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La Felicità all'improvviso
La Felicità all'improvviso
La Felicità all'improvviso
E-book172 pagine2 ore

La Felicità all'improvviso

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Info su questo ebook

Ilaria fa le valigie di corsa. Scrive un breve biglietto alla sorella per non farla preoccupare. Sale sul primo treno disponibile in stazione senza conoscerne la destinazione. Non sa che proprio quel treno le cambierà' la vita. L'incontro con una dolcissima bambina dagli occhi tristi, tanti amici nuovi e vecchi , avventure ed emozioni la riporteranno a poco a poco a ritrovare il sorriso.
LinguaItaliano
Data di uscita12 mar 2014
ISBN9788891135216
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    Anteprima del libro

    La Felicità all'improvviso - Ombretta Biagetti

    vivo.

    CAPITOLO UNO

    Ho perso la mia mamma da appena un mese.

    Dopo una breve malattia, una mattina di dicembre la mia mamma se n’è andata. La sua mano nella mia, un ultimo respiro e non c’era più. Il suo sorriso, la sua serenità, la sua forza si sono spenti. La sua mano ancora nella mia, calda come nelle giornate fredde d’inverno quando riscaldava le mie, un lieve sorriso sulle labbra come per dirmi: Va bene, non piangere, sono serena.

    E io non piango, la sua serenità è la mia, il suo sorriso è il mio, la sua forza è la mia.

    Rimango immobile a guardarla; la bacio sulla fronte ed esco dalla camera. Non posso più fare nulla per lei, adesso.

    Durante il funerale la saluto un’ultima volta leggendo una poesia che è il suo ritratto. Alzo gli occhi dal leggio, una folla emozionata mi guarda con le lacrime agli occhi. Io no, non riesco a piangere né a essere triste: mi sento avvolta dal suo abbraccio, so che non mi lascerà fino a quando non sarò pronta, mi accompagnerà, anche questa volta, e mi aiuterà come ha sempre fatto. Ciao mamma, e torno a sedere sulla panca accanto a mio padre e mia sorella.

    La chiesa è piena di fiori, quanto le piacevano!, mazzi di rose bianche gialle rosa, di gigli, di lilium e di orchidee. Composizioni bianche e colorate. Ovunque giro lo sguardo, fiori. Un profumo inebriante riempie l’aria. Ho mal di testa, mi premo le mani sul viso.

    Basta!, penso, voglio andare a casa.

    E invece devo stare al mio posto, composta come una brava bambina. Mio padre, tra me e mia sorella Anna, sembra un uccellino smarrito.

    Dove è finito quell’uomo forte?, vorrei gridare. Dove sei finito papà?, gli prendo la mano, non lo guardo negli occhi.

    Lui mi guarda e non mi vede, non posso sopportare quello sguardo perso nel vuoto.

    La cerimonia funebre è finita, il profumo dei fiori si mescola all’incenso. Non riesco a respirare, la testa mi pulsa. Cerco tra la folla mio cognato. È dietro di noi insieme alle mie amiche, Laura e Sara, come a farci da scudo. Stringo mani e mi lascio abbracciare. Frasi di circostanza, sorrisi tirati. Ma chi sono, alla fine, tutte queste persone? Mi sembra di non conoscere nessuno. È una follia.

    Lasciatemi andare!, urlo dentro di me. Lo sguardo fisso sulla bara della mamma. Lei non è lì, continuo a ripetermi, lei non è lì.

    Solo così riesco a rimanere calma.

    Finalmente, la calca si allenta e in fondo alla chiesa vedo Luigi il mio carissimo amico, preside della scuola dove lavoro. Gli corro tra le braccia e mi lascio cullare come una bambina.

    Ecco, penso, voglio rimanere per sempre così.

    Il battito regolare del suo cuore mi tranquillizza e riesco a riprendere il controllo della situazione. Una mano mi sfiora gentilmente la spalla.

    Dobbiamo andare. Ettore, mio cognato, mi riporta alla realtà.

    Mi aggrappo al braccio di Luigi e insieme usciamo dalla chiesa. Dicembre, il mese dell’anno che preferisco in assoluto, saluta la mia mamma con una gelida giornata. Un brivido mi corre lungo il corpo, Luigi mi stringe a sé. È rassicurante avere chi si prende cura di te. Mia sorella abbracciata a suo marito e mio padre a mia zia piangono in silenzio.

    Nel mio cuore, invece, una serenità sconosciuta, negli occhi nessuna lacrima. Accompagno la mia mamma nella sua ultima passeggiata, là dove adesso sarà la sua casa. Guardo la bara e ancora penso che non è lì, è sicuramente in un posto migliore, è nella pace del Signore. Le campane suonano a festa, nessun lamento a morte, la mia mamma vive e vivrà sempre nel mio cuore, nei nostri cuori, nei ricordi, in un posto migliore. E presto ci rivedremo.

