Guardami negli occhi
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Anteprima del libro
Guardami negli occhi - Laura Di Caprio
L’incontro.
Quanti ricordi pensi di avere? Quanti milioni di attimi, di immagini compongono la tua vita? E se, all’improvviso, aprissi gli occhi e non ci fosse più nulla? Nulla, ogni oggetto, ogni immagine su cui si posano i tuoi occhi, è come se li vedessi per la prima volta. Partire da zero, dall’inizio. Stai immaginando? Stai già immagazzinando ricordi, emozioni, pensieri.
Ho aperto gli occhi ed era come se fosse la prima volta. Prima il cielo, poi le nuvole, il tempo, grigio e poi, pian piano ho preso consapevolezza del mio corpo, di dove mi trovavo. Ero distesa a terra, per strada, e non ne ricordavo il motivo. Automaticamente mi sono girata verso destra e ho visto una grossa macchina ferma poco vicino a me. Quando la portiera si è aperta, ne è uscita una ragazza, leggermente scossa. Era molto bella, alta, capelli lunghi e morbidi, occhi castani. Notavo ogni piccolo particolare di lei con precisione, registravo ogni minimo dettaglio. Aveva un profumo intenso e le sue dita erano lunghe e affusolate. Si chinò su di me per ascoltare il cuore e sentii i suoi capelli solleticarmi le guance. Finalmente si accorse che la stavo guardando.
- Come ti senti?
- il suono della sua voce sembrava così lontano, cercai di concentrarmi sulle sue parole. - Mi dispiace così tanto. Non riesco proprio a capire come sia potuto accadere. La strada era libera e all’improvviso sei apparsa tu, non ho potuto frenare in tempo
.
- Non preoccuparti
, dissi, per rassicurarla. – Mi sento abbastanza bene, sono anche in grado di alzarmi
.
Provai a mettermi in piedi per dimostrarle che non era nulla di grave, ma le gambe non mi obbedirono. Non riuscii a stare in equilibro e barcollai, lei mi afferrò prima che cadessi.
- Ora ti porto in ospedale. Non voglio sentire scuse del tipo non fa niente, ho paura dei medici o cose del genere.
Emanava un’energia e una forza d’animo travolgente, mi sentii sorretta dalle sue parole più che dalle sue esili braccia.
- Immagino che non ti si possa dire di no
- Bene, hai capito subito chi comanda! Non accetto pareri contrari.
Mi sorrise, timidamente ed io non potei fare a meno di risponderle. La vita, spesso, è più semplice di quello che immaginiamo, la scelta
è: fidarsi o non fidarsi. La maggior parte di voi penserà che non fidarsi sia la scelta migliore, e sicuramente avete ragione, ma, quel giorno, in quel momento, decisi di dare fiducia al destino. Galvanizzata dal mio sorriso, si girò verso la macchina:
- Non perdiamoci in chiacchiere, ora andiamo che poi ti offro…
Si girò di nuovo verso di me per spiegarmi quale programma avesse in mente, il suo volto cambiò espressione in pochi secondi, mi guardava atterrita e solo in quel momento mi accorsi della macchia di sangue tra i miei capelli. Si mise le mani a coprire la bocca, quasi come se le parole potessero peggiorare la ferita.
- Mi dispiace tantissimo non l’avevo visto. Corriamo subito in ospedale.
Mi afferrò il braccio e mi trascinò verso la macchina. Mi aprì la portiera e mi sistemò al meglio sul sediolino, poi salì dall’altro lato.
- Non ti preoccupare, devi stare tranquilla
, mi sussurrò, cercando di calmare più che altro se stessa. Vedrai che andrà tutto bene, te lo prometto
. Mi strinse la mano, sentivo il battito accelerato del suo cuore. – Io sono Stella, tu come ti chiami?
