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Io sono l'alfa
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E-book507 pagine8 ore

Io sono l'alfa

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Info su questo ebook

In un contesto in cui animali e umani sembrano non essere gli unici a popolare il pianeta, si inserisce la storia di Nathan, ragazzino di sedici anni che vive in un paesino del Texas con la madre mentre il padre non lo ha mai conosciuto. È alto, massiccio e stronzo: “perché essere stronzo mi permetteva di controllare l’insicurezza dilagante che albergava in me, e di coprire quel vuoto che mi aveva lasciato mio padre…”
Ultimamente, la sua vita è caratterizzata dalla noia, dall’insoddisfazione e dalla frustrazione e lui dimostra di essere superficiale e vuoto, ma un pomeriggio qualunque, nel bagno di un centro commerciale, Nathan farà l’incontro che sconvolgerà per sempre la sua esistenza. “Così conobbi Billy, nonché la mia guida, il mio Yoda. Il giorno che comparve nella mia vita fu lo stesso in cui iniziò la mia discesa negli inferi. Mi aveva promesso qualcosa – sì, quel “qualcosa” – e io da buon ragazzino avventato, annoiato e bramoso, avevo accettato. Da quel momento in poi, la mia vita è andata in pezzi, giorno dopo giorno, battaglia dopo battaglia.”
E Nathan, così assetato di potere e di avventura, accetterà questo cambiamento: diventare un lupo mannaro, ma non uno qualunque: un Alfa.
“Volevo che la mia vita diventasse un’avventura, volevo poter lottare per qualcosa di più grande di me, qualcosa che ne valesse la pena”.
“Quel morso per me rappresentava la linea, il terrificante ignoto da cui mi ero tenuto alla larga per tutta la vita.”
Inizierà così un viaggio ma non in solitaria. Lizzie sarà la sua compagna. Dovranno fuggire, nascondersi, scontrarsi… loro due contro tutti…
Ma sarà davvero questo il destino riservato a Nathan?
“Era davvero questo che volevo? Essere Nathan l’alfa? Mi sarebbe piaciuto, un giorno, poter dire “Chi sono io? Io sono l’alfa”, era molto cinematografico, proprio come piaceva a me. Tuttavia, in quel momento volevo solo essere Nathan e fuggire via da tutto.” 


Ivan Sacchi  ha trentatré anni ed è di Milano. Studia in una scuola artistica ma capisce che non è la sua strada e che sono, invece, le parole a ispirarlo. Lavora nella grande distribuzione e poi decide di intraprendere un viaggio nella scrittura che lo porterà a concludere il suo primo libro. 
“La lettura mi ha dato molto, ma la scrittura di più, un modo per evadere dalla normalità e dalla routine di tutti i giorni…”
LinguaItaliano
Data di uscita28 feb 2023
ISBN9788830679269
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    Anteprima del libro

    Io sono l'alfa - Ivan Sacchi

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    Ivan Sacchi

    Io sono l’alfa

    © 2022 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma

    www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com

    ISBN 978-88-306-7282-6

    I edizione gennaio 2023

    Finito di stampare nel mese di gennaio 2023

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa

    Io sono l’alfa

    Nuove Voci - Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    FACCIAMO CHIAREZZA

    Chi lo avrebbe mai detto che un giorno avrei fatto un on the road come ho sempre desiderato, uno di quelli che nei film arricchiscono il protagonista di sentimenti, ma anche di esperienza. Io ho avuto entrambe, ne sono saturo. Ho avuto paura, e ho perso la testa in tutti i sensi, per rabbia, per amore, per disperazione, non è rimasto più nulla della persona che ero quando mi è stato donato il cosiddetto morso. Cercherò di essere breve, prima di raccontare la mia storia devo mettere in chiaro un paio di cose. Sono sempre stato un buon cantastorie, pieno di estro e anche decisamente strano, ma quello che vi sto per raccontare è tutto vero, e quando avrete finito di leggere, sono certo che vi sarete già barricati in casa. La prima cosa è la più importante, la causa di tutto questo vomito ininterrotto di parole, si tratta di una di quelle rivelazioni a bruciapelo che ti lasciano di sasso a farfugliare come un demente mentre cerchi di capire che cosa sta succedendo. Ci siete? Animali e umani non sono gli unici a popolare questo pianeta. In realtà sì, ma delle volte le due categorie vanno di pari passo, diciamo più semplicemente che potrebbero mescolarsi. Ovviamente, mi riferisco ad un solo animale in particolare. Mi rendo conto che è una di quelle cose che direbbe un pazzo con un cartello addosso e sopra scritto, la fine è vicina, ma ragazzi, la fine è vicina. Purtroppo, solo chi si trova dentro al problema se ne può rendere conto. Io ero uno di quelli che non se ne rendeva conto, che credeva al mondo così come ci veniva mostrato in tutte le sue sfaccettature positive e negative. Non era così, c’era molto di più, e superata quella linea, c’era un nuovo mondo, con problemi annessi.

