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L'arpeggio del cuore
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L'arpeggio del cuore
E-book207 pagine4 ore

L'arpeggio del cuore

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Info su questo ebook

Spesso la vita ci offre una seconda possibilità ma sta a noi decidere se ignorarla o afferrarla.
Questo è quello che accade a Sally, una donna di trentacinque anni, imprigionata nella gabbia di un matrimonio ormai logoro.
Un giorno il destino decide di mettere sulla sua strada Roy, un giovane ragazzo di ventiquattro anni, che saprà stravolgerla con la sua voglia di vivere, la sua semplicità e i suoi occhi grigi sinceri e cristallini.
Da quel momento Sally, si troverà a dover affrontare emozioni troppo a lungo sopite, e una passione mai conosciuta.
In continua lotta con se stessa e con un passato doloroso quanto irrisolto, riuscirà a seguire il suo cuore troppo a lungo imprigionato da un gelo perenne, e a cedere al pressante istinto di ricominciare a vivere e respirare nell'amore?
LinguaItaliano
Data di uscita18 ott 2014
ISBN9786050328059
L'arpeggio del cuore

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    Anteprima del libro

    L'arpeggio del cuore - SERENA VERSARI

    aggrapparsi"

    I

    CONSAPEVOLEZZA

    Sally

    Con l’indice sfioro a piccoli tratti la superficie liscia della fotografia che tengo stretta fra le mani. È passato molto tempo da quando l’ho osservata l’ultima volta.

    Stringo gli occhi in due fessure e scruto quell’immagine in cui ormai stento a riconoscermi: il mio volto è raggiante e leggermente paffuto, mentre i miei occhi sono vivi e felici.

    Il mio corpo è fasciato da un lungo abito color avorio che scende morbido fino alle caviglie, e la vita è cinta da una fascetta di raso lilla. Lo stesso colore dei fiorellini che adornano la mia chioma color grano, raccolta con piccole forcine sparse per tutto il capo.

    La mia mano stringe quella di un incantevole uomo.

    Avvicino ancora di più la foto e posso scorgere il suo sguardo fiero e penetrante che si posa su di me. Nel vederlo non posso esimermi dal pormi una domanda: quando mi ha guardata così l’ultima volta?

    Questa foto è stata scattata il giorno del mio matrimonio; si dice che sia il giorno più felice della propria vita. Io ci credevo! Ne ero convinta.

    Stringo con rabbia la fotografia, una lacrima scivola lungo la mia guancia e s’infrange sul mio volto sorridente.

    La goccia si allarga sul mio viso deformandone i lineamenti. Ora il sorriso è scomparso e ha lasciato il posto a una smorfia di dolore. Un dolore che mi porto dentro, che giorno dopo giorno mi consuma e mi dilania l’anima, un dolore dal quale non sono capace di scappare.

    Ripongo la foto nel comodino e la ricopro con strati di vestiti nella speranza di non trovarmela più fra le mani.

    Alzo lo sguardo e mi ritrovo a fissare lo specchio che riflette le mie iridi vuote e le mie guance scavate. Ogni centimetro del mio viso è segnato dalla tristezza che mi porto dentro, tant’è che anche il colore della mia pelle sembra aver assunto una tonalità grigia, come la sfumatura della mia anima lacerata dal tormento.

    Per un attimo ripenso con malinconia a quella ragazza sorridente e gioiosa che purtroppo sono certa non tornerà mai più a farmi visita.

    Un rimbombo mi distrae dai miei strazianti pensieri. È il portone del garage che si sta richiudendo e capisco che lui è tornato a casa.

    Con estrema fatica ingoio quel boccone amaro, scendo le scale e gli corro incontro da brava mogliettina.

    «Ciao tesoro, com’è andata al lavoro?» gli chiedo sfoderando il finto sorriso di cui ultimamente faccio largo uso.

