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Cinque Giorni ...Tante Vite
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E-book180 pagine2 ore

Cinque Giorni ...Tante Vite

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Info su questo ebook

Una storia avvincente la cui narrazione è affidata ad una parola che corre sul ritmo di un dialogo incalzante.

Protagonista assoluto è l’Amore, capace di entrare ed uscire da ogni confine spazio-temporale e trapassare ogni pregiudizio, persino quello della morte.
La narrazione si sviluppa in un tempo ordinario, che va dai 5 giorni della fase iniziale ai 55 anni dopo, ma fa presagire anche una continuità ulteriore.

Un Amore per sempre, quindi, sorprendente come una favola, che mostra la vita dapprima come una Cenerentola umiliata e poi come una Principessa liberata.
E tutto dipende dallo sguardo di chi legge la storia, non solo del romanzo, ma della sua stessa vita. Se poi il lettore ci crede o no, alla favola, poco importa. In ogni caso, sia seme o tarlo, la parola resta dentro come un’ape che ronza: e se davvero fosse così?

RECENSIONI

Due giovani s’incontrano in una Bologna universitaria e goliardica, due anime si riconoscono e si amano nella dimensione universale dello spirito. Il loro amore non conosce limiti né confini, nemmeno quello della morte, travalicata da mille segni di presenza che l’amato lascia nello scorrere quotidiano della vita dell’amante.
È l’iperbole letteraria di Rita Armanda Bigi che prende il volo, ci innalza e ci porta tanto in alto fino a stordirci, fino a dispiegare un paio d’ali.
Eleonora, scrittrice

L’amore di una donna di confine, ai limiti della realtà. Un desiderio che va oltre ogni ostacolo, di spazio e di tempo, perché, nonostante tutto, non esiste distanza che l’amore non riesca a percorrere.
Manuel, studente del liceo classico

*** Chi è l’autrice?

Rita Armanda Bigi, insegnante per vocazione, ha introdotto nella scuola dell’obbligo, a partire dagli anni ’80, le tecniche della meditazione come strumenti didattici indispensabili per velocizzare e ottimizzare sia il livello del profitto cognitivo sia il percorso educativo e creativo.

Le sue innovazioni metodologiche permettono la realizzazione di laboratori di scrittura creativa meditativa a cui tutti, contemporaneamente, possono partecipare senza vincoli anagrafici o culturali, proponendo una nuova tipologia di scuola libera e senza classi.

Si è occupata della formazione dei docenti di ogni ordine e grado finalizzata alla competenza emotiva con progetti autorizzati dal Provveditorato agli Studi di Ancona ed ha lavorato su invito delle scuole, organizzando in orari scolastici laboratori di scrittura con la partecipazione di alunni e docenti interessati all'apprendimento creativo.

Praticante di yoga e meditazione, è guida MPA (Meditazione Profonda e Autoconoscenza) per ragazzi e organizza anche per gli adulti eventi finalizzati alla conoscenza di sé attraverso l’incontro con gli altri.

Molto apprezzate, anche in ambito extraeuropeo, le sue conferenze sull’Infinito di Leopardi.

Vive ed opera ad Ancona, sua città natale.

Pubblicazioni:

Il segno e il senso, un itinerario linguistico-creativo promosso e stampato dalla Regione Marche;

Io respiro Tu respiri Noi ci ispiriamo, scritto con la collaborazione della psicoterapeuta Marzia Pileri, edito in seconda edizione da Italic Pequod. Il libro è stato segnalato con menzione di merito al Concorso Letterario Città di Grottammare 2018, presidente Franco Loi;

Sette storie di confine, Edizioni BookSprint, 2018. I sette racconti rappresentano i livelli di coscienza da percorrere nella scalata evolutiva dell’uomo.
LinguaItaliano
Data di uscita30 lug 2018
ISBN9788828366614
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    Anteprima del libro

    Cinque Giorni ...Tante Vite - Rita Armanda Bigi

    2015

    CAPITOLO I

    Bologna, 2 febbraio 1962

    Primo giorno

    L’incontro

    A Bologna per gli esami della sessione invernale consumo la fuggevolezza dell’attimo presente nella calca di un autobus gremito, nel precario equilibrio mio e dei libri che mi pesano sul braccio, nella spossatezza generale di un viaggio indesiderato, nella fila uniforme di monotoni portici rossi decisi a ossessionarmi lo sguardo opaco di sonno, nella prospettiva poco allettante dell'esame che di lì a poco dovrò sostenere.

    Dall’intrico ondeggiante di braccia alzate mi giunge lo sguardo e il sorriso aperto di un ragazzo che si trova più avanti. Ne registro rapidamente la fisionomia e già scompare nella ressa.