La fissai per un interminabile secondo, il cielo, le nuvole, il tempo grigio, il sangue, la testa, Stella, quelle immagini continuavano a ripetersi nella mia mente, ripetutamente, alla ricerca di una risposta. Una domanda semplice, una risposta semplice, il tuo nome, quello che ti differenzia dalle altre persone, quello che è stato scelto esclusivamente per te.
- Non me lo ricordo
, sussurrai, abbassando gli occhi.
Osservai le pareti della stanza d’ospedale, quel colore panna o beige, indecifrabile. Quante persone si erano soffermate realmente a guardare quel colore di quella stanza d'ospedale? Cercavo di concentrare la mente su qualsiasi cosa, qualsiasi elemento che mi desse una sensazione familiare. Quel beige, bianco- panna - latte non mi diceva veramente nulla, quindi, forse, non ero mai stata in quell’ospedale. Quante persone erano passate in quella stanza senza che fossero realmente presenti. E’ vero, stavo pensando troppo, ma il medico continuava a scrivere imperturbabile sulla cartella, scriveva e scriveva, nervosamente. Non riuscivo bene a leggere quello che stesse scrivendo e non capivo il perché fosse così silenzioso: "donna, età tra i 22 e i 27, amnesia, trauma, solo questo riuscii a sbirciare ed erano le uniche cose che, fino a quel momento, sapevo di me. Mi sentivo come in colpa, per chissà quale assurdo motivo, così dalla mia bocca uscì fuori solo la domanda più scontata del mondo.
- Dottore, riuscirò a ricordare chi sono?
Mi vergognai quasi subito, pensai che il mio cervello dovesse fare i conti con pochi neuroni rimasti. Forse sarebbe stato più intelligente chiedere qual è la diagnosi o qual è la cura?
, o cose del genere, ma abbiamo detto che, molto probabilmente non sono un medico e quindi tirai fuori la mia aria e la mia domanda da cucciolo impaurito
. D’altronde le super risposte sono quelle frasi che ti vengono subito in mente dopo che hai sparato una cazzata. Finalmente l’uomo mi sorrise e questo fece vacillare la mia ipotesi che fosse un robot, storia fantasiosa che stavo costruendomi per giustificare il suo silenzio. In fin dei conti non ricordavo nemmeno che anno fosse. Occhiali scuri, basso, capelli neri, leggermente stempiato, aveva l’aria di una persona seria, poco allegra e certamente non molto socievole. Sembrava stanco, i suoi occhi erano segnati quasi certamente da un turno troppo lungo. Non era un robot, era un semplice essere umano, sicuramente non felice di un caso come il mio a fine turno. Quando finalmente mi parlò, per rassicurarmi, sembrò cambiare espressione.
- Lo scopriremo non si preoccupi. Le chiedo di fare un piccolo sforzo e di dirmi se ricorda almeno il suo nome.
Provai a concentrarmi ma l’unico pensiero che riuscivo a formulare nella mia mente era di non perdere il mio unico punto di riferimento. Non ricordavo il mio nome, ma ricordavo il nome di Stella, l'unica persona che in quel momento non volevo perdere.
- Dov’è Stella dottore? Ha parlato con lei?
- Si ricorda di qualcuno?
- Non conosco il suo cognome ma
. La vista si appannò improvvisamente, la testa divenne pesante e la stanza sembrò iniziare a girare intorno a me.
- Non si sforzi, non si preoccupi. Quando si sentirà tranquilla e pronta la polizia la sta aspettando per farle qualche domanda. Sono qui per aiutarla, per riportarla a casa, vogliono solo sapere qualche dettaglio dell’incidente. Va bene?
Annuii, anche se non capivo come la polizia potesse risolvere i miei dubbi con i dettagli dell’incidente e verso quale casa avrebbero potuto riportarmi. Rimasi in silenzio, perché tentavo di nascondere la feroce crisi d'ansia che mi stava assalendo, per paura di innervosire il medico.
