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MEDICINA 3. Lotta al Sars-Cov 2
MEDICINA 3. Lotta al Sars-Cov 2
MEDICINA 3. Lotta al Sars-Cov 2
E-book113 pagine1 ora

MEDICINA 3. Lotta al Sars-Cov 2

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Info su questo ebook

Tiziano è un giovane medico quando nel 2020 scoppia la pandemia. Come tanti altri operatori sanitari in tutta Italia, si mette subito a disposizione per fronteggiare l’emergenza in prima linea.
L’autore racconta il percorso professionale e umano che ha caratterizzato il suo lavoro di responsabile di reparto covid. Il confrontarsi con un virus ancora sconosciuto e pericoloso, le gioie, le sconfitte, il tentativo di creare un ambiente lavorativo il più possibile sereno in un contesto emergenziale sono descritti in un libro intenso e ricco di emozioni.

Tiziano Luce nasce a Roma il 12 settembre 1988. Medico-chirurgo, appassionato di ecografie, viaggi e montagne. Da marzo 2020 si trova impegnato in prima linea ad affrontare l’epidemia da Sars-Cov 2, a maggio dello stesso anno diventa responsabile medico del reparto di Medicina 3.
LinguaItaliano
Data di uscita30 apr 2023
ISBN9788830682276
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    Anteprima del libro

    MEDICINA 3. Lotta al Sars-Cov 2 - Tiziano Luce

    cover01.jpg

    Tiziano Luce

    MEDICINA 3

    Lotta al Sars-Cov 2

    © 2023 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma

    www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com

    ISBN 978-88-306-7670-1

    I edizione marzo 2023

    Finito di stampare nel mese di marzo 2023

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa

    MEDICINA 3

    Lotta al Sars-Cov 2

    Ad Alex Tursi. Il tuo sorriso continuerà a risplendere negli occhi

    di chiunque ha avuto il privilegio di incontrarti.

    In memoria di tutti gli operatori sanitari deceduti

    durante la pandemia da Sars-Cov 2.

    Nuove Voci

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di Lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    1

    È l’una di notte del 26 maggio 2016, e mi trovo a circa 5200 metri di quota sul monte Kilimangiaro, in Tanzania. Fa molto freddo. Tutt’intorno è buio, un buio tombale, interrotto solo dal fascio di luce emessa dalle nostre lampade frontali, a creare dei piccoli squarci nella notte, appena sufficienti per illuminare il terreno scosceso e ripido davanti a noi