    Iniziamo per gradi, prima di parlare delle problematiche, vi racconterò chi è che vive all’interno di questa nuova realtà. Innanzitutto, gli esseri in questione sono stati chiamati in molti modi da tanti popoli diversi nei secoli addietro, in maniera volgare lupi mannari o licantropi, mutaforma più volte rappresentati nel mondo del cinema, o nei libri. Evidentemente, qualcuno sapeva più di quanto fosse pronto ad ammettere. Non da poco questa bomba, non è vero? Beh, che dire, è da questa rivelazione che tutto ha inizio, da cui ha inizio il mio viaggio verso la salvezza. Vi sarà capitato di vedere film del calibro di Underworld, ma senza i vampiri, almeno fino ad ora, oppure Twilight, sempre senza Edward e famiglia. Anche serie, le mie preferite, da Teen Wolf a Bitten e da the order a Wolfblood, quest’ultima molto grezza ma ambientata in un territorio migliore, diciamo più adatto a un lupo mannaro rispetto alle cittadine moderne dove solo ora mi rendo conto sia impossibile vivere con tali istinti. Tante belle serie o film, ma la verità è che solo alcune corrispondono alla realtà. Per prima cosa la trasformazione avviene spontaneamente o tramite una forte emozione, e non si diventa veri e propri lupi, bensì bestie a due zampe che avrò modo di descrivere meglio più avanti. Per capirci meglio, somigliano un po’ alle creature rappresentate nella serie tv The Order. Potrei elencarne altre, centinaia, e lo farei davvero, però, non ho più molto tempo e ho già divagato troppo, come spesso mi capita quando inizio a parlare di film e serie tv. Lo so, fremete, volete sapere, come chiunque d’altronde, così come me quando è successo. Anche io ero all’oscuro della loro esistenza fino a qualche tempo fa, come rinchiuso nella mia personale versione di Matrix dove tutto è imperfetto e il mondo è abitato da comunissimi umani del cazzo. Non lo sapevo e mai mi sarei aspettato che il mio vicino, o chissà, magari il postino, fossero dei lupi mannari, bestie disumane che avrebbero potuto divorarmi o spezzarmi in due come un grissino. Vivono tra noi come gente comune, rispettando le leggi dell’uomo, oltre che le loro. Sapete perché? Perché lo sono, almeno per metà. Come mai non li avete mai visti? Abbiamo, volete dire. Il succo è proprio questo, era qui che volevo arrivare. Hanno capacità particolari che gli consentono di essere superiori in tutto, e di conseguenza gli permettono di essere invisibili ai banali sensi umani. Non so bene quando o come nasca il lupo mannaro nella storia, e credo che nemmeno loro lo sappiano con esattezza. Una maledizione? Un’alterazione del

    DNA

    ? Uomo e lupo hanno scopato generando il primo lupo mannaro? Non lo so e non me ne frega un cazzo, ma immaginate per un solo secondo di quali capacità stia parlando. Sì, è tutto vero. Forza, agilità, velocità, e sensi acuiti anche in forma umana, seppur con delle limitazioni. Certo non diverrete Superman, ma andiamo, chi non lo vorrebbe? Se me lo avessero chiesto quando ancora non sapevo nulla, avrei risposto con un secco Sì, lo voglio, senza neanche pensarci troppo. È anche vero che il tempismo è tutto nella vita, quello sì che è un dono, sapersi infilare nella storia al momento giusto, ma tutti abbiamo la sensazione di volere di più alla mia età e l’errore nelle decisioni è assolutamente umano, tuttavia, un tale peso in un momento così delicato può portarti alla follia, credetemi. Quale momento? Lo conoscerete presto. Non è tutto oro ciò che luccica diceva sempre… in realtà non lo so, devo averlo sentito dal signor Levi, il supplente di storia della mia scuola. Io non ce lo avevo questo maledetto dono, il mio tempismo era una schifezza, una sorta di maledizione eterna. Bene, ora non parlerò di me, per annoiarvi ci sarà tempo. Avete visto come ho divagato? È parte di me perdere il filo del discorso.

    Tornando a noi. Non ci siamo mai insospettiti di nulla perché nessuno di noi si è mai chiesto guardando Underworld; ma allora esistono davvero? Perché avremmo dovuto farlo? Nessuno vorrebbe che quei cosi girino per la propria città, indisturbati come dei procioni che rovistano nella spazzatura. E non li abbiamo mai visti semplicemente perché la comunità Lycan, come loro si definiscono, non sono così piccoli da potersi permettere errori. Sono ovunque, diffusi come una macchia d’olio su tutto il territorio mondiale. Insomma, non si tratta di un gruppo di ribelli che combatte contro i vampiri come accade in alcune storie, vivono una vita ai margini, spesso quieta e in solitaria, formata da piccole fazioni disseminate in tutto il paese. Cosa sono le fazioni? Sono gruppi di lupi mannari, delle volte anche più branchi e più alfa, o delle volte anche uno solo per quelle più piccole, ma comunque con un solo capo fazione tra loro. È difficile da spiegare, onestamente sto iniziando a capirci qualcosa solo ora. Non vivono ammassati nello stesso punto, sono semplicemente delle famiglie che vivono una vita comune all’interno della stessa città o paese, facendo capo ai propri alfa riguardo qualsiasi decisione, branchi che si sono adattati all’era moderna per poter coesistere con gli umani. Di queste fazioni, nel nord America ce ne sono centinaia, forse di più, non ne sono così sicuro, come di molte altre cose. Scusate, sono nuovo nel settore dei mutaforma. Parlo dell’America del nord perché, ovviamente, è da lì che vengo, e probabilmente la storia si ripete in ogni continente. Dico probabilmente perché anche di questo non ne sono certo, ultimamente non ho avuto modo di arricchire la mia conoscenza, ho avuto altro a cui pensare, a scappare ad esempio. Nell’ultimo periodo la mia vita è stata così frenetica, un modo gentile per dire che è andata completamente a rotoli, sono in viaggio da quasi un anno ormai, braccato come un animale. Ironico, non trovate? No, non sono cacciatori, la storia è molto più intricata e triste.