    Con gli occhi vedo le sue labbra muoversi ma le mie orecchie non sentono, o meglio, non hanno più voglia di sentire la sua voce. Da molto tempo ormai, la sua presenza mi opprime. Ogni volta che ci troviamo nella stessa stanza sento come se qualcuno risucchiasse tutto l’ossigeno presente. Mentre lo osservo gesticolare in modo quasi fastidioso mi sovviene la sera in cui lo conobbi.

    «Sally vai a servire tu quel tavolo!», mi ordina John, il titolare del ristorante. «Lo vedi quel bel ragazzo laggiù? È figlio di una delle famiglie più ricche della città, se riesci a conquistare uno come lui sei a posto per tutta la vita» termina facendomi l’occhiolino.

    «Possibile che tenti sempre di accasarmi?» rispondo dandogli un pizzicotto sul braccio. «Lo sai che sono uno spirito libero» aggiungo allontanandomi.

    «Buonasera, cosa vi posso portare?» chiedo fissando il blocchetto su cui scrivere le ordinazioni.

    Il ragazzo facoltoso posa la mano sul mio braccio, io distolgo per qualche secondo lo sguardo dal carnet, ma quei pochi istanti mi bastano per perdermi nei suoi occhi neri e profondi.

    Percepisco un brivido nascere nel punto in cui mi sfiora e le mie guance prendono fuoco.

    «Scusami volevo solo chiederti dove posso trovare la toilette.»

    Le parole mi rimangono bloccate in gola e riesco solo ad alzare il braccio per indicargli la direzione.

    Mi ringrazia e mentre si alza dalla sedia percepisco qualcosa che scivola nella mia tasca.

    Quando torno al bancone, infilo la mano nella tasca dove scopro il suo bigliettino da visita con tanto di numero di telefono.

    «Sally, hai capito quello che ti ho detto?» mi chiede battendo nervosamente il piede a terra.

    «Scusami, potresti ripetere?»

    «Ho detto che devo partire immediatamente per un viaggio di lavoro e resterò fuori per qualche giorno.»

    «Okay, vado di sopra a prepararti la valigia», mi affretto a rispondere voltandomi verso la scala.

    Mi arresto un attimo, come se qualcosa dentro di me mi trattenesse e m’impedisse di proseguire.

    «In realtà potresti preparartela da solo» le parole mi escono dalla bocca quasi contro il mio volere.

    Le sue iridi nere si mescolano alle pupille e io capisco che mi devo arrendere. Quell’attimo di coraggio e determinazione svanisce lasciando il posto alla paura.

    Alan non ha mai alzato un dito contro di me ma, quando vuole, le sue parole sanno essere più taglienti della lama di un coltello. Non è abituato a chiedere, lui ottiene e basta.

    Gli volto le spalle e riprendo a salire quelle maledette scale che in quel momento mi sembrano più impervie di una ferrata di montagna.

    Mi sono sempre occupata della casa in maniera ineccepibile e ho sempre svolto i miei compiti in modo perfetto, quasi maniacale. Ma il vero perfezionista è sempre stato Alan e in tutti quegli anni mi sono sentita sempre sotto pressione.

    Anche se da fuori sembriamo una coppia perfetta, io sento che una parte di me è morta e sopporto quel dolore in silenzio con la speranza un giorno, di ricominciare a vivere.

    Vorrei ribellarmi a questa situazione, ma non riesco, ho perso la voglia di combattere di quando ero ragazza. So che è sepolta da qualche parte dentro di me, ma non so come fare a riesumarla.

    Per fortuna ultimamente Alan è spesso lontano da casa per lavoro, e almeno in questi giorni mi sento un pochino più sollevata.

    La camera da letto viene invasa dalla candida luce invernale.

    Sbadiglio, stiro ogni muscolo intorpidito del mio corpo e appoggio lentamente i piedi sul caldo pavimento in legno pregiato d’ebano Makassar. Afferro la vestaglia bordeaux di ciniglia posta a fianco del letto e mi dirigo verso la finestra.

