La memoria del fuoco
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Anteprima del libro
La memoria del fuoco - Laura Clerici
Indice
Prologo
LA SCORSA ESTATE
PARTE PRIMA
ALMA
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
12.
13.
14.
15.
16.
17.
18.
19.
20.
21.
22.
LA SCORSA ESTATE
ANDRÉS
PARTE SECONDA
ANDRÉS
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
PARTE TERZA
ANDRÉS
1.
2.
ALMA
1.
2.
PALOMA
ALMA
ESTER
PARTE QUARTA
ALMA
1.
2.
3.
4.
5.
6.
UN ANNO DOPO
ALMA
RINGRAZIAMENTI
E' il mio terzo romanzo e per la terza volta...
a mio marito Luigi
che è scintilla, fiamma, fumo, calore,
nei giorni buoni e in quelli più difficili.
E rari.
A zia Giovanna,
grazie di tutto.
Laura Clerici
La memoria del fuoco
Romanzo
Youcanprint Self-Publishing
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti storici, persone e luoghi reali è usato in chiave fittizia. Gli altri nomi, personaggi, località e avvenimenti sono frutto dell’immaginazione dell’autore e qualsiasi rassomiglianza con avvenimenti e luoghi autentici e persone realmente esistenti o esistite è puramente casuale.
Prima edizione marzo 2018
Titolo | La memoria del fuoco
Autore | Laura Clerici
ISBN | 9788827835999
Youcanprint Self-Publishing
Copyright © Laura Clerici 2018
https://www.facebook.com/laura.clerici.473
Immagine di copertina:
Le Muse Grafica
"Un fuoco a lungo celato diventa un incendio difficile da estinguere:
un fuoco di cui appare la vampa, agevolmente si spegne."
Confucio
"Barcellona è una casa stregata...
ti si intrufola sotto la pelle e non ti lascia mai andare..."
Carlos Ruiz Zafòn – Il Labirinto degli spiriti
Prologo
Io sono il Fuoco.
Posso vantarmi di essere il più terribile delle manifestazioni di Madre Natura, il più vivace degli elementi, forse quello più temuto da voi Uomini quando siete in vita e, persino ancora di più, dopo la vita stessa. Sono evocatore di immagini infernali e testimone della dannazione eterna...
Spesso nemmeno l’acqua, la mia acerrima nemica, riesce a fermarmi.
Tuttavia, la mia danza può rivelarsi nobile e pacifica: dal focolare di casa emano serenità, mi innalzo romantico e tenue a colorare visi, ad accarezzare sensazioni, a cullare sogni.
Quando vengo stuzzicato, invece, è la fine! Dilago, rovino, distruggo!
E brucio dentro, come un sentimento strozzato, una parola lasciata a metà, un legame intenso che viene bruscamente interrotto.
Il mio Cammino terribile semina vittime, ma io ricordo tutto quello che lambisco e, a volte, guardo indietro. A volte riesco persino a perdonare.
Un’azione memorabile di cui la maggior parte di voi, Uomini, non vuole sentirsi complice.
LA SCORSA ESTATE
ALMA
Un raggio di sole bussa timido alla finestra, creando meravigliosi giochi di luce sui muri intorno.
Il carillon sul mio comodino, quello con la ballerina vestita di pizzo, sembra sprigionare bagliori di madreperla, che volano e rimbalzano festosi nell’aria, in contrasto netto col buio che sento dentro.
Il cuscino dove hai posato il capo è stropicciato. Accarezzo la federa azzurra e porto la mano al viso per respirare ancora una volta il tuo odore. Fuoco, fumo, albero... Il profumo di un intero bosco, fitto di mistero e promesse.
Invece partirai questa mattina e un anno intero sta per separarci. Trecentosessantacinque giorni fra te e me.
Mi alzo a fatica, le lenzuola sono ancora così confortevoli e dense di noi.
