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UFO: La Bibbia Segreta
UFO: La Bibbia Segreta
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E-book260 pagine5 ore

UFO: La Bibbia Segreta

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Info su questo ebook

Si parla di UFO nella Bibbia?

L’autore, docente di teologia nonché autorevole ufologo, ci propone un’analisi accuratissima dei codici più segreti delle Sacre Scritture, quelli che la Chiesa ha cercato inutilmente di censurare e far sparire, trovando le prove degli ufo nella Bibbia e dunque delle antiche visite di esseri di altri mondi che da tempo immemorabile si disputano la Terra.

Analizzando in maniera critica le “altre Bibbie”, si ridefiniscono i ruoli di alcuni personaggi più importanti della religione cristiana e si getta luce su alcuni degli episodi più oscuri della nostra storia passata.

Mettendo a confronto le versioni bibliche rabbiniche, cattoliche, evangeliche e gnostiche si concentra quindi l’attenzione su figure volutamente dimenticate dalla religione tradizionali. Queste figure furono: gli Elohim, che si erano spartiti il pianeta dividendolo in Protettorati, gli Angeli della Faccia, la loro milizia armata; gli Oannes, istruttori e liberatori dell’umanità; il ribelle Luzabel; i cainiti, i discendenti in linea di sangue di Geova.

Una rilettura teologica scomoda e sconvolgente, che riunisce i tasselli sparsi di un enorme mosaico biblico, sebbene sino ad ora incomprensibile, sulle origini cosmiche della nostra umanità.

In questo libro dunque scoprirai: Il segreto che la Chiesa ci ha tenuto nascosto sulla presenza dei racconti degli ufo nella Bibbia Il Vangelo di Giuda, il discepolo più amato di Gesù Il piano occulto di spartizione aliena della Terra.
LinguaItaliano
Data di uscita22 giu 2021
ISBN9788833801476
UFO: La Bibbia Segreta

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    Anteprima del libro

    UFO - Alfredo Lissoni

    1

    I Vangeli nascosti

    «Le alte gerarchie della Chiesa sanno che

    quando la Bibbia parla di Elohim

    parla di individui in carne e ossa e non di Dio».

    MAURO BIGLINO

    La Bibbia segreta

    È possibile che i nostri Testi Sacri nascondano, celati tra le pieghe delle storie narrate, il resoconto di una colonizzazione aliena nella notte dei tempi? E di incontri ravvicinati con extraterrestri, all’alba dell’umanità?

    Decine di studiosi, ufologi, ricercatori e scienziati se lo chiedono da anni e per questo hanno passato a setaccio la Bibbia, traendone spesso risultati contrastanti. E questo perché del Libro Sacro dei cristiani noi abbiamo oramai una versione molto edulcorata, per tacere poi delle parti che sono state bellamente eliminate!

    Il cristiano che si avvicina per la prima volta alla Bibbia generalmente ignora:

    •che di quest’ultima esistano ben ottantamila diverse traduzioni e manipolazioni (il Codex Vaticanus, vale a dire il Nuovo Testamento in uso nelle comunità cristiane a Roma, tradotto in greco e scoperto nel 1844 nel monastero di S. Caterina sul Sinai contiene non meno di sedicimila correzioni, dovute ad almeno sette correttori; oggi i teologi ritengono che contenga ben 400.000 errori!);

    •che papa Giovanni XXIII in passato denunziò pubblicamente l’enorme confusione nata da tutte queste manipolazioni; che già nel VII d.C. il teologo inglese Venerabile Beda attestasse che il biblico Esdra aveva interpolato e censurato le Scritture;

    •che persino S. Paolo era sospettato di avere modificato l’insegnamento di Gesù, per creare una religione più guerriera (tale lui era), maggiormente a uso e consumo di un potere politico che stava lentamente infiltrandosi nella sin troppo tollerante società romana (la setta giudeo-cristiana degli ebioniti o poveri, autori di un omonimo Vangelo e vissuti nei primi secoli dopo Cristo, non a caso lo consideravano un apostata ed è indiscutibile che i suoi scritti siano stati fondamentali per la formazione del cristianesimo e il distacco dal giudaismo);