    Negli ultimi anni non sono più in grado di dormire avvolta completamente dall’oscurità, ho sempre bisogno di una piccola fonte di luce, per questo nella mia camera ho fatto togliere gli scuri e adoro svegliarmi con le prime luci dell’alba.

    Non appena mi affaccio alla finestra rimango rapita dall’immacolato manto che ricopre il giardino: gli alberi sembrano ricamati da merletti e il piccolo corso d’acqua che si tuffa nel lago è una lingua di ghiaccio.

    Colpo di coda di questo lungo inverno che ci ha regalato metri di coltre bianca.

    Ho sempre amato la neve. Al suo passaggio ogni luogo sembra purificarsi, è come se avesse il potere di ricoprire e cancellare le tracce di quello che c’è stato prima, lasciando la possibilità di ricominciare da capo. Mi viene da sorridere quando penso che da bambina ero convinta che la neve fosse un insieme di nuvole che cadevano sulla terra.

    Richiudo la finestra e inizio a preparami per uscire a fare la mia consueta corsetta mattutina. Negli ultimi anni, ho appurato che l’esercizio fisico è una delle poche cose capace di aiutarmi a scaricare la mia frustrazione.

    Apro la porta d’ingresso e un vento gelido mi accarezza il volto assonnato, risvegliandolo. Le mani in pochi secondi sono già gelate e le porto alla bocca nel tentativo di scaldarle.

    È domenica mattina e le strade a quell’ora e in quella stagione sono ancora deserte.

    Per me è la condizione ideale, negli ultimi anni sono diventata sempre più allergica alle persone e in più di una occasione sono stata preda di un attacco di panico.

    Ho tentato di crearmi come uno scudo intorno, uno spazio vitale in cui non faccio entrare nessuno, cercando di passare inosservata agli occhi della gente. Non so quando sia nata questa mia fobia sociale, ma se scavo nel mio passato sono certa che coincida con il giorno in cui ho iniziato il mio percorso di vita con Alan. Il senso di inadeguatezza, la paura di deludere e il voler tenere tutto sotto controllo mi hanno portato alla mia condizione attuale.

    M’infilo gli auricolari dell’mp3, compagno fedele delle mie corse mattutine e seleziono la mia playlist preferita: il rock classico. La passione per questo genere di musica l’ho ereditata da mio padre; da giovane suonava la chitarra in un complesso rock e anche io da adolescente avevo cominciato a strimpellare un po’, sperando di diventare un giorno brava come lui.

    Mia madre diceva sempre che ogni volta che suonava, era come se spargesse polvere di fata tra la gente. Tutti restavano rapiti dalla sua voce ma, soprattutto, era la passione che trasudava dai sui gesti mentre eseguiva un pezzo ad ammutolire la folla.

    Nessuna azione fatta con amore passa inosservata affermava mio padre quando gli facevo notare l’effetto che provocava alle persone.

    Un incidente lo strappò dalla mia vita all’età di diciannove anni, accantonai la chitarra in un angolo della mia camera e, da allora, non ho più avuto il coraggio di prenderla fra le mani.

    Inizio a correre sulle note di Stairway to Heaven dei Led Zeppelin e una lacrima scivola lungo la mia guancia, indugia sulle labbra e si disperde nella scintillante neve, senza lasciare traccia del suo passaggio.

    Tutte le volte che l’ascolto, mi chiedo se anche io un giorno avrò la fortuna di trovare una scala per il Paradiso, per fuggire dall’inferno che mi porto dentro.

    Dopo circa sette chilometri giungo al Ponte della Pace, che rappresenta la metà esatta del mio abituale percorso. Inaugurato lo scorso anno mi ha sempre affascinato per il suo design a eliche circolari rosse, e adoro il paesaggio che si può osservare da quel punto. Mi soffermo a riprendere fiato e esamino la skyline di fronte a me dove spiccano colossi grigi baciati dal tiepido sole invernale, poi abbasso lo sguardo e m’incanto a guardare le gelide acque del fiume Bow che scorrono sotto i miei piedi.

