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Lo smemorato di Sanremo: La seconda indagine del commissario Orengo
Lo smemorato di Sanremo: La seconda indagine del commissario Orengo
Lo smemorato di Sanremo: La seconda indagine del commissario Orengo
E-book277 pagine3 ore

Lo smemorato di Sanremo: La seconda indagine del commissario Orengo

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Info su questo ebook

Sono passate poche settimane dal clamoroso caso del delitto al Festival di Sanremo. Il commissario Francesco Orengo inizia a prendere sempre più possesso del territorio della città matuziana, e si trova un giorno a dover fronteggiare uno strano episodio: un architetto di fama internazionale, in vacanza a Dolceacqua, si rivolge alla polizia per chiedere un intervento urgente. L’archistar vorrebbe visitare lo zio, l’avvocato sanremese Armando Rondelli, attualmente ospitato in una casa di riposo a Bajardo, un paese dell’entroterra nel cuore della Valle Armea. Ma non può incontrarlo, gli hanno detto i dipendenti e la direttrice della residenza protetta, perché devono rispettare uno specifico ordine dei familiari. Il commissario Orengo non ci vede chiaro, e mentre sente parlare del grande successo che sta ottenendo in corso Matteotti un nuovo ristorante, il Music & Lights, che proprio in quel periodo inizia a frequentare, scoprirà che quel locale puzza di bruciato. Decide quindi di scavare a fondo, per scoprire un’amara verità. A quel punto inizia una corsa contro il tempo per bloccare l’irreparabile. Una battaglia ferocissima tra il bene e il male dove Orengo, affiancato dalla compagna Martina, e con il sostegno degli amici del borgo medievale di Castel Vittorio, riuscirà a fronteggiare il suo nemico numero uno, il questore Maurizio Di Leva, a dipanare la matassa e assicurare i colpevoli alla giustizia. Prima di affrontare una prossima avventura tra i misteri di Sanremo e del suo misterioso e inquietante entroterra.

Achille Maccapani (Rho, 1964) vive a Ventimiglia (IM) e svolge il lavoro di segretario comunale presso alcuni comuni nelle province di Savona e Imperia. Dopo aver pubblicato diversi saggi e manuali di diritto degli enti locali, ha debuttato nella narrativa con il romanzo Taci, e suona la chitarra – Milano rock Ottanta (Fratelli Frilli Editori, 2005 – XXII Premio Città di Cava de’ Tirreni), seguito da Delitto all’Aquila nera (Zona, 2007), Confessioni di un evirato cantore (Fratelli Frilli Editori, 2009 – fiorino d’argento del Premio Firenze) e Bacchetta in levare (Marco Valerio, 2010). In seguito ha dato inizio al ciclo seriale delle indagini dell’ufficiale dei carabinieri Roberto Martielli e del magistrato Viviana Croce con il romanzo Il venditore di bibite (Fratelli Frilli Editori, 2018), proseguito con Destini in fumo (Fratelli Frilli Editori, 2019) e Ventimiglia riviera dei fuochi (Fratelli Frilli Editori, 2020). Con il romanzo Delitto al Festival di Sanremo (Fratelli Frilli Editori, 2021 – Premio speciale Giallo & noir della 44° edizione del Premio letterario “Santa Margherita Ligure – Franco Delpino”) ha avviato il ciclo seriale delle indagini del commissario Francesco Orengo, di cui questo libro rappresenta il seguito. Alcuni racconti dedicati ai suoi personaggi seriali sono stati pubblicati nelle antologie Una finestra sul noir (Fratelli Frilli Editori, 2017), 44 gatti in noir (Fratelli Frilli Editori, 2018), Tutti i sapori del noir (Fratelli Frilli Editori, 2019), I luoghi del noir (Fratelli Frilli Editori, 2020) e Odio e amore in noir (Fratelli Frilli Editori, 2021), tutti curati da Armando d’Amaro, in ricordo dell’editore Marco Frilli.
LinguaItaliano
Data di uscita28 feb 2022
ISBN9788869435959
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    Lo smemorato di Sanremo - Achille Maccapani

    1

    Dalla finestra della camera da letto scorgo la piccola sagoma di un uomo che si è appena allontanato. Ha un passo lento, davvero non ricordo di averlo mai visto. Eppure mezz’ora fa quel signore ha chiesto di incontrarmi.

