7. Bardo Tödöl

    8. Sui confini del cubo

    9. Grattachecche al cocco sotto ombrelloni lisergici

    10. Il panorama del futuro disegnato su fogli a quadretti

    11. Gr.A.L

    12. Spostare l’asse terrestre con uno starnuto

    13. Noi confidiamo nello stato ordinario di coscienza

    14. Puoi fuggire da tutto, ma non dai tuoi piedi

    15. Smaltire gli accumuli dell’immaginazione

    16. Piramidi estive

    17. Abduzione o assunto in cielo?

    18. Posso aiutarti a trovare le cose nascoste, non quelle perdute

    19. Il mondo è terribilmente malato

    20. Un viaggio esclude l’altro

    21. Dentro c’è una sorpresa. Fuori c’è una sorpresa

    22. Cosa c’è di veramente inafferrabile?

    23. Morire più giovane di quando sono nato

    24. Le nozze chimiche di Rosa Cruz City

    25. T’amo Costanza

    26. Epilogo

    A Donatella,

    dove sempre è l’Estate

    1. Come poco prima di svegliarsi o di addormentarsi

    Se passando per Ramano imboccate il corso principale, troverete immediatamente alla vostra destra un parcheggio multipiano, una specie di grande scatola in grezzo cemento armato. Ma non è stato sempre così. Non molto tempo fa, dove ora hanno fatto il parcheggio, c’era un muretto alto una decina metri e, sotto al muretto, un piccolo campo di calcio, uno sputo di terra, proprio nel centro del paese, che ha nutrito con la sua polvere generazioni di ramanesi. Ma come detto, bisogna tornare indietro di un po’ di tempo.

    Adesso siamo ai minuti conclusivi. Si sta sul 7 a 7. E quando la palla inizia a scendere si porta dietro le teste di tutti quelli seduti sul muretto, quasi fossero trascinate da un invisibile filo a piombo.

    Sotto c’è un ragazzo ad aspettarla. Ad aspettare l’attimo. Raramente si spinge fino a quelle latitudini, l’istinto dell’attaccante lo porta a frequentare l’area di rigore e invece questa volta è arretrato fino al punto in cui la linea di metà campo si congiunge con quella del fallo laterale. Perché è proprio lì, nell’angolo più insignificante di tutto il campo da gioco, che la palla sta per cadere.

    Il muretto rappresentava un luogo d’incontro e di richiamo per i ramanesi. E quella volta era straordinariamente gremito. Come se tutto il paese non avesse avuto nulla di meglio da fare che starsene appollaiato su quel loggione che sovrasta il campo sottostante. Palati fini, calcisticamente parlando, quelli dei ramanesi. Se c’è una cosa che conoscono bene è proprio il calcio.

    Quel pomeriggio di febbraio, con le giornate che si fanno più lunghe, giro dopo giro, si sta giocando una grande partita. Una di quelle che non contano nulla. Di quelle che non fanno certo la storia. Ma l’epica spesso accade così, quando nemmeno te ne accorgi. È qualcosa che ti è successo mentre avevi l’idea di stare da un’altra parte, di volere un’altra impresa. Solo dopo, molto dopo, ti rendi conto che quella cosa, così piccola da vicino, appare sempre più grande guardandola da lontano.

    Torniamo allora a quel pallone, che ora sorvola la targa di marmo apposta sul muro di mattoni. Cala giù rapido, ma sembra che abbia il tempo di leggere quello che c’è scritto.

    E quel ragazzo è sempre lì che aspetta. È uno bravo. Uno dei migliori. È tranquillo, come se avesse già visto tutto. Sì, perché certe cose, per farle, devi innanzitutto vederle. Intendo vederle come possibili. Devi togliere quel freno a mano che hai nella testa, quello che ti impedisce ad esempio di pensare che da quella posizione, con quella palla così scorbutica, si possa immaginare di tirare in porta. E magari di sinistro, al volo, quando tu sei un destro naturale.

    Il pallone è ormai all’incrocio con il suo destino. A vedere quella palla scendere a campanile, considerando la posizione insolita del ragazzo, quelli su nel muretto cominciarono ad avere più di qualche dubbio.

    Non è così che ci si prepara per stoppare una palla a terra, pensa qualcuno. E chi ha detto che quella palla sarà stoppata?

    Facendo perno sul destro e aprendo di sinistro in mezza girata, si va al tiro. Che il ragazzo abbia pensato il pensiero stupendo, gli esperti lo capiscono però solo alla fine. Solo un istante prima. Poi è tutto chiaro.

