Il guardiano della via Francigena del Sud: Da Roma ai porti d’imbarco per la Terra Santa, in bicicletta, lungo il sentiero dei pellegrini
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Ricominciare. Ne avverti il peso schiacciante. Dopo quanto è successo ti chiedi se abbia senso, se significhi ancora qualcosa.
Ricominciare. Non con lo slancio di un'affermazione, dunque, ma con l'incertezza di una domanda. Col ricciolo contorto del dubbio che ti mette sull'ottovolante, ti regala un giro mozzafiato per poi schiaffarti inesorabilmente a terra, il naso a un palmo dal suolo, gli occhi che si intasano di polvere.
Passata l'onda di piena ti sei rimesso in moto. Lento, con i tuoi tempi. All'inizio senza una direzione precisa, un po' di qua e un po' di là, avanzando e indietreggiando, scartando anche, purché le giunture si scuotessero, le gambe ritrovassero l'agilità dell'andatura sostenuta, gli occhi la smettessero di girare a vuoto.
Ti manca. Tanto che non sapresti dire. Ti manca tutto di lui. Il sorriso, l'allegria, la complicità, l'affetto. Forse, più di ogni altra cosa ti manca il coraggio. Il suo coraggio. La voglia di… ricominciare.
Ancora quest’infinito assurdo, questa forma verbale senza tempo. Non è passato, né presente, né futuro, anche se guardi verso l'orizzonte quando lo prendi in considerazione.
L'orizzonte. Il tuo è fatto di spazi amplissimi, di picchi che si rincorrono sotto il lenzuolo turchino del cielo, di bivacchi all'addiaccio e notti stellate. Lo vuoi, lo rivuoi, lo desideri ardentemente. È un fuoco che ti brucia dentro.
Butti lì un pensiero, eccolo. Butti lì le notti insonni, le veglie al capezzale, le ferite che porti impresse nell'anima, i baci regalati e ricevuti, il calore della sua mano a contatto con la tua. Allontani la penna dal foglio, chiudi la pagina, rimetti il taccuino nella cassetta di metallo. Ai piedi della croce.
Sai dov'è. Sai dove l'hai lasciato. Ci tornerai, lo prometti a te stesso. Dai l'ultimo saluto al merletto di cime che ti si squaderna davanti. Bianche così, spolverate di zucchero a velo, paiono davvero un ricamo. Controlli lo zaino, raccogli i bastoncini, infili la fotocamera in tasca. È ora di scendere, di rientrare. Ora di ricominciare.
Ho percorso, in bicicletta, il tracciato indicato per i viandanti. 800 km complessivi, sedici giorni da Roma a Santa Maria de Finibus Terrae, a tappe variabili dai 30 agli 80 km. E ne sono rimasto affascinato. Ritengo che la Francigena del Sud come bellezza, come ampiezza di panorami offra molto di più del cammino di Santiago. Un sogno ad occhi aperti, un miracolo che si rinnova tappa dopo tappa.
Il diario è il racconto del pellegrinaggio fatto a papà. E' una storia delicata come un battito d'ali di farfalla, ma anche aspra, impegnativa come l'attraversamento dell'Appennino. A te, se lo vorrai, lascio il piacere di gustarla.
La narrazione è arricchita da una trentina di foto.
Buona lettura e buon cammino. Ultreia!
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Anteprima del libro
Il guardiano della via Francigena del Sud - Nicola Soloni
Man
Sommario
Prologo
12 luglio, arrivo a Roma
13 luglio, Roma – Artena, 54 km e 1100 metri di dislivello
14 luglio, Artena – Anagni, 26 km e 600 metri di dislivello
15 luglio, Anagni – Strangolagalli (casa di Enzo), 44 km e 1150 metri di dislivello
16 luglio, Strangolagalli (casa di Enzo) – Cassino, 41 km
17 luglio, Cassino – Alife, 60 km (65, a dire il vero) e 650 metri di dislivello
18 luglio, Alife – Benevento, 60 km e 1000 metri di dislivello
19 luglio, Benevento – Buonalbergo, 23 km e 870 metri di dislivello
Intervallo a Buonalbergo
20 luglio, Buonalbergo – Troia, 38 km e 800 metri di dislivello
21 luglio, Troia – Cerignola, 55 km
22 luglio, Cerignola – Bitonto, 77 km
23 luglio, Bitonto – Monopoli, 68 km
24 luglio, Monopoli – santuario di Iaddico (Brindisi), 84 km
25 luglio, santuario di Iaddico (Brindisi) – Carpignano Salentino, 85 km
26 luglio, Carpignano Salentino – Tiggiano, 52 km
27 luglio, Tiggiano – Santa Maria de Finibus Terrae, 15 km
Una manciata di consigli
Nota dell’autore
Prologo
Ricominciare. Ne avverti il peso schiacciante. Dopo quanto è successo ti chiedi se abbia senso, se significhi ancora qualcosa.