    Il cellulare inizia a vibrare nella tasca del giubbotto, lo sfilo e i miei occhi continuano a rileggere ripetutamente il numero sconosciuto che lampeggia sul display appannato. Mi chiedo chi possa mai cercarmi a quell’ora del mattino. Mi tolgo gli auricolari e rispondo.

    Una voce squillante mi perfora i timpani «Ciao tesoro!»

    Sono passati un paio d’anni da quando l’ho sentita l’ultima volta ma non posso non riconoscere la voce esplosiva di colei con cui ho condiviso i momenti più divertenti e spensierati della mia vita. «Denise» mormoro con voce mista tra gioia e stupore.

    «Come stai? È un secolo che non ci si vede. Ti volevo dire che domani sono di passaggio a Calgary e mi chiedevo se ti andava di prendere un caffè insieme a me» mi chiede senza prendere neanche un respiro tra una parola e l’altra.

    «Certamente, ne sarei davvero felice.»

    È l’assoluta verità, Denise fa parte degli anni più gioiosi della mia vita quelli in cui ti senti pieno di energia, quelli in cui pensi di dover lasciare una traccia del tuo passaggio nel mondo. Solo che mentre lei è riuscita in questo intento, diventando una brillante attrice, io mi sono persa per strada e le mie tracce si sono sepolte per sempre.

    II

    LA MAGIA DELLA MUSICA

    Sally

    Sollevo il bavero del cappotto per proteggermi dal vento pungente e mi avvicino con passo svelto al Rosy Café, il luogo in cui ho appuntamento con Denise.

    Appoggio la mano sulla fredda maniglia di metallo ma prima di varcare la soglia, faccio un profondo respiro.

    Emozioni contrastanti lottano dentro la mia anima: felicità e paura, gioia e rassegnazione. Sono estremamente felice di vederla ma sono consapevole del fatto che non appena i miei occhi incroceranno il suo sguardo, lei intuirà il mio stato d’animo e non avrò scampo.

    La campanellina posta sopra la porta annuncia il mio ingresso.

    Denise si volta, si alza dalla sedia, si catapulta nella mia direzione e mi stringe fra le sue esili braccia.

    «Per te gli anni non passano mai» esordisce non appena decide di smettere di stritolarmi.

    «Senti chi parla, tu sembri appena uscita dalla copertina di una rivista» rispondo ammirando la sua chioma scarlatta e i suoi occhi di ghiaccio.

    Ci sediamo a un tavolino posto in un angolo appartato del locale e ordiniamo due caffè.

    «Allora Sally come stai?» mi chiede scrutando nella profondità dei miei occhi.

    «Tutto bene, ma non parliamo di me, sai che conduco una vita normale, piuttosto dimmi di te. Ho visto il tuo ultimo film, sei stata straordinaria!» cerco di sviare immediatamente l’attenzione su di lei.

    «Guarda che anche se non ci vediamo da tanto tempo ti conosco molto bene, e capisco perfettamente quando c’è qualcosa che ti turba.»

    Questo era quello che temevo. Sapevo che non avrei potuto nasconderle il mio disagio, la mia frustrazione. Il mio finto sorriso su di lei non ha mai fatto presa.

    Sbotto di colpo e parole incontrollate scivolano via dalle mie labbra. «Okay Denise. Vuoi la verità? La mia vita è un disastro. Tutto quello che ho costruito in questi dieci anni di matrimonio è sfumato. Alan passa la maggior parte del tempo chiuso in ufficio o in giro per il mondo e mi ritrovo a passare le mie giornate rinchiusa nella solitudine di quella grande e opprimente casa. Ormai sono due anni che dormiamo separati e non mi sfiora neanche con un dito. Quando mi sono sposata ho rinunciato a tutto, persino a lavorare per dedicarmi completamente a lui, perché volevo essere una moglie perfetta. E ora guardami, ho

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