    Un ricordo, privo di contorni precisi, mi corrode la mente. Quel viso lo conosco. Frugo con insistenza caparbia nella memoria evocando immagini lontane di esperienze trascorse e relegate nel buio emotivo dell'inconscio. Finalmente una luce, scoperto il giusto angolo di riflessione, mi compone i tratti sorridenti di Gérard Blain, visto e amato anni prima in alcuni film. Mi distendo soddisfatta. Quel ragazzo assomiglia a Gérard Blain. Chissà, mi dico, magari è proprio lui in persona! Nella puerile dolcezza che il ricordo mi ha procurato dimentico Bologna, la stanchezza, l’esame.

    Sorrido al pensiero che un giorno mio padre, a Roma per un congresso, salutò Mastroianni scambiandolo per uno dei colleghi di lavoro appena conosciuti. Del resto quel viso non gli era nuovo!

    A Piazza Maggiore scendo. Controllo l’ora. È presto ancora. Mi guardo attorno: sulla strada un traffico convulso e sotto i portici un viavai frettoloso di gente che si reca al lavoro.

    La frenesia delle prime ore del mattino di solito è per me una iniezione di euforia, ma oggi mi manca la grinta necessaria per affrontare il dinamismo del giorno nuovo e riesco solo a sentirmi stordita.

    Le commesse, le impiegate, le studentesse, tutto un mondo femminile che mi ruota attorno, mi sfiorano, mi superano e tacchettano con energia decisa alla conquista del prossimo minuto. Mentre gli uomini sembrano quasi non esserci, le donne sembrano avere in mano le sorti del nuovo giorno.

    Invidio la loro sicurezza spavalda, l’eleganza sportiva degli abiti indossati con trascuratezza sofisticata, il perfetto maquillage del volto, la loro prospettiva di un giorno diverso, pieno, promettente. Nello specchio di un negozio di abbigliamento mi metto a confronto: viso terreo, arido, disfatto. Anche il cappotto, che credevo carino, una redingote pied de poule, smuore umiliato. Già, nel mio giorno bolognese c'è solo un esame e poi… un immenso vuoto.

    All’università m’infilo in un pertugio malamente illuminato. Ai lati corrono tristi porte una delle quali si aprirà per me, sulle pareti svolazzano al minimo soffio mille chiassosi fogli di programmi, di orari, di lezioni e di esami.

    Con un colpo di fortuna riesco a conquistarmi una sedia, ce ne sono quattro in tutto e già siamo più di venti, mi ci piazzo sopra e mi preparo alla lunga attesa. Sarò chiamata fra gli ultimi.

    Ogni volta che una porta si spalanca per fare uscire, a prova finita, un candidato, le voci si alzano frenetiche, si mescolano, si soffocano una sull’altra con la violenza dell’aggressione, s’ammassano, diventano un frastuono senza più parole.

    A mezzogiorno sono fuori. Esausta, delusa, ma infinitamente leggera. Cerco di ripulirmi la bocca dal sapore acre dell'esame con il frutto, tutto leopardiano, appena staccato dall'albero della Quiete dopo la tempesta. È il massimo che mi posso permettere. Accantonate così frustrazione e ansietà represse, mi dispongo a festeggiare il mio attimo di sollievo con insalata di riso, uova farcite di maionese e coppa di panna.

    Alla tavola calda i posti sono occupati, esamino rapidamente i piatti serviti per misurare il tempo d’attesa più breve e m’imbatto nel profilo di Gérard Blain. La stessa euforia del mattino e la leggera speranza istintiva di un buon auspicio.

    Lui stesso, come sull’autobus, si gira, mi vede e mi sorride.

    «Lascio il mio posto!» dice e indica il tavolo.

    Lo vedo prendere lo scontrino rosso del conto e d'improvviso il quadro davanti a me s’offusca, s’incrina, si spezza in mille frammenti dolorosi.

    Con la destrezza di un prestigiatore Gérard Blain fa comparire dal niente una gruccia logora, se la mette sotto l’ascella e s’avvia veloce verso la cassa con una patetica gamba che penzola nel vuoto in una grottesca danza scomposta.

    La cameriera per due volte deve chiedermi l'ordinazione.

    «Un toast e una birra» ordino senza entusiasmo.

    L'allegria di un peccato di gola s'è subito spenta nella delusione degli occhi, nell'amarezza greve della sofferenza.