    Alcuni di questi alfa, le famiglie più antiche e radicali, costituiscono il consiglio a cui le fazioni fanno capo, e ovviamente, anche queste famiglie hanno delle fazioni. Legge, giudici, condanne, tutto passa da loro. Non tutti gli alfa possono farvi parte oltre quelle famiglie, solo alcuni fortunati si sono inseriti nel corso degli anni sostituendo chi magari si tirava indietro, o subentrava a una dinastia interrotta. Nessuna votazione, nessun dibattito, nulla. Una dittatura? Quasi. Erano loro e basta, una cerchia ristretta di amici al circolo del golf, sapeva tanto di privilegio sociale. Esatto, avete un buon intuito, sono proprio loro il primo problema di questa ambigua storia, o almeno uno dei due. Innanzitutto, perché mi stanno sui coglioni, e secondo perché regolamentano in maniera raccapricciante l’intero Nord America, dall’Alaska fino a gran parte del Messico. Perché raccapricciante? Perché medievale suonava davvero male, ma è questo che sono. Faccio un passo indietro per far in modo che sia il più chiaro possibile con che razza di merde ho a che fare. La prima regola nella comunità è quella di non rivelare mai il segreto, e amalgamarsi il più possibile con gli umani senza mai usare le proprie capacità al di fuori della fazione di appartenenza. È molto semplice, persino il più ottuso ci arriverebbe. Tuttavia, essendo creature istintive per metà lupi, è capitato che qualcuno usasse, involontariamente, le proprie capacità davanti agli umani. Non ci trovo nulla di male se la cosa si riesce a risolvere, è successo e succederà ancora, è inevitabile per una creatura di questo genere. L’istinto umano è difficile da controllare, però, immaginate solo per un istante quanto debba essere faticoso contenere l’irrefrenabile inclinazione violenta che giace dentro ognuno di loro, senza contare le altalenanti emozioni umane che rendono tutto più complesso, e purtroppo non è una cosa che si accende e spegne con un tasto. Alcune fazioni preferiscono far studiare i ragazzi a casa per evitare ogni tipo di problema, per evitare che i propri cari finiscano alla gogna. Amalgamati sì, ma fino ad un certo punto. A ogni modo, questa violazione è pagata con l’esilio, o se recidivo, con la morte. Il segreto prima di tutto. La morte per un singolo errore, questi non stanno bene, come tagliare la mano per aver rubato una caramella. In che epoca vivono? Anche l’esilio è una condanna atroce che non risolve assolutamente nulla. Punizioni, non soluzioni, credo sia questo il loro motto. L’esilio si tratta di un allontanamento forzato in una terra desolata decisa dal consiglio per una quantità di mesi o anni. Da tre mesi a cinque anni generalmente, e tutto senza avere contatti con nessuno. Per quanto riguarda la morte, la cosa si fa più agghiacciante. Violata la legge, il consiglio manda qualcuno ad ucciderti se non ti presenti spontaneamente ad implorare pietà, e spesso non serve granché. Non presentarsi quando si viene chiamati è ritenuto un crimine peggiore del crimine stesso. Boriosi figli di puttana. Se usi il potere per arricchirti è anche peggio, sei praticamente un morto che cammina, tanto vale buttarsi da un palazzo, ma nessuno è mai arrivato a tanto. Una volta che ti sei presentato, affronti un processo. Si fa per dire ovviamente. In cosa consiste il processo? È una farsa, e solo in pochi ne sono usciti vivi, prevede che tu vinca uno scontro e non che tu faccia valere le tue ragioni. Nessun avvocato, nessuna giuria, si tratta di un combattimento contro la stessa persona che avrebbero eventualmente mandato a cercarti, e di solito è qualcuno con cui non si hanno speranze, altrimenti che figura fanno. Che giustizia, non c’è modo peggiore di uccidere una persona, prima con la paura, e poi con gli artigli. Sei colpevole, punto, ma se riesci a sopravvivere in uno scontro con un alfa nettamente più forte di te e che ti infligge ferite che non si rimarginano come si rimarginerebbero quelle normali, allora sei salvo, indipendentemente dalla colpa di cui ti sei macchiato. È una cosa sbagliata su tutti i fronti, qualcosa di veramente disumano. Che schifo, è l’unica cosa che mi viene in mente. Avevano ridotto la comunità ad aver paura della propria natura, e tutto perché i loro primitivi antenati facevano così, e se lo facevano loro che avevano creato le fazioni, perché avrebbero dovuto cambiare le cose. Perché? Una domanda che probabilmente non si erano mai posti. Stolti, sciocchi quanto basta per governare con la paura senza accorgersi che si tratta di un’arma a doppio taglio. Poi, come spesso capita, si punisce la persona sbagliata nel momento sbagliato, e finalmente inizia a muoversi qualcosa. Non so bene chi fossero queste persone, ma credo si trattasse di un esilio, niente di grave, la punizione meno importante di tutte che però bastò a far traboccare il vaso. Esatto, un capro espiatorio, ma ne serviva un altro per innescare la bomba e convincerli a muoversi. Eccomi, colpevole di ogni accusa. Senza volerlo ero diventato il capro per eccellenza, una sorta di Francesco Ferdinando d’Austria. Come mai proprio io? Tempismo amici miei, ero la persona giusta nel momento sbagliato, o