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Sogni di rock'n'roll
Sogni di rock'n'roll
Sogni di rock'n'roll
E-book171 pagine2 ore

Sogni di rock'n'roll

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Info su questo ebook

Alessio ha trent’anni, non ha un impiego fisso, è fidanzato con Federica di cui gli importa molto poco e vive con i genitori e Zed, un bastardino di cinquanta chili a cui piace correre in libertà senza guinzaglio. Anche Alessio vorrebbe spaziare libero, impegnarsi in qualcosa che lo appassiona come la musica e la scrittura, godersi il mare, guidare nella notte, sedersi sulla sua panchina preferita nel parco a comporre canzoni e a fantasticare su una ragazza che spesso passa proprio di lì mentre fa jogging; ma è figlio dei suoi tempi, della crisi e dei suoi sogni, in cerca di tante, troppe risposte che forse neppure esistono. Chissà se un giorno riuscirà ad aprire il suo Salotto per Intellettuali Alternativi Ebbri… per ora il vero salvagente di Alessio è la musica, quel qualcosa che lo fa alzare la mattina e affrontare gli imprevisti, le avversità, le incomprensioni in famiglia. La musica che si fa viatico di un salvacondotto verso ciò che ha sempre sperato di realizzare quando con la band in cui suona, Senso Unico, si classifica per le finali di un importante concorso musicale che potrebbe proiettare lui e i suoi tre compagni a pieno titolo nel mondo discografico.
Nel frattempo, in qualità di volontario della misericordia, accompagna Beppe, un simpatico ottantaquattrenne, in ospedale per le sue terapie. Con lui, riesce a essere se stesso, senza bisogno di indossare alcuna maschera, l’unico a capirlo o meglio l’unico che lo ascolta. Alessio si sente, infatti, estraneo al mondo che lo circonda, anche agli amici di lunga data, diventati lontani parenti di quei ragazzi con cui ha passato serate indimenticabili da adolescente. Una vita come tante altre, la sua forse, certamente specchio di una generazione in dissonanza che l’autore ha ben fotografato con un linguaggio fresco e una attenta analisi psicologica.
LinguaItaliano
Data di uscita15 nov 2018
ISBN9788832923131
Sogni di rock'n'roll

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    Anteprima del libro

    Sogni di rock'n'roll - Andrea Calugi

    1963

    1

    Martedì nove maggio

    Grande serata anche questa! Buonanotte ragazzi! ci saluta Andrea.

    Menomale ci siete voi che ci sopportate e supportate tutte le volte, gli rispondo.

    Anche questo concerto se n’è andato. L’ennesimo. Non ricordo il numero esatto ma credo sia intorno ai settanta o forse settantacinque in cinque anni. Qui al Red Pub ormai siamo di casa, ci conoscono tutti.

    Che palle, ora dobbiamo smontare tutto e in fretta. Ma non ne ho proprio voglia. Dopo oltre due ore di musica, tra bis, cazzate e improvvisazioni varie, voglio riposarmi un attimo. Gli altri tre si sono già messi in azione, forse devono scappare immediatamente. Sono quasi le due. Domani si alzeranno sicuramente presto per andare a lavoro... Loro. Io da buon disoccupato posso permettermi di fare anche tardi. Mi stanno guardando con occhi minacciosi e pieni di odio; potessero mi salterebbero addosso brandendo sedie e tavoli. Okay, li aiuto.

    Allora, com’è andata secondo voi? lo chiedo ogni volta, a fine serata.

    Come sempre, non male... Al solito, il primo a rispondere è Stefano. Non potrebbe essere altrimenti, è il nostro chitarrista e frontman e quindi il più esposto.

    Io sono contento, mi sembra che la gente si sia divertita... Emanuele risponde sempre con questa frase quando la serata va bene. In caso negativo invece usa insomma, non siamo riusciti a coinvolgere il pubblico. Preciso e ripetitivo come il suo infallibile basso. Che poi, per pubblico , si deve intendere il gruppo di amici che tutte le volte ci segue nelle nostre esibizioni nei vari pub della zona. Il nostro pubblico è quindi formato per il novanta per cento da queste persone e il restante dieci, da tutti coloro che passano di lì per caso o dai clienti abituali del posto. Ogni tanto riusciamo a raccattare qualche ammiratore nuovo. Per me, la cosa più importante. Non a caso vorrei che le proporzioni fossero invertite o quantomeno più vicine tra loro. Chissà che in futuro non sia così.

