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Poi ci rialziamo
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E-book450 pagine6 ore

Poi ci rialziamo

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Info su questo ebook

Martin ha diciotto anni, un cuore che batte male e i bulli che si prendono gioco dei suoi difetti fisici…
Ha un unico amico, il libro che suo padre ha scritto per lui quando era piccolo. Un libro che contiene la parola amore, ma anche oscuri segreti…

Emma è la ragazza più carina del Liceo. Ribelle e piena di vita. Ama scrivere e ha un unico sogno… farsi accettare da una società che vede solo il suo aspetto fisico senza percepire il buio che si porta dentro…

Le vite di questi due ragazzi, un giorno, si toccheranno, ma a unire due persone così diverse sarà un male più buio della notte…
Un male che uccide senza uccidere, un male che ha deciso di separare, con un taglio invisibile agli occhi, i buoni dai cattivi.

E a quel punto… tutto quello che sembra realtà diventerà finzione, tutto quello che sembra amore diventerà odio.
Non chiederti perché, non chiederti come… la vita a volte non vuole risposte, vuole solo essere raccontata.
LinguaItaliano
Data di uscita21 mag 2018
ISBN9788828333241
Poi ci rialziamo

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    Anteprima del libro

    Poi ci rialziamo - Mauro Muccioli

    Mauro Muccioli

    Poi ci rialziamo

    UUID: 168a3d08-698a-11e8-9a16-17532927e555

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    "…è bello che le cose cambino nel tempo,

    cambino di aspetto come le foglie cambiano colore nel carosello delle stagioni,

    è bello pure che in mezzo alle cose che cambiano aspetto,

    noi si rimanga uguali,

    dicendo cose che ci fanno piacere,

    facendo cose che ci fanno piacere

    dicendoci… arrivederci alla prossima fermata…"

    Augusto Daolio

    "…che sembra tutto perduto,

    poi ci rialziamo…"

    Jovanotti

    a Christian e Sara

    per l’amore incondizionato che mi donate…

    a Giorgia

    perché ogni cosa che farò la farò per te…

    Prologo - Un istante prima della luce

    9 aprile 2017

    Respiro… sto ancora respirando… sempre più piano immagino, ma sto ancora respirando…

    Dove sono? Perché mi trovo qui? Domande, devo continuare a farmi domande, devo mantenere la concentrazione, devo farlo per lui, almeno per lui! Lui… quanti giorni sono passati da quell’attimo in cui eravamo io e lui, quando i miei sogni hanno iniziato a cavalcare un’onda d’imminente realtà? Sembra un secolo, un secolo che ha distrutto ogni muscolo del mio corpo e annientato ogni immagine nella mia mente.

    Questo è quello che il destino ha voluto per me, questo forse è quello che merito, anzi ne sono certa, questo è proprio quello che merito!

    Se solo avessi ascoltato i consigli di mia madre, se solo avessi fatto quello che lei mi chiedeva di fare ora non sarei qui, in questo casino del cazzo!

    Eppure, qualcosa mi spinge a pensare che la colpa non sia solo mia, non può essere solo mia. Io volevo solo vivere, volevo semplicemente amare la vita come solo una ragazza adolescente può fare, volevo correre a occhi chiusi, respirare l’aria a pieni polmoni, sorridere, creare, sognare, abbracciare, piangere per poi sorridere di nuovo, volevo stringere un uomo e sentire il suo battito che si mischiava al mio, volevo ubriacarmi e fare l’amore fino a quando anche l’ultimo respiro sfumava via dal mio corpo esausto ma felice. Volevo solo fare questo, volevo semplicemente vivere…

    Sento i passi veloci che si avvicinano e istintivamente mi preparo alla fine, perché è proprio quello che aspetto quando sento quei passi, aspetto solo la fine, come se fosse la soluzione al problema.

    In realtà non è la soluzione, è come spostare un sassolino da dentro una scarpa, come metterlo in un angolo… per un po’ non senti più il male, ma prima o poi quel minuscolo sasso tornerà nel mezzo della scarpa e allora il male si farà sentire di nuovo, tornerà fino a che quel sassolino rimarrà in quella scarpa. Ma io non posso fermare quel male, non ho ancora espiato i miei peccati, quello che sta succedendo è esattamente quello che mi merito…

    Poi arriva la luce. Quello che sta per succedere durerà un istante, ma a me piace molto. A volte penso che sto continuando a vivere solo per quell'istante, l’istante in cui la luce invade il mio corpo e lo rigenera donando forma al mio profilo magro e colore ai miei capelli altrimenti spenti. Dura un istante perché il buio è destinato a tornare in fretta e a ricordarmi chi sono e dove sono, ma in quell'istante mi sento viva e sorrido, sorrido e inarco la mia schiena ormai priva di carne, alzo il mio seno al cielo in cerca di un abbraccio che non arriverà, piego le gambe come a mettere uno scudo tra me e quello che sta per succedere.

