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IL NON MORTO perciò vivo
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E-book279 pagine3 ore

IL NON MORTO perciò vivo

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Info su questo ebook

Il piccolo Boris nacque vampiro e si ritrovò uomo.

Adulto, venuto finalmente a conoscenza della realtà delle cose, inizierà a scrivere la sua biografia.

Abbandonato dal padre ancora prima che nascesse, vivendo con una madre poco presente e priva di carattere ed una nonna molto anziana, condurrà la maggior parte della sua esistenza nella convinzione di essere un vampiro, comportandosi di conseguenza.

Goffamente si creerà da sé il suo personaggio, assecondato dalla sua famiglia, incapace di dirgli la verità sulla sua condizione.

Col passare degli anni, la sua presunta natura sovrannaturale lo spingerà ad andare a caccia, prima di piccoli animaletti indifesi, infine di uomini, per berne il sangue.

All’età di 18, cacciato di casa dalla madre, spaventata dalla sua stranezza e dai suoi comportamenti sospetti, si ritroverà a vivere in un decadente castello dove farà la conoscenza di personaggi sempre più bislacchi.

Con un servo rozzo e una domestica alquanto inquietante il vampiro condurrà la sua nuova vita lontano dalla sua vecchia casa, tra situazioni patetiche e paradossali.

Sempre sull’orlo della disfatta, ricercato dalla polizia per la scomparsa di una ragazza, si ritroverà a passare dalla disperazione più nera alla notorietà, fino a diventare un “vampiro di fama mondiale”.

Boris diventerà una star a tutti gli effetti, supportato dal gruppo musicale del momento, i Deviated e aiutato dal suo strambo agente: Francesco Petrelli.

LinguaItaliano
Data di uscita21 ago 2016
ISBN9788822834652
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    Anteprima del libro

    IL NON MORTO perciò vivo - Bonnie Price

    http://write.streetlib.com

    capitolo 1

    Ecco!

    Ecco! Faccio per scrivere qualcosa di decente e cosa mi viene? Il blocco dello scrittore. E' così che lo chiamate comunemente no? Il blocco dello scrittore. Bene, fino a poco tempo fa non sapevo nemmeno cosa fosse, questo blocco. Certo ne avevo sentito parlare ma per quello che mi riguardava poteva essere qualsiasi cosa: una forma d'artrite? Un infortunio sul lavoro? In fondo non è poi così improbabile avere degli incidenti più o meno gravi tra inchiostro che ti finisce negli occhi e pennini che ti si conficcano nelle dita no? Sbaglio?

    Certo che si. Motivo per cui devo ringraziare il mio amico Bram per avermi dato delucidazioni a riguardo.

    Ahhh no, al diavolo, sto mentendo di nuovo! Io non ho mai conosciuto Bram Stoker e mai lo conoscerò! E' morto! Morto e sepolto! Putrefatto. Cenere. Nemmeno più ossa. E morirò anche io! E' proprio questo il punto.

    Mi sono sempre raccontato un sacco di stupidaggini così bene, ma così bene... e sono riuscito a crederci con tale intensità che... beh... ci hanno creduto anche tutti gli altri. Almeno fino a che... ma torniamo al blocco dello scrittore.

    Qualcuno mi disse (o forse l'ho sentito alla radio) che il blocco dello scrittore è una bella seccatura che ogni tanto ti bussa nel cervello e ti dice: Basta, sei un incapace, la tua mente partorisce solo idee scontate, trite e ritrite che non interesseranno mai a nessuno...

    Ma c'è un modo, diceva il non mi ricordo chi, quello di scrivere sempre e comunque fino a che quella vocina malvagia, esausta, non se ne sarebbe andata.

    E così, io, non più tanto giovane scrittore ma pur sempre alle prime armi, ho seguito quel consiglio.

    Immagino che non starete più nella pelle… e io non vi terrò ulteriormente sulle spine!

    Quello che diverrà il più grande best seller di tutti i tempi è la storia della mia vita. O meglio, mi correggo, la storia del mio lungo viaggio verso la sconfitta.

    Perché, io, NON SONO UN VAMPIRO! Il mio periodo di celebrità sta per finire ed io decido qui di confessare, prima che altri siano la mia rovina. In fondo è questione di poco tempo ormai, devo darci dentro e finire questo scritto prima che sia troppo tardi.

    Eh si, caro Frank, so l'immenso dolore che ti pugnalerà dappertutto quando leggerai le mie confessioni (Ehm, dato che non credo tu sappia leggere, so l'immenso dolore che ti pugnalerà dappertutto quando qualcuno ti leggerà le mie confessioni).