    Luca aggrotta le sopracciglia e alza il labbro inferiore come per dire non ci lamentiamo, è andata discretamente. È un tipo piuttosto silenzioso, che contrasta un po’ con il suo ruolo di batterista, la figura del casinista per eccellenza.

    Io non esprimo il mio giudizio. Per me è sufficiente suonare in giro, quella è la cosa più importante. Quella è la mia soddisfazione, la mia benzina preferita. Sono sempre contento quando suoniamo; se poi lo è anche chi mi viene ad ascoltare tanto meglio. Non a caso, gli altri del gruppo, dopo le prime due o tre uscite, hanno smesso di chiedermi il parere sulla serata. Conoscono già la mia risposta.

    Bene, credo di aver messo tutto al suo posto. In meno di mezz’ora mi sono tolto questo brutto pensiero. È la cosa che odio di più in assoluto. Invidio i grandi cantanti o le band famose; hanno uno staff che monta e smonta tutto per loro. È la parte più brutta di queste serate. Preparare non è mai un peso, perché sei carico, sei pieno di aspettative, hai la testa già alla serata che ti attende. Poi l’esibizione vola in un momento e ti ritrovi magicamente a dover togliere ogni cosa di mezzo, con la sensazione che il tempo te lo abbia rubato e vissuto qualcuno al tuo posto. È incredibile come certe volte le ore durino attimi. Come lampi, flash che fai quasi fatica a ricordare.

    Fortunatamente qualcuno è rimasto per fare due chiacchiere.

    Ragazzacci che ci fate ancora qui a bere, a quest’ora? Siete vecchi, dovreste essere già a letto da un pezzo...

    Stavamo giusto parlando di te Alessio, e di quanto sei scemo quando sei sopra quella pedana. Ti bastano venti centimetri e ti sei già montato la testa, mi accoglie ironico Massimo.

    Ringraziami piuttosto, se non ci fosse il sottoscritto da offendere per una serata intera, non usciresti nemmeno di casa. Ingrato!

    Ah ah ah! Devo ammettere che è sempre un piacere.

    Sei il capo branco; tu cominci e poi tutti gli altri ti seguono, come pecore, replico sorridendo in faccia al resto della compagnia. Confesso che avere amici tra le persone che vengono ad ascoltarmi, mi rassicura molto, mi rende meno agitato. Conoscendo molta gente tra quella che ho di fronte, mi sento più sciolto, ho la battuta facile, sono più me stesso e anche loro si sentono partecipi di questo piccolo spettacolo. Perché alla fine, con i loro sfottò e con i loro urli, anche gli amici giù dal palco sono in un certo senso protagonisti della serata. Fanno parte dello show, delle coreografie. Sono il nostro amplificatore. Se noi (come band) ci divertiamo, riflettiamo tutto su di loro e di conseguenza tutti se la spassano.

    Noi andiamo verso casa. Ci sentiamo presto, buonanotte!

    Buonanotte e grazie di essere venuti ragazzi!

    Di niente. Ecco, adesso sono rimasto praticamente solo, se si escludono alcuni clienti che non conosco. Un’ultima birra e me ne vado anche io. Domani mattina alle dieci ho un colloquio con un’agenzia interinale in culo al mondo; speriamo porti qualcosa di buono.

    Chissà se riuscirò a prendere sonno. È una di quelle sere in cui è veramente un peccato andare a letto. Mi capita ogni sera dopo un nostro concerto ben riuscito, dopo un concerto di qualcun altro per cui ho un debole, dopo una bella serata passata con una ragazza o con gli amici storici. Sono quelle sere che sogni da una vita, che attendi con ansia, che vorresti non finissero mai. Come si fa ad andare a dormire? Mi dà l’impressione di buttare via il mio tempo. È uno spreco, un peccato, una bestemmia alla vita, alla felicità. Andare a letto significa separarsi da quell’emozione. Quando ti risvegli non è più come l’hai lasciata la sera prima. Anzi, spesso non la ritrovi più lì ad aspettarti.