    Adesso sono pronta, sono pronta a tornare nel buio della mia vita, sono pronta a respirare il respiro del male, sono pronta per te, sono esattamente come tu mi vuoi, quello che tu vuoi, quello che pretendi…

    Ma la luce non si spegne… il mio istante di vita sta durando più del previsto. E allora posso ricordare, la luce aumenta la percezione della mia esistenza, crea un portale nel quale immagini frastagliate e confuse magicamente prendono forma e ricostruiscono i miei ricordi. Adesso ricordo bene quel giorno… come potrei dimenticarlo.

    Come potrei dimenticare le sue mani possenti che si posavano sulle mie, la sua voce dolce e rassicurante che mi diceva di non temere perché lui si sarebbe preso cura di me, il suo alito che sapeva di menta fresca e di vita vissuta e ancora da vivere, i suoi occhi verdi nei quali mi specchiavo e dentro ai quali intravedevo il mio futuro, come fossero uno specchio che rifletteva la mia immagine…

    Ricordo quella discesa infinita verso qualcosa di magico e spaventoso nello stesso tempo, sempre più giù, perché quando sbagli l’unica direzione che puoi percorrere è verso il basso, giù verso l’ignoto che mi affascinava, così come mi affascinavano le sue dolci parole, il suo forte appiglio.

    Ricordo quella sensazione di pace, quella voglia di provare a dare un senso a tutto quello che mi stava succedendo, anche se ora, a distanza di diverso tempo, mi accorgo che niente aveva senso e forse non ne avrà mai.

    Ricordo il mio corpo slanciato e bello, un corpo libero di agire ma impotente di farlo, un corpo che si stava trasformando in donna senza saperlo.

    Ricordo tutto perché la luce non si è ancora placata… oggi la luce è ancora più forte, incredibilmente potente, ma forse sono solo i miei occhi che non hanno più la percezione di quello che li accarezza.

    Poi finalmente qualcuno mi tocca, mi sfiora la pelle prima che il buio mi prepari a quel tocco e io non sono pronta a questo, non è mai successo, c’è qualcosa di diverso e inquietante in quel tocco. Ormai vivo di certezze e avvenimenti che si ripetono quotidianamente e tutto quello che sposta l’equilibrio da questa quotidianità mi spaventa, perché in fondo sono ancora viva, sto respirando e credo sia proprio la certezza delle solite ripetute azioni che mi permette di farlo. Ma quel tocco è completamente diverso da quello che mi ero preparata a ricevere e questo lo percepisco come un male, c’è qualcosa che non va.

    Penso sia la fine, dopotutto ho sempre saputo che la fine sarebbe arrivata.

    Improvvisamente sento una voce che si rivolge a me, o a quello che rimane di me e anche a questo non sono abituata, c’è qualcosa di spaventoso e malvagio in tutto quello che sta succedendo. Una voce che stona con quella che il mio cervello si era preparata a udire, una voce familiare ma diversa da quella che volevo, che stavo aspettando. Ho paura mamma, dove sei?

    MAMMA DOVE SEI???

    Poi quella voce mi prende in braccio e mi alza da terra. Non posso muovermi, sono paralizzata, non ho la forza di fare niente, il mio corpo reagisce con l’unico sforzo che riesce a sconfiggere il nulla che mi circonda…

    Piango!

    Piango e mi abbandono a quell’abbraccio incerto che percepisco come un male, piango e penso che non si è mai pronti alla fine, nessuno arriverà mai pronto alla fine.

    La voce cattiva inizia a muoversi con il mio corpo esanime tra le braccia, la luce ci accompagna come due attori su un palco che escono di scena tra gli applausi della platea.

    Poi sento il rumore di un oggetto che cade a terra, la voce cattiva si fa affannosa e il mio corpo inerme sbatte contro qualcosa… stiamo cadendo, sta finendo tutto, mamma sta finendo tutto.

    Senza forze e con un sibilo di voce, riesco a dire qualcosa…

    «Chi sei?»

    Passa un secondo tra la mia domanda e la risposta della voce cattiva, ma è come se il tempo si fosse fermato.

    Riesco a percepire solo alcune parole senza senso… la mia anima sta abbandonando definitivamente quel luogo, smorzando i rumori che mi circondano.