    Anche Mendel non ci arrivò che all’ultimo. Tutto quello che succede è dentro il mondo, ma la creazione no. Perché la creazione non è un fatto. E un fatto sta nel mondo perché il mondo è la totalità dei fatti. Ma la creazione no. Poi quando accade, è chiaro che è accaduto un fatto. E questo Mendel lo capiva bene anche se lui era quanto di più lontano ci fosse dal talento calcistico. Lui giocava in porta, nell’unico ruolo che Milo fosse riuscito a trovargli. Ma non la considerava una brutta posizione. Giocando in porta aveva l’occasione di contemplare il mondo della partita da una linea di confine. Dentro quei limiti c’era tutto quello che accadeva.

    Il ragazzo vuole proprio tirare in porta. Ha una probabilità su mille di prendere lo specchio, quella di segnare, mah, sono calcoli troppo complicati.

    L’impatto è perfetto. Collo pieno, al volo, con un sospetto di esterno. Quel tiro che Mendel vide era molto più di un calcio. Una cosa che si fa con i piedi. C’era in quel calcio la spontanea indisponente presunzione umana, ma una presunzione all’altezza di sé stessa e pertanto irresistibilmente seducente. Una presunzione intollerabile, superba, insolente, difficile da giustificare eppure capace di un’istintiva e irresistibile autoassoluzione. Forse, solo per via di una qualche complicità del caso con la sfrontatezza e il talento, la palla arrivò sotto l’incrocio dei pali, anche se Milo, nella sua presunzione, si sarebbe sorpreso del contrario.

    E il muretto esplose in un boato. Quando la creazione era già scomparsa, così rapida che neanche Mendel poté capirla.

    Adesso invece, da quella lontana linea di porta, ai limiti del mondo, lui aveva capito. Il genio di Milo non era dentro Milo.

    Finita la partita presero giù per il corso. Lui, Milo, Penguin e Zampax che non perdeva occasione di ricordare come il marcatore della partita fosse stato lui, con cinque reti, mentre Milo si era fermato a tre. Cominciava a fare sera e Mendel, rimasto pressoché fermo per tutto il tempo, era piuttosto infreddolito.

    – Ho fame Mendy e tu?

    – Io ho freddo. Ma anche fame.

    – Magari anche sonno – esclama Zampax baldanzoso.

    – No, quello no.

    – Scendiamo al forno – propone Penguin.

    Il forno era situato all’inizio della parte vecchia del paese. Faceva due soli tipi di pizza, rossa e bianca.

    Si dovevano scendere delle scale. Il bancone era posto nel punto più basso di quella che un tempo ancora più remoto doveva essere stata una fornace. Scalino dopo scalino la temperatura aumentava e l’aroma si faceva più forte. Il fornaio silenzioso teneva le luci basse in quella caverna dove il forno incubava costantemente caldo e pane e con flemmatica liturgia lasciava a sua moglie le consegne prima di allontanarsi verso casa, per un breve riposo in vista del risveglio notturno.

    Milo prende pizza bianca. Mendel, Penguin e Zampax, rossa.

    Escono dal forno e Mendel inizia a starnutire per via dello shock termico.

    – Ehi, fratello, non ti ammalerai proprio a ridosso del carnevale di Ramano – dice Milo mettendo una mano sulla spalla di Mendel per abbracciarlo.

    – Comincia a fare freddo. Andiamo a casa mia.

    – No, andiamo giù all’astronave – insiste Milo

    – Adesso? Con questo freddo? – brontola Penguin.

    – E da quando i pinguini temono il freddo? – ridacchia Zampax.

    Proseguono ancora in discesa. L’astronave si trovava oltre le vecchie mura di cinta del paese. Alla fine dei vicoli dove iniziava una strada sterrata che declinando dolcemente fiancheggiava una profonda gola nella cui spaccatura correva un fosso.

    Il fosso era dominato da un passaggio stretto, solcato da un piccolo ruscello che si tuffava in un salto di quasi dieci metri. Alla fine, bianco e circolare come un’astronave precipitata nella macchia piovigginosa, stava il depuratore delle acque di Ramano.

    – E se lo fosse realmente – chiede Mendel?

    Penguin sbuffa.

    – Non ricominciamo con questa storia.

    Ma Mendel non demorde.

    – Potrebbe esserlo.

    – Sì che potrebbe – interviene Milo – Io la penso come Mendy. Non è solo un depuratore è…

    – Un’autentica astronave aliena – interviene Zampax con una cantilena esasperata.

    – Proprio così Zampy e prima o poi, scopriremo la verità…

    Si mettono seduti in quel punto, stranamente alto e basso al tempo stesso, umido e nebbioso, forse imperfetto per gustare una pizza contemplativa cullati dal gorgogliare rimbombante dell’acqua.

    – Questa pizza aveva solo un difetto – dice Penguin per cambiare discorso.

    – Quale? – Zampax lo guarda con l’aria di chi pretende serie e articolate spiegazioni.