    2

    Mercoledì dieci maggio

    Buongiorno sono Alessio Moretti, sono passato un annetto fa circa per lasciarvi il mio curriculum e mi avete chiamato ieri per fare un colloquio. Presentazione essenziale e abbastanza valida per essere identificato.

    Sì, buongiorno. Io sono Roberta. Ti abbiamo chiamato per fare un attimo il punto della tua situazione, per sapere se lavori, se hai fatto altre esperienze in questo periodo e per aggiornare i tuoi dati.

    Ah! Quindi non ci sono colloqui da fare con delle aziende o prospettive di assunzione?

    Al momento no, è solo una chiacchierata molto utile per noi, per aggiornare il tuo profilo ed essere più efficaci in futuro nel caso di richieste da parte di eventuali aziende.

    Fermi tutti! Cioè, fammi capire. Mi hai fatto alzare alle otto di mattina, mi hai fatto prendere la macchina (con conseguenti spese per la benzina) per fare quasi cinquanta chilometri tra andata e ritorno, mi hai fatto sperare e spargere la voce in famiglia per una possibile assunzione (anche a tempo determinato), per niente? Chi cazzo glielo spiega poi in casa che il colloquio non era per un lavoro ma per un semplice aggiornamento dati? Penseranno subito invece che ho rifiutato un lavoro che non mi piaceva! Ma soprattutto, vai a farti fottere! Tu un lavoro e uno stipendio ce l’hai, io no, quindi per quale schifosissimo motivo mi fai spendere soldi e perdere tempo per una trasferta inutile (perché l’indirizzo lo vedi e dove abito lo sai brutta puttana!)? Potevamo fare tutto per telefono, in cinque minuti, veloce e indolore per entrambi. Per tua fortuna sto solo parlando tra me e me, ma la tentazione di sputarti tutto addosso è grande. Enorme.

    Purtroppo non credo in quel progetto chiamato lavoro. È una di quelle cose in cui non regna la giustizia. In cui il merito e le ricompense non vanno di pari passo. Forse se ci fosse riconoscenza e onestà, mi dedicherei con più passione al lavoro, ma purtroppo non è così. Soprattutto vedo il brutto effetto che ha sugli altri. Rende le persone tristi, affrante, agitate. Sono sempre in carenza di ossigeno, sembrano in apnea, vicine al soffocamento. Guardando i miei amici, sembra una malattia ed è strano, dal momento che si sono affannati tanto nel cercarsene uno. Probabilmente gli si è attaccato addosso e non se ne va nemmeno una volta timbrata l’uscita da lavoro. Non riescono a godersi quello che fanno, a capire ciò che vogliono veramente. Anche mentre fanno altro, continuano a pensare al lavoro. Spesso, quest’ultimo, riesce anche a divorare le passioni che ognuno di loro ha. È una melma che si allarga lentamente e che divora ogni desiderio o attrazione. Con me non attacca, forse perché spero di far coincidere passioni e lavoro, forse perché nella mia gerarchia, il lavoro non ricopre il primo posto. A dire la verità, è molto distante dalle prime posizioni. Forse perché per me la vita è altro. Altro che non sia lavorare per comprare una macchina per andare a lavoro.

    Bisognerebbe che ognuno facesse un lavoro che gli piace, che lo appassiona. Solo in questo modo avrebbe un effetto molto meno devastante sulle persone. Sarebbe meno stressante e non ci sarebbe bisogno di capi reparto assillanti a mettere pressione. Ci sarebbe la coscienza a fare da superiore, da supervisore. Una persona che svolge un lavoro per cui ha passione non lo fa mai grossolanamente e con l’intento di finire il prima possibile, ma lo fa con precisione.

    Altri due minuti in quell’ufficio e avrei fatto una strage; certe cose mi fanno veramente impazzire. Con quale faccia angelica e innocente mi parlava poi! Meglio non pensarci più. Mi concedo il lusso di fare colazione al bar, ormai oggi è giornata di spese (abbastanza inutili mi permetto di aggiungere). Se non ricordo male, saranno due anni che non faccio colazione fuori casa.

