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Tempo in disordine
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E-book49 pagine32 minuti

Tempo in disordine

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Info su questo ebook

Nel tentativo di porre fine ad un inatteso attacco di panico, un popolarissimo attore di teatro ingerisce un cocktail di alcol e farmaci.
La contesa per il possesso della sua anima diventa motivo di scontro tra due figure mitologiche a lui familiari. A porre fine alla disputa sarà l’intervento di una donna, che tramite una lettera, invita a tramutare la vulnerabilità in resilienza.

*** L’autore

Nato nel 1967, Mario Benzoino ha pubblicato “ERRATA CORRIGE” per le edizioni IL POLLICE.
Tempo in disordine è il suo primo romanzo.
LinguaItaliano
Data di uscita8 gen 2018
ISBN9788827548462
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    Anteprima del libro

    Tempo in disordine - Mario Benzoino

    incolmabile.

    Notte Perenne

    Un giorno me ne andrò

    e sarà per sempre,

    perenne sarà la notte per i miei occhi

    che più non schiuderanno alcuna veglia,

    nostalgico ricordo

    questo sarò

    intruso negli attimi di altrui pensieri.

    Mistero vuoto,

    malinconico dolore,

    è questo che sarò.

    Cibo per chi ha fede

    e oltre il muro del cielo

    Felice mi vede,

    oltre il velo del cielo

    d’incontrarmi crede.

    Prefazione

    …il foglio bianco è così

    un'altalena del si

    tu scrivi e riscrivi

    l'insegui, rinunci,

    tornerà da te.

    (Gianni Togni -L’arco e la freccia)

    Intendi raccontare una storia, ma il tempo passa, le cose accadono, e finisce che sono le storie a raccontare te. Ed il dolore sofferto? L’amore che hai amato? Il tempo vissuto? I pensieri? I sogni? I desideri?. Ancora domande come unica risposta, il dubbio come unica certezza, e resilienza, la sola speranza di salvezza.

    Stanze d’hotel

    Stanze d’hotel

    buone soltanto per spararsi un colpo,

    o per piangere, molto.

    (Gianni Togni-Stanze d’Hotel)

    Le camere degli alberghi sembrano tutte uguali, e la trecentosette del Dzyan Hotel non fa eccezione. C'è un letto, un armadio, una mensola a muro, l’abatjour, una televisione in alto, nell’angolo, proprio di fronte al letto, il citofono, lo scrittoio, un frigorifero incassato, e poi c’è lei, l’immancabile ventola, pronta ad entrare in azione, appena premi l’interruttore per accendere la luce del bagno. Alcune affacciano sul mare, altre sulle piazze, o sui muri di qualche edificio confinante. La trecentosette del Dzyan Hotel affaccia sopra un fiume, dettaglio che ho appreso sfogliando un dépliant, giù, nella reception. Come d’abitudine, appena metto piede nella stanza, apro la finestra. Fuori è buio pesto. L’odore acre, e un lieve strato biancastro nell’aria, lasciano intendere una presenza prossima di nebbia, chiudo. Fino a qualche anno fa, per me, stare in albergo, era l’epilogo di un viaggio, una sensazione di non appartenenza, un senso inebriante di libertà. Tutto sembrava possibile, e tutto poteva accadere. Poi è nato Jacopo, e da quel giorno, la sensazione del viaggio si è tramutata in un obbligo di mero spostamento, e quella di libertà, in un vortice nel quale perdersi, nel disperato tentativo di assegnare un senso ad ogni giornata vissuta lontana da lui. Oggi, le camere degli alberghi mi sanno di ambiente amorfo, sterile, arredate di tutto, ma prive di qualsiasi essenza, prerogativa che attribuisco a quei luoghi che reputo senz’anima. È il mio lavoro che mi obbliga a frequentarle. Sono un attore di teatro, una sorte di ambulante dell’arte, che di palcoscenico in palcoscenico, se ne va in giro a recitare il medesimo copione, con la speranza di suscitare emozioni in luoghi, e a spettatori, ogni sera diversi. Sul palco interpreto Charun, traghettatore di anime

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