    •che non esiste il testo originale della Bibbia (di nessuno dei 45 libri dell’Antico Testamento e dei 27 del Nuovo si possiede il manoscritto originale), ma se ne hanno solo versioni di seconda mano, peraltro assai diverse dal corpus religioso ebraico (basato principalmente sulla Torah); o che la divisione in capitoli e versetti che trovate nei Testi Sacri risalga al cardinale inglese Stephan Langton, che se la inventò nel XII secolo, basandosi sulla traduzione latina della Bibbia greca a opera di S. Gerolamo (la Volgata del 406, rivista mille anni dopo dai benedettini);

    •che l’Apocalisse, tanto sventolata dai movimenti messianici, sia stata riconosciuta come canonica solo nel 1545 dal Concilio di Trento, dopo moltissime diatribe e che tuttora numerose Chiese orientali autonome e indipendenti da Roma continuino a rifiutarla. Essa, secondo quanto non può fare a meno di ammettere la Sacra Bibbia nella versione di padre Bonaventura Mariani¹ (Garzanti, 1964) «si presentava sotto la forma di un messaggio epistolare indirizzato alle Chiese dell’Asia per premunire i fedeli di fronte alle minacce di una persecuzione imminente», ovvero l’aggressione romana, che da Occidente si stava spostando a Oriente. Fu S. Agostino, secoli dopo, a spacciarla come una profezia degli anni a venire. Altro che fine del mondo!

    Il nostro cristiano medio non sa che i moderni teologi considerano inventato l’episodio dell’adultera salvata dalla lapidazione da Gesù: non c’è nei testi più antichi del Vangelo di Giovanni, che la cita al verso (7, 53) usando però un linguaggio più moderno, come se il brano fosse stato inserito a posteriori (per modificare le leggi ebraiche, ritenute troppo sanguinarie per i neoconvertiti Romani); e non c’è la resurrezione di Cristo nella versione di Marco (16, 9-20): anche lì il linguaggio usato è posteriore alla parlata originaria.

    Il cristiano medio non sa che Matteo non si considerava un apostolo, e chiamava loro i discepoli che erano stati realmente con Gesù, parlandone in terza persona (Mt 9, 9): il che lascia supporre che la sua testimonianza sul Messia non si particolarmente attendibile.

    Non sa inoltre che gli Atti degli Apostoli, nella versione greca, definiscono agràmmatoi, illetterati, S. Pietro e S. Giovanni, la qual cosa getta un’ombra sulla reale paternità delle lettere del primo e sul Vangelo del secondo; non sa che Mosè chiamava il suo Dio con il nome di Yahweh (Egli è), quando questi, secondo la Bibbia, gli avrebbe detto «Io sono colui che sono» (e dunque, a logica, andava chiamato Io Sono, e non Egli è); ma il suo vero nome, secondo la traduzione biblica non manipolata, era YiHYeH, «Io sono colui che sarà» (il che prefigura, in previsione della venuta di Gesù, scenari inimmaginabili; noi continueremo ugualmente a chiamarlo Yahweh, per comodità) e che comunque le quattro consonanti (gli ebrei non usavano mettere le vocali) che formavano il suo nome, Y, H, W, H, corrispondevano ad altrettante parole ebraiche, dal significato di mano, foro, chiodo, foro.

    Ancora, ben pochi sanno che gli ebrei, ai quali noi ci ispiriamo, non utilizzano, non ritenendoli validi, parte dei libri dell’Antico Testamento (e nessuno del Nuovo, ovviamente, non avendo riconosciuto Gesù come Messia), ma del resto persino i protestanti, che si rifanno al canone ebraico, escludono i due libri dei Maccabei, Tobia, Giuditta, Sapienza, Baruch, Siracide (o Ecclesiastico, ove parla un profeta a nome Gesù, che non è il Messia).

    Assai poche persone si rendono conto di quanto sia mutato il messaggio divino presente nell’Antico Testamento (e ricalcato sugli usi e costumi del popolo ebraico) rispetto a quello presente nel Nuovo Testamento (che è poi la base del cristianesimo; la stessa Chiesa non manca di sottolineare come Gesù sia venuto per: «abolire le leggi di Mosè»). E infine, ben pochi sanno che, in base a quanto ribadito da un’enciclica papale (la Dei Verbum del 18 novembre 1965, articolo 9), alla base della dottrina cristiana non sta solo la Bibbia ma anche la Tradizione, ovvero tutto quell’insieme (a tratti assai discutibile) di credenze, rituali e usanze promosse dalla Chiesa nel corso dei secoli che, pur non essendo contemplate in alcuna parte del Vangelo (e anzi essendone spesso in palese contrasto), vengono dogmaticamente imposte. E questo spesso accade anche con tradizioni storiche ufficialmente accettate. Non è un segreto che i papi Giovanni XXIII e Paolo VI abbiano radiato dal calendario ventotto nomi di Santi e Sante che non erano mai esistiti.