viceversa, ancora devo capirlo. A quanto pare, avevo preso qualcosa di molto valore a qualcuno, e avevo fatto arrabbiare un po’ di persone, mettendo in moto un effetto domino. Questo qualcosa ha molto valore nella comunità, e chiunque lo possieda viene visto con una certa riverenza che spesso si tende a dare ad un Lord. Inoltre, garantiva un accesso diretto al consiglio con una bomba tra le mani. Pensate che sia una merda? Non è finita. A questo problema se ne era aggiunto un altro che aveva frenato il movimento sul nascere, di conseguenza, il consiglio non era più il problema numero uno. Strano, oserei dire. Come al solito, era stata la paura a tenerli fermi, sembrava che qualcuno stesse tirando i fili e riscrivendo la storia a proprio favore. Ma chi? Anche questa volta si trattava di tempismo, un buon tempismo, e qualcuno aveva sfruttato il momento di caos per agire indisturbato. Avevano iniziato molto tempo prima, e la destabilizzazione del consiglio era solo la ciliegina, un effetto collaterale che giovava un po’ a tutti, ma che creava un effetto caotico e incontrollabile. Come? Ecco che entra in scena il secondo problema, una fazione di coglioni gettati tra i monti dell’Alaska, nonché membri del consiglio, loro sono la causa dei miei problemi principali, almeno per il momento. Erano loro i destabilizzatori. In qualche modo, rubando quel qualcosa, li avevo fatti arrabbiare, erano anni che lo volevano mentre io ci ero inciampato per caso, pensate che cavolo di frustrazione devo avergli causato. Il consiglio era un vero problema, ma i Blunt erano il male peggiore in quel momento. Stavano creando un movimento tutto loro, e il motivo era il potere assoluto sulle fazioni, niente di più banale e semplice, e come la storia ci insegna, gente così esisterà sempre. Non solo il consiglio, anche e soprattutto i Blunt, e agendo dall’interno possedevano una mano migliore e avevano il pieno controllo, ovviamente fino al mio involontario arrivo. Certo, avrebbero eliminato il problema principale di tutti, il consiglio, ma ne avrebbero creato uno ancora più grande e forte, perché una volta preso il potere saremmo sprofondati nel baratro. Inoltre, alcune di quelle famiglie si erano già unite a loro in segreto, e altre avevano iniziato a capire che qualcosa non andava. Vento di guerra, era qualcosa di inevitabile ancor prima che arrivassi. Che casino, fatico a capirci qualcosa persino io che lo sto vivendo. Credetemi se vi dico che quei personaggi sono dei folli, estremisti dal cervello grosso come una nocciolina pronti a tutto per il controllo assoluto, non credo avessero nemmeno dei progetti futuri per la comunità, il motivo di tanto trambusto era semplicemente il potere. E con tutto, intendo dire veramente qualsiasi cosa, persino a creare un veleno di strozzalupo invisibile all’olfatto Lycan, in grado di uccidere in poche ore, al massimo giorni, e che avrebbe potuto uccidere anche loro. Idioti. Nulla annichilisce più dell’aconito, è la nostra kryptonite. Un po’ come se il topo costruisse le sue stesse trappole, devi essere proprio stupido per farlo, ma d’altronde gli umani sono stati una buona fonte d’ispirazione. Cosa ci facevano? A qualunque alfa si opponesse alla loro ascesa, lo avvelenavano e gli rubavano il potere, così facendo non avrebbe potuto denunciarli e allo stesso tempo avevano modo di potenziare la fazione. Poco prima di morire, lo uccidevano, e gli rubavano il potere. Ovviamente, solo il potere dell’alfa può passare di mano in mano, mentre il potere di un beta svanisce dopo la morte, insomma, il potere base di ogni lupo. Il beta non può trasformare nessuno, e le ferite inflitte sono meno dannose rispetto a quelle di un’alfa. I Blunt agivano indisturbati da mesi o anche di più quando sono subentrato nella storia a stravolgere i loro piani, e a quanto pare nessuno sapeva nulla perché non lasciavano mai tracce. Il consiglio aveva iniziato ad indagare da poco a causa delle denunce di alcuni beta rimasti senza il loro alfa. Nessuno sapeva o aveva visto nulla, e non c’erano indizi che potessero far pensare a qualcuno del consiglio. Già, essendo tra le famiglie più influenti all’interno, a nessuno sarebbe venuto in mente di accusarli, un po’ come puntare il dito contro un capo di stato. Subito dopo le prime scomparse, avevano incaricato un ragazzo di cercare prove, e indagare su qualsiasi persona all’interno delle fazioni. Tutto si era gelato in una fase di stallo nella comunità per favorire le indagini, non era facile uccidere sei alfa nel giro di così poco tempo senza che qualcuno si accorgesse di nulla. Erano invisibili, dei ninja nella notte, e devo dargliene atto, sapevano come muoversi. Così conobbi Billy, nonché la mia guida, il mio Yoda. Il giorno che comparve nella mia vita fu lo stesso in cui iniziò la mia discesa negli inferi. Mi aveva promesso qualcosa – sì, quel qualcosa – e io da buon ragazzino avventato, annoiato e bramoso, avevo accettato. Da quel momento in poi, la mia vita è andata in pezzi, giorno dopo giorno, battaglia dopo battaglia. Che storia vero? Sono qui apposta per raccontarvela e fare in modo che un giorno veda la luce. Chi sono io? Ve lo dico subito.