    Non odiarmi.

    Detto fatto, bussano alla porta... si scrive del diavolo ed ecco... è Frank!

    Ora me ne sto qui buono buono, fermo immobile. Anche se la mia scrivania è attaccata alla finestra i miei vetri oscurati, ammetto di pessimo gusto, mi nascondono completamente alla vista dall'esterno ed è questo l’importante.

    Io però lo vedo, lo vedo che se ne va.

    Si gira, solo per un attimo, in direzione della finestra, con quel naso schiacciato da scimmia, poi se ne va.

    Non so dire se è afflitto o depresso perché quella sua postura ingobbita, la testa china a guardarsi la punta delle scarpe, tutto il corpo come se lottasse ogni attimo per non essere trascinato sotto terra da chissà quale forza maligna, lo rendono perennemente una figura triste... o arcigna... anche quando triste non è.

    Tra poco suonerà il telefono ma io non risponderò! Lo conosco troppo bene Frank, so che una volta raggiunta la sua catapecchia, mi chiamerà. E' il suo tranello, il suo modo di cogliermi in fallo perché, lui, sa benissimo che sono in casa.

    Ma io non cadrò nella trappola.

    Alla fine credo di essere affezionato a lui... a Frank intendo... almeno per quanto un padrone possa essere affezionato al suo servo...

    capitolo 2

    ...Frank...

    Mi era stato molto utile e non intendo solo a livello fisico/mentale.

    Lui (so che sarà contento del mio elogio ed io sono ben grato di donargli un momento di gioia) era la reincarnazione di tutti i mostri delle fiabe, di tutte le orrende creature della notte... un orco, un orribile, putrido, mostro di palude, un raccapricciante e deforme creatura delle fogne.

    Ecco: questo era Frank.

    E' stato quindi, prima di tutto un fattore estetico: la figura pazza, mentalmente deviata e terribilmente ripugnante che tutte le grandi figure oscure devono avere al proprio fianco per ottenere la più totale credibilità, la figura viscida e rivoltante che tutti hanno visto nei film dell'orrore ma che nessuno crede possa davvero esistere nella realtà.

    Debbo un ampio ringraziamento a lui, dunque, se la mia popolarità ha raggiunto livelli tanto gratificanti.

    E adesso Frank, vorrai perdonarmi, te ne prego, se ti trascino con me nel baratro dell'infamia... se gioco così le mie ultime carte scoprendone tutti i semi!

    Io non sono un vampiro...

    … non lo sono più o forse non lo sono mai stato. Ho lottato fino all'ultimo per sostenere il mio essere, credetemi, ma è stato tutto inutile.

    Oh se voi che leggete poteste vedermi! La mia pelle non ha mai accolto in se un solo raggio di sole (Oddio, non può!) ed è così bianca che l'avorio sfigura vicino ad essa. I miei occhi non sanno nemmeno cos'è la luce del giorno se non per come i libri la descrivono.

    Sono azzurri, di un azzurro così chiaro da apparire quasi bianchi ed i miei capelli... anch'essi sono di un bianco più bianco del latte.

    I miei peli, tutti, sono talmente chiari da sparire poggiati sulla mia pelle.

    Insomma, ditemi voi se questo non è essere un vampiro!

    Non vi basta?

    In casa mia non ci sono specchi... ecco... beh... solo uno, lo confesso, che tengo nascosto in gran segreto nel cassetto del comodino con doppio giro di chiave (provate un momento voi a radervi senza averne uno!)

    E l'aglio? Lasciate che ve ne parli!

    Ho una tale avversione per l'aglio che, se solo di lontano ne sento l'odore, sto male. Potrei vomitare da quanto mi fa schifo quell'odore. Ricordo una volta, ne mangiai un piccolo pezzo, solo per errore, triturato sopra la bistecca. Beh volete sapere cosa mi accadde? Per poco non passai a miglior vita! Tutto il corpo mi si fece paonazzo e mi crebbero bolle perfino sulla lingua e sul... beh non scendiamo nei dettagli, in fondo poco importa.

    Di croci ne ho viste ben poche se non quella che ogni tanto, mia nonna, portava al collo. In tali circostanze mi rifiutavo di abbracciarla così che, pace all'anima sua, smise di indossarla.

    Ricordo che lei rideva, poverina: Gioco di bambino sussurrava complice a mia madre e se non fosse morta che avevo solo dieci anni chissà cosa sussurrerebbe adesso nel vedermi.