Sotto le mie finestre il circo si sta preparando per la partenza. Ogni anno ti porta qui, a Barcellona, nello spiazzo di terra battuta antistante la cattedrale incompiuta della Sagrada Familia e ti regala a me per un mese e mezzo abbondante.
I tuoi spettacoli col fuoco mi incantano; mi piace guardarti mentre la gente applaude la danza delle fiamme che ti vorticano attorno senza toccarti, ed escono dalla tua bocca, che ricordo addosso a me fresca e ristoratrice, così in contrasto con la calura di luglio e con quella che ti gravita accanto mentre ti esibisci.
Sbircio nella spianata ed eccolo, il tuo carrozzone, lo riconoscerei tra mille; lì vicino ci sei tu che sistemi e carichi le ultime cose rendendo l’aria circostante così gradevole e respirabile, piena della tua presenza. Così pacifica e colma di noi… ancora per poco.
Barcellona, per un anno, non sarà più la stessa.
Le piastrelle lucide dei vicoli del Quartiere Gotico si ghiacceranno in un inverno appena abbozzato, che sentirò interminabile e gelido. Le calpesterò cercandoti intorno nelle piccole e pittoresche piazze battute dal vento, quando l’odore del mare arriverà dritto alle narici spandendo malinconia intorno, quando gli artisti di strada che mettono in scena i loro numeri strepitosi mi stupiranno togliendomi il fiato, perché lì, in ogni viso e in ogni gesto, cercherò solo te. Ma tu non ci sarai, non ancora.
La Cattedrale di sabbia mi spierà dalle mie finestre, schernendomi. I bagliori delle sue vetrate nei giorni di sole mi ricorderanno noi, quando entravamo pieni di rispetto e di timore tenendoci per mano e ammirando le sue alte architetture strepitose.
«Se mai ti sposerò, Alma, vorrei farlo qui», mi hai confessato. E il mio cuore si era fermato per un attimo a contemplare una meravigliosa normalità in cui io e te eravamo sempre noi, in ogni periodo dell’anno. Lo sapevo che era solo immaginazione e che non avrei mai dovuto credere alle tue parole.
Tu sei il tuo circo, il tuo girovagare per le città e le piazze di Spagna e di Europa, non potresti restare fermo continuando a rimanere te stesso. Soffriresti, cambieresti nel tuo profondo e, forse, finiresti per odiarmi.
È passata quasi un’ora da quando ci siamo salutati con quell’ultimo bacio e sto guardando di nuovo dalle mie finestre. Tu non ci sei più: il circo è partito verso il nord, Madrid, Saragozza e poi la verde Galizia, la regione che tu dici di preferire dell’intera Spagna, ma che io non ho mai visitato.
Il mio cuore è partito con te, e anche la mia anima, quella che porto incisa persino dentro al mio nome, ti sta seguendo da lontano.
Passerà un nuovo inverno di vita noiosamente regolare. Poi, il prossimo anno, tornerai a portarmi i tuoi colori, a raccontarmi dei tuoi viaggi e dei profumi del mondo; io ti aspetterò, insieme alla
nostra Barcellona, romantica, strabiliante e magica, impaziente di assorbire di nuovo, tra le sue strade dense di passi, il rumore inconfondibile dei tuoi.
PARTE PRIMA
IL CIRCO E LA CATTEDRALE
ALMA
La fiamma di una candela mi parla più delle luci di mille lampadine. Fuoco che danza, si muove in modo informe e casuale, lambisce l’aria e la rende offuscata.
Per un attimo.
Brucia, al tocco. Come è giusto che sia.
Anche tu mi hai bruciato l’anima. Tu e il tuo mistero. Tu e la tua mancanza.
Persino l’aria torrida della città è fuoco vivo dentro ai miei polmoni; cerca di svegliarmi e di ricondurmi alla normalità, ma dentro di me sembra albergare solo pazzia.