    L’INIZIO DI TUTTO

    La verità è che non so bene come si dia il via ad una storia del genere, ma ci proverò lo stesso. Che dire, la mia vita prima del giorno X era monotona; casa, scuola, fumare erba, allenamenti, centro commerciale, fumare erba, di nuovo casa, e la sera, quando capitava, fumavo erba. C’erano un paio di punti in questa sequenza che mi davano un po’ di soddisfazione, ma poi passava l’effetto e io ritornavo al solito noioso mondo ove ero stato partorito. Sentivo di valere di più, di volere di più, ma non ero pronto a mettermi in gioco. Beh, delle volte la volontà è ben misera cosa davanti all’inarrestabile susseguirsi degli eventi, e se ti trovi in mezzo, sei fottuto. John Lennon diceva che la vita è ciò che accade quando sei intento fare altri piani, io non facevo piani, nulla per spezzare quel circolo vizioso di noia mortale, ma era chiaro che quegli eventi non potevano ripetersi all’infinito. Dio, come ero insoddisfatto, l’unica gioia che mi era rimasta erano i libri, film e serie, e l’erba. Ma sapete, alla mia età è tutto così facile e leggero che pensi sempre di avere tempo per cambiare le cose, ma non è vero. Ero bloccato, come incatenato alla mia vita, una sensazione che non riuscivo proprio a scrollarmi di dosso. Nonostante non sentissi di meritarla, la vita aveva deciso di darmi comunque l’occasione di avere il mio cambiamento, una sola e irrinunciabile occasione. Un evento casuale, ma destinato non solo a cambiare la mia vita, ma anche la vita di molti altri personaggi. Mica male, un cambiamento non da poco. Cosa posso dirvi, una scelta così avrebbe fatto gola a qualsiasi ragazzo della mia età e anche ai più grandi. Tanto per iniziare, mi presento, così se mai qualcuno dovesse trovare questo messaggio, spero possa avere il fegato di farne buon uso, e chissà, magari divulgarlo. Al momento non ho il tempo e tantomeno la voglia di scatenare un altro putiferio, ho già dato. Sono Nathan, ma per molti sono solo una foglia di prezzemolo tra i denti. Ho diciassette anni, e ormai vado per i diciotto, ma quando successe tutto ne avevo ancora sedici. Dio, sedici anni è un’età già difficile per natura, figuriamoci con queste capacità. Circa quattordici mesi fa la mia vita è cambiata, anche se chiamarlo cambiamento sembra un po’ riduttivo. Sono diventato forte, veloce, e posso vedere e sentire qualsiasi cosa a metri e metri di distanza, eppure, la mia vita ora è una vera merda, un casino totale, un intreccio di trame che non so come sbrogliare. Non solo è stato doloroso, ma con sé ha portato anche un bel po’ di problemi, problemi che non sapevo gestire allora, e che non so gestire nemmeno adesso, anzi, soprattutto adesso. Lo credevo un dono inizialmente, invece, altro non era che una condanna a morte nel vero senso della parola. Braccato, come la bestia che sono diventato, anche se non ho mai fatto del male a nessuno, se non per difendermi. No, non sto cercando di lavarmi la coscienza, ma ho bisogno di parlarne con qualcuno, o almeno credere che, un giorno, qualcuno possa leggere queste parole come se uscissero proprio dalla mia bocca, con la stessa tonalità da arrogante saputello del cazzo quale ero prima che mi succedesse tutto.

    Come mi trovo in questa situazione del cazzo? E cosa mi è successo di così folle da rendermi così? Tutte domande davvero belle, ma bisogna fare un passo indietro affinché possiate capire bene in cosa mi sono cacciato. Tanto per iniziare non è colpa mia. Lo so, i colpevoli lo dicono sempre, ma questa volta non è così. Cioè, mi spiego meglio, non è una di quelle situazioni che ti vai a cercare come ad esempio fare un tiro di sigaretta con gli amici di infanzia, oppure prenderti uno schiaffo da una ragazza perché sei stato un perfetto pezzo di merda. Perché si, questo ero, una totale perdita di tempo, e un menefreghista di classe A. La noia, l’insoddisfazione e la frustrazione mi avevano reso così, superficiale e vuoto, almeno in apparenza. Io sapevo chi ero, ma lo stavo dimenticando in fretta, quella maschera stava diventando parte di me. Trattavo le persone come se fossero un contorno sbiadito della mia vita, tranne Trevor, uno dei pochi che abbia mai considerato davvero un amico, e poi era troppo stupido o fatto per tradire la mia fiducia, ma questa è un’altra storia su cui tornerò. E se sono giunto a dire questo di me, vuol dire che qualcosa mi ha portato a guardarmi indietro con amarezza per apprezzare quelle cose che scartavo con tanta superficialità. Qualcosa di terribile che mi ha fatto chiedere più volte; come può un dono così bello portare tanto dolore? Detto ciò, farò questo maledetto passo indietro, e credetemi, per me non sarà facile, e per voi sarà ancor più difficile credere a quanto sto per dirvi.

    Tanto per iniziare, sono americano, e vivo in una piccola cittadina del texas, e ve lo dico così vi sarà più facile immaginare dove si svolge tutto. Armi, apertura mentale pari a zero e così via. Non dirò il nome, ma vi assicuro che è un luogo tetro, spettrale, un buco di merda che odiavo con tutto il mio cuore e che desideravo abbandonare da quando avevo… bè, da sempre. Di sicuro non immaginavo di lasciarlo così, e ora come ora ci tornerei volentieri per poltrire sul mio letto come un qualsiasi ragazzo della mia età, senza abilità particolari se non quella di far incazzare mia madre per qualsiasi cosa. Ero bravo a far incazzare le persone, era come un dono. Una causa persa, senza ambizioni né passioni particolari fuori dalle mura di casa, se non un po’ per la mia squadra di calcio, e per la squadra femminile di pallavolo, ma questa è ancora un’altra storia, e credetemi se vi dico che la squadra di pallavolo merita un capitolo a parte. Quanto potenziale, considerando che vengo da un piccolo paesino di campagna con qualche migliaio di abitanti, uno di quelli con un minimarket, un ristorante, un panettiere e così via a riempire le vetrine dell’unica via di passaggio. Tuttavia, non era così sperduta, non del tutto almeno. Non era l’unico paesino nei dintorni. Eravamo in molti, quartieri costruiti nel bel mezzo del nulla, divisi da chilometri di radura, campi coltivati, e piccole aree boschive. Tutti avevamo in comune le tre strutture più importanti; l’ospedale, dove lavorava mia madre, e la scuola, dove mi toccava andare tutti i giorni insieme a Trevor, quando si ricordava di svegliarsi. E chiaramente anche il centro commerciale, il fulcro di tutto. Vi starete chiedendo dove sia mio padre? Ecco, abbiamo già qualcosa in comune. Né io, né voi sappiamo che fine abbia fatto, e chissà, forse è meglio così. Mia madre mi ripeteva sempre che non era pronto, e dunque, ciao ciao papà. Ho scritto anche troppo di me, la verità è che non vedo l’ora di raccontarvi come tutto è iniziato. Se solo potessi vedere le vostre facce da questa riga in poi.