    La voce cattiva non riesce a reggere il peso del mio corpo inerme, fatica a fare i passi che ci portano verso la luce. I miei muscoli si contraggono sotto lo sforzo di movimenti che non erano più abituati a fare, le lacrime che rigano il mio viso sono l’unica forma di vita che scorre nel mio corpo. Le immagini si fanno sempre più sfocate, il fiato sempre più corto, ma la forza di vivere mi spinge a pronunciare delle parole che forse non hanno senso, ma sono le uniche che riesco a emettere…

    «E se cadiamo?»

    La voce cattiva inizia a sorridere, nonostante lo sforzo immane e i passi lenti e convulsi che ci spingono verso la luce ascolto il suo macabro sorriso.

    Dopodiché, un istante prima della luce, sento anche la sua risposta.

    «Poi ci rialziamo.»

    1 - Martin: La speranza racchiusa in una bottiglia

    21 marzo 2017

    Chi sono io? Zero, ecco cosa sono, un numero, semplicemente e unicamente un fottutissimo numero. Troppo grasso per poter stare al passo di un mondo che corre maledettamente veloce per persone come me, troppo introverso per riuscire a emergere in una società in cui mostrarsi non è importante, è l’unica cosa che conta, troppo sensibile per far finta di nulla, per accettare quello che mi sta succedendo senza la necessità poi di rinchiudermi in questa stanza dalle pareti strette e dal soffitto basso… la porta chiusa a chiave, il mondo fuori, i pensieri dentro, la solitudine di un ragazzo vittima di bullismo. Sono Martin, ma nessuno mi chiama così.

    Per tutti io sono Zero!

    Ma anche i numeri possono avere un sogno? Sto tenendo un diario di quello che succede attorno a me, appunti sparsi che raccontano la mia vita in modo diretto e deciso. Non rileggo mai quello che scrivo perché non ne vedo la necessità, non lo nascondo perché so che a nessuno interessa trovarlo, lo guardo, lo accarezzo e lo tengo stretto, perché solo lui in fondo mi conosce veramente.

    Anche i numeri possono avere un sogno. Il mio sogno è lei… il mio sogno ha un nome.

    Emma.

    La ragazza più carina del liceo, la mia principessa, l’unica persona che fa battere il mio cuore e sorridere il mio viso. Emma non è solo un sogno per me, lei è un segno, è il +. Anche lo Zero può diventare qualcosa, ha solo bisogno di un + che lo aiuti a crescere, a trasformarsi in qualcun altro.

    Emma è il mio +.

    Una bellezza quasi perfetta, non solo per quei capelli neri e lunghi che nascondono una parte del suo dolce volto, non solo per quelle fossette che nascono spontanee sul suo viso ogni volta che sorride, ma soprattutto perché è gentile con tutti… anche con me.

    E nessuno di solito è gentile con me.

    Ho sempre pensato che lei ha un dono, il dono di sapermi leggere. Sa quando sono triste perché mi sorride da lontano accarezzandomi con quegli occhi grandi e pieni di vita.

    Sa quando sono emozionato perché mi guarda attraverso i banchi che ci separano, come se il suo sguardo potesse attraversare ogni altro sguardo per arrivare sicuro e deciso ad abbracciare il mio.

    Emma è come me.

    Io sono come lei.

    Due soldati che hanno combattuto la stessa guerra… due persone che hanno visto il buio e abituato i loro occhi a non avere paura di quell’oscurità.

    Ma forse è solo un’immagine che il mio cervello ha appositamente creato per non notare le differenze che ci dividono, per creare un legame che in realtà non esiste e mai esisterà.

    Perché io non ho mai avuto il coraggio di parlare con lei e lei è troppo bella e intelligente per parlare con me.

    Sono sempre stato un disastro con le donne, ho sempre creato un dannato muro tra me e le persone che credo possano volermi bene o semplicemente farmi del bene.

    È incredibile come le altre persone possono farti del male senza nemmeno sfiorarti, senza toccare il tuo corpo, ma distruggendo la tua anima.

    Zero!

    Mi sento diverso e sbagliato. Lo sport, ad esempio. Io odio lo sport e la fatica in generale. Sono nato per fare qualcosa di grande, me lo sento e sono sicuro che lo farò, ma di certo questo qualcosa non includerà la fatica. Sono fatto così.

    Ho un cuore grande, come diceva mia nonna.

    Talmente grande che ogni tanto inizia a battere così forte che me lo sento in gola e devo fermarmi perché non riesco a fare più nemmeno un passo.

    Buio totale.