    Mi ha informato subito una delle infermiere, Lierka, premurosa e attenta, dicendo sottovoce: «Stia qui, non si muova. Quel tizio non ci piace affatto. È meglio tenerla al sicuro.»

    Da che cosa volessero salvaguardarmi, a pensarci bene, non l’ho proprio capito. Eppure nessuno mi aveva mai preannunciato quella visita. Nemmeno per via diretta.

    Da quando sono arrivato, infatti, in questa residenza, nel cuore delle colline dell’entroterra della Valle Armea, è iniziato uno strano cambiamento. A partire dalle abitudini.

    Tutto è iniziato dal telefonino, nuovo di zecca, con pochi e semplici comandi. E un numero diverso. Così, mi diceva Mariù, potevo avere meno fastidi, meno disturbi, e non avere tra i piedi tutti quei grattacapi legati alla vita lavorativa. Intensa, stressante, fino all’esagerazione.

    Quindi non c’è più alcun rischio che qualche rompicoglioni voglia cercarmi. Non capisco allora come abbia fatto quel signore, che è appena andato via, e di cui non vedo più la sagoma dalla parte terminale della lunga strada sulla quale si affaccia la finestra, a salire fino a qui, a cercare proprio me.

    Mai dare retta agli sconosciuti, mi dicevano sempre. Ed è proprio così, se ci penso bene.

    Intanto bussano alla porta della stanza. Mi alzo in piedi dalla sedia, raggiungo l’ingresso e apro. È ancora Lierka.

    Bella, sorridente, camice bianco. «Tutto a posto, signore. È andato via, non torna più.»

    La ringrazio e le domando: «C’è qualcosa prima di cena? Che so, viene l’animatrice?»

    La donna scuote la testa. «Domani pomeriggio, se ne è dimenticato? Viene tutti i venerdì, glielo ripeto sempre» dice e si allontana salutandomi con la mano alzata. Scende lungo la piccola scalinata, a fianco dell’ascensore, diretta verso il piano terra. Davvero carina, a pensarci bene. Forse anche più della mia Mariù.

    Sospiro. Chiudo la porta. Mi avvicino al tavolino a fianco del letto e cerco il telecomando. Tra poco ci saranno le notizie di cronaca, così mi distraggo un po’.

    Avrei tanta voglia di concedermi una passeggiata. Di uscire da questa struttura che conosco come le mie tasche, forse anche meglio. L’ho girata in lungo e in largo, da quando mi trovo qui. Non so ancora per quanto tempo dovrò restarci, se è vero quanto mi diceva Mariù, che si sarebbe trattato di alcune settimane di riposo. Poi trasformatesi in un mese, due, tre…

    Il medico che mi segue viene regolarmente a visitarmi, non ricordo ogni quanto tempo. Però me lo ritrovo sempre, senza preavviso, subito dopo la colazione. Mi controlla, esamina la pressione, verifica ogni parte del corpo. E conclude dicendomi che dovrò ancora restare in questo albergo per anziani per un po’ di tempo.

    All’inizio reagivo in modo negativo, mi sarebbe piaciuto scendere, tornare a casa. Invece niente. Questo medico, con toni forti, ogni volta continua a dirmi che tutto questo è per il mio bene. Ormai sono abituato a restare qui. Forse anche un po’ rassegnato,

    Accendo dunque un canale tv di notizie. Mi siedo, regolo il volume col telecomando e mi accomodo sulla poltrona.

    Il giornalista, vestito in giacca e cravatta, espone i fatti, presenta i servizi. I minuti scorrono via. E provo, di tanto in tanto, una sonnolenza che pare non diminuire. Percepisco il desiderio di staccare da tutto, addormentarmi, rilassarmi…

    Rieccomi.

    Mi sono appena risvegliato, dalla finestra vedo che c’è buio. In questo periodo il sole scende verso le sei di sera, è quasi inverno, le giornate sono corte e non ci sono i prolungamenti della luce naturale sulle colline piene di alberi, con quelle infinite sfumature di verde, visibili a occhio nudo.