    Lo ricordo come fosse ieri, un ricordo indelebile e spaventoso. Così traumatico da ricordare l’ora, il giorno, e quella terribile sensazione di avere gli occhi addosso fin dal mattino. E persino gli odori, così inchiodati nella mia memoria da sentirli ancora, quando la mente viaggia a quel momento. L’eccezionale vaniglia del gelataio Ice creaminal. Nome strano? Pensate che l’insegna è un gelato tra due pistole fumanti. Eppure, lo adoravamo, così come Alan, il titolare, uno svitato di prima categoria, uno di quelli che ha sempre la battuta pronta, il tono di voce a mille, e una risata così altisonante da coprire il rumore della musica del centro. Ricordo anche quel misto di profumi mischiati che invadevano tutto l’androne d’ingresso, e la radiosa luce che penetrava dalla vetrata soprastante. Ricordo tutto, quel giorno e quel momento in particolare, e potrei stare qua per ore a scrivere, ma perderei solo il filo del discorso, come sempre. Torniamo a noi. Era una monotona e spenta giornata di fine febbraio, come dimenticarlo. Dopo gli allenamenti di calcio avevo deciso di raggiungere Trevor e Scott al centro commerciale. Non vi ho parlato di Scott solo perché si tratta di un coglione pieno di soldi che ci gira attorno solo per potersi fumare qualche Joynt, e nel caso fosse beccato, dare la colpa a noi. Che personaggio, ma era utile, e anche divertente quando si dimenticava del suo egocentrismo. Se ne andava sempre in giro, scarrozzando anche noi, sul suo pick-up rosso scintillante. Come è possibile, vi starete chiedendo. Suo padre primario e sua madre avvocatessa, e che avvocatessa. Ogni volta che la vedevo strizzata in quei tailleur mi si stringeva il cuore e… vabbè, lasciamo perdere.

    NOTA: SMETTERLA DI DIVAGARE

    . Il centro commerciale si trovava a metà strada tra l’ospedale e la scuola e dai campi d’allenamento ci volevano almeno venti minuti per raggiungerlo con l’autobus. Già, l’autobus, visto che Scott era già lì con Trevor, e probabilmente erano già conciati come spesso capitava tutte le volte che dovevo allenarmi. Maledetti autobus scadenti, i famigerati trasporta poveri, ma ahimè, io lo ero. Erano le cinque del pomeriggio e ricordo perfettamente che aspettai venti minuti prima che arrivasse. Lì, tutto è iniziato. L’autobus era vuoto, o quasi. Salii, stanco e con la mente annebbiata. Per quale strano motivo mi guardai attorno prima di sedermi. Nulla catturò il mio interesse, eppure, una strana sensazione mi accompagnò fino a che non incollai le chiappe al primo posto, appena dietro il conducente, sul lato esterno. Qualcuno mi stava osservando, ne ero più che certo. Schiacciai la borsa ben stretta tra i piedi, un gesto istintivo per difendermi da chiunque mi stesse osservando. Davanti a me c’era un vetro che mi separava dalla salita e discesa dei passeggeri. Ero angosciato, così presi a fissare il mio riflesso per qualche minuto. Il mio bellissimo riflesso mi calmò, più o meno. I miei corti capelli castani, arruffati, e ancora leggermente umidi, mi cadevano davanti agli occhi, che persino in quello schifo di vetro riuscivano a risaltare. Un azzurro così intenso da ammaliare anche me. Eh, sì, ero bello, e anche modesto. Solo tre anni prima ero basso, grassottello, e la mia faccia sembrava una palla, e poi, come d’improvviso, ero diventato alto, atletico, e i tratti del mio viso non avevano più quel tondeggiamento fanciullesco e imbarazzante che mi aveva tenuto lontano dal sesso opposto. Sopracciglia spesse e appena più chiare, naso dritto e labbra costantemente screpolate; uno dei miei pessimi vizi oltre il fumo era quello di mordermi le labbra e non in maniera sexy, bensì in modo compulsivo e nervoso. Qualcosa di storto dovevo pur averlo. Un giorno basso e scemo, e il giorno dopo solo scemo, almeno la parte esterna ero riuscito a recuperarla. Acquisita sicurezza dei miei mezzi, avevo capito che sarebbero venute loro da me, e così fu. Ero diventato bravo, davvero bravo, e purtroppo, anche stronzo, ma questa è un’altra storia, una di quelle che non approfondirò. Tra i campi e il centro commerciale, l’autobus aveva raccolto una manciata di persone in un paio di quartieri vicini tra loro. Un vecchio che sembrava già dall’altra parte, una ragazza incinta e due ragazzi dall’aria cupa, probabilmente fatti, riconoscevo quello sguardo inebetito. Presi coraggio e mi voltai. C’era un uomo sul fondo dell’autobus che non avevo visto subito, e ovviamente, come solo nei migliori film horror succede, sedeva sotto un neon lampeggiante con la testa china e coperta da un cappuccio azzurro/grigio. Nonostante tutto, sapevo che mi stava osservando. Avevo ragione. In quei brevi momenti in cui il neon sopra la sua testa si spegneva, il sedile davanti a lui si irradiava di una particolare luce rossa che proveniva da sotto il cappuccio. Troppo inquietante, non volevo avere nulla a che fare con queste stronzate, avevo sempre avuto una certa attrazione per i film Horror e di magia, nonostante mi angosciassero, e spesso mi facevo dei lunghi viaggi nel regno della fantasia. Troppo lunghi e troppo cupi. Mi voltai e ripresi la mia vita da dove l’avevo lasciata, angosciato da quella sensazione, ma vivo. Ero ben messo, e abbastanza scemo, ma quello aveva tutta l’aria di essere un balordo, mentre io ero solo duro in apparenza. Sembrava uscito dal raduno de I guerrieri della notte con abiti un po’ più moderni, ma non tanto diversi. Quando arrivò la mia fermata e vidi il centro commerciale, avvertii un enorme peso scivolarmi di dosso. Spirai sollievo dai miei polmoni mentre stringevo con forza la borsa. Era davvero immenso quel posto, una struttura con quattro torri agli angoli a mo’ di castello, infatti, il suo nome era "