    La Tradizione affonda le radici nelle usanze delle sette giudeo-cristiane dei primi secoli; e il maggior numero di informazioni liturgiche sul cristianesimo dei primissimi tempi ci è trasmesso in un’opera intitolata Didaché, che in greco significa dottrina o insegnamento (dei dodici apostoli), scoperta per caso poco più di un secolo fa dal Metropolita Filoteo Bryennios in un codice greco di Costantinopoli (ora a Gerusalemme). Sfortunatamente la Didaché si basa solo su alcuni di discepoli di Gesù, rinnegandone completamente altri (spesso autori di Vangeli che la Chiesa definisce apocrifi e bolla come non validi, sebbene un’élite di moderni storici laici internazionali tenda a dare al 90% degli stessi una credibilità pari a quella degli scritti ufficiali). E le contraddizioni presenti non sono di poco conto: nella Epistola di Barnaba – uno scritto anonimo della fine del I d.C. o degli inizi del II d.C., forse di ambiente siriaco come la Didaché e che pare non sia da attribuire a Barnaba compagno di S. Paolo – l’autore afferma che l’unico modo esatto di leggere l’Antico Testamento consista nell’individuazione del significato spirituale, non semplicemente carnale, del testo. Questa è l’impostazione che è prevalsa in seno al cattolicesimo, rifiutata però da molte sette millenaristiche dell’Otto-Novecento. E non è finita.

    Non c’è l’Inferno, nella Bibbia (per la setta dei seleuciani, attivi in Galazia nei secoli III e IV, il vero Inferno era questa terra). Le sue più vivide rappresentazioni non si trovano nel Nuovo Testamento (accenni vaghi in Mt 8, 12-13 e 41-42; Lc 16, 22-26; Ap 20, 15 e 21, 8) ma in alcune apocalissi apocrife (Pietro, Paolo, Madre di Dio); esso non esprimeva la prigionia in un luogo mitico, ma una condizione esistenziale consistente nella perdita di Dio e nel tormento che deriva dalla privazione del bene, pena che, dopo la resurrezione, diverrà definitiva.

    Addirittura il biblico S. Giuda (fratello di Giacomo il Minore, apostolo e primo vescovo di Gerusalemme), nella sua biblica Lettera, al capoverso 6, precisa che l’Inferno è solo per gli abitanti di Sodoma e Gomorra e per gli angeli ribelli:

    «Quanto agli angeli che non hanno conservato il loro principato, ma hanno abbandonato la loro residenza [perché scesero sulla Terra accoppiandosi con donne, come vedremo in seguito], Dio li ha imprigionati nelle tenebre con catene eterne per il giudizio del grande giorno».

    Lo stesso fa Pietro nel suo secondo libro, al capoverso 2, 4. Ma quando la Chiesa si impose come religione di Stato, nel 325 d.C., Inferno e demonio divennero lo spauracchio per terrorizzare gli increduli e assoggettare i superstiziosi. Così, sino al III secolo, l’immagine del diavolo nelle icone era quella di un angelo di luce, poi sostituita con la terrificante raffigurazione dell’uomo caprone, copiata dalla mitologia greca del dio Pan, signore dei piaceri. Non solo, per due millenni la patristica cristiana ha continuato a identificare Lucifero in Satana, quasi ignorando che nel Nuovo Testamento (2Pt 1, 19; Ap 22, 16) era Cristo a essere definito Lucifer o stella del mattino, attributo che ritorna nell’antica preghiera dell’Extulet, nella liturgia della veglia pasquale; non solo, il «Lucifero» che cade dal cielo in Isaia 14, 10-15 non era il demonio, ma, in ebraico, Helel ben Shashar, ovvero il pianeta Venere, in una metafora con la quale il profeta derideva il sovrano babilonese Nabucodonosor, di fatto caduto dalle stelle alle stalle. Fu Origine a collegare erroneamente questa allegoria alla caduta del diavolo, in relazione con il Vangelo di Luca (10, 18): «Gesù disse loro: Vedevo Satana precipitare dal cielo come folgore». «In realtà», commenta la stessa Bibbia, nell’edizione delle Paoline,

    «nel contesto di Isaia non vi è nulla che possa far pensare al demonio, ma solo alla strepitosa caduta del re di Babilonia».