    Non accendo la luce.

    Mi alzo dalla poltrona, sento ancora addosso l’abbiocco che mi ha travolto, quasi a sorpresa. Forse perché, con l’abitudine di svegliarci sempre alle otto di mattina, col passare delle ore della giornata, a metà pomeriggio non ce la faccio, crollo dalla stanchezza, devo riposarmi. Per forza di cose.

    Fortunatamente vivo da solo in questa stanza. Sin dal primo giorno in cui sono arrivato.

    Me le ricordo ancora adesso quelle parole.

    «Almeno potrai trovare un po’ di calma, dopo tutta questa frenesia, tutti questi problemi.»

    Me le avevi dette proprio tu, Mariù: almeno non mi sarei trovato a convivere nella stessa stanza con uno sconosciuto.

    «Devi riposare, così riuscirai a recuperare un po’ di fiato, prima di fare ritorno. Quando sarà il momento giusto.»

    Certo, un po’ di fiato. Facile a dirsi. Però, a pensarci bene, durante le prime settimane da quando mi trovo in questa località collinare, mi sono concesso lunghe dormite, piccole camminate lungo i corridoi di questa struttura. Ogni tanto da solo, qualche altra volta in compagnia di Lierka. Sempre attenta, premurosa, vicina. E soprattutto sorridente.

    Intanto mi alzo in piedi e accendo una piccola luce. Quella vicina al comodino del mio letto singolo. A quest’ora, che non so ancora quale possa essere, ma presumo siano quasi le sei di sera, e dunque manca poco alla cena, non ho bisogno di trovarmi addosso una luce esagerata, fin troppo intensa.

    Basta poter avere a disposizione la giusta luminosità, che mi permetta di raggiungere la finestra. Cerco sul polso della mano sinistra il mio orologio. Poi ricordo che l’ho tolto per qualche ora prima di concedermi una doccia. E non l’ho più rimesso.

    Getto lo sguardo verso il comodino. Trovo l’orologio proprio lì, col suo ticchettio sottilissimo, che non si ferma affatto. Vorrei scorgere a distanza quello schermo tondo, l’angolazione delle lancette. Ma non ci vedo benissimo di lontano, non ho più una vista ottimale.

    Lascio perdere, preferisco osservare quei pochi movimenti dalla finestra. La gente che passa, un paio di impiegati che escono dagli uffici del vicino palazzo comunale, sullo stesso lato della strada. Il rumore di un’auto in partenza. Le chiacchiere in dialetto di due donne, uscite dal vicino negozio di generi alimentari.

    Scorrono via i minuti, e non me ne accorgo affatto. Continuo a pensare. Ogni tanto riaffiorano ricordi di questo o quell’episodio di chissà quanti anni fa. Ma sono attimi parziali, momenti isolati, oltre non si sviluppa alcunché nella mia mente. Vorrei andare più in là, ricostruire quel che mi manca.

    Ma non ci riesco.

    Mi blocco, metto le mani attorno alla testa.

    Cerco di calmarmi, di ritrovare quei punti fermi necessari a tornare ad essere sereno.

    Provo a riprendere fiato. A contare mentalmente. Uno, due, tre, quattro…

    Hanno bussato alla porta.

    Riconosco la voce di Lierka. Sempre lei.

    Mi sono nuovamente addormentato. Sarà forse l’effetto di quelle medicine che continuo a prendere prima dei pasti, chissà. Pastiglie dai nomi strani e incomprensibili.

    Tutto secondo le indicazioni del medico della residenza. E va bene, le prendo.

    Me le ha appena portate proprio Lierka.

    «Devi ingerirle, una dopo l’altra. E prendere questo bicchiere d’acqua.»

    Sono quattro caramelle. Ormai le tratto così, anche se hanno un gusto orribile. Le mando giù senza pensarci più di tanto. Poi bevo. Tutto va via, pochi attimi ed è fatta. Per stavolta va così, anche se ogni tanto non prendo quelle pillole.