    Ho sempre visto la mia mamma come la donna più forte e serena del mondo. Non ho mai pensato che potesse ammalarsi. La scoperta del cancro che stava devastando, in silenzio, il suo corpo da chissà quanto tempo mi ha sconvolto. Era la vita fatta persona, piena di vitalità e allegria. Solo esternamente, però. Ritorno con la mente a quei giorni di visite mediche, una dopo l’altra, poi l’operazione che ci conferma la diagnosi: non c’è più niente da fare, non ci sono speranze. E lei che a poco a poco si lascia andare, sempre con il sorriso sulle labbra ma senza più la luce negli occhi. Giorni interminabili in ospedale e giorni ancora più interminabili a casa ad aspettare cosa?!, la sua morte? Non è possibile! Passato e presente si confondono nei miei pensieri riportando intenso lo stesso dolore di allora, gli stessi dubbi, la stessa rabbia.

    Non posso stare a guardare senza fare nulla. Supero la mia paura delle siringhe, delle medicazioni e aiuto le infermiere a medicarla, a lavarla. Velocemente, però, diventa un corpo senza anima. Sdraiata nel letto sembra aver perso qualsiasi interesse persino nei nostri confronti. Giorni e notti che si susseguono senza sosta vòlti solamente a cercare di alleviare le sue sofferenze. Inutilmente, purtroppo. Dopo due mesi di agonia la mia mamma getta la spugna e si lascia andare. E io con lei.

    Da allora è già trascorso un mese, la mamma mi manca, terribilmente, mi manca la quotidianità, il suo buongiorno e il bacio della buonanotte, mi manca il suo incoraggiamento e il suo rimprovero, mi manca il suo sorriso e il suo: Andrà tutto bene, non ti preoccupare. Mi manca in ogni istante del giorno e della notte e non so come fare ad arrivare a domani. Mi sembra di volare senza ali, di camminare su un cornicione al ventesimo piano senza essere legata, di essere sospesa nell’aria.

    Lei non torna più e io sono sola.

    Non posso continuare in questo modo, devo fare qualcosa. Decido di partire. Che altro posso fare?

    Parlo a Luigi con il cuore in mano. Mi ha visto, in questi mesi, sopravvivere più che vivere. Ho dentro il cuore una sensazione stranissima.

    Sai, sono serena come non lo sono mai stata prima in vita mia, gli dico, ma non riesco a vivere. O meglio, tiro avanti come un automa. Faccio tutto quello che devo fare, riesco persino a ridere e a divertirmi. Ma io so che non è la realtà. È solo una facciata e devo fare qualcosa per venirne fuori. Se non l’affronto adesso non riuscirò a farlo più. Devo andarmene per un po’. Pensi ci siano problemi? Puoi trovare qualcuno che mi sostituisca?

    Non ti nascondo che non è il momento migliore perché tu lasci la classe. Questi bambini sono in quinta elementare, una tappa importante per la loro formazione. Inoltre, ti sono molto affezionati. Non sarà facile far loro accettare una nuova maestra.

    Lo so, lo so. Ci ho pensato tanto, ma non riesco più a essere la maestra che loro conoscono e che si meritano.

    Va bene, vediamo quello che posso fare, mi risponde, ma non ti prometto nulla.

    Esco dalla presidenza con un gran senso di colpa. Siamo al nostro ultimo anno di scuola e non vorrei proprio lasciarli.

    Entro in classe stampandomi un gran sorriso sulle labbra: Bene bambini!, oggi dipingeremo con le mani. Appoggiate i banchini al muro e stendete i fogli per terra. Intanto prendo i colori.

    I miei piccoli accolgono con gioia la proposta, i banchi vengono scansati per lasciare il centro della classe libero. Il lavoro mi coinvolge, lascio che sfoghino la loro fantasia e presto i fogli bianchi sono arcobaleni di colori. I

    loro visetti felici mi regalano una mattinata gioiosa.

    Luigi lascia passare una settimana prima di convocarmi nuovamente.

    Pensavo ti fossi dimenticato, lo apostrofo, entrando in ufficio.

    Lo sai che di te non mi dimentico mai!, e mi dà un bacio sulla guancia.

    Sono stato molto bene l’altra sera a cena a casa di tua sorella. Siete una bella famiglia e, in un momento come questo, ti posso garantire che è una vera fortuna.

    Usciamo spesso insieme io e Luigi, come due grandi amici. Sembra strano, le mie amiche continuano a ripetere che non può esistere amicizia tra donne e uomini e che sotto sotto noi due ci amiamo. Ma non è vero. Ci conosciamo da anni e godiamo della presenza l’uno dell’altra, ci divertiamo, ci supportiamo, parliamo a ruota libera di tutto, ma sicuramente non siamo innamorati. Baciare Luigi sarebbe come baciare mio fratello e per lui, ne sono certa, sarebbe la stessa identica cosa. In questo periodo non potrei fare a meno del suo affetto sincero.