Occhi che mi spiano e che sembrano spalancare pupille rosse e fiammeggianti. Le distinguo nel buio della notte ma, quando cerco di urlare, la voce mi si strozza in gola.
Non devo essere spaventata... sento la tua voce calda che mi ordina di non temere più quelle visioni. Che mi chiede di cercare
.
E io, all’improvviso, non ho più paura. Dentro di me, so che ti troverò e che tutto tornerà normale.
Tutto sarà nuovamente come prima, come lo scorso anno e come quello precedente...
Presto il tuo fuoco si manifesterà, le tue fiamme lambiranno il mio corpo senza più bruciarmi.
Anzi, mi calmeranno e il tormento finalmente si placherà.
Presto saremo di nuovo noi.
1.
Chiudo le persiane e, finalmente, nella mia stanza ritorna ad aleggiare il bianco delle pareti e dei mobili in legno laccato; il pulviscolo d’oro è sparito, si è ricongiunto al tramonto che là fuori lambisce le pareti della Sagrada Familia, l’avvolge, la travolge e la rende sempre più simile a un castello di sabbia. Imperfetto e passeggero, sottomesso allo scorrere del tempo.
Amo quella costruzione, la trovo simile a me. Liscia, poi di scatto curva, piena di angoli e di anfratti, misteriosa, maestosa e severa. Come il mio sguardo sul cielo e sulla terra.
Ho mal di testa… di nuovo. Mi sembrava passato, invece quel martello implacabile è tornato a tormentarmi.
Guardo fuori dalla finestra per l’ennesima volta, provo a sbirciare, ma poi decido di riaprire del tutto le persiane polverose per immergermi meglio nel paesaggio.
Questa città ultimamente è solo caos e traffico, file interminabili di macchine e di pullman, turisti che vagano per le strette vie del Quartiere Gotico sbarrandoti la strada e incatenandoti in una morsa di tempo che fugge via e che ti vede costretta, ogni volta, a correre insieme a lei.
Per fortuna la scuola è finita, persino con qualche minuto di anticipo.
Ho invidiato la corsa verso la strada dei miei piccoli pulcini dalle piume arruffate e dagli sguardi vivi, affacciati sul mondo. I loro occhi brillavano, finalmente tornati lucidi, liberi da nozioni, poesie, regole imparate a memoria, tempi verbali da coniugare, e si sono ritrovati densi di sole, di cielo, di prato e di mare. Mi mancheranno quelle grida e le voci squillanti, sempre a chiedere, sempre a ribattere e a confabulare, fino a quando torneranno in classe, abbronzati e cresciuti, carichi dei ricordi delle loro splendide vacanze.
Invece il mio mare sarà quello di Barceloneta... odore di pesce fritto e di crema solare, musica a tutto volume, onde stanche e sporche... E un ricordo.
Il ricordo di te, che sei partito dopo esserti bagnato in quelle acque un anno fa, per l’ultima volta, portando via i tuoi colori, il tuo fuoco, la tua anima poetica e pazza di me... Ho contato i giorni dell’autunno, quando la pioggia grigia mi entrava dentro sconquassandomi di solitudine e di paura... e poi è arrivato l’inverno, bianco e sfavillante di mille e più luci finte.
Ma tu non c’eri ancora. Un anno – mi avevi detto – ...e un anno non era ancora passato.
Ero io a essere troppo impaziente. Come se mi aspettassi quello che stava per succedere.
Sapevo che saresti arrivato con la tua carovana di colori e magie, ma ti cercavo ovunque, anche fra i volti abbronzati che scendevano dalle ammiraglie di lusso appena approdate in porto.
Il mare sbatteva impetuoso sulla costa e persino Antonio, che vive isolato al Faro, mi diceva che le navi non avrebbero potuto attraccare; tu non saresti arrivato, non ancora. Nemmeno in primavera, perché la fioritura nei parchi e nei piccoli vasi che abbelliscono il mio balcone in pietra merita troppa attenzione e nessuno – nemmeno tu – può permettersi di farmela trascurare.