    Ma nella Bibbia non c’è neanche il Purgatorio, inventato nel IX secolo e accettato a pieno titolo nella dottrina cristiana solo nel Duecento (ma completamente rifiutato dai protestanti); e probabilmente non esiste nemmeno il Paradiso (dal persiano pairi daeza, recinto alberato), termine che nel Nuovo Testamento appare una volta sola, in Luca 23, 43, mentre si parla in più occasioni del Regno di Dio che attende i giusti.

    E a dirla tutta, vi è anche chi non crede nella sopravvivenza dell’anima. I Testimoni di Geova, ad esempio, citando Ezechiele 18, 4 («L’anima che pecca, morirà»), rigettano l’esistenza «di una qualche entità astratta che sopravvive alla nostra morte».

    L’invenzione del papa-re

    Subito dopo la morte di Gesù e comunque a mano a mano che procedevano le conversioni, sino al riconoscimento del cristianesimo come religione di Stato nell’Impero romano da parte di Costantino nel 325 (con il Concilio di Nicea), proliferarono decine e decine di sette più o meno eretiche, tutte convinte di essere nel giusto e di possedere i Vangeli autentici; una volta che il cristianesimo uscì dall’illegalità e sconfisse il paganesimo, la situazione non migliorò, anzi, si inasprirono i conflitti fra le molte fazioni in lotta, e persino tra stesse fazioni. Le accese diatribe tra interpreti (esegeti) della Bibbia, non si esaurirono certo nei primi secoli dopo Cristo ma solo la bellezza di duemila anni dopo, quando nel 1943 Pio XII pubblicò l’enciclica Divino afflante Spiritu fissando un criterio interpretativo storico-critico (nel frattempo la religione di Stato aveva provveduto a spazzare via con persecuzioni, roghi e massacri le sette minori. Infine il cristianesimo si era frammentato in tre grossi tronconi, cattolicesimo, protestantesimo e ortodossia, gli ultimi due contenenti a loro volta varie defezioni: valdesi, Testimoni di Geova, ecc…); la mancanza dei testi originali (e per contro, di fronte al proliferare di Vangeli gnostici e apocrifi non riconosciuti), frammentava il cristianesimo delle origini in una miriade di sette e conventicole, spesso ferocemente e sanguinosamente in lotta le une con le altre, tutte convinte di essere le uniche depositarie della verità. Una verità che nemmeno la Chiesa di Roma, nonostante la propaganda, può onestamente rivendicare, se si pensa che nel 1918 il Sant’Uffizio (in passato più tristemente noto come Santa Inquisizione), con un apposito decreto ha dovuto riconoscere come incerta l’opinione di alcuni autori riguardo alla onniscienza dell’anima umana di Gesù (una questione non da poco; per duemila anni si era litigato sul fatto che Gesù, in quanto Figlio di Dio, dovesse essere al corrente del suo tragico destino, tesi smentita da certe affermazioni di Cristo presenti nei Vangeli; nel VI secolo d.C. si era addirittura diffusa una setta, quella degli agnoeti o ignoranti, seguaci del diacono alessandrino Temisio, convinti che l’anima di Gesù ignorasse certi misteri, in particolare quello del giorno del giudizio finale).

    L’aspetto paradossale dell’imponente sistema piramidale di cui oggi disponiamo, con un papa al vertice della cattolicità e una serie di cardinali, vescovi e preti, non era minimamente nelle intenzioni di Gesù! Quando si chiede al cristiano ove sia scritto che dovesse essere inventato un pontefice per la Chiesa, solitamente ci viene risposto che l’esortazione è contenuta nella celebre frase che Gesù rivolge a S. Pietro: «Tu sei Pietro e su questa pietra fonderò la mia chiesa».

    Il bello è che quest’affermazione è stata completamente decontestualizzata e falsata. Nell’episodio originale, Gesù chiedeva ai suoi discepoli chi credessero che lui fosse. Marco, in 7, 30, sorvola assai rapidamente:

    «[7, 27] Poi Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo; e per via interrogava i suoi discepoli dicendo: Chi dice la gente che io sia?. [7, 28] Ed essi gli risposero: Giovanni il Battista, altri poi Elia e altri uno dei profeti. [7, 29] Ma egli replicò: E voi chi dite che io sia? Pietro gli rispose: Tu sei il Cristo. [7, 30] E impose loro severamente di non parlare di lui a nessuno».