    Poi c'è il sangue. Ne ho assaggiato di varie tipologie, perlopiù di animali finché ero in giovane età (scusate la rima).

    Poi sono passato a quello umano.

    Purtroppo ero sempre stato (o forse non lo sono stato mai) un vampiro con delle particolarità. Come ad esempio il fatto che solo il sangue non è mai bastato a saziarmi e questo mi spinse, spesse volte, a rosicchiare anche qualche pezzo di carne dicendomi che in ogni caso, sempre di sangue si trattava.

    La carne cruda invece... beh quella era una necessità. Non volevo allarmare troppo i membri della mia famiglia ma state pur certi che tutto ciò che carne non era, non mi piaceva affatto.

    Ovviamente mia madre sapeva della mia natura, tutti lo sapevano, ma certe volte sembrava che i miei atteggiamenti vampireschi la irritassero. Così cercavo, per il quieto vivere, di mitigare i miei istinti più che potevo.

    Adesso che sto finalmente mettendo in dubbio la mia natura inizio a capire perché mia madre, alle volte, mi apparisse così strana... sì, a disagio...

    Nello stesso tempo è stato merito suo se sono ancora vivo, se il sole non mi ha ridotto in cenere e se l'aglio non mi ha ucciso.

    Non devi mai e poi mai uscire alla luce del sole, figlio mio, MAI, per nessuna ragione al mondo! Promettimelo! aveva detto più volte. Poi mi abbracciava forte e la mia testa spariva tra i suoi seni prosperosi e ancora mi diceva: Sei il mio piccolo vampirello e mi baciava i capelli.

    Nella mia famiglia sono sempre stato circondato da sole donne. Mia mamma, mia nonna, mia sorella (con cui ho, fortunatamente, vissuto davvero poco) e Chucky un qualcosa di simile ad uno YorkShire con troppi pochi peli e fin troppo carisma, che mia sorella aveva recuperato in chissà quale cassonetto, prima ancora che io nascessi.

    Non posso davvero dirvi che provai sentimenti di odio verso quella bestiaccia ma posso confessarvi, che ne nutrivo un profondo disprezzo. Era sempre ad abbaiare saltellando di qua e di la con quella vocetta fastidiosa ed acuta e se non abbaiava, ansimava perdendo bave sui cuscini del divano e sul pavimento.

    E poi puzzava.

    E per tutti coloro che già mi stanno mal giudicando, sappiate che il disprezzo tra me e quel cagnaccio era reciproco. Quella piccola vipera travestita da cane non faceva altro che gironzolare tra le gambe di mia madre e di mia sorella ed ogni volta che gli passavo vicino, lo giuro!, cercava di azzannarmi le caviglie.

    Non era altro che una cagna razzista e femminista, ecco qual' era la verità. Mi ha disprezzato dal giorno in cui nacqui e finché ebbe vita.

    capitolo 3

    E la stanza?

    Lasciate invece che vi parli della stanza di mia sorella perché, di lei, non c'è molto da dire. Era parecchio più grande di me (mia sorella, non la stanza) e studiava all'università, lontano da casa, quindi non vissi mai con lei... vorrei aggiungere, non giudicatemi di nuovo male, per fortuna.

    La sua stanza però era rimasta intatta ed io mi divertivo un sacco ad andare a curiosare tra le sue cose. Tutti i suoi vecchi giocattoli (di quando non aveva ancora fatto il salto di qualità divenendo, dalla piccola mocciosetta viziata, alla donnina arrogante e vanitosa) erano stati ammassati in un enorme baule perché, quando veniva a farci visita, raramente giungeva da sola e nella stanza già piccola, c'era bisogno di più spazio.

    Francamente la mia ignoranza non mi permette di sapere se fossi io un bambino precoce oppure se fosse normale, a quell'età, provare i primi impulsi sessuali. Non avendo amici, per me, un confronto con coetanei era impossibile e parlarne a mia madre, o peggio a mia nonna, non mi sembrava effettivamente la cosa migliore da fare.

    In ogni caso quella cameretta rosa e profumata divenne, per alcuni anni, il mio luogo di perdizione dove trovai il mio primo amore. Il suo vero nome, quello con cui mia sorella la battezzò, non lo seppi mai.

    Io la chiamavo Lucrezia.

    Lucrezia era bellissima: aveva delle gambe lunghe e slanciate, dei seni sodi e tirati all'insù, una pelle liscia e gommosa e lunghi, lunghissimi, capelli rossi. Era già una donna in verità, non la solita bambola di cui si è abituati, con un corpo sinuoso e gli occhi truccatissimi. E sorrideva, sempre.