Annusavo il profumo dei fiori, respiravo il vento e, paradossalmente, sognavo i tuoi fuochi e i tuoi incendi. Contavo i giorni e, quelli, non passavano mai.
Ora è estate, i tigli sono nuovamente in fiore. Il vento è cambiato e quando muta direzione, ecco che arriva il circo a disegnare per me un diverso paesaggio, a nascondere la sagoma fin troppo familiare della Chiesa, ad annullarla con i suoi carrozzoni e i tendoni estremamente ingombranti e colorati. Giallo, rosso, verde, sulle linee dell’orizzonte diventato improvvisamente meno vasto e più soffocante.
Attendo che ci sia gente e viavai sotto alla mia finestra. Attendo te, la tua anima forse troppo libera, i tuoi pensieri lambiti dal fuoco.
Mi sono addormentata sul divano di tela azzurra, così fresco e invitante nella sua morbidezza e credo che siano trascorse almeno tre ore. Tendo l’orecchio, ma non sento nulla fuori, solo il passaggio delle macchine e del furgone della spazzatura, che cigola e sbraita mentre svolge il suo lavoro sporco e ripetitivo. Sei in ritardo, quest’anno.
Mi sono svegliata perché ho avvertito una carezza; era calda e leggera, sembrava la tua mano sulla mia pelle.
Nelle orecchie ancora le voci dei bambini che mi salutano e mi augurano una buona estate; se mi sforzo le posso distinguere una ad una, ma in questo momento sono fastidiose e inopportune. Vorrei che tacessero per un attimo, ora. Vorrei sentire solo la tua voce, così calda e avvolgente, la vorrei qui vicino. A consolarmi e dissetarmi.
Cerco di convincermi che adesso mi alzerò da questo divano, mi avvicinerò alla finestra e i carrozzoni finalmente saranno lì sotto, invadenti e rumorosi, e i preparativi per il primo spettacolo della stagione riempiranno l’aria di festa.
Invece no, sento la tua voce dentro di me, mi mette in guardia e mi dice che non è ancora il momento. Il problema è che comincio a non fidarmi più, né di te, né di me stessa.
Non ho mai amato l’odore del circo. Briciole di popcorn, segatura, paglia bagnata, ma soprattutto l’odore delle bestie, lo sterco che resta sotto al sole per ore e sembra riuscire a trasformare tutto in una giungla di sudore e di sporcizia.
Eppure, pare che lo spettacolo del circo sia divertente per tutti. I bambini elettrizzati ed eccitati restano per ore con la bocca aperta per lo stupore e gli occhi spalancati ad ammirare acrobati, trapezisti, pagliacci e leoni ammaestrati. Li ho portati anch’io al circo, proprio un ultimo giorno di scuola; sono passati tre anni da quel giorno, ormai. È stato allora che ti vidi per la prima volta.
Il fumo confondeva i contorni e mi faceva pizzicare le narici. Dovevo spostarmi in continuazione sulla panca per riuscire ad ammirarti meglio, perché i bambini davanti a me, in piedi, non stavano fermi un attimo. Persino loro trovavano pericolosamente eccitante il gioco del fuoco.
Quel silenzio carico di ansia e di tensione, rotto solo dal rullo di un tamburo messo lì apposta, ad agitare i cuori degli spettatori, a fomentare le loro paure che, come quelle lingue di fuoco, salivano al cielo... dolori, speranze, timori, emozioni sopite che improvvisamente dilaniavano il cielo e l’anima. Tu alzavi lo sguardo verso l’alto e sputavi fiamme che sembravano danzare intorno, senza sosta.
Io provavo timore per te, per la tua incolumità, e allo stesso tempo desideravo essere quel fuoco per accarezzarti le labbra, salire e poi tornare a te, in cenere, e posarmi sui tuoi occhi chiusi.
