Deviazioni
Di Luca Pasquin
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Anteprima del libro
Deviazioni - Luca Pasquin
Pasquin
I miei Mondiali.
È il 24 giugno e la giornata è insolitamente calda per un’estate che quest’anno sta litigando con il sole e sembra non avere nessuna voglia di uscire dal letargo. L’appuntamento è per le 17.50. Giusto dieci minuti prima del calcio d'inizio della partita della nazionale contro l’Uruguay, per quella che sarà l’ultima del nostro malinconico mondiale brasiliano. A casa, ciao, un morso e via. Altro che samba.
Manca più di mezz’ora al mio incontro ma io praticamente sono già arrivato. Arrivo sempre in anticipo nella mia vita, sempre. Non è puntualità la mia: si chiama paranoia, in questo caso con l’aggiunta di una buona dose di ansia. Davvero una bella miscela.
Scendo dal tram in Cinque Giornate - il milanese abbrevia, nÈ via nÈ piazza-, attraverso la strada, davanti al Coin un indiano prova a vendermi una bandiera. Non può sapere che la mia partita si giocherà a porte chiuse. Cammino lungo Porta Vittoria, penso che venerdì andrò in vacanza, ad Alassio, la mia solita meta, per una bella settimana al mare. Sono pure iscritto al torneo di tennis all’Hanbury e non posso proprio mancare. Sono in forma smagliante, bello tonico, mai stato meglio negli ultimi tempi. Pensa un po'. Un leggero fastidio e nulla più. Cerco pensieri che mi distraggano. Cosa vuoi che sia, mi ripeto, tra mezz’ora ci farò una risata sopra. Mammamia che ansia, che brutte sensazioni. Sesto senso. O, semplicemente, paura.
Lo studio del chirurgo – già, mi visita addirittura un chirurgo, il Direttore della divisione di Chirurgia specialistica – è un distaccamento dell’Ospedale San Raffaele, si trova in una via di fronte al palazzo di Giustizia. La legge, come la malattia, è uguale per tutti. Per qualcuno, però, è più uguale degli altri. Mi sento molto dentro la fattoria degli animali, oggi, sento che sarò sottomesso, sento che la presunta uguaglianza è andata a farsi benedire. Maledette sensazioni, un brivido lungo la schiena. E non è per il freddo del climatizzatore che mi colpisce all'ingresso.
Sbrigo velocemente le pratiche burocratiche: ticket, tesserino, fotocopia. Mi aspetto una pacca sulla spalla dal ragazzo dietro il bancone, invece mi indica, annoiato, beato lui, il piano, le scale e l’ascensore, come un automa. Troppo poco, ho bisogno di più. Mi sento gli occhi addosso; è lui, è lui. Salgo al primo piano, a piedi, non è un dettaglio, mi sembra tantissimo, un piano: la gente, poca, ha lo sguardo rivolto verso un televisore appeso in un piccolo salottino. Voci da pre partita, commenti a voce bassa, speranze. Quelle della nazionale, le mie, in uno strano intreccio del destino. O dentro o fuori, poche le differenze. Nel corridoio, davanti alla porta dello studio, solo una signora, anziana, pardon meno giovane, molto elegante. Sorriso tirato di cortesia: Buonasera
. Ricambia, sorridendo, è senz’altro più serena di me. Mi siedo ma non riesco a stare fermo. Mancano dieci minuti. Il tempo non sembra passare mai, vorrei entrare in fretta e tornare a casa per vedere almeno il secondo tempo. Sullo sfondo, intanto, sento le note dell’inno di Mameli. Anch’io ho la mascella serrata e la mano sul cuore, canticchio l’inno, sono pronto. Non è vero. La signora non è ancora entrata. Il ritardo è ormai sicuro e sommato al mio largo anticipo fa sembrare tutto sproporzionato. Primi mugugni dalla curva improvvisata davanti al televisore, mentre la signora entra. Non hanno nessun appuntamento, mi chiedo? Vorrei anch’io vedere la partita. Stanno insultando Balotelli, niente di nuovo.
Cazzeggio con l’Ipad senza leggere niente, cerco di ingannare il tempo ma la tensione inizia a farsi sentire e vorrei fosse per la partita: non me ne frega niente della nazionale. Mai. Figuriamoci ora.
Vorrei essere ovunque in questo momento.
Si apre la porta, esce la signora. È stata veloce. Cerco di cogliere segnali positivi, questo, non so perchÈ sembra uno di questi. La porta si richiude. Sono il prossimo. Ci siamo quasi. Passa un minuto, mi pare un'eternità. Inizio a fare i conti con lo scorrere innaturale del tempo.
Sig. Pasquin?
Eccomi
Prego, si accomodi
Mentre sto entrando penso che venerdì sarò in vacanza. Questione di minuti e sarà tutto finito. Mi alzo dalla sedia in sala d’attesa e i due metri che mi separano dalla porta sembrano duecento.
Buonasera dottore
. Il tono, troppo alto, troppo acuto, tradisce la mia tensione. Non riconosco la mia voce.
Camice bianco, sorriso cordiale, modi gentili, stretta di mano decisa, ispira fiducia. Ne ho bisogno. Cerca di mettermi a mio agio, il Dottor Carlucci. Cerca. Non ci riesce per niente e non è colpa sua.
Mi dica, che succede?
. Sorride.
No niente, un piccolo disturbo, un fastidio, niente di che
Vediamo, si sdrai sul lettino
.
Vacanze, addio.
Devo telefonare a mia moglie. Devo uscire. Non so come dirle che la vacanza è saltata. Il mio primo