    I medici dicono che si chiama Tachicardia Parossistica Sopraventricolare, mia nonna diceva invece che è solo il buono che porto dentro, troppo grande per stare rinchiuso nel mio petto.

    Io credo a mia nonna.

    Vivo con mio padre. Non chiedetemi perché, non credo sia necessario spiegarne i motivi. Siamo io e lui, questo deve bastare a voi come basta a me. In lui rivedo il futuro che vorrei essere. Spalle larghe, viso dolce, carattere forte e deciso, parole di conforto e soluzioni a ogni problema. Vita vissuta e dolore passato. Quando ero piccolo mio padre ha voluto farmi il regalo più grande che io potessi ricevere.

    Mi ha dedicato un libro.

    Un libro scritto da lui. In quel libro racconta la sua storia. Ero troppo piccolo allora e non avrei mai potuto conoscere la sua storia. Ma lui ha deciso di mettere tutto nero su bianco e di regalarmi la sua grandezza nel modo più intimo e diretto possibile. Quel libro è qui accanto a me anche ora. Lo apro, leggo un po’, lo richiudo. Gesti consueti che trasformano attimi di solitudine in momenti di felicità, che fanno tornare indietro la memoria senza la necessità di chiudere gli occhi.

    Un amico, l’unico che ho.

    Un uomo. Come molti uomini è caduto mille volte schiacciato dalle difficoltà e dal peso della vita, come pochi uomini è riuscito ogni volta a rialzarsi senza fare rumore e senza versare una lacrima, senza scaricare su di me il dolore che porta dentro. Si è impadronito di tutto il male che mi circondava per salvarmi, ha perso capelli e chili in cambio di rughe e notti insonni.

    Mi ha salvato, in tutti i modi in cui una persona può essere salvata.

    Ed è per questo che ora non posso riversare su di lui quello che mi sta succedendo. Lui è esempio. Io sono Zero!

    Non gli ho mai parlato di Emma e non so se lo farò mai. Ho paura che possa illudersi più di quanto lo stia già facendo io, che possa sorridere senza un motivo. Non per me.

    Io ed Emma siamo destinati a incontrarci e a condividere qualcosa, ne sono certo, fosse solo un gelato o un abbraccio sfiorato, un attimo che darebbe un senso a infiniti altri attimi che vivo solo nella mia testa.

    Ma mai avrei pensato che quell'attimo di felicità dovesse prima conoscere la scalata verso l’ignoto.

    Devo aprire il diario e scrivere quello che è successo oggi. Forse tutto questo non ha davvero senso e mi sto facendo solo un altro dei miei infiniti viaggi mentali, ma mentre prendo in mano la penna e tolgo il cappuccio con la bocca, inizio a tremare.

    Da fuori il rumore delle auto, che fino ad allora aveva riempito la mia stanza, improvvisamente trova silenzio. Il vento smette di soffiare e il sole è coperto da una nuvola creata appositamente per l’attimo che sto vivendo.

    Mi siedo sul letto.

    Appoggio la schiena a un cuscino.

    Alzo lo sguardo e fisso per un attimo il vuoto.

    Respiro a pieni polmoni tutta l’aria che mi circonda.

    Apro il diario.

    Scrivo…

    "La bottiglia girava, girava, girava e il mio cuore batteva forte. Era uno stupido gioco, un gioco da bambini, ma per me era molto di più. Grazie a quello stupido gioco avrei avuto la possibilità di baciare lei, Emma. In quella bottiglia vedevo l’unico legame tra di noi, l’unica speranza che avevo.

    La speranza racchiusa in una bottiglia.

    Era ricreazione e Mike aveva deciso di fare quello stupido gioco nel cortile del liceo. Mike è un’istituzione per tutti. Alto, palestrato, dannatamente bello e pieno di sé. Il classico bambino che nelle foto di classe delle elementari è l’unico senza il grembiulino azzurro. Oggi è gel nei capelli, occhiali scuri e sigaretta in bocca.

    Mike mi odia.

    Non so perché ho deciso di partecipare a quel gioco, forse è stato solo grazie al fatto che Mike mi ha afferrato per un braccio e mi ha spinto in mezzo agli altri ragazzi gridandomi:

    «Zero, cazzo fai lì impalato? muoviti e mettiti in cerchio assieme a tutti gli altri… o hai per caso paura di dover baciare una ragazza? Sbrigati, frocetta. »

    Così, di mia spontanea volontà, ho partecipato.

    Eravamo tutti in cerchio, maschi e femmine mischiati in tondo come gli indiani attorno al fuoco. Solo che nel mezzo non c’era nessun fuoco, ma una bottiglia di plastica senza etichetta che girava spinta dalle possenti mani di Mike.