    «Tra un quarto d’ora si va a cena. Sei pronto?» mi dice.

    Le faccio un cenno favorevole. «Prima devo andare un attimo in bagno, mi aspetti?»

    Non le lascio il tempo di rispondere, mi dirigo verso la toilette. In questa camera singola ho pure il bagno apposta per me. Altri ospiti dormono in compagnia, e non sempre col bagno in camera. Ci sono infatti le toilette in corridoio, e ogni tanto li sento camminare nelle ore della notte per fare pipì.

    Classiche situazioni di noi vecchietti, si sa. Con l’età, dobbiamo fare i conti con i problemi della prostata. Proprio come adesso. Una bella pisciata è salutare, ti liberi di tutto, e stai meglio di prima.

    Finisco in pochi attimi, mi rivesto. Mi lavo le mani ed esco dalla toilette.

    Lierka è ancora lì, puntuale, ad aspettarmi. Mi sorride.

    «Lo sai che stasera c’è un bel menu?» mi dice di scatto.

    «Il solito brodino con la pasta sottile?» rispondo con voce divertita. «O lo chef ha fatto qualcosa di diverso?»

    «Tortellini in brodo e vitello tonnato con i capperi. Per concludere, torta di crema pasticciera col limone.»

    Mi dirigo verso l’armadio e cerco un gilet da indossare, per non prendere freddo dopo la cena. Alle ventuno, lo so con certezza, spengono il riscaldamento. E se non ci si cautela, sono dolori. Secondo me, lo fanno apposta per spingerci tutti ad andare a nanna.

    Lierka non mi dice altro. Lascia che io scelga il gilet giusto. Ne trovo uno, colore grigio. Tanto chi se ne importa, uno vale l’altro. Lo afferro e lo indosso. Mi guardo attraverso lo specchio sull’anta dell’armadio. Sì, sto proprio bene.

    Certo, non sono più un ragazzino. Ho qualche acciacco, la memoria mi dà più di un problema. Ma va bene così, e se ci fosse Mariù a decidere di riportarmi a casa, una volta che avrò terminato la cura, questo periodo di riposo sarà terminato.

    Mi volto verso Lierka. Sono pronto. La seguo, chiudo a chiave la porta della camera e insieme ci avviamo verso la scalinata.

    2

    «Tutta questa roba finisce in lavatrice. Ci vorranno almeno due carichi, ma ce la caviamo veloci» commenta sbuffando Martina, mentre raccoglie in un angolo del letto matrimoniale camicie, pantaloni, calze e tutto il resto, per metterlo in un angolo del trolley.

    «Appena torniamo a Casté, ovvio» aggiunge la donna rivolgendosi a Francesco. L’uomo finisce di vestirsi e si abbottona la camicia, prima di indossare un maglione grigio.

    «Ho capito» le risponde Orengo, appena avvicinatosi alla compagna. «Vorrà dire che la settimana prossima facciamo un salto al centro commerciale di Taggia per comprare qualche elettrodomestico decente. Anche una lavastoviglie, non trovi?»

    «Idea saggia, Franci» ribatte la giovane castelluzza, mentre richiude la valigia con le rotelle e la appoggia a terra. «Ma adesso pensiamo a fare colazione che è meglio.»

    Pochi minuti dopo, i due si ritrovano in cucina alle prese col caffè e i biscotti. Seduti l’uno di fronte all’altra.

    «Sai una cosa?» gli dice la donna. «Penso di fare qualche piccola verifica, assieme ad alcune mie amiche, per cercare un posto adatto in questa città.»

    «Per fare cosa?»

    «Non so. Un negozio, una paninoteca, una trattoria. Qualcosa che possa collegare i nostri prodotti del territorio a questa località turistica. Tutti arrivano a Sanremo, da ogni parte del mondo. Vero o no? E perché non proporre qualcosa di particolare anche qui?»

    Il commissario Orengo finisce di bere il caffè e, ascoltando le parole della sua bella, annuisce con la testa. «Da queste parti, credo, i muri in affitto costano parecchio.»

