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La percezione equivoca
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E-book161 pagine2 ore

La percezione equivoca

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Info su questo ebook

Quante volte i sensi ci ingannano?

Tra realtà e illusione, otto racconti — dal noir rocambolesco alla narrativa psicorelazionale, dalla fantascienza al comico — per esplorare l'universo ingannatore dei sensi. Cosa si nasconde dietro ciò che percepiamo?

Giorgio il killer cercò d'intuire la sagoma del compagno dietro al nero dei finestrini del Ducato; una macchia gialla pareva muoversi leggermente. Si lanciò sul telefonino.
"Ma ti sei vestito di giallo? Non ci credo, di giallo!"
Nessuna risposta. Poi si accorse di aver pigiato qualche tasto e così la telefonata si era interrotta. Scagliò il telefonino al centro del letto. Rimbalzò di lato, contro la canna metallica della carabina, e produsse un suono secco e ghiacciato. Rifece il numero.
"È meglio stare calmi," pensò. "Giallo è un bel colore."

Autori: Antonella Bavetta, Serena Cappelli, Filippo Guzzi, Dario Solera

LinguaItaliano
Data di uscita20 set 2015
ISBN9781310717079
La percezione equivoca
Autore

Dario Solera

Breaking stuff apart: that's what Dario did in his childhood. Not because he was a mean boy, but because he wanted to know what was inside and how it worked. Peeking inside seemed the right thing to do. So he ended up studying Information Technology and doing all things digital, from soldering components together to building complex distributed software systems. He now leans more toward the intangible world of ones and zeros flipping around in the cloud. Software tends to be the most malleable artifact of human inventive, and that fits Dario perfectly. And then he noted that something was amiss, so he started writing. Mind you, he has always loved writing, since when he was in primary school, but he has started doing it seriously--purposefully--a few years ago. When he's not jotting down bits to form words, sentences, and concepts, he works as a Software Development Manager at an Italian cloud computing company. He loves sci-fi (quite obviously) and Formula 1. Oh, and good Italian food.

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    Anteprima del libro

    La percezione equivoca - Dario Solera

    L’aspic

    di Serena Cappelli

    Mi racconti come è andata.

    Come è andata? Ho sbroccato, tutto lì. Guardo il dottore; apprezzo davvero lo sforzo che sta facendo per riportarmi sulla retta via – quello dello strizzacervelli non deve essere un mestiere facile –, ma non posso impedirmi di pensare che sia comunque tutto inutile. Io ormai ho deciso.

    Eravamo a questa cena al nostro circolo, attacco, più che altro perché mi sembra maleducato non rispondere. Una specie di Rotary per emozioni e sentimenti. Io ero lì, seduto tra la l’Ansia e la Timidezza, che – ne converrà – non sono le commensali più desiderabili. Ero perso nei miei pensieri; mi sentivo fuori posto, come al solito. Non a disagio, quello no. Distaccato, ecco, con quell’aria blasée che mi porto dietro da un po’ di tempo e che non fa certo aumentare la mia popolarità. La Rabbia, di fronte a me, stava raccontando una delle sue ultime esperienze, una storia banale di treni in ritardo e pendolari che litigano, e io ho cominciato a pensare alle mie, di esperienze recenti. E sa una cosa? Non ne avevo. O meglio, qualcuna sì, ma giusto un paio e non proprio dell’ultima ora. E la realtà, quella che forse non avevo voluto vedere fino a quel momento, mi è comparsa all’improvviso davanti agli occhi, nuda e spietata: io, il Rammarico, ero diventato inattuale. Sono diventato inattuale. Stantio. Ammuffito. Sono come l’Imbarazzo: un sentimento d’altri tempi, una zavorra di cui la società di oggi tenta in tutti i modi di liberarsi. Mentre contemplavo la mia miseria, il cervello deve essermi andato in corto circuito perché ho preso il bicchiere che il cameriere mi aveva appena rabboccato e ho lanciato il vino in faccia alla Rabbia. Non volevo farle male, solo zittirla, ma la situazione è piano piano degenerata: più mi dicevano di calmarmi, più davo in escandescenze. Alla fine ho ribaltato il tavolo, qualcuno ha chiamato la sicurezza ed eccomi qua. Il Furore avrà un bell’aneddoto da raccontare alla prossima cena del circolo.