Da allora, da quel pomeriggio, tornai ad ammirare il numero del mangiafuoco almeno una dozzina di volte. Ed entrai così, in punta di piedi, nella tua vita.
2.
Apro gli occhi ed è di nuovo l’alba. Colori tenui, poco definiti, ma comunque incoraggianti nella loro fresca naturalezza. Tinte giovani, presagio di notizie buone. Apro le persiane e la stanza si tinge di rosa. La mole della Chiesa è lì, carica dei suoi fronzoli inutili e pesanti.
Tendo e rilasso i muscoli, muovo il collo a destra e a sinistra: è il primo giorno effettivo di vacanza, dopo le pagelle e gli esami.
Come mai non è ancora arrivato il circo? Comincio a pensare di essermi persa qualcosa; probabilmente l’amministrazione cittadina ha annunciato da tempo che per questa estate non ci sarà nessun carrozzone in giro per Barcellona, oppure ha comunicato il ritardo dell’arrivo e io non ho recepito la notizia.
È sempre così... la mente vaga persa in cento, mille problemi, che quasi sempre non appartengono solo a me stessa... e poi non riesco a seguire l’essenziale.
Sistemo il letto e la casa, e decido di telefonare a mia madre: lei sa sempre tutto di quello che succede in città. Forse perché vive nel pieno centro del Quartiere Gotico, in una via stretta fatta di case in pietra, dove d’estate, come ora, basta tenere le finestre aperte per ascoltare la musica dei mendicanti che suonano improbabili melodie nella piazza della Cattedrale di Santa Eulalia. Lì, tutto cresce vicino, stretto, soffocante, così diverso dal quartiere nuovo dove vivo io, fatto di grandi spazi aperti e rotonde immense che si crogiolano nello sfondo della Sagrada Familia.
Eppure oggi quella grande piazza vuota che vedo guardando in basso mi fa impazzire. Oggi sono io a sentirmi soffocare.
«Mamma...?»
«Alma, tesoro... come mai sei già sveglia a quest’ora, nel tuo primo giorno di vacanza? Non sarai mica già in partenza...?»
In realtà, non ho ancora pianificato nulla... volevo aspettare il tuo ritorno, riscaldarmi al tuo fuoco dopo un anno di gelo, e poi seguirti nel viaggio che avevamo programmato, solo per noi.
«No, no... assolutamente... per il momento non ho intenzione di lasciare la città... ma c’è una cosa che volevo chiederti... Sai il grande circo che ogni anno in estate staziona sotto alle mie finestre? Beh, non è ancora arrivato. Mi sembra strano, non credi?»
«Non mi sembra un problema così grave... avrai in casa meno polvere! Comunque leggevo qualcosa sul giornale circa un mese fa... sparizioni, fatti strani e trame misteriose... deve essere successo un fatto grave che ha impedito l’arrivo dei carrozzoni... Ma già si sapeva, però... Sono sempre stati loschi, quelli lì!».
Il mio silenzio dall’altra parte del cavo arriva a mia madre, che sta inutilmente cercando di riportarmi alla realtà.
Sto quasi per dirle che non è possibile, che sicuramente mi avresti avvisata della tua assenza, mi avresti pregato di non attenderti invano, ma mi trattengo. Anche se un nodo sembra ora strozzarmi la gola. Sono passata dalla mancanza di aria all’impossibilità effettiva di pronunciare una sola parola.
«Alma... ci sei?».
Tossisco. «Sì, mamma, scusami... mi stavo per strozzare con il caffè. Grazie, sei stata preziosissima, come al solito!». Riattacco e resto a fissare il telefono muto per minuti interminabili, come se aspettassi un cenno, una chiamata, una smentita.
Guardo la foto posata sul comodino. È circondata da un miscuglio di cartapesta rossa e gialla modellato da uno dei miei alunni: il colore ideale per incorniciare noi due.
