Libro di Enoch
Di Anonimo
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in modo da non vedere la morte;
e non lo si trovò più,
perché Dio lo aveva portato via.
Prima infatti di essere trasportato via,
ricevette la testimonianza
di essere stato gradito a Dio"
Il Libro di Enoch spicca per la sua originalità compositiva e anche per la sua particolarissima storia e la capacità profetica.
Enoch, secondo l’Antico Testamento, fu il padre di Matusalemme e il bisnonno di Noè e la Genesi lo presenta come l’unico uomo che non conobbe la morte.
Una parte del testo, chiamato “Libro dei Vigilanti” narra del congiungimento carnale tra angeli e donne mortali e della conseguente nascita dei Giganti.
Subito dopo, Enoch descrive l’armonia del cosmo attuale e la maledizione di Dio per gli empi che turbano tale armonia.
In seguito il libro racconta di eventi catastrofici prediluviani
(circa 10.000 anni a.c.) e di misteriose battaglie spaziali.
Enoch, rapito dagli Angeli, viene a conoscenza dei segreti
della creazione e del futuro dell’umanità.
Anonimo
Soy Anónimo.
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Libro di Enoch - Anonimo
INDICE
INTRODUZIONE
Enoch è un personaggio biblico antidiluviano, ses-to discendente diretto di Adamo ed Eva lungo la linea di Set (la cosiddetta grande genealogia dei Setiti
nel capitolo 5 della Genesi ). È citato nel Libro della Genesi ( 5, 21-23 ).
Figlio di Iared, genera a sua volta Matusalemme, il nonno di Noè. Particolare la sua fine:
Enoch visse in tutto 365 anni, e camminò con Dio, poi non fu più veduto, perché Iddio lo prese
.
Questo enigmatico versetto ha fatto nascere la tradizione secondo cui egli sarebbe stato rapito in Cielo come il profeta Elia. Enoch piacque al Signore e fu rapito, esempio istruttivo per tutte le generazioni
, dice infatti di lui Siracide.
Così lo si ritrova anche nel Nuovo Testamento: Per fede Enoch fu trasportato via, in modo da non vedere la morte; e non lo si trovò più, perché Dio lo aveva portato via. Prima infatti di essere trasportato via, ricevette la testimonianza di essere stato gradito a Dio
( Ebrei 11, 5).
Il fatto che Enoch sia stato rapito in Cielo
nel 365º anno della sua vita ha fatto pensare ad alcuni che la sua figura rappresenti la trasformazione in personaggio biblico di un'antica divinità sola-re (l'anno solare è composto di 365 giorni). D'altronde lo stesso Elia non avrebbe conosciuto la morte poiché «salì nel turbine verso il cielo» con «un carro di fuoco e cavalli di fuoco» (2Re 2, 11), anch'essi interpretati come simboli d'un Dio del Sole.
Il Libro di Enoch è un testo apocrifo di origine giudaica la cui redazione definitiva risale al I secolo a.C., pervenuto ad oggi integralmente in una versione in lingua ge'ez (antica lingua dell'Etiopia), donde il nome Enoch etiope.
Descrivere la genesi storica del Libro di Enoch è abbastanza complicato. Gli studiosi sono attualmente sostanzialmente concordi nel vedere in esso il frutto di una rielaborazione conclusiva armonizzante a partire da 5 testi precedenti autonomi. Il numero 5 va probabilmente accostato ai componenti della Torah, col proposito del redattore finale di ricreare idealmente un nuovo pentateuco: per tale motivo si parla talvolta del Libro di Enoch come del Pentateuco di Enoch. Sebbene in passato vi siano state vivaci discussioni tra gli studiosi, grazie ai ritrovamenti di Qumran attual-mente si può stabilire con certezza che la lingua originaria dei 5 testi autonomi era l' aramaico.