Ricominciare. Non con lo slancio di un'affermazione, dunque, ma con l'incertezza di una domanda. Col ricciolo contorto del dubbio che ti mette sull'ottovolante, ti regala un giro mozzafiato per poi schiaffarti inesorabilmente a terra, il naso a un palmo dal suolo, gli occhi che si intasano di polvere.
Non ti arrendi, almeno non subito, non così. Sai che è difficile, soprattutto nel primo periodo. Ti chiedi, però, quanto cazzo possa durare questo periodo e come sarà il secondo, se ci sarà, e magari il terzo, il quarto.
Dopo la botta sei rimasto immobile. Altro che ricominciare. L'avresti finita, proprio lì, su due piedi. Basta dolori, basta sofferenze, basta. Gli amici, quelli rimasti, quelli che mai tradiscono, sembravano automi sputasentenze, abitanti di un altro mondo. Dai, che la vita continua
. Sempre uguale la loro litania di consigli.
Non li ascoltavi. Che cazzo vuol dire: la vita continua? Quale vita? La vostra forse. La sua no di certo. La tua chissà. Te lo chiedi insistentemente, ma non trovi risposta. Loro sì, loro ce l'hanno. Hanno tutto. Sempre sicuri, infallibili. Mai un'indecisione una frenata una caduta. Loro sanno, conoscono la strada. Sono gentili a indicartela. È semplice, naturale, ti ripetono. Naturale e semplice come rimuovere il cavalletto alla fine di un binario morto, raccogliere pietre e costruire massicciate, posare traversine e binari.
Ricominciare è diverso. Vuol dire ripartire, non per forza dallo stesso punto, dalla stessa posizione. In mezzo ci sta un'interruzione. Giorni, mesi, anni, dipende da ciascuno.
Passata l'onda di piena ti sei rimesso in moto. Lento, con i tuoi tempi. All'inizio senza una direzione precisa, un po' di qua e un po' di là, avanzando e indietreggiando, scartando anche, purché le giunture si scuotessero, le gambe ritrovassero l'agilità dell'andatura sostenuta, gli occhi la smettessero di girare a vuoto. Fuori, lontano dal nulla che soffoca uccide inghiotte pensieri e parole, pronto a divorare la vita in un sol boccone. Ti tenta. Continua a farlo. Ci ha già provato. E stavi quasi per dargliela vinta. Tieniti tutto e che sia finita. Ancora si insinua, ogni tanto. Quando sei più debole, ovvio, quando le tue difese sono abbassate, quando non hai forza di replicare, di rispondere.
Eppure, se ti levassi, se guardassi dall'alto le cose, te ne accorgeresti. Che è una spirale, un gorgo, un fottuto buco nero. Che non puoi cedere e mollare tutto. Proprio tu! Tu che hai visto… che hai avuto… un papà così.
Ecco, il papà. L'hai avuto. Ora non più. Ed è per questo che stai passando le tue giornate a chiederti come cazzo si possa ricominciare. Adesso. La polvere ti brucia ancora gli occhi, tieni il naso a un centimetro da terra. Provi ad alzarti, a spingere sulle braccia. Preghi che reggano. Niente. Desisti. Tanto non serve. Tanto attorno c'è solo il deserto, incendiato dal sole.
Fantasmi di amici, spettri di familiari. Tu, come un cane, abbandonato, sperduto nella vuota immensità. E quel rumore sordo, quel lamento cupo, di sottofondo, che intonaca i giorni e le notti. Copre ogni pertugio, ogni via d'uscita, sta lì e non si scrosta. Spesso non te ne accorgi, non ci badi, ma appena posi lo sguardo stanco senti una fitta al cuore, lancinante, la ferita d'un tratto si riapre, le guance s’imperlano di lacrime e sulle labbra affiora la parola amata, masticata fin da lattante: papà, papà…
.