    L'astinenza da Lucrezia, quando mia sorella veniva a farci visita, accresceva la mia avversione verso di lei mentre non potei mai comprendere quale fosse la ragione della sua verso di me.

    Destino vuole che quando arrivava, ci ignoravamo e se mi parlava era certo che lo faceva per contraddirmi o lanciarmi qualche battuta odiosa.

    Ma procediamo.

    Crescendo cambiai le mie abitudini, dormendo i pomeriggi e stando sveglio la notte.

    Quando, per la prima volta, feci questa proposta a mia madre ero convinto che non avrebbe mai acconsentito.

    Invece mi disse subito di si.

    Allora non avevo compreso ma col tempo era stato tutto più chiaro: per mia madre e mia nonna, dover vivere perennemente al buio, stando attente che mai la luce del sole potesse entrare in casa, era estenuante. Non potendo stare al sole, le porte e le finestre della casa erano sempre sbarrate e le luci dovevano essere soffuse. La povera donna stirava, puliva, spolverava, tutto al buio per tutelare me che mi aggiravo per la casa. Quindi, ad esclusione dei giorni in cui il mio insegnante veniva per le lezioni private, il pomeriggio me ne stavo a dormire lasciando a mia madre e a mia nonna la libertà di godere della luce mentre, la notte, ero libero di scorrazzare per la casa senza correre alcun rischio.

    Puntualmente, alle quattro del mattino, mia madre si svegliava per prepararmi qualcosa da mangiare. Detto questo posso affermare che lei e mia nonna, consapevoli della mia diversità, cercavano sempre di assecondare ogni mio desiderio per non farmi pesare la differenza dagli umani.

    Ora, detta così sembra tutto rosa e fiori. Invece no! Perché mia madre, col tempo, trovò il modo di rovinare quel rapporto di poco affetto e tanta quiete che mi univa a lei. I motivi erano tanti ma il più importante fu che non volle mai dirmi la verità su una cosa.

    Chi è il mio vero padre?"

    Sono cose da grandi, vampirello mio. Un giorno, quando sarai adulto ti racconterò tutto rispondeva ogni volta con un sorriso ma il mio sesto senso di vampiro capiva che mi stava nascondendo una verità che l'aveva fatta soffrire. Rimandava, rimandava e rimandava ancora, ma solo perché non aveva alcuna intenzione di dirmela. Sorprendentemente, un giorno mi aveva confessato che mio padre non era altro che un drogato. Un bel giorno si era messo in tasca tutti i soldi che tenevano in casa, aveva riempito la sua valigia e aveva abbandonato sua moglie (mia mamma) e sua figlia (mia sorella). In un certo senso aveva abbandonato anche me che, anche se ancora non la facevo nel pannolino e non zampettavo in giro, in qualche modo c’ero, addormentato dentro la mancia di mia madre. (Ecco, questa roba qua della pancia non l’avevo mica capita ma non volevo interromperla e quindi non dissi nulla).

    Così la mamma era rimasta sola a badare a tutta la famiglia. Quando ero arrivato io, la nonna si era trasferita da noi per dare una mano e non se n’era mai più andata.

    Tuo padre era solo un disgraziato! Così diceva. Io ovviamente non le avevo creduto.

    Insomma ma chi voleva fare fesso? Mia sorella era chiaramente diversa da me, chiaramente umana. Io ero speciale.

    L'unica soluzione plausibile, quindi, era, invece, che dovevo essere stato adottato: mia madre e mia nonna non facevano altro che mentirmi. Non mi potevo fidare di loro e, per protesta, presi le distanze. Drasticamente.

    capitolo 4

    Le mie indagini personali...

    All'età di otto anni le cose non erano cambiate molto.

    La notte, mentre giocavo nel piccolo giardinetto davanti a casa, i bambini della mia età dormivano da ore. All’opposto, mentre loro giocavano al parco, sotto al sole, io ero costretto in casa. Ovviamente questo mi aveva impedito di avere degli amici e le uniche passeggiate che facevo, erano quelle con mia nonna dopo il tramonto.

    Aggiungerei poi che la nostra casa era una piccola costruzione fatiscente, tutta di cemento, costruita nella zona industriale della città, a ridosso di uno sfasciacarrozze e al di fuori di fabbriche ed uffici non c’era davvero altro, lì intorno. Ciliegina sulla torta, a casa mia non avevamo nemmeno un televisore, probabilmente per paura che anche quello potesse danneggiarmi la vista. L’unico mio passatempo era la lettura. Certo, dovendo tenere la luce soffusa affaticavo molto i miei occhi ma non mi importava. Fu grazie a questo se, a soli otto anni, avevo un intelligenza ben sopra la media! Tornando a noi, non mi fu quindi difficile trovare del tempo da dedicare alla ricerca della verità.