La prima sezione, indicata come Libro dei Vigilanti (cc. 1-36), è datata a inizio-metà del II secolo a.C., in concomitanza alla rivolta in Giudea dei fratelli Maccabei contro l'occupazione ellenista. La sottosezione costituita dai cc. 6-11, nella quale non è citato Enoch, rappresenta un nucleo precedente al resto della sezione che ne ha catalizzato lo sviluppo. Va probabilmente datata al III secolo a.C., anche se G. W. Nickelsburg propone il IV secolo a.C., e J. Milik la ipotizza addirittura precedente alla formazione della Genesi (V-VI secolo a.C.).
La seconda sezione, il Libro delle Parabole (cc. 37-71), secondo la maggior parte degli studiosi è stata composta nel I secolo a.C. (James Charlesworth si spinge fino al I secolo d.C.). Tuttavia lo studioso cattolico polacco Józef Milik nel 1976 ha ipotizzato che il Libro dei Giganti , testo apocrifo rinvenuto tra i manoscritti non biblici di Qumran (1Q23–4; 2Q26; 4Q203; 530–33; 6Q8), facesse in un primo tempo parte del Libro di Enoch appunto come seconda sezione. In seguito l'attuale Libro delle Parabole, che Milik ipotizza composto nel II-III secolo d.C., avrebbe rimpiazzato il Libro dei Giganti. Il movente principale dell'ipotesi è nei riferimenti al Figlio dell'uomo presenti nel Libro delle Parabole, titolo di origine giudaica (v. in particolare il Libro di Daniele c.7) ma che a partire dal Nuovo Testamento è stato dalla tradizione cristiana attribuito a Gesù. Questo spiegherebbe inoltre l'anomala assenza del Libro delle Parabole tra i manoscritti di Qumran. L'ipotesi però non ha trovato largo consenso tra gli altri studiosi.
La terza sezione è il Libro dell'Astronomia o Libro dei Luminari Celesti (cc. 72-82), probabilmente di inizio II secolo a.C. Leonhard Rost posticipa la data della sezione a fine II secolo a.C., mentre J. Milik l'anticipa a fine III-inizio II secolo a.C.
La quarta sezione, il Libro dei Sogni (cc. 83-90), è probabilmente coeva alla rivolta maccabaica (metà II secolo a.C.). La sottosezione chiamata Apocalisse degli Animali (cc. 85-90) è da Leonhard Rost datata a fine II-inizio I secolo a.C., mentre James C. VanderKam ipotizza per essa l'inizio del II secolo a.C.
La quinta sezione, la Lettera di Enoch (cc. 91-104), risale probabilmente alla prima metà del I secolo a.C. La sottosezione chiamata Apocalisse delle Settimane , testimoniata come integra a Qumran (4Q212), ma spezzata nella redazione definitiva in 93,1-10; 91,11-17, è datata a inizio II secolo a.C.
La sezione conclusiva (cc. 105-108) viene talvolta indicata come Apocalisse di Noè; compare nelle versioni copte ma non in quelle greche. Ne è stato ritrovato un frammento aramaico a Qumran (4Q204).
In definitiva le 5 sezioni del Libro di Enoch in aramaico erano presenti in Israele nella prima metà del I secolo a.C. Attualmente non è possibile stabilire se costituivano già un'opera unitaria come ci è pervenuta; di questo periodo ci sono pervenuti anche frammenti di traduzioni in greco ed ebraico da ritrovamenti di Qumran.
La traduzione greca è anteriore alla Lettera di Giuda, che la cita, e dunque va datata attorno alla metà del I secolo d.C. Vi è sostanziale accordo tra gli studiosi occidentali nel ritenere che a partire dalla traduzione greca fu successivamente realizzata la versione ge'ez, nel V-VI secolo.
Radicalmente diversa è la posizione degli studiosi ed ecclesiastici copti, che ritengono la versione etiopica quella originale. Inoltre, data l'antichità del personaggio antidiluviano di Enoch, il libro rappresenterebbe il primo e più antico testo scritto da uomini; agli occhi della moderna critica storico-filologica questa posizione, oltre che insostenibile, appare anche un po' ingenua.