    Io guardavo quella bottiglia e pregavo non si fermasse su di me. Non avevo paura di baciare una ragazza, ma non mi piaceva l’idea di doverlo fare davanti a Mike e alla sua combriccola. Così trattenevo il respiro ogni volta che la bottiglia rallentava e si avvicinava alla mia enorme pancia, per poi rilassarmi quando mi passava scegliendo un altro al mio posto. Con lo sguardo fisso alla bottiglia ho iniziato a pensare a quanto sia difficile rapportarti con gli altri quando non hai la sicurezza dalla tua parte. Quando diventi troppo grande per far finta che vada tutto bene e che prima o poi le cose si aggiusteranno da sole. Ma niente si aggiusta da solo. E io non sono in grado di aggiustare nemmeno una lampadina bruciata, figuriamoci se posso farlo con la mia vita.

    La bottiglia ha smesso di girare. Aveva scelto una persona alla mia sinistra. Sono salvo ho pensato per un attimo. Avevo ancora lo sguardo fisso sulla bottiglia. Poi quello stesso sguardo pian piano si è alzato per ammirare il fortunato prescelto.

    Era lei, il mio +.

    Emma.

    Aveva i capelli sciolti come piaceva a me, un leggero filo di trucco, le unghie curate e il suo solito, immancabile, dolcissimo sorriso. Indossava una maglietta attillata e un cardigan per ripararsi dal vento di primavera. Una gonna lunga nera completava quel quadro perfetto disegnato da un pittore innamorato della bellezza. Emma ha sorriso non appena ha visto la bottiglia che la fissava. Il suo viso è diventato rosso.

    Anche lei riusciva a provare imbarazzo.

    Se all’inizio del gioco la paura di essere scelto era tanta, ora che Emma era stata prescelta come destinataria del bacio non avevo più paura... ero terrorizzato.

    «Bene, quindi Emma è la fortunata vincitrice di un bacio sulle labbra. Vediamo chi sarà il suo principe… o forse il suo rospo. »

    Mike si è girato di scatto verso di me nel completare quella frase, con il solito ghigno di chi sa e può tutto. Poi ha preso la bottiglia, l’ha rimessa al centro e le ha dato una spinta rimettendola in moto. Ancora una volta sono stati attimi interminabili, il silenzio che mi portavo dentro è stato riempito dalle urla del clan di Mike. Sembravano una rappresentazione moderna degli uomini delle caverne. Mentre la bottiglia continuava a girare.

    L’idea di baciare Emma lì, davanti a tutti, mi disgustava. Lei era tutto per me. Mille volte avevo immaginato il nostro primo bacio e mille volte avevo riaperto gli occhi trovandoli lucidi. Il profumo del mare, il rumore delle onde che s’infrangono sugli scogli, il sibilo del vento che accarezza i nostri corpi, il volo silenzioso e perfetto dei gabbiani che circondano il nostro attimo. Poi chiudo gli occhi e mi avvicino alle sue labbra, trattengo il respiro per fermare il tempo e tutto quello che c’è sulla terra smette di esistere. Siamo solo io e lei.

    «Zero!!!!! Il fortunato vincitore è il nostro ciccione numero zero! Venghino signori ad ammirare il bacio più assurdo della storia! »

    Avevo sognato a occhi aperti e non avevo notato la bottiglia ferma su di me. Il cuore ha iniziato a battere fortissimo e per un attimo ho pensato alla mia tachicardia, ma ho capito in un istante che non c’entrava nulla. Dovevo baciare Emma in uno squallido cortile di un liceo, circondato da una marea di ragazzi che incitavano e urlavano come fossero allo stadio.

    Non l’avrei mai fatto.

    L’istinto ha guidato i miei gesti.

    Mi sono alzato velocemente, mi sono girato di scatto e ho iniziato a correre.

    Mike e altri due ragazzi sono rimasti impietriti per un attimo, poi sono partiti al mio inseguimento. Mi hanno raggiunto in un secondo, gettandomi a terra. Mike ha messo il ginocchio sulla mia pancia e ha schiacciato il mio viso sull’erba umida con la mano opposta.

    «Lurida checca isterica che non sei altro, adesso tu la baci davanti a tutti o da oggi, oltre che Zero, diventerai anche frocetta, hai capito? Ti sputtano davanti a tutti, farò in modo che ti vergognerai anche solo di essere nato. »

    Ha pronunciato queste parole a bassa voce. Non ho avuto il coraggio di dire nulla. Il mio viso schiacciato a terra, il respiro affannato, l’adrenalina che paralizzava il mio corpo. Sentivo l’odore dell’erba tagliata da poco mischiarsi con la puzza di sigarette dell’alito di Mike. Mi stavo pisciando addosso quando ho udito una voce parlare sopra di me.