Ti manca. Tanto che non sapresti dire. Ti manca tutto di lui. Il sorriso, l'allegria, la complicità, l'affetto. Forse, più di ogni altra cosa ti manca il coraggio. Il suo coraggio. La voglia di… ricominciare.
Ancora quest’infinito assurdo, questa forma verbale senza tempo. Non è passato, né presente, né futuro, anche se guardi verso l'orizzonte quando lo prendi in considerazione.
L'orizzonte. Il tuo è fatto di spazi amplissimi, di picchi che si rincorrono sotto il lenzuolo turchino del cielo, di bivacchi all'addiaccio e notti stellate. Lo vuoi, lo rivuoi, lo desideri ardentemente. È un fuoco che ti brucia dentro.
Finalmente. Stai uscendo dal tunnel. Da quel primo periodo di merda. C'è luce in fondo. Luce attorno. C'è l'aria rarefatta dell’alta quota. Il libro di vetta, ai piedi della croce.
Butti lì un pensiero, eccolo. Butti lì le notti insonni, le veglie al capezzale, le ferite che porti impresse nell'anima, i baci regalati e ricevuti, il calore della sua mano a contatto con la tua. Allontani la penna dal foglio, chiudi la pagina, rimetti il taccuino nella cassetta di metallo. Ai piedi della croce.
Sai dov'è. Sai dove l'hai lasciato. Ci tornerai, lo prometti a te stesso. Dai l'ultimo saluto al merletto di cime che ti si squaderna davanti. Bianche così, spolverate di zucchero a velo, paiono davvero un ricamo. Controlli lo zaino, raccogli i bastoncini, infili la fotocamera in tasca. È ora di scendere, di rientrare. Ora di ricominciare.
12 luglio, arrivo a Roma
Mi avevi detto di cercarti. Erano state le tue ultime parole. L'ho fatto. Perché lo desideravo. Tanto.
Non potevo altrimenti. Senza di te non riesco a stare. Ho bisogno della tua presenza. Ti voglio qui, al mio fianco.
Noi due insieme. Come un tempo, quando camminavamo nel bosco, quando prendevamo il sentiero che s’inerpicava sul monte e la salita ci toglieva il respiro, quando sbucavamo esausti tra quelle quattro case, piantate in faccia alla Civetta, e ci scambiavamo sguardi complici.
Ti voglio compagno di strada. Perché lo sei stato. Anche in questo pellegrinaggio. Perché gli occhi erano i tuoi, le gambe giravano al tuo ritmo, la volontà attingeva alla tua sorgente e lo stupore, beh, il tuo regalo più bello, quello che conservavo fin da piccolo.
Ti voglio amico, fratello. Sto bene se sono con te. Mi sento tranquillo, in pace col mondo. Mi sento forte, in grado di affrontare ogni difficoltà.
So che mi sei stato vicino. Ti ho percepito nelle strette di mano, nei sorrisi. In controluce ti ho scoperto nei lineamenti di chi ho incontrato. Quando la situazione stava per prendere una brutta piega, ho avvertito la tua mano amorevole scendere dall'alto e rimettere tutto a posto. Niente di che, l’hai sempre fatto.
Ti voglio qui, mentre racconto il mio cammino. Mi hai accompagnato in ogni momento, hai sofferto, ti sei arrabbiato, hai gioito con me.
Sì, mi fermo. Dimmi. Cose belle, soltanto. Che significa? Non perderti a rimuginare episodi di poco conto. Sottolinea piuttosto la ricchezza, la grandezza, l'amore. Se è ciò che vuoi va bene, ci proverò. Partiamo, allora.
Uno schianto l'alta velocità. Si vola a più di duecento all'ora e quasi non par di viaggiare. Da Bologna a Roma in 135 minuti. Una favola.
La nuova stazione ferroviaria sembra un aeroporto. Una cattedrale d'acciaio e cemento, gli schermi luccicanti, qualche panchina presa d'assalto dai viaggiatori in attesa. Miracolosamente ne scorgo una libera, mi avvicino, appoggio la bicicletta, siedo e pilucco qualcosa. Poco dopo mi viene incontro una giovane donna, accompagnata da una più anziana, credo la madre. La ragazza tiene in grembo un neonato, avvolto in fasce. Faccio posto, si accomodano. Lei scopre il seno e inizia ad