- I riflessi sono buoni
, continuò, dobbiamo solo aspettare i risultati degli esami, ci vorrà ancora un po’ di tempo.
- Ok
, pensai. Siccome temevo che un po’ di tempo
volesse dire in verità forse ore o giornate intere, decisi di uscire. Quel panna-beige- bianco, la mia crisi d'ansia incalzante, il medico semi- robot cominciavano ad inquietarmi e mi sentivo davvero soffocare. Provai ad alzarmi. Non voglio dare tutta la colpa a lui, a modo suo stava cercando di aiutarmi, ma non riuscivamo ad entrare in sintonia. Pensavo a Stella, forse stava parlando con i poliziotti e non volevo che andasse via e mi lasciasse lì sola.
- Non si sforzi, può rimanere tranquillamente in questa stanza.
- Mi scusi, dottore, riesco a stare in piedi, ho bisogno di andare al bagno.
- Certo, mi segua, le faccio vedere
.
I corridoi degli ospedali sembrano sempre molto silenziosi, quasi irreali, o forse, in passato, avevo guardato troppi telefilm e ora ne avevo un'immagine, una sensazione, distorta. Mi sembrava che il tempo si fosse fermato e che le parole galleggiassero nell'aria, forse era l'effetto di qualche medicinale, pensai. La luce non mancava, cercai di orientarmi seguendo le indicazioni del medico.
- Eccoti finalmente, sei qui.
Mi mise una mano sulla spalla e mi abbracciò forte, percepii il suo calore e il suo entusiasmo e mi sentii di nuovo sicura, protetta.
- Come ti senti?
- Il dottore ha detto che i riflessi sono buoni, se non ho sensazioni di nausea o giramenti di testa, in attesa degli esami penso che potrei anche tornare a …
La stavo pronunciando automaticamente ma, quella parola, mi morì in gola. Casa, i bambini memorizzano questa parola quasi subito, insieme a babbo natale e mamma me lo compri
rientra tra quelle che ripetono più spesso. A quale casa potevo tornare se non ricordavo nemmeno il mio nome?
Stella capii subito il mio disagio e seppe trovare le parole giuste per parlare al mio cuore.
- Devi permettermi di aiutarti. Non posso lasciarti sola o confusa in qualche centro o in qualche ospedale. Ti prego permettimi di riparare al mio errore, permettimi di ospitarti per qualche giorno. Sono sicura che qualcuno verrà a cercarti presto. Forse qualcuno sta già sentendo la tua mancanza in questo momento e tra qualche ora andrà dalla polizia. Magari un bel ragazzo
Sorrisi: - Sei sicura? Non vorrei essere un peso.
- La mia preoccupazione è lasciarti da qualche parte. Io vivo da sola e un po’ di compagnia mi fa piacere.
Sentivi che ti stava parlando con il cuore, non riuscivi a dubitare e soprattutto era impossibile dirle di no. Tra tutte le persone tra cui avrei potuto scegliere, desideravo che fosse lei ad aiutarmi in questo percorso di scoperta. In certi momenti ti rendi conto chiaramente che hai accanto persone speciali, persone che sei davvero fortunato ad aver incontrato. In quel momento io volevo scoprire, dovevo ricostruire ed avevo bisogno di una persona che mi desse forza. Stavamo per andare via, poi mi voltai.
- Forse dovrei parlare con la polizia, il medico mi ha detto qualcosa
- Stai tranquilla, ci ho parlato io! Possiamo andare, ho lasciato i miei contatti. Torneremo tra qualche giorno per la cartella medica.
Il medico si precipitò nel corridoio, per la seconda volta, incredulo. Decise di chiamare un’infermiera per ispezionare il bagno. Sentì tutto il peso del turno troppo lungo, i suoi occhi erano vuoti, stanchi. Guardò con discrezione ma accuratezza in tutte le stanze sul piano, chiese a dottori e pazienti. La ragazza non era