    «Lascialo stare, Mike, è solo uno stupido gioco. »

    Emma è riuscita a mantenere la calma mentre pronunciava quelle parole, nonostante tutto lei era perfettamente lucida. Ma qualcuno è arrivato di corsa e l’ha spinta a terra, proprio davanti a me. Emma è caduta all’indietro sbattendo il sedere sul prato. Per un attimo la gonna lunga si è alzata rivelando le sue gambe. Era proprio davanti al mio viso ancora schiacciato a terra. Sentivo Mike che continuava a farfugliarmi qualcosa, a inveire contro di me, ma in quell’istante ho smesso di provare dolore.

    Ho fissato le gambe di Emma.

    Nessun altro poteva godere della mia visuale e notare quello che ho visto io, quello che non avrei mai voluto vedere.

    La paura ha lasciato strada allo stupore, la voce di Mike è diventata un leggero sottofondo, il peso della sua gamba sul mio stomaco si è alleggerito, lasciando spazio a crampi che hanno bruciato la mia anima.

    La gamba destra di Emma era completamente tumefatta. Un livido nero partiva da poco sotto il ginocchio e finiva a metà della coscia. Ematomi ancora vivi ne deturpavano l’interno.

    Emma si è accorta che la stavo guardando e in un istante si è coperta. Ha iniziato a piangere, si è rialzata ed è scappata all’interno della scuola.

    Io sono rimasto immobile e senza fiato. La mano di Mike è diventata ancora più potente quando ha capito che il gioco e il divertimento erano finiti. La stretta è diventata talmente forte che i miei occhi si sono chiusi.

    Ma forse si sarebbero chiusi comunque."

    2 - Emma: La stanza degli orrori

    21 marzo 2017

    Chi sono io? Emma, ecco chi sono io. Una semplice ragazza, donna agli occhi di tanta gente, ma ancora ragazza. Sognatrice, innamorata della vita nella forma più lieve e semplice che esista. Amo la notte e la musica che è capace di togliere la voce a tutto e a tutti, la musica che dovrebbe unire e non dividere, la musica che è sogni a occhi aperti e rumore che non lascia lividi. Sono una sognatrice, amo scrivere poesie d’amore e libri che nessuno leggerà mai, amo le grandi città, la New York che unisce nonostante la sua immensa distesa di vite che corrono, creano, respirano affannosamente sapendo di essere abbracciate da una città che ricambia in sogni e musica mai composta, amo il silenzio delle vallate che nessuno ha il coraggio di esplorare, il rumore della pioggia che s’infrange sui pini che profumano di fresco, amo le carezze del mio mare. Io AMO! Semplicemente AMO!

    Amo il silenzio, il silenzio che riesce a riempire tutto il rumore che circonda e distrugge le frasi che non dirò mai a nessuno, perché io sono così, un’ala bianca in volo verso qualcosa e qualcuno che potrà capirmi, completarmi, risolvermi. Tutti mi dicono che sono molto carina, i ragazzi mi guardano, mi cercano, mi riempiono di complimenti, ma loro non sanno quello che sto vivendo, loro non respirano le mie notti insonni e i rumori che mi tengono sveglia. Loro vedono me, io vedo quello che nessuno dovrebbe mai vedere.

    Vedo il volto della paura.

    Ho diciotto anni, un cassetto che trabocca di sogni, una madre che mi ama alla follia e un padre che non ho mai conosciuto. Se n’è andato quando ero piccola, portandosi via i puzzle che con lui potevo comporre, gli abbracci che sanno di uomo e che non ritorneranno mai più e le favole della buona notte.

    Notte!

    Ha scelto un’altra strada, forse più bella (spero per lui), ma che non conduce a me. Lo psicologo che frequento mi dice che soffro per la sua mancanza, che i tatuaggi che ricoprono il mio corpo molto probabilmente servono proprio a nascondere le parti di me che lui non ha mai accarezzato. Io penso che non ho bisogno di nessuno che mi ricordi quello che potevo avere e non potrò mai riavere, penso solo che mi manca, perché mi ha vista nascere, mi ha vista piangere per la prima volta e quella volta mi ha presa tra le sue braccia e stretto forte e oggi invece devo consumare le mie lacrime senza di lui. Il mio nome l’ha scelto lui. A me piace un casino!

    Emma.