    Iniziai dalla lavanderia al piano seminterrato della piccola casetta dove abitavamo: ero convinto che sarebbe stato proprio lì che avrei trovato le prove che mi servivano. Così, vagando indisturbato nel silenzio della notte, passai ore ed ore laggiù, tra le ceste di panni sporchi e detersivi perché era lì, da qualche parte che mia madre teneva le prove del mio passato.

    Passai a rassegna ogni angolo, non tralasciai nulla.

    Non vi nascondo, ma sono certo che potete immaginare, la profonda delusione che mi assalì quando mi resi conto che non c'era niente che mi svelasse la verità.

    Quando mia madre mi disse che, per un certo periodo, avrebbe dovuto lavorare la notte per un cambio di turni, non feci una piega. Non mi importava più di lei. Era solo una bugiarda.

    (Quello che ancora non vi ho detto di mia madre è che, di lavoro, faceva l'infermiera e i suoi turni potevano sempre variare.)

    Sono grande abbastanza per potermi preparare da solo pranzo e cena le dissi gonfiando il petto.

    Per mia madre fu un sollievo, succube com’era della mia condizione.

    Comunque l'assenza di quella donna da casa, la notte, mi permise di andare a rovistare anche nella sua stanza. Il fatto che la dividesse con mia nonna non fu mai un problema perché lei aveva un sonno davvero pesante e non c'era nessun rischio che qualche scricchiolio o cigolio potesse svegliarla. D'altra parte io avevo imparato a muovermi nel buio come voi vi muovete nella luce.

    Quello che invece non sapevo era che mi aspettava un altra delusione: non trovai nessun certificato di nascita, ne' mio ne di mia sorella. Non trovai nessuna foto che ritraesse me e mia madre in compagnia di un uomo. Le uniche foto che trovai furono quelle di mia sorella con suo padre... già quell'ometto magro e occhialuto con la faccia stupida che di sicuro non poteva essere il mio.

    Ero avvilito: intrappolato in quella casa, circondato da gente che nulla aveva in comune con me e altro non faceva che dirmi menzogne.

    Passai intere nottate divorato dalla rabbia e dall'impotenza a camminare avanti e indietro per la mia stanza. Le uniche persone con cui mi era dato di avere dei contatti umani erano persone bugiarde.

    Così decisi di fare affidamento al mio ingegno.

    Scrivere una lettera non mi fu difficile (come vi dissi ero piuttosto intelligente). Mi bastò tirare fuori tutto il mio rancore e buttarlo su carta.

    Infine, ritenendomi soddisfatto, poggiai quel foglio, piegato in due, in bella vista sul tavolo della cucina.

    Appena sentii il rumore delle chiavi che giravano nella toppa corsi nella mia stanza, mi misi a letto, ma non riuscii a chiudere occhio. Non so quanto tempo passò quando sentii mia nonna che lasciava la sua camera e si trascinava pesantemente verso la cucina. La seguii senza farmi vedere. Scomparve nella stanza e la tenda si chiuse alle sue spalle.

    Si, avete capito bene, la tenda!

    Mia madre aveva una sua particolarissima fissazione riguardo alle porte: le odiava! Così aveva fatto levare tutte le porte in casa (a parte quella dell’ingresso, s’intende!)

    La mia stanza ad esempio era isolata dal resto della casa da una pesante tenda di velluto scuro. Era un ossessione, mi aveva raccontato mia nonna, che si portava dietro fin dal liceo quando, durante il ballo di fine anno, era rimasta chiusa nel bagno della scuola. Urlare non le era servito ad un bel niente visto il chiasso dei ragazzetti ubriachi e la musica a tutto volume. Il suo accompagnatore, non vedendola tornare, se l’era filata con una cheerleader e lei era stata ritrovata la mattina dopo, infreddolita e spaventata, acquattata sulla coppa del cesso.

    Il mio kit anti-sole era pronto sulla sedia ed io di corsa mi preparai: mi avvolsi nella coperta e indossai gli occhiali da sole che avevo sottratto dalla camera di mia sorella, di un rosa sgargiante tutti decorati da strass luccicanti... ma non aveva importanza.

    Adesso basta Magda diceva mia madre. (Magda era il nome di mia

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