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Pinto
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E-book121 pagine1 ora

Pinto

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Info su questo ebook

I destini di una coppia. Le dinamiche quotidiane interrotte dai graffi della vita, che allontanano sempre più Alberto e Marina.
Ed allora occorre trovare una soluzione, una ricerca tortuosa che si sviluppa con modalità inaspettate.
Ed è Alberto che, scendendo sui piani inclinati del proprio malessere, trova le risposte dove sembrava impossibile farlo, sorprendendo soprattutto sé stesso.
Vivendo un’avventura inaspettata troverà ciò che cercava, in un prospetto onirico che lo supporta e lo aiuta a definire i confini in cui muoversi con lei.
E i risultati sono sorprendenti…
LinguaItaliano
Data di uscita28 ago 2016
ISBN9788822837332
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    Anteprima del libro

    Pinto - Dario Polonia

    Prologo

    La pioggia sfuma uggiosa lungo la pensilina gocciolante, avvolgendo torbida le anime appese lungo il marciapiede.

    Guardo oltre gli ombrelli verso il binario, assimilo stancamente le espressioni attonite e rassegnate della gente che mi fa compagnia in attesa del treno.

    Ogni sera scocca inesorabile l’appuntamento al buio, incrocio persone che per mesi mi affiancano nel tragitto verso casa; ormai mi ritrovo quasi a salutare istintivamente le facce che mi si accavallano davanti, come impulso di fronte a volti conosciuti.

    Invece il raziocinio comanda più dell’istinto e affogo l’impulso in gesti contriti, che mi accompagnano verso il mio solito posto sulla banchina.

    Nella carrozza mi immergo come sempre nella lettura, mi isolo e attendo di scendere.

    Talvolta sono accompagnato dal silenzio dei miei compagni di viaggio, altre volte dallo schiamazzo di rumorosi personaggi che, alieni ad ogni rudimento di educazione, impongono le loro futili parole alle orecchie di chi gli sta a fianco in toni da stadio.

    Giungo in casa con il solito alito di apprensione; non suono ma uso le chiavi.

    L’ingresso è silenzioso ed in ombra, in fondo al corridoio una tenue luce illumina il salotto.

    Appendo il giaccone e mi affaccio.

    Marina è sdraiata sul divano, sembra dormire.

    Ciao dico.

    Ah sei arrivato? Mi sono appisolata.

    Che guardi? chiedo, anche se le immagini di coltelli formidabili che tagliano qualunque cosa proposti sul video mi chiariscono già la situazione.

    Nulla, cazzeggiavo… e mi lancia un sorriso stirato che mi ferisce a fondo.

    Di colpo un’ira impossibile mi sale dall’anima e mi offusca per un attimo, poi come è arrivata si allontana sciacquandomi fortunatamente la mente.

    Per riprendere il controllo guardo l’orologio.

    Hai fame? dico. E sottintendo anche altro.

    No guarda, mi sono fatta uno yogurt poco fa, tu se vuoi arrangiati.

    E chiude l’argomento girando il viso verso la tv.

    Assimilo serenamente le implicazioni dell’affermazione, mi volto e mi dirigo in cucina.

    Mentre mi preparo la pasta mi domando per quanto tempo questa situazione avrà modo di protrarsi; ormai sono sei mesi che  lei ha dovuto abbandonare lo studio di architettura dove era impiegata, in quanto la crisi aveva costretto ad una riduzione del personale che aveva coinvolto i due più giovani assunti.

    Dopo un primo periodo nel quale aveva gestito con positività la questione, compilando curriculum precisi e completi, selezionando con cura società e imprese a cui inviarli, vivendo la propria assenza di impiego come una vacanza imprevista da godere e dedicare a se stessa si era bloccata, involuta.

    Lentamente la sua baldanza si era scolorita in colori grigi, spenti.

    Anche il suo aspetto ne aveva subito le conseguenze, arricciandosi su se stesso in una metamorfosi involutiva che la aveva abbruttita, sminuita.

    I suoi splendidi occhi marroni non cercavano più i miei, vagavano sordidi e appassiti in dimensioni di sconforto.

    Era scostante, irritante. La sua risata cristallina e contagiosa non mi accoglieva più al mio rientro, non mi raccontava tutte le buffe storie che le dicevano o che scopriva in rete, che mi divertivano solo perché lei era lucente di gioia.

    Nell’ultimo mese non si alzava quasi più dal divano, non cucinava, non puliva più la casa.

    L’altra sera ho perso il controllo.

    Rientrando e trovandola abbandonata in se stessa, appesa alla vita senza cavalcarla, succube della propria condizione ho sbottato duramente.

    L’ho accusata di essersi arresa, di non avere orgoglio, di essere solo l’ipotesi di ciò che era, ho espulso il nodo dei miei compromessi, tenuto nell’animo per il quieto vivere, ma non più tollerabile ormai dal mio raziocinio.

    Poi in questi casi è facile trascendere, inanellare frasi che sgorgano dal dolore, dall’angoscia del convivere con la sua situazione.

    E immediatamente mi sono sentito svuotato, inutile nel mio accusare.

    Di lei ricordo solo lo sguardo, prima sorpreso poi fermo in una posa di accusa, silenziosa.

    La sua apatia successiva dimostrava che i pezzi del suo vivere si stavano sgretolando, si stava perdendo nel suo sentirsi persa.

    Nei giorni successivi abbiamo vissuto in uno stato di tregua, di false prospettive.

    Io non ho più sentito necessità di parlare, mi stavo arrovellando nel capire cosa fare, che cosa non dire.

    Lei non ha mutato atteggiamento, perseguendo lo scivolamento verso il fondo di se stessa.

    Sembrava ne avesse preso godimento.

    Osservo l’acqua che bolle, ripeto i soliti gesti che oramai, ogni sera, mi accompagnano nella mia cena solitaria.

    Non so neanche come si stia nutrendo; in effetti la vedo dimagrita.

    Almeno credo, non abbiamo intimità da tempo…

    La sento alle mie spalle.

    Vado a letto, così ti lascio la tv in salotto. E subito sparisce, eterea nel corridoio.

    Mi sento aggredito da uno sconforto completo, immenso.

    Trascorro la serata guardando un film, spezzettando la visione con ghirigori mentali che mi trascinano lontano, su prospetti trasversali delle soluzioni possibili.

    Infine entro nel letto.

    Sta dormendo. Nel sonno il suo viso riprende inconsciamente il suo aspetto più puro,  nascondendo la sofferenza dentro l’oblio dei sogni. È bellissima.

    Mi soffermo indeciso di fronte a questa immagine.

    Infine mi dedico al sonno.

    La sveglia ronza discreta,  la spengo per non svegliarla.

    Ormai è parecchio che non mi fa più compagnia durante la colazione, rimane a letto, non so se è sveglia o finge solamente.

    Mentre bevo il caffè mi ritorna ancora la sensazione che da alcune mattine mi accompagna, il ricordo sensibile di un sogno ricorrente.

    Lo sento vivo, quasi reale. Mi accorgo che ogni giorno sono sempre più numerosi i brandelli che mi restano appesi agli occhi e ne sento quasi il sapore, la presenza.

    Non intuisco il senso ma ricordo solo il benessere che provo nel ricordare, la chiarezza del suo significato mi sembra definita ma ancora non l’afferro. È ampio, tortuoso, incredibile.

    Mi fa stare bene.

    La pioggia mi accoglie all’uscita in strada, mi avvio verso la stazione nascosto dall’ombrello.

    Annego la giornata in ufficio gettandomi nel quotidiano, scordando le complicazioni per tutta la giornata.

    Il tempo è complice nel somministrare tristezza, un vento gelido getta la pioggia sulle finestre.

    Sono incerto su come gestire la situazione, incerto nel definire gli ambiti del nostro rapporto dove poter lavorare per essere utile alla soluzione, mi struggo con ipotesi, analisi, idee.

    Ma rimango sospeso, come in attesa di un suggerimento, un aiuto inaspettato.

    Ci scambiamo qualche messaggio senza impegno, solo come prova in vita. Adesso non è possibile fare altro, siamo sospesi nella criticità del rapporto.

    Quando ritorno mi si ripresenta la situazione di ieri.

    Stasera al posto dei coltelli miracolosi in televisione parlano di docce al posto di vecchie vasche.

    Ah sei tornato?

    Ed il gioco riprende.

    Lei rimane sul divano, io mi cucino qualcosa, mangio da solo fissando il poster delle dolomiti attaccato al frigorifero.

    Fra l’altro, che strano posto dove metterlo...

    Poi, come al solito, lei mi sfugge vicino e si avvia verso la camera da letto, nel rispetto del rito che ha assunto e che, a quanto pare, gradisce parecchio.

    Mi trasferisco in salotto, accendo la tv ma non la guardo. Mi rendo conto che dovrei prendere un’iniziativa qualsiasi, che lei si è persa in qualche vicolo della sua anima e non riesce ad uscirne.

    Mi sento inerme, per ora.

    Però una decisione si è fatta strada in me, una consapevolezza di agire, di scegliere una via, l’inazione è inaccettabile, sia per quanto mi sono proposto, sia per quanto debba alla persona che amo.

    Immagini scomposte si accavallano davanti ai miei occhi, la televisione mi rimanda luci e parole che non afferro compiutamente ma che digerisco inconsapevole.

    Infine scelgo un canale musicale e mi addormento davanti ai Led Zeppelin.

    Quando mi risveglio è piena notte, mi alzo, spengo la tv e mi dirigo verso il letto.

    Mi sento una bella sensazione sulla pelle, come se qualcosa di positivo ora possa accadere.

    Prima di chiudere gli occhi spero vivamente che il mio sogno preferito torni a visitarmi.

    Anzi, è quasi una certezza.

    Il sonno

    Che ore sono?

    L’orologio di Pinto è molto grosso, ha due lancette ondulate, quella dei minuti è azzurra e lunga mentre quella delle ore è tozza e rossa. La cassa è colorata, grossa, di plastica.

    Sono le tre, addirittura due minuti più tardi di due minuti fa, quando mi hai chiesto la stessa cosa.

    Mi sorride di traverso, da dietro gli occhiali senza lenti dalla montatura segnata, e mi indica il suo quadrante, contento che le ore dei nostri rispettivi orologi combaciano.

    Tra poco sarà il momento, lo sai ? - Verrà il momento che il vento scenderà dalla montagna e mi verrà a chiamare, quindi sarà meglio affrettarci.

    A fare cosa dobbiamo affrettarci, e perché ? - Scherzo - " Oh, dai

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