    THE CASTLE

    . In verità aveva solo le torri a fare da castello, per il resto era un insieme di vetrate a specchio che rifletteva l’immensa radura di fronte, una comune e scintillante struttura moderna. Afferrai la mia borsa targata

    LIONS

    " e scesi in fretta e furia senza mai voltarmi. Rabbrividivo all’idea di quello che avevo visto, ma sapevo bene di essere un ragazzo fantasioso e cercai di farmene una ragione. Tuttavia, quando sentii il motore rombante dell’autobus, non riuscii a resistere alla tentazione, e mi voltai proprio mentre gli ultimi posti mi sfilavano davanti. Vuoti. Avvertii una strana sensazione gelida percorrermi il petto e mozzarmi il fiato. Magari era sceso alla fermata prima, eppure, per chissà quale motivo, ero convinto che fosse lì. Sentivo ancora i suoi occhi addosso. Nella radura non c’era nessuno, e nel parcheggio per metà pieno vagavano poche anime. Alcuni con il carrello della spesa, altri erano solo dei miei coetanei che vagavano senza una meta, e poi c’erano un paio di guardie e un inserviente. Nulla, lui non c’era. Mi calmai, ma una parte di me sapeva che non era finita lì. Mentre mi infilavo nel parcheggio per arrivare all’ingresso, ripensai a quella luce rossa. Si, era molto più di quel che sembrava, ma vi toccherà aspettare per sapere di cosa si trattava. Il ricordo si fece vivido davanti ai miei occhi mentre camminavo, mi sembrava di averlo ancora davanti agli occhi. Si stringeva la pancia e sembrava tormentato, e no, non erano coliche. Bè, lo era, tormentato intendo, ma non vi anticiperò nulla, tanto non ci vorrà molto prima di arrivare al disastro. Mi fermai proprio davanti alle porte. Si aprirono, e mi fermai per dare un’altra occhiata, imperterrito e preoccupato. Era lì, ma provai a convincermi che fosse solo un eccesso d’ansia, il mio problema era che non sapevo stare da solo e il silenzio faceva davvero male alla mia fragile psiche.

    Mi addentrai in quella giungla, ma ero distratto e le persone mi sfilavano a fianco come ombre, d’altronde, molti di loro erano assenti esattamente come lo ero io. Continuai a camminare, quella luce non mi usciva dalla testa, non ero mai stato così angosciato come quella volta. Assorto, mi scontrai con una persona. Alzai gli occhi. Dio quanto era bella. Ashley, una mia compagna di classe. Insomma, la reginetta del ballo, ma non di quelle che se la tirano, anzi. Bionda, capelli sciolti che le cadevano sulle spalle, occhi verde brillante, e un corpo mozzafiato, atletico e fine allo stesso tempo. Il viso non aveva tratti marcati, se non il taglio sottile degli occhi, e labbra e naso erano un connubio perfetto con tutto il resto. Descrizione banale, ma non serve dire altro. Mi fece un cenno per salutarmi, ma io, come spesso capitava, bofonchiai e mi misi a gesticolare come se stessi per avere una convulsione. Che effetto che mi faceva quello sguardo, occhi così penetranti da scrutarti l’anima. Già, lo so cosa state pensando; meno male che ci sapevi fare con le ragazze. Sì, ma lei era diversa. Bella, gentile, intelligente, e del resto chissenefrega, bastavano queste tre qualità. Mi dimenticai di tutto, persino dell’angoscia che mi attanagliava. Presi un respiro e la salutai con un timido Ciao, usando un tono che credetti mascolino, ma che in realtà fu solo uno sfiato imbarazzante. Volete sapere cosa mi passò per la testa? Sei proprio un coglione patentato Nathan. Avevo avuto tante occasioni di lasciarmi andare con Ashley, ma non ne avevo mai colta mezza. In quel lasso di tempo, mentre lei mi ammaliava con il suo sorriso, alle sue spalle si sporse una figura dai lunghi capelli castano/rossicci raccolti in una coda alta. Sistemando gli occhiali sul naso mi salutò anche lei con un cenno più timido del mio saluto. Lizzie, un’altra mia compagna di scuola. Lei era la secchiona, e un tempo eravamo anche buoni amici prima che io diventassi una merda. Occhi grandi e pupille di un azzurro/grigio molto particolare, naso sottile, e carnagione talmente chiara da rivelarmi per la prima volta la presenza di poche lentiggini tra l’occhio e la guancia, quasi invisibili perché chiare quanto la pelle. La guardai per un secondo di troppo, qualcosa aveva catturato il mio interesse. Era la prima volta che notavo davvero le sue pupille, era sempre stata evasiva nei miei confronti ogni volta che ci incontravamo nei corridoi o anche fuori. Mi soffermai sulle labbra, sottili come il naso e su quello spazio tra di esse, un solco sottonasale ben definito che si legava naturalmente alle labbra. Aveva dei lineamenti da modella, ma un po’ meno spigolosi, e anche lei aveva un bel fisico, peccato che fosse poco valorizzato da quei vestiti scialbi. Risposi al cenno con disinteresse, ma come avrete notato le ho dedicato una descrizione più dettagliata. Eh già, Lizzie è parte di questa grande storia targata Nathan. In quell’imbarazzante silenzio, mi accorsi che la piccola secchioncella mi stava dedicando qualche attenzione di troppo, ma ci ero abituato. Perché non avrebbe dovuto? Il problema era che non mi interessava, e chi mi interessava non mi calcolava, insomma, la storia che tormenta un po’ tutti. Che schifo di vita. Mi dedicò addirittura un sorriso mentre si portava i capelli dietro l’orecchio, un chiaro segnale che io non colsi appieno. Quella fu la prima volta che la notai davvero dopo tanti anni, fino al momento in cui Ashley riprese a parlare e lei scomparve nuovamente dal mio campo visivo. Non capii un cazzo di quello che le era uscito dalla bocca, mi limitai solo a sorridere come un ebete e ad annuire senza motivo. Sarebbe stato meglio saltarla questa parte. Che coglione che ero, non che ora sia meglio, solo diverso, e consumato da ben altra ossessione. Tuttavia, questo era l’unico momento in cui potevo presentarvi Lizzie. Ashley sorrise del mio imbarazzo, ma smise quando vide la sua amica farsi seria d’un tratto. Sapeva, ma le piaceva davvero tanto piacere alle persone. Si schiarì la voce e disse: Ti ricordi di Lizzie. Vero? Annuii. Sì, certo risposi, un po’ freddo. Ebbene sì, stava cercando di appiopparmela. Avrei dovuto accettare invece di fare il solito stronzo. Prima che potesse dire altro, e visto che sembrava non esserci speranza con Ashley, puntai quei due stronzi sulle scalinate che portavano al piano di sopra e li salutai. Quelle brutte merde ridevano a crepapelle, avevano visto tutta la scena e se l’erano gustata fino alla fine. Scusa, ora devo proprio scappare la interruppi. Mi sono ricordato di una cosa.