    A rallentare il rientro a casa dei miei zii è una voce che mi chiama. Sulla soglia di un bar s’agita Sandro che fa cenno d’avvicinarmi. Vivace di temperamento, disposto all’allegria e sempre pronto a regalarti l’espressione del clown che sa nascondere le lacrime. Le mani gesticolano in scatti brevi che tradiscono una certa emotività del carattere.

    «Quando sei arrivata?», mi chiede sorpreso di vedermi e deluso per non averlo avvisato del mio arrivo.

    «Questa mattina, con il treno delle cinque. Dalla stazione diritta all’università per l'esame d'italiano e sono uno straccio».

    «Dai, vieni, ti offro qualcosa di caldo e parliamo un poco».

    Una breve incertezza, poi accetto l'invito e come entro, insistente casualità, mi trovo davanti per la terza volta Gérard Blain. La sensazione, ora, è quella di un fastidioso senso di disagio.

    «Lo conosci Massimo?», chiede Sandro con entusiasmo e sembra contento di presentarmelo. «Lui è il cervellone del gruppo».

    «No», dico con fermezza «non lo conosco, ma ci siamo visti poco fa alla tavola calda, mi ha ceduto il suo posto».

    Massimo mi sorride, scosta una sedia accanto a lui per farmi sedere, poi all'orecchio mi sussurra: «Non dargli retta, sono solo il re dei secchioni».

    «Ah! E chi ti avrebbe elevato a tanta regalità?», dico con pomposa e falsa ironia.

    E lui centra subito il nodo del problema.

    «Ma questa gamba inferma, è ovvio! Una scelta quasi obbligata, una… variante di percorso!».

    «Già» ridacchia Sandro. «La sua scelta obbligata è laurearsi in anticipo, invece la mia è quella del fuori corso. Una vera vocazione!».

    Massimo però è serio e deciso a spiegare la sua teoria sulle varianti di percorso, così riprende a parlare con ritmo veloce.

    «Occorre essere realisti: quando non puoi passare per normale o rimani al livello inferiore o punti diritto a quello superiore, diventando quella eccezione che poi servirà all'ordine costituito proprio per confermare la regola della normalità. A te piacerebbe stare relegata nel sottoscala di servizio?».

    Mi guarda con sfida, non aspetta una risposta, che dà per scontata, e continua a raffica: «Tanto vale imparare subito a giocare la carta dell'eccezione».

    Inarca le sopracciglia, solleva le spalle e rovescia le mani con le palme rivolte verso l'alto come per dire semplice, tutto qui.

    Al momento non capisco questo suo modo di presentarsi, ciò che invece è subito palese è il legame di amicizia tra Massimo e Sandro. E mi viene da pensare Ma da dove esce questo ragazzo e perché non l'ho mai visto prima?

    Massimo riprende a parlare e forse vuole stupirmi per mescolare un po' le carte in gioco ed esce allo scoperto.

    «In fondo io sono un fortunato, perché il mio non essere normale è subito visibile, per cui tutto è più chiaro e decisamente più facile. Il problema vero sorge quando la diversità non è subito manifesta, quando tutto da fuori sembra normale. In questo caso riconoscerla implica un grosso lavoro, significa affrontare conflitti interiori a non finire. È esattamente il lavoro che tocca ai cosiddetti normali: riconoscere la propria diversità ed essere in grado di pianificare le varianti di percorso, per raccogliere poi il frutto maturo della libertà».

    E’ così che Massimo entra subito in gioco con la sua parola magica: libertà.

    Sandro all'orecchio mi sussurra: «Tranquilla, sta solo testando su di te gli sproloqui della sua tesi, per vedere l'effetto che fa».

    Massimo, che è seduto in mezzo a noi, passa un braccio sulla spalla di Sandro e lo avvicina a lui con un gesto affettuoso.

    «Ecco ad esempio un esemplare di bastardo normale che non cerca la sua variante e pensa solo alle feste da ballo».

    Subito Sandro ne approfitta per allertarmi: «Anche se sotto esami, di sicuro qualche festa ci sarà in questi giorni, tieniti libera, se ti trattieni».

    «Ecco, vedi? Che dicevo?». Riprende Massimo: «C’è chi si gode le feste da ballo e chi invece ne è sbattuto fuori e da fuori trova aperta solo la porta della biblioteca. Tanto vale entrarci e fare il classico topo, di biblioteca dico, cioè imparare a rosicare libri».

    Il ping-pong fra loro continua.

    «E come no? Tu dove stavi», rilancia Sandro «quindici notti fa, quando io con la squadra del Comune liberavo dalla neve il sagrato di San Petronio?».

    Massimo allora ride, rovesciando indietro la testa.

    «Al caldo, fra le coperte, a leggere Montaigne!».