    «Ovvio» ribatte Martina. «Appena capiscono che non sono del posto, immagino vorranno cercare di tirare sul prezzo. Le locazioni commerciali sono carissime. Comunque vedremo.»

    Francesco finisce di gustare l’ultimo biscotto, quindi afferra tazzine e cucchiaini per lavarli subito. «A proposito di nuovi negozi, ho sentito parlare di un nuovo bar ristorante, che sembra andare molto tra i giovani. Conosci il Music & Lights in Corso Matteotti? Lo hanno inaugurato qualche settimana fa, chissà cosa avranno speso tra arredi e affitti.»

    «Proprio ieri me ne accennava Emma, un’amica di Bordighera, ex compagna di classe» risponde Martina. «Se vuoi, mi informo.»

    Orengo scuote la testa. «Non serve, era solo per curiosità. Adesso vado. Devo vedermi con Canevari e la squadra. Facciamo il punto sulla notte scorsa e sui piccoli fatti criminali, così da poter aggiornare il mattinale. Certo è che Di Leva non vuole proprio arrendersi contro di me.»

    «Appunto. Ma non dovevano trasferire quel bastardo che ti sta sempre alle calcagna?» chiede Martina.

    «Hai detto bene: dovevano. Peccato solo che si è affidato a un potentissimo avvocato di Roma, che pochi anni fa è riuscito a far assolvere certi politici inguaiati con la criminalità organizzata. Così al Viminale se la fanno sotto. Comunque andiamo avanti, questo signore non se la caverà come se nulla fosse accaduto. Né lui né tantomeno Olivieri, quel giornalista prezzolato.»

    «Ah, sì! L’uomo dello scoop dei fantasmi delle scimmie che giravano a Grimaldi!¹» esclama divertita la Rebaudo. «Ma posso darti un consiglio? Fottitene e vai avanti, come hai sempre fatto.»

    Francesco si blocca per qualche attimo, osserva Marti. E le sorride.

    «Sai che ti dico? Che hai proprio ragione» dice, mentre la saluta con la mano destra e si dirige verso la porta di casa.

    Dieci minuti dopo, Orengo è nel suo ufficio. A fianco di Canevari.

    «Dottore, ha ricominciato il questore a romperle le scatole?» gli domanda l’ispettore capo.

    «Per ora no. Freddo e gelido come una scatola di cubetti di ghiaccio» risponde il commissario, intento a sfogliare la bozza del mattinale. «Per il resto, siamo tornati alla piena normalità. Nulla di eclatante. A parte un paio di effrazioni alle auto.»

    Dario scuote la testa. «Purtroppo siamo alla frutta. Ti spaccano un vetro laterale, così da entrare nell’abitacolo, aprire il bagagliaio e portare via la batteria. Ma si può arrivare fino a questo punto?»

    «C’è tanta povertà in giro, anche a Sanremo. Ecco il problema» soggiunge il commissario.

    Si alza in piedi dalla scrivania e fa cenno al suo diretto collaboratore di uscire insieme.

    «Ma dove andiamo? Siamo già in pausa caffè?»

    «No» risponde Orengo. «Più tardi. Sentiamo Trucchi e la Battarelli, magari ci sono altre informazioni. Non si sa mai. Piuttosto, non ho ancora letto le pagine locali dei quotidiani.»

    «Nulla di speciale» dice Canevari, a fianco del commissario, mentre percorrono il corridoio. «A parte l’udienza del tribunale del riesame, che ha respinto le richieste di scarcerazione per i due colpevoli del delitto all’Ariston, vale a dire Palmieri e Troccoli².»

    «Già, il gatto e la volpe» soggiunge ridacchiando Francesco, prima di aprire la porta di accesso alla grande stanza con i tavoli e i computer.

    «Ah, eccola dottore» dice salutandolo la sovrintendente.

    Il commissario ricambia facendo l’okay col pollice alzato e il pugno serrato della destra, quindi si siede vicino ai poliziotti. «Novità in arrivo? Dall’ufficio denunce nulla di speciale? A parte le batterie rubate la notte scorsa, intendo dire.»