    Mi divincolai, già con un piede pronto a schizzare via. Aspetta, ti presento… Ho visto Trevor e Scott e non vorrei perderli. Che grande perdita rispose bruscamente Ashley, lanciando un’occhiata disgustata verso Scott. Come biasimarla, per anni gli era morta dietro, ma lui era un vero coglione e non sembrava attratto da lei. Anzi, più di una volta avevo pensato che fosse gay, ma gli ronzavano attorno troppe ragazze perché potessi trarre qualche conclusione. Scott era il classico ragazzo dalla chioma perfettamente allineata e sempre perfetta. Vestito di tutto punto con Jeans slim firmati, scarpe sportive di ogni tipo (credo che abbia una stanza piena visto che ogni giorno ne ha un paio diverse), maglione girocollo della Polo e il giacchino nero lucido. Ogni dettaglio sembrava studiato da un team di esperti, persino il suo aspetto naturale. Capelli castani, occhi nocciola e il volto che sembrava una scultura, fisico pompato da far schifo, e fin troppo curato. Pelle scura, artificialmente scura, dovuta all’eccesso di lampade, e un collo taurino da giovane bodybuilder. Cazzo, persino le mani erano perfettamente pulite e linde, nonostante fossero enormi. D’altronde, era un bestione di 192 centimetri. Trevor sembrava suo figlio da lontano, se solo non avesse avuto una carnagione decisamente più abbronzata. Il buon vecchio Trevor ha origini senegalesi, o almeno credo. La verità era che neanche lui lo sapeva bene visto che era stato adottato in fasce da una famiglia di visi pallidi, come spesso era solito chiamarli lui stesso. Una famiglia di Hippie, da cui credo avesse preso la passione per l’erba, e che stava trasmettendo anche a me. A differenza nostra, Trevor era magro, e slanciato, poco più basso di me. Aveva un viso infantile, tanto da sembrare un ragazzino ben più piccolo dei suoi diciassette anni. La cosa che più apprezzavo di Trevor erano i suoi voluminosi capelli in stile palla di spugna che gli incorniciavano il viso. E così come la mia amica Lizzie, anche lui aveva un vestiario alquanto limitato e monocolore. Pantaloni larghi verde militare, maglietta nera con il simbolo di Shiva in bianco, giacchino nero smanicato pieno di tasche simile a quello dei pescatori, o forse era proprio quello. Eravamo due opposti, ma non potevo fare a meno di un compagno valido come lui, era il mio Sam e io ovviamente ero Frodo. Salutai Ashley con un cenno, serrando le labbra per l’imbarazzo. Lei rispose con uno sbuffo, poi prese la sua amica per il braccio e se ne andò infuriata. L’avevo fatta grossa, ma per fortuna l’odio nei confronti di Scott non poteva batterlo nessuno. Mentre camminavo a testa bassa verso i miei amici, iniziai a pensare agli occhi di Lizzie. Perché? mi domandai. Smisi di pensarci quando Scott mi travolse con una delle sue manate sulla schiena, facendo scontrare polmoni e costole. Sei davvero un coglione. Per un attimo ho pensato che stessi per vomitare. Trevor scoppiò ancora a ridere. Smettila fattone di merda gli dissi. Senti chi parla mi rispose, continuando a ridere. Come dargli torto, però odiavo quella maledetta e fastidiosa risata nasale a cantilena. Era davvero un fattone. Va che occhi che avete. Guardai Trevor con delusione. Cazzo Nathan, ci hai messo un sacco ad arrivare si giustificò. Avevamo bisogno di farci un paio di risate, giusto qualche tiro. Insomma, forse un po’ di più ribatté Scott. Sei solo incazzato perché abbiamo fumato senza di te. Sì, ovvio, non sto cercando di nasconderlo. Si misero a ridere insieme, che fastidio. Non avrei voluto, ma non mi lasci altra scelta. Inspirai in cerca dell’illuminazione, pronto a sfoderare tutte le mie doti attoriali. Come ogni volta, feci la mia solita scenetta, un cult ormai. Tirai fuori il cellulare, e feci finta di scorrere i messaggi. Ancora mia mamma? mi domandò prontamente Scott. No, questa volta è tuo padre. Mi diede un’altra pacca, tale da mozzarmi il fiato. Per fortuna, una delle poche qualità di Scott, era quella di stare al gioco. Avresti potuto tranquillamente dargli del figlio di puttana e lui avrebbe reagito facendo qualche battuta su tua madre, sorella, fratello, o anche il cane. Noi, ad esempio, lo prendevamo spesso per il culo perché aveva provato a fare quasi tutti gli sport a scuola, rimanendo sempre un mediocre, uno di quei personaggi che scalda la panchina

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