    Il nome Emma è di origine germanica e deriva dal termine Amme che significa letteralmente lupo. Quando mio padre l’ha scelto per me sicuramente non pensava al suo significato, ma io voglio e devo conoscere tutto e non avrei amato e voluto nessun altro nome. Io sono un lupo.

    Quando mi leggevano la fiaba di cappuccetto rosso, mi commuovevo nell’attimo esatto in cui il cacciatore apriva la pancia del lupo. Istinto, destino, fato, chiamatelo come vi pare, ma io rimango lupo. Vivo la notte… di giorno mi maschero da quella che non sono, ma è dalla notte che devo proteggermi ed è di notte che ritorno a essere quella sono… Emma.

    Lupo!

    Mia madre ha un altro uomo, si chiama Philippe. Dall'età di quattro anni ho vissuto la parvenza di una famiglia normale. Pranzi con i parenti, fotografie da mettere nell'album, serate sul divano con i cartoni animati della Disney. In sala abbiamo una foto di noi tre sorridenti davanti a uno sfondo color salmone. Non so dove l’abbiano scattata, ma ogni volta che la guardo noto in lei qualcosa di costruito, di falso, perché io in quella foto non sono quella che vorrei essere. Lui fa il tipografo da sempre nell'unica tipografia del paese ed è quindi conosciuto e rispettato da tutti. Non conosco bene il suo passato, il suo prima di noi. Mia madre mi ha sempre ripetuto che Philippe, da giovane, ha sofferto molto a causa della perdita di una persona cara in modo traumatico. Non so cosa sia successo, ma nei suoi occhi vedo un dolore che non si è mai assopito.

    Con me è dolcissimo, ma non è mio padre, non mi ha vista nascere e non ha scelto il mio nome. Mia madre vuole che lo chiami papà, ma io non ci riesco. Sicuramente è un mio limite, perché lui c’è in ogni mio attimo, ma io gli attimi li vivo in maniera diversa da quelli che vorrebbe lui (loro).

    Io ho gli occhi di mia madre e la bocca di mio padre.

    Sul mio viso stanno ancora assieme.

    Mi guardo allo specchio e rivedo il mio passato, quello che diventerà il mio futuro. Soffro dei momenti che mi sono stati negati, dell’infanzia normale e naturale che ognuno di noi dovrebbe avere. Ma non credo sia questo il vero problema. Il vero problema è che io non accetto. La cosa che più mi dà fastidio è proprio questa. Non ho deciso io di sentirmi così, non ho voluto io questa situazione. Se qualcuno mi avesse chiesto cosa ne pensi? magari avrei potuto ribattere e invece tutto è stato deciso senza di me, senza la mia opinione, senza pensare a quello che provavo. Non è colpa di nessuno, mi dicono, ma molto spesso penso sia colpa mia, della mia nascita, degli equilibri che ho modificato e in qualche modo distrutto. Prima di me c’erano fotografie, dediche e lettere d’amore, dopo di me solo urla e rumore. E io odio il rumore.

    Odio il rumore perché mi fa paura.

    Ho ricordi sbiaditi del mio passato e i pochi che ancora mi sono rimasti vorrei s’impadronissero di un angolo nascosto e protetto nel mio cervello, un angolo che non conoscerà nessun altro ricordo, che lotterà contro tutti gli altri attimi meravigliosi che verranno… per rimanere sempre vivo dentro di me.

    Ricordo una mattina d’estate. Ero al mare, non credo fosse il mio primo giorno di mare, ma sicuramente era il mio primo ricordo di quell'enorme distesa d’acqua che mi faceva paura e mi accoglieva a braccia aperte nello stesso attimo. Avevo un costumino rosso con i cuori, questo lo ricordo benissimo, perché io adoro i cuori. Avrei voluto abbracciare quel mare e stringerlo forte a me perché era il mio primo approccio con l’immensa, meravigliosa vastità della natura. Ma non potevo abbracciarlo perché le mie mani stringevano forti quelle dei miei genitori… uno a destra, l’altra a sinistra. Mi facevano fare i salti… uno… due… tre… e io spiccavo il volo avvinghiata a quelle mani che erano il mio porto sicuro. Volavo in alto e atterravo poco meno di un metro più avanti, ma per me era molto di più. Era gioia pura.

    Non ricordo né i visi né le voci, non ricordo dov’ero e cosa pensavo. Ricordo solo quell’attimo e nessuno riuscirà mai a cancellarlo.

    Lo proteggerò da tutto e da tutti.

    Perché è così lontano dagli attimi che vivo ora.