    Linda sfoglia alcune carte, poi: «Siamo in pieno inizio di primavera, si scorgono le seconde case riempite da proprietari o affittuari, così si riducono i furti dei ladri di appartamenti. Si torna a vedere più gente in città. Non ha notato, dottore, quanti sportivi percorrono la pista ciclabile in questi ultimi giorni? Mi sembra un buon segnale per il turismo a Sanremo.»

    «Sul fronte del Casinò, invece, ci sono problemi?» domanda Orengo a Trucchi.

    «Dai rapporti periodici inviati dal corpo dei controllori comunali, pare proprio di no» dice Simone. «Con tutte quelle telecamere inserite nelle sale da gioco, chi vuol fare il furbo sta alla larga. I problemi sono altri. Soprattutto le persone che gravitano attorno al Casinò, a partire dagli usurai…»

    «Di questo parleremo a tempo debito» conclude il commissario, che termina di correggere la bozza del mattinale, per consegnarla a Linda. «Poche correzioni, per il resto va bene. Così la firmo.»

    La sovrintendente afferra i fogli e si mette al lavoro davanti al PC per riaggiornare la relazione. Una decina di minuti è sufficiente per riavere le pagine ancora calde, uscite dalla stampante di rete, pronte per la firma del commissario, la scansione finale e l’invio al questore.

    Pochi minuti dopo squilla il telefono sulla scrivania. Dario afferra la cornetta. «Pronto? Oh, dottore. Sì, è qui. Glielo passo, prego.»

    La allunga al commissario.

    «È Di Leva» gli dice sottovoce.

    Francesco si concede un respiro e afferra il telefono.

    «Dottore, buongiorno.»

    «Orengo, mi aspettavo che fosse lei a chiamarmi la mattina presto per un aggiornamento sulla situazione. Devo leggere sul sito di Ponentenews le notizie sui ladri di batterie auto dalle parti della Foce? A meno che non vogliate spedirmi il mattinale nel tardo pomeriggio…»

    «Veramente il mattinale è nella sua casella di posta elettronica, dottore» risponde il commissario.

    «Ah, ecco. Adesso lo vedo. Va bene. Eventualmente ci riaggiorniamo. Mi raccomando» conclude, prima di interrompere la chiamata. Senza neppure un saluto.

    Francesco restituisce la cornetta a Canevari. «Grazie» le dice, prima di alzarsi in piedi.

    «Torna a casa?» gli domanda sottovoce l’ispettore capo.

    «Sì, parto con Martina. E ci aggiorniamo come al solito. Chiamami subito, se ci sono problemi. Non farti scrupoli, d’accordo?»

    Verso le dodici e un quarto, Francesco è appena uscito dal casello autostradale di Bordighera, e percorre la strada in discesa. Diretta verso la strada romana, parallela all’Aurelia, contornata da ville, palazzi liberty e grandi strutture alberghiere riconvertite in complessi condominiali di prestigio.

    «Almeno arriviamo alla svelta» dice a Martina, seduta al suo fianco.

    «Se sei d’accordo, facciamo un salto ad uno dei supermercati nel quartiere delle Braie. Così ci riforniamo per i prossimi giorni.»

    «Sì, ma non esageriamo. Di sicuro, mia mamma ci rimpinzerà con i piatti tipici del paese. Il problema è che, oltre alle lavatrici, devo preparare i dolci. Soprattutto una quantità pazzesca di tiramisù ai marron glacé. Continua a piacere tantissimo ai clienti, sai?³» ribatte la giovane ristoratrice del Portico di Castel Vittorio.

    «Quindi dobbiamo rifornirci del necessario, giusto?» le domanda l’uomo, mentre supera il confine tra Bordighera e Vallecrosia.

    «Esatto» risponde la donna, mentre squilla il telefonino collegato all’altoparlante dell’auto.

    Sul display vicino al volante compare il nome di Canevari.

    «Pronto? Dimmi pure, Dario.»

    «Ah, mi scusi dottore. È arrivato uno strano rapporto dall’ufficio denunce. Si è presentato un signore di Milano, che in questi giorni soggiorna a Dolceacqua: non riesce ad incontrare lo zio.»

    «Ma che c’entriamo noi?» domanda

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