    Diversa la versione offerta da Matteo (che era stato compagno di Gesù, e dunque testimone oculare), al capitolo 16:

    «[13] Essendo giunto Gesù nella regione di Cesarèa di Filippo, chiese ai suoi discepoli: La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo? [14] Risposero: Alcuni Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti. [15] Disse loro: Voi chi dite che io sia? [16] Rispose Simon Pietro: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente. [17] E Gesù: Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. [18] E io ti dico: "Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. [19] A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli"».

    Il gioco di parole, utilizzato nei secoli alla Chiesa per giustificare il proprio sfacciato potere temporale (tanto contestato da S. Francesco e dagli eretici dolciniani), funzionava ovviamente solo in latino, ma non in aramaico. Il fatto è che né Gesù né S. Pietro – vero nome Shimeon Kêphas – erano Romani (anzi, la moderna esegesi ritiene che a Roma S. Pietro non vi sia mai stato, e che il suo preteso supplizio nell’Urbe sia frutto di fantasia); Gesù (Jesua) parlava in aramaico, non in latino. E in aramaico la frase, impostata sì con un gioco di parole, suonava assai diversamente. Vediamola assieme, con i termini reali:

    «Voi chi dite che io sia? […] Rispose Shimeon detto Kêphas [= convinzione]: Tu sei l’Unto [cioè il Messia]. E Jesua: Tu sei ‘convinzione’, e su questa convinzione [cioè che il sono il Messia] edificherò la mia ekklèsia" [= assemblea; kahal, in ebraico]».

    Ekklesia, comunità, non la mia Chiesa, come vanno raccontando i preti! Nessuna Chiesa strutturata, dunque, ma solo una comunità di apostoli erranti (come furono in effetti i dodici, custodi delle reali intenzioni del Maestro)!

    Nel corso dei secoli la Chiesa manipolò spudoratamente questo precisissimo dettame di Cristo, giocando sulla traduzione in latino di S. Gerolamo; addirittura, alcuni esegeti che conoscevano l’aramaico giunsero ad affermare subdolamente che il gioco di parole fosse stato non tra "kêphas (convinzione) ma tra kêpha, roccia e kipahâ, il ramo della palma, simbolo della vittoria. In tal caso la frase sarebbe stata: «Tu sei roccia e io farò di te vittoria». Nulla di più falso. Del resto, in una seconda occasione la Chiesa ordì un colossale imbroglio per prendere il potere, con la costruzione di un falso documento, noto come la Donazione di Costantino"; in esso risultava che l’omonimo imperatore romano (che aveva consacrato il cristianesimo religione di Stato) nel 313 avrebbe donato al papato l’Impero occidentale, mentre egli avrebbe continuato a governare in Oriente. Il biblista Giordano Berti definisce ciò come: «una falsificazione posteriore, intesa a fornire una base giuridica alle pretese temporali dei pontefici». I papi ne fecero uso ufficiale a partire dal 1053 e il documento venne generalmente creduto autentico, benché contestato da più parti, per esempio da Arnaldo da Brescia e Dante. L’umanista Lorenzo Valla ne dimostrò la falsità nel 1439 con argomenti inconfutabili.

    L’assenza di una struttura gerarchicamente costituita era un concetto ribadito anche dal Battista; ne troviamo precisi riferimenti in Giovanni 1, 23 (e in maniera assai fumosa in Lc 3, 4 e Mc 1, 3), allorché sacerdoti e leviti giunti da Gerusalemme, inviati dai giudei, incontrarono in Betania sul Giordano Giovanni Battista e gli chiesero cosa volesse e se egli fosse il Messia o Elia redivivo (quest’ultimo, ricorderete, era stato rapito in cielo in un carro di fuoco che potrebbe ricordare un UFO). Il Battista rispose:

    «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, come disse il profeta Isaia».

    Il versetto è stato in realtà volutamente alterato; il cugino di Gesù non intendeva dire che stesse parlando a vuoto al volgo (urlare nel deserto), come vuole farci credere la Chiesa. La frase iniziale è stata banalmente separata in maniera diversa. Essa era:

    «Io sono voce di uno che grida: nel deserto preparate la via del Signore, come disse il profeta Isaia».

    Il Battista invitava le genti a ritirarsi nel deserto a pregare, come del resto faceva lui! In questa frase c’è l’esortazione al nomadismo religioso, poi caldeggiato dai padri del deserto;

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