    Alla cena a casa di Anna c’erano anche Sara e Laura, le mie amiche di sempre, che abitano a Forte dei Marmi. Sono venute a Milano per qualche giorno a trovarmi per vedere come sto, insomma, e per ripetermi che dovrei trascorrere un breve periodo da loro, staccare e ricominciare. È dal giorno del funerale che insistono.

    Sara e Laura mi hanno detto che ti hanno più volte invitata a casa loro ma che tu non hai mai accettato.

    Trasalisco alle parole di Luigi, non ho detto a nessun altro oltre a lui dei miei progetti fuggitivi...

    Tranquilla, continua lui, non ho raccontato niente. Ho capito, però, che è proprio quello di cui hai bisogno. Ho trovato una buona sostituta e, anche se mi mancherai da morire, vai e ritorna carica! E così sono partita, senza avvertire nessuno anzi no, ho avvertito i bambini anche se era meglio che non lo avessi fatto perché è stata una scena strappalacrime. Ho riunito anche i genitori e ho presentato la nuova insegnante. Era il minimo che potessi fare. Poi sono salita su un treno senza meta con l’intento di allontanarmi da tutto e da tutti e, guarda un po’, approdo dalle mie amiche.

    La mia mamma non mi ha abbandonato, è stata lei a far sì che acquistassi il biglietto proprio per Forte dei Marmi. Qui sono stata felice, serena, ho passato estati bellissime, spensierate, la mia infanzia, la mia adolescenza. Lei sa che ho bisogno di Laura e Sara, delle loro mamme, del mare e del sole. Anche se io non volevo andare lei mi ci ha accompagnato.

    Il viaggio è pieno di ricordi. Il treno corre veloce sui binari. Sono sola nello scompartimento e ne sono felice. In mano un libro che non riesco a leggere e un panino che non riesco a mangiare. Chiudo gli occhi e forse mi appisolo perché quando li riapro sul seggiolino davanti a me è seduta una anziana donnina che mi scruta. Capelli brizzolati raccolti in uno chignon di altri tempi, un vestitino semplice nero a piccoli pois bianchi, un collana di perle al collo.

    Ciao, io sono Angela. Sto andando a Pisa a trovare mio figlio, attacca discorso. Abita lì da parecchi anni e vorrebbe che mi trasferissi da lui. Ma io non ci penso nemmeno. Cosa ci faccio in una città che non conosco? Fa una breve pausa, poi continua: Non ho amici, lui sta tutto il giorno all’università. Insegna diritto... diritto e qualche cosa alla facoltà di legge. Fa un gesto con la mano come per allontanare qualcosa. Io non me ne intendo. Rientra solo la sera. Non ha nemmeno una moglie. Vive in un appartamento piccolo piccolo con un bagno piccolo piccolo e una cucina, se possibile, ancora più piccola. La chiama angolo cottura, puah! E scuote le spalle.

    Che buffa. Anche se non le rispondo non smette di parlare.

    Ci vado per portargli i rifornimenti per tutto il mese. Scendo da lui e gli riempio il congelatore. Apre una enorme borsa frigorifero piena di scatole per alimenti grandi, piccole, medie, ognuna con un’etichetta scritta in bella calligrafia indicante il contenuto. Vedi, lasagne, ragù, salsa di pomodoro, e tira fuori uno a uno i contenitori. Sembra la borsa di Mary Poppins. Prendine un po’ anche tu, tanto Luciano non mangia niente, e mi porge un paio di scatole.

    No, grazie non posso proprio accettare.

    Non sente discorsi e me li poggia sopra la borsa.

    E tu, dove vai? Sei sola? Quanto ti fermi?

    Curiosa la vecchina...

    Vado a trovare alcuni amici. Mi tengo sul vago e penso che così forse smette di parlare. Magari!...

    Infatti continua: Quali amici?, dove abitano?, vuoi conoscere mio figlio?, è bello sai?!

    Ma cos’è un’agenzia matrimoniale? Come faccio a spengerla? Grazie, ma non vengo a Pisa. Concisa.

    Quindi prendo il libro facendo finta di leggerlo, questo la farà stare zitta.

    Nemmeno per idea. Continua a parlare e quando si accorge che non le rispondo inizia a fare le parole crociate leggendo ad alta voce le domande e dando sempre a voce alta le risposte.

    Ma proprio nel mio scompartimento doveva sedersi?

    Da sopra il libro la guardo di nascosto mentre è impegnata con una domanda di geografia alla quale non sa rispondere.

    Alaska, le dico sempre con il libro davanti agli occhi.

    Sembra non capire.

    La risposta è Alaska, ripeto.

    Il sorriso che mi regala mi fa sentire cattiva per essere stata maleducata così poso il libro e

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