Quanto alla tradizione ebraica, il Libro di Enoch venne definito come apocrifo, cioè non accolto tra i libri biblici, durante il cosiddetto concilio di Jamnia (fine I secolo d.C.), che stabilì definitivamente quali dei testi giudaici fossero da considerarsi canonici e quali non canonici. Lo scrittore cristiano Tertulliano sosteneva che il motivo di tale rigetto fosse da cercare nella fortuna che il testo conobbe nella tradizione cristiana. È tuttavia più probabile che il rigetto ebraico fosse motivato dagli altri fattori che determinarono l'esclusione di altri testi giudaici, come il non essere scritto in ebraico e la non antichità della data di composizione.
Quanto alla tradizione giudeo-cristiana, Enoch è citato esplicitamente nella Lettera di Giuda:
« Profetò anche per loro Enoch, settimo dopo Adamo, dicendo: «Ecco, il Signore è venuto con le Sue miriadi di angeli per far il giudizio contro tutti, e per convincere tutti gli empi di tutte le opere di empietà che hanno commesso e di tutti gli insulti che peccatori empi hanno pronunziato contro di Lui »
La citazione esplicita di Enoch all'interno di un testo biblico ha poi spronato alcuni autori successivi a citarlo o a riferirsi implicitamente ad esso.
Al pari di molti altri testi apocrifi, la mancata accoglienza del Libro di Enoch nei canoni ebraico e cristiano ne causò un lento e progressivo abbandono: la copia dei testi sacri fatta dagli amanuensi era particolarmente costosa (per ogni pagina di pergamena serviva una pelle di pecora), e veniva ovviamente dedicata ai testi che erano usati per studio o preghiera; Non si deve quindi pensare ad una caccia o persecuzione dei testi apocrifi. Le ultime citazioni dal Libro di Enoch risalgono agli inizi del IX secolo nell'opera Chronographia Universalis dello storico bizantino Giorgio Sincello. La memoria delle tradizioni enochiche rimase tuttavia vivida in ambito cristiano, islamico ed ebraico (specialmente nell'opera cabalistica ebraica di Menahem Recanati nel XIII secolo).
Il processo di riscoperta del Libro di Enoch in Europa prese avvio nel Rinascimento all'interno del movimento della Cabala cristiana. Sia Pico della Mirandola che Johannes Reuchlin dedicarono grande attenzione alla sapienza di Enoch e ne ricercarono attivamente le fonti manoscritte disponibili, senza successo. Solo a metà del Cinquecento, con la riapertura dei contatti commerciali e politici con l'Etiopia in seguito alla circumnavigazione dell'Africa, sacerdoti etiopi giunsero a Roma e con essi si diffuse la notizia che in quel paese si conservavano copie del libro.
Intanto, nel 1606, Joseph Justus Scaliger pubblicò l'editio princeps dei frammenti greci del Sincello, rafforzando l'interesse per la conoscenza dell'intera opera.
Nel 1637 lo studioso francese Nicolas-Claude Fabri de Peiresc annunziò di essere riuscito ad entrare in possesso di un testo in lingua ge'ez (l'antica lingua etiope), corrispondente al perduto Libro di Enoch. Esaminato dall'orientalista Hiob Ludolf, in realtà risultò essere un trattato teologico dal titolo Misteri del Cielo e della Terra di Abba Bahaila Michael contenente solo riferimenti indiretti al Libro di Enoch.
Agli inizi del Settecento Johann Albert Fabrici-us (Codes pseudepigraphus Veteris Testa-menti, 1713) raccolse tutti i frammenti greci e latini allora disponibili. La vera riscoperta del Libro di Enoch avvenne a fine secolo. Nel 1773, al suo ritorno da un viaggio in Abissinia (attuale Etiopia), il viaggiatore scozzese James Bruce portò con sé in Europa 3 copie di un libro scritto in lingua ge'ez. Una copia fu venduta alla Biblioteca Bodle-iana dell' Università di Oxford, un'altra alla Regale Biblioteca di Francia (attuale Bibliothèque Nationale de France), mentre la terza copia fu conservata dallo stesso Bruce.
Non ci si rese conto del vero valore del testo fino a che non venne studiato dall'orientalista francese Silvestre de Sacy (maestro tra l'altro di Champollion) che ne pubblicò nel 1800 una