    Anche questa giornata volge al termine. Nella stanza da letto, posta quasi all’ingresso, dormono… come sempre. Io ho una piccola camera ricavata in fondo al corridoio, nella parte opposta del grande appartamento in cui viviamo. Ho un letto enorme, poster dei miei cantanti preferiti, peluche e pupazzi che mi tengono legata all’infanzia e poi… ci sono le mie paure. Lenzuola sempre pulite e ogni cosa al proprio posto sono le uniche cose che accomunano la mia stanza a quella di qualsiasi altra adolescente.

    Sopra il letto ho un acchiappasogni, composto da un cerchio esterno in legno flessibile che rappresenta il ciclo della vita e dell'universo, una rete con perline che trattiene i sogni negativi lasciando i sogni positivi liberi di fluire, e le piume, che secondo la leggenda Cheyenne simboleggiano l'aria e il volo degli uccelli.

    Adoro le leggende degli indiani d’America, le storie che tramandano e raccontano attorno a un fuoco, gli attimi svuotati da tutta la contemporaneità che ci circonda e nasconde le cose più importanti della nostra vita. Sono un lupo e come un lupo mi accontento della luce della luna per urlare i miei pensieri.

    E questa sera la luna è così potente e luminosa da entrare prepotentemente nella mia stanza.

    La stanza degli orrori.

    Oggi a scuola è successo quello che non avrei mai pensato potesse accadere. Mike ha voluto fare uno stupido gioco, una bottiglia che gira, scegliendo a caso due persone destinate a baciarsi. Non so perché ho deciso di partecipare. Forse perché tutti mi vedono come la ragazza senza pensieri e senza paure; forte, decisa e priva di ogni timore. Come se il nostro aspetto esteriore fosse in grado di distruggere tutto quello che in realtà ci portiamo dentro.

    Emma, la più carina della classe, deve partecipare.

    Così mi sono seduta in cerchio assieme agli altri.

    Alla mia destra c’era Zero.

    In realtà si chiama Martin, ma per tutti lui è Zero. Io non l’ho mai chiamato così. Forse perché semplicemente non ci siamo mai scambiati parola. Come tutti gli altri ragazzi anche lui mi guarda spesso, lo noto e faccio finta di non notarlo, non per essere superiore, ma perché non è quello che voglio.

    Nessuno dovrebbe notarmi.

    Zero è però diverso da tutti. Impacciato, solitario, introverso, insicuro, silenzioso. Questo è quello che tutti vedono. A me però piace, perché in lui rivedo tutte le mie insicurezze, mostrate senza timore al mondo. Un’esplosione di verità senza limiti né scudi. Anch'io sono impacciata, solitaria, introversa, insicura e silenziosa, ma non riesco a essere me stessa con le altre persone e allora mi vesto di una maschera di cera che sciolgo solo quando rientro nella mia stanza. In quel momento sono esattamente io.

    In quel momento sono esattamente come lui.

    Quando trovi una persona così simile ai tuoi limiti devi difenderla, devi proteggerla. Perché la vita ci circonda di apparenze, di soluzioni create appositamente per gli attimi che stiamo vivendo. Io non sono così. Non ora.

    Non questa sera, perché…

    Lui ha visto.

    Ne sono sicura. Qualcuno mi ha spinta e sono finita a terra. La gonna si è alzata e lui mi ha vista. Il suo sguardo, di solito scollegato dalla realtà e dalle situazioni che lo invadono, è improvvisamente diventato naturale. Perché ha visto.

    Ho cercato di nascondere quello che mi succede perché è esattamente quello che voglio fare, che devo fare. Ma questa sera sono meno sicura di tutto. Questa sera le mie paure sono ancora più reali perché qualcun altro ha visto quello che fino a oggi tenevo solo per me. Pensavo fosse solo un brutto incubo che il mio acchiappasogni non era stato in grado di assorbire.

    Ma gli occhi di Zero mi hanno raccontato la verità.

    E la luna è sempre più luminosa.

    Non dovrai mai avere paura di niente.

    Questa frase l’ho trovata per caso in un angolo della mia stanza. Ero seduta sul mio letto, avevo in mano un libro che non mi piaceva ma che dovevo finire (odio lasciare una storia a metà). Quando un libro mi piace, rapisce magicamente tutte le mie attenzioni, mi isola dal mondo esterno e mi catapulta dentro la storia. Svaniscono i rumori, crollano i muri e io viaggio dentro le pagine del libro.

    Non quella sera.

    Mentre leggevo ho alzato lo sguardo, notando qualcosa di sbagliato. In un primo momento non ci avevo fatto caso e i miei occhi sono tornati a scrutare le pagine del libro aperto sulle mie gambe. Leggevo senza voglia. E in un angolo della

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