    – Era poca.

    – Troppo poca – sentenzia Milo.

    – Esigua porzione – dice Mendel.

    – Modica – prosegue Penguin.

    – Scarsa, direi – riprende Milo.

    – Modestissima – si fa nuovamente sotto Penguin.

    – Episodica – questo è Zampax…

    – Ma cosa c’entra episodica?! – protesta Penguin.

    Zampax gesticola con un mozzicone di pizza ancora nella mano sinistra.

    – Per me era episodica – ribatte il vecchio Zampy – ma non chiedetemi di quale puntata.

    Milo apre una bottiglietta d’acqua gassata che aveva portato per il dopo partita e manda giù sorsate piene che gli stappano il petto intasato dalla mollica. Poi si alza in piedi e sovrastando la nebulosa di vapore che dal basso ascende al paese, intona in forma di richiamo o invocazione un rutto ampio, di pieno diaframma, che perturba l’aria circostante prima di essere assorbito nell’indistinto grigio.

    – Starai bene mascherato da nobile veneziano – dice Penguin che in realtà fatica per non ridere – sei un vero signore.

    – Dovresti mascherarti anche tu con noi – Milo lo rimprovera tirandogli un calcetto sul polpaccio – sfaticato!

    – Lui è già mascherato di suo! – attacca Zampax.

    Penguin, di colpo, si gira contro Zampax. Lo aggancia al collo costringendolo ad allungarsi sul terreno poi con un balzo da tricheco porta tutto il corpo sul petto di Zampax schiacciandolo violentemente.

    – Contate! – urla rivolto a Milo e Mendel – Avanti, contate!

    Mendel e Milo si accovacciano per verificare il totale atterramento di Zampax e battendo le mani sull’erba, contano fino a tre, alla terza cifra Penguin si solleva con le mani alzate e la camicia fuori dai pantaloni che lascia vedere un ombelico tondo e bianchissimo.

    – Mi hai preso a tradimento – protesta Zampax – posso farti molto male e tu lo sai!!

    – Tutto regolare – dice Milo alzandosi di scatto per placcare Zampax un istante prima che si avventi, non proprio amichevolmente, contro Penguin.

    – Non ci provare più, Zampetta! – intima Penguin agitando l’indice sul viso di Zampax che sta come ringhiando – Lascia stare quella vecchia storia, capito? Tu non sai che strani tipi abitano nel condominio della mia testa!

    Lo sanno tutti che Penguin detesta mascherarsi. Ma è una cosa recente. Da piccolo si mascherava, eccome. Gli piaceva. Poi ci fu un episodio. Uno solo e tuttavia fatale. Quell’anno che partecipò alla sfilata dei carri, nel gruppo degli eschimesi. Sul carro si ergeva imperioso un orso polare gigante. L’orso sovrastava minaccioso un igloo perfettamente abitabile. I ragazzi e le ragazze del gruppo avevano potuto scegliere tre di tipi di costume: eschimese, orso polare e pinguino. La scelta del pinguino fu casuale ma non il mirabile risultato. Alto, con il viso piccolo, il naso leggermente adunco, l’inconfondibile camminata con le punte dei piedi alle dieci e dieci, sembrava in tutto e per tutto un pinguino reale. Così Penguin aveva rivelato la sua essenza. E poco importa se era stata necessaria una maschera per capire chi fosse realmente. Da quel giorno lui divenne Penguin, al punto che nessuno si ricordava di lui prima che divenisse Penguin.

    Per calmarli Milo deve fare del suo meglio. Penguin e Zampax continuerebbero ad oltranza, solo per una questione di principio. Però Milo sapeva essere persuasivo come pochi altri. C’era in lui uno stile innato con cui riusciva a tirarsi fuori dalla meschinità del mondo per salire più in alto e, al tempo stesso, ti incoraggiava a seguirlo. Uno sguardo dalla grazia delicata e virile che non badava ai limiti e alle imperfezioni che cerchiamo goffamente di nascondere ma alla stella che vorremmo essere. Era il suo, un modo del tutto gratuito di donare fiducia, capace di convincerti, più di quanto avresti potuto fare tu stesso, delle tue capacità.

    Guardando Milo, Zampax rimane in piedi perplesso, sembra un serpente a sonagli incantato dai suoi stessi sonagli. Penguin si rimette giù, paonazzo, sputando sull’erba grassa e verdognola.

    Rimangono stranamente in silenzio. Le gambe indolenzite dall’acido lattico. I corpi unti di sudore misto a umidità e polvere. Improvvisamente non hanno più nulla di dire. Guardano verso il punto in cui domani farà l’alba.

    La sera si allunga sul fosso e nasconde le cose, a poco a poco un’ombra ingoia il depuratore e i quattro

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