    «Montaigne!», ripete Sandro e rivolto a me esclama: «Eccola rivelata, la vera stoffa del secchione! Altro che scelte obbligate e varianti di percorso».

    Invischiata dentro questa specie di recita a soggetto imbastita proprio per me, mi sento come una mosca finita nella tela del ragno. Sandro avverte il mio disappunto e cambia tattica.

    «Allora, raccontami dell'esame».

    «Da schifo», commento storcendo la bocca, «non l'ho bucato solo per grazia ricevuta. Così oltre a essere stanca, sono pure arrabbiata e avvilita! Ma come, dico io, preparo l'esame con cura sugli otto libri prescritti e poi tutta la prova verte su cinquanta pagine astruse di dispense tratte da un ciclo di lezioni, di cui non sapevo assolutamente niente? Se le ripassava una ragazza, fra le prime questa mattina a dare l'esame, le ho chiesto di lasciarmele, così nell'attesa le ho leggiucchiate qua e là. Ti puoi immaginare l'esame! Avvilente, a dire poco».

    «Non te la prendere, succede a chi non frequenta le lezioni».

    «Già, ma il peggio deve ancora arrivare. Ho saputo che a geografia hanno istituito un corso a frequenza obbligatoria, tutto sulla cartografia, e mi va a capitare proprio nei giorni in cui faccio scuola».

    Per tutto il tempo avevo evitato di guardare Massimo, ma non ero riuscita a togliermi di dosso la sensazione del suo sguardo concentrato su di me.

    «Dai, si troverà una soluzione», mi consola Sandro «intanto qualche firma di presenza ce la posso mettere io. Per gli appunti e il materiale cartografico so a chi rivolgermi. Adesso goditi Bologna, magari senza inquinamento da studio. Sempre che ti fermi qualche giorno!».

    «Sì, qualche giorno… Se non mi chiamano per altre supplenze».

    Mi esce un sospiro di sollievo e contemporaneamente mi lascio un po' scivolare sulla sedia.

    Massimo carpisce al volo la pausa di silenzio e con tono vagamente beffardo, studiando il tempo delle pause tra una parola e l'altra, prende a dire: «Se ho capito bene… abbiamo una studentessa… insegnante di?».

    Sandro ride e mi guarda in modo interrogativo. «Glielo dico io?».

    Sollevo le spalle. «Non è mica un segreto!».

    «No, però è buffo», commenta Sandro, «perché ritorna in ballo la geografia!».

    Con la cantilena del rosario comincia a dire: «Educazione fisica… storia …geografia!».

    E dopo una breve pausa riprende scuotendo il capo. «Vorrei solo sapere che ci sto a fare io fra voi: uno che a vent'anni si laurea in filosofia…».

    Massimo l'interrompe per sottolineare: «Ventidue, gli anni sono ventidue». Ma Sandro alza le spalle e continua. «E un'altra che già insegna. Tu ci arrivi a vent'anni?», mi chiede.

    Rido. «Li sto consumando da cinque mesi!».

    Massimo sembra assorto in chissà quali pensieri e come se parlasse a se stesso dice: «Cinque mesi fa… gennaio, dicembre, novembre, ottobre…bilancia! Sì, forse ci sta».

    «Ci sta cosa, che vai farneticando?», dico io.

    «Sei una bilancina, giusto?». Al mio gesto affermativo della testa esulta felice. «Solo una bilancia può accoppiare ed equilibrare tra loro discipline così diverse!», commenta Massimo.

    Decido che questo ragazzo saccente mi dà fastidio e rimbecco: «Sono entrata subito nella scuola, insegnando educazione fisica, e quando mi sono iscritta all'università si sono aggiunte le materie letterarie. Non mi sembra che ci sia questo abisso. In fondo l'educazione fisica è un'attività espressiva tanto quanto l'italiano».

    Massimo resta silenzioso, mi fissa con occhi attenti, sono neri e sembrano bruciare. La bocca è rimasta atteggiata a un leggero sorriso beffardo e tace, Sandro resta muto e sembra che il giro della parola rimbalzi su di me. Ne approfitto per tastare il terreno e trovare un modo per pizzicarlo a mia volta, mostrando di interessarmi a lui.

    «C'è chi incomincia ed è alle prime armi come me e chi invece sta per finire, come te. Così ne hai ancora per poco di Bologna». E questa volta decido di affrontare a viso aperto gli occhi di Massimo.

    «No, no», risponde risoluto, «Bologna è la città ideale per me. Tutta in pianura e con i portici che mi riparano anche dalle intemperie. Qui sto bene ed ho stipulato un contratto d'affitto per quattro anni. Dopo si vedrà».

    «Pensa che

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