    Quasi quasi entro qui, tanto un bar vale l’altro... Pazzesco! È passato talmente tanto tempo da quell’ultima volta che non ricordavo più neppure gli odori, i profumi e il calore che si respirano in questi ambienti. Mi fa ritornare alla mente le domeniche mattine da bambino, quando con mio padre andavamo a fare colazione al bar, prima della messa. Sembra incredibile, ma quando hai due euro in tasca, ti sembra una gran cosa anche fare colazione al bar. Tra l’altro, guardando i prezzi, ho notato che i miei due euro potrebbero non bastare.

    Forse se entro in casa e faccio l’indifferente, nessuno mi chiede niente del colloquio. Devo solo cercare di deviare la conversazione su qualcos’altro. Magari partendo per primo a parlare...

    Allora com’è andata? Okay, il mio piano ingegnoso è già andato a puttane. Mi stava praticamente aspettando al varco.

    Niente di nuovo mamma, mi hanno fatto andare fin là per aggiornare il loro database di ’sta minchia...

    Ma come? Non potevi farlo per telefono? Eccola che infila il dito nella ferita. Manteniamo la calma...

    È quello che ho pensato anche io quando me l’hanno detto, ma ormai avevo già fatto il viaggio... Guarda non mi far parlare, la voglia di inserire quella sua testolina nel monitor del computer è stata forte, specialmente quando me l’ha detto con quel sorrisino ingenuo del cazzo!

    Speriamo bene Alessio, non puoi continuare così, a stare a casa e senza lavoro per molto ancora.

    Lo so mamma, cazzo! Non dipende solo da me; se il lavoro non c’è non lo posso certo inventare! E in quelle poche opportunità che ci sono, lo sai, cercano persone con esperienza. Ma se non si ha mai la possibilità di lavorare e di imparare come cazzo facciamo ad acquisire dell’esperienza? Bel modo di formare personale e di progettare il futuro, sì. Voglio sapere come faranno quando saranno finite le scorte di lavoratori con esperienza. Queste discussioni sono quelle che più mi danno sui nervi. Non le sopporto. Sono appena rientrato in casa che già vorrei riuscirne. Sicuramente, dopo pranzo, andrò a fare un giro al parco. Solitamente mi rilassa, mi fa sbollire tutta la rabbia, ma soprattutto sono solo, e quando sono da solo, non litigo mai con nessuno. E questa è la cosa fondamentale. Porterò come sempre il mio quaderno verde, su cui spesso appunto le mie riflessioni che circolano confuse nella mia testa. Sono come mosche che volano senza un senso da un pensiero all’altro e che certe volte si trasformano nei testi delle canzoni che suono con gli altri.

    Mettiti a tavola che mangiamo.

    Okay mamma.

    Capitano spesso queste discussioni sul lavoro che non ho e sul mio futuro. Specialmente con mio padre. Sono sfiancanti, stressanti, avvilenti. Sembra quasi che io eviti il lavoro e che la realtà abbondi di offerte. Tra me e mio padre c’è il classico rapporto un po’ freddo che esclude apprezzamenti, scambi di affetti e quant’altro. C’è quel rapporto bastardo caratterizzato dalla competizione, dalle aspettative, dai paragoni che spesso bloccano le emozioni. Tutte cose non dette ma che si sentono nell’aria. Si avverte benissimo la loro presenza ogni volta che abbiamo uno scontro. Lui ha fatto questo, quello e quell’altro. Io invece no, non ho fatto niente. Da me ci si aspettava che facessi almeno quanto ha fatto lui, se non di più. Invece non ho neppure cominciato a fare qualcosa. Ho solo deluso. Il mio sogno sarebbe quello di fare il musicista, o quantomeno lo scrittore di canzoni, il paroliere. Ma se dicessi questo, non verrei capito. Verrei deriso. Mi direbbe che non ho più quindici anni. E nemmeno venti. Mi direbbe trovati un lavoro vero! Ma io, un lavoro vero,

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