In realtà, in quella foto non siamo soli, c’è anche il tuo amico Ricardo, travestito da clown, un personaggio con cui non ho mai legato; non mi piacciono le sue espressioni, non riesco mai a capire quando sono autentiche e quando fasulle. Qui, per esempio, il suo sguardo sembra compatirci e deriderci e, allo stesso tempo, ricordare a me l’appartenenza della tua vita all’esistenza del circo. Non mi piace la luce maligna dei suoi occhi... Però mi piaci tu, in questo scatto: mi guardi sorridendo e i tuoi occhi illuminano il mio viso, la tua mano è stretta intorno alla mia vita, come segno inequivocabile di possesso.
Ma allora, perché manchi ancora, e non sei qui al mio fianco?
3.
L’odore dei fiori di oleandro sta bussando alla mia porta. La luce risplende intorno, gonfia del loro colore rosa. È il terzo giorno di vacanza e sto vivendo come un’eremita: mi sento isolata, lontana dal mondo comune, persa in inutili pensieri di tristezza e di abbandono.
Non posso telefonarti perché non ci siamo mai scambiati i nostri numeri, questo faceva parte del nostro patto, e ora l’attesa è una morsa che nello stomaco stringe e soffoca.
Ho sognato di nuovo occhi di fuoco che mi spiavano nel buio. Questo incubo ricorrente inquieta le mie notti, e mi fa paura persino il pensiero di addormentarmi. Mi sforzo di restare sveglia, ma alla fine la stanchezza cede il passo al sonno.
Quando mi sveglio i miei occhi sono stanchi, la mia gola è arsa, sembro preda di febbri misteriose che mi bruciano dentro, come tu bruci dentro alla mia anima.
Mi rigiro nel letto aspirando l’odore del mattino denso del profumo dei fiori e dei dolci appena sfornati da Pablo, nel suo negozio proprio qui sotto, che sembra rimasto immobile nello scorrere degli anni, così romanticamente dedito a zuccherare i nostri sogni.
Ma poi, all’improvviso, sento un rumore.
Mi alzo abbandonando le lenzuola madide di pensieri e corro alla finestra, spalancando le persiane cigolanti e polverose.
Eccoli lì i carrozzoni del circo, finalmente! Variopinti, rumorosi, ingombranti, in fila uno dietro l’altro, come degli scolaretti obbedienti quando attraversano la strada. Rosso, verde, blu, giallo, bianco, quasi mi abbagliano nelle loro luminose tinte forti e l’odore che si portano dietro – fango, paglia, zucchero filato – mi fa sussultare lo stomaco. E poi, lui... il tuo carrozzone, dipinto di un verde chiaro solcato da nubi leggere, pennellate di bianco e di azzurro così contrastanti col fuoco che in realtà porti dentro e ti diverti a estraniare nei tuoi spettacoli. Una poesia di purezza, cotone, nuvola, fili d’erba, voli di farfalle, che riesce ad offuscare la tua vera identità.
Rimango immobile alla finestra ad osservare per quasi un’ora. Un viavai continuo di manovre e spostamenti, gas di scarico che salgono quasi a lambire le mie finestre, ma resto lì, ad aspettare di vederti. È passato un anno, sembra un secolo... e questo ritardo nel tuo arrivare è stato devastante, mi sento sciupata e trascurata, forse avrei bisogno di un bel restauro prima di incontrarti.
Gioco con i miei capelli arruffati mentre, allungando il collo, cerco di sbirciare nella tua cabina di guida.
Sussulto. Le mani appoggiate al volante non sono le tue. Le riconoscerei tra mille, le tue mani. E poi tu non porti un rosario bianco arrotolato al polso... E nemmeno le maniche della camicia le porti così... Tu sei elegante e impeccabile sempre, anche quando guidi per ore sotto il sole cocente.
E poi se fossi stato tu, avresti già guardato verso di me.
Alzo gli occhi verso la sagoma della Cattedrale, svettante nel cielo limpido di oggi, quasi