    Mi interrompo e guardo gli alberi fuori dalla finestra. A pensarci bene, questa casa di cura non è affatto male: c’è un bel parco, sono tutti gentili, si mangia bene, c’è il laboratorio di pittura al martedì pomeriggio. È una di quelle cliniche per chi perde la trebisonda e trova più comodo atteggiarsi a esaurito che fare un piccolo esame di coscienza, chiedere scusa e ripartire da capo. In parole povere, una clinica per ricchi annoiati. Io sarei andato volentieri un mese a Ibiza, per sparire un po’ dalla circolazione e dare modo a tutti di dimenticare lo spiacevole episodio, e forse, se l’avessi fatto, non avrei avuto tutto questo tempo per riflettere e prendere decisioni drastiche, ma tant’è. Il Mal d’Africa, che è un amico fraterno, negli ultimi anni ha fatto i soldi sfruttando la sua immagine sui social network e ha insistito per pagarmi il soggiorno qui. Un signore. Ti troverai bene, mi ha detto. Ho sentito che agli ospiti non fanno mancare nulla.

    Ed è vero, perché abbiamo anche internet. Infatti una delle prime cose che ho fatto appena ricoverato è stata cercarmi su Google, la panacea per ogni crisi di identità:

    rammàrico (poet. rammarco) s. m. [der. di rammaricare] (pl. -chi): sentimento di dispiacere, di afflizione, di dolore o rincrescimento (soprattutto per qualcosa che si sarebbe voluto, ma non si è potuto, fare o avere).

    Afflizione. Rincrescimento. Sentimenti blandi da eroina della campagna inglese del tempo che fu.

    A cosa sta pensando? La voce del dottore mi riporta alla realtà.

    A Elizabeth Bennet.

    È una sua amica?

    Una mia amica? Lo guardo, ma no, non mi sta prendendo in giro. Uno studia tanto e poi cade sulle banalità.

    Lasci stare, non è importante.

    Mi dica cosa è importante per lei, allora.

    Non lo so. Esserci. Far parte dello spirito del tempo. Ingoio Zeitgeist prima che mi chieda se è un centrocampista del Werder Brema. "Avere una canzone che parla di me, ad esempio. Anche mediocre, come Nostalgia canaglia o Felicità, non pretendo un capolavoro. O viaggiare sui mezzi pubblici, insieme alla Frustrazione e alla Speranza. Mi andrebbe bene persino essere un piatto. Sa che in un ristorante di Milano servono del sushi chiamato Saudade do Brasil? Il sushi è così contemporaneo, un bel colpo per la Saudade. Invece io non esisto sui menù. Eppure Rammarico sarebbe il nome perfetto per una zuppetta leggera post-abbuffata. Ma niente, io non conto più niente. Sono stato surclassato dal Rimpianto e dal Rimorso, nessuno vuole più i sentimenti intermedi. Le racconto l’ultimo episodio di cui sono stato protagonista. È successo proprio in un ristorante, quasi tre mesi fa. Tre mesi fa, si rende conto?" Mi accorgo che la mia voce è salita di un paio di ottave, tanto che potrei vestirmi di lamé e intonare Rammarico mio, se qualcuno avesse pensato di scriverla, senza timore di sfigurare. Mi ricompongo. "Insomma, c’era questa donna a cena con il suo compagno, una cosa romantica in uno di quei locali di Parigi dove una volta andavano gli intellettuali e adesso vanno i ricconi russi. Già questo… Ma la faccio breve: lei ha ordinato un aspic e lui del foie gras. Foie gras inteso proprio come fegato intero, non come pâté. Ne vuoi un po’? ha chiesto lui. No, grazie, ha risposto lei. Sei sicura? Non è che poi ci ripensi e ti mangi le mani? Ma no, te lo lascio senza alcun rammarico, io ho l’aspic. Et voilà, io, il grande Rammarico, sono stato messo nella stessa frase di un aspic. Un aspic! Ci ho riflettuto. Lei non la vede come una metafora della vita? Vuoi essere foie gras, sei un aspic. Vuoi dare sensazioni forti, sei un surrogato tremolante che non sa di niente. Vuoi essere un classico che non tramonta mai, sei mesta gelatina che quasi nessuno considera più. Incolore, insapore, terribilmente rétro. Siamo onesti, dottore. Nessuno vuole essere un aspic, eppure io lo sono diventato. Sono stato oscurato dalle emozioni più decise. Quella donna mi ha aperto gli occhi, anche se me ne sono reso conto solo durante la famosa cena. E sa una cosa? Sono sollevato. Stare qui, poi, mi ha fatto riflettere. Ho preso la mia decisione. Io la ringrazio, voi siete tutti squisiti, ma è giunto il mio momento. Me ne vado."

    Dalla clinica?

    Decisamente questo dottore non è una cima. O forse è solo una strategia degli strizzacervelli quella di fingere ottusità per far parlare i pazienti.

    Da questo mondo. Ho comprato un biglietto su internet prima di venire da lei. Sola andata, per il Paese dei Sentimenti Perduti. Raggiungo il Pudore e la Vergogna, che sono là da un pezzo.

    Mi alzo prima che il dottore possa replicare, sempre che ne abbia la prontezza, faccio un piccolo inchino da attore consumato ed esco. Torno in camera, prendo il biglietto e la valigia, sereno e determinato. Il mondo ha già imparato a fare a meno di me e io lo lascio senza alcun rimpianto.

    Rimpianto?

    Merda, ci sono cascato anch’io.

    Equilibri

    di Antonella Bavetta

    Stefano Rossignoli diede un colpetto alla porta per avvisare che entrava e, guardando a uno a uno i poster attaccati alle pareti, come se non li avesse già ispezionati mille volte, disse: Allora cosa vuoi fare per i diciott’anni, Marco? Una bella festa? Un mio collega conosce un posto bellissimo che si può affittare a poco, potresti invitare tutti i tuoi compagni e i ragazzi del…

    Marco lo interruppe: Veramente, papà… non lo so se mi va di fare una festa come dici tu.

    Come? Non ti va di fare una festa? Ma che dici? Compi diciotto anni! Stefano incrociò le braccia sul petto e fissò il figlio aspettando che gli desse un’ottima ragione per quella strana perplessità.

    Non ho detto che non voglio festeggiare, ho detto che… cominciò Marco.

    "Sì, tu hai detto: Non lo so se mi va di fare una festa, come dici tu! Non vanno più di moda, le feste?"

    Intendevo che non mi va di festeggiare con le solite cose, papà, lasciami finire! Non la voglio, una festa in discoteca con mille persone e i palloncini.

    E cosa vuoi, allora?

    Non lo so. Ci sto pensando.

    Basta che ti sbrighi, Marco. Perché se cambi idea poi magari quel posto non c’è più, non è che me lo tengono da parte. E comunque guarda che vengono tutti.

    Tutti chi?

    I tuoi nonni, lo zio Alfredo, lo zio Ezio e la zia Marina, i tuoi cugini… tutti, rispose Stefano. E uscì dalla stanza chiudendo la porta piano.

    Ha detto che non vuole festeggiare, disse poi a Giovanna, la moglie.

    Lei si alzò subito in piedi. Come, non vuole festeggiare? Sta male?

    Ma che male, rispose Stefano. Sempre esagerata.

    O ha litigato con… come si chiama, con…

    La sua ragazza? Non lo so. Non gliel’ho chiesto. Può essere, ora che ci penso. Ha detto solo che non vuole una festa in grande.

    Ecco, ha litigato con lei. Oppure lei chissà che cos’ha in mente, se lo porta via chissà dove e noi…

    Giovanna bussò alla porta di Marco due volte, in fretta. Marco non rispose, lei ribussò più forte.

    Eeeh, disse lui.

    Marco, non farti mettere strane idee in testa! gli disse entrando. Diciotto anni si fanno una volta sola, se adesso non festeggi o te ne vai con lei da solo in qualche posto strano poi te ne penti per tutta la vita!

    Mamma, ma che dici? Marco sbuffò e si tolse gli auricolari.

    Tuo padre mi ha detto che non vuoi festeggiare, ripeté lei trattenendo un singhiozzo.

    Che palle, ma’. Non piangere. Ho detto solo che non mi va di fare una festa in quel posto del collega di papà, con tutti quanti che mi ballano intorno.

    "Ma che significa tutti quanti che mi ballano intorno? Perché, tu che vorresti fare? Vedi, ho ragione a piangere, vedi?"

    Voglio una cosa tranquilla. Si può? disse Marco rimettendosi gli auricolari.

    Giovanna tornò in cucina. Diede una mescolata al ragù per le lasagne della domenica, che stava cuocendo a fuoco lento ormai da un’ora e mezza, e da dentro il registro della 3^D tirò fuori un dépliant colorato, con in primo piano l’immagine di tanti ragazzi che ballavano felici con uno strano cappellino in testa e una flûte in mano.

    Vuoi una festa

    INDIMENTICABILE?

    Vieni al

    BRILLIANT RESTAURANT,

    ci pensiamo noi!

    Le sembrava così normale, una bella festa per il diciottesimo anno di età! Tutte le volte che, nell’arco della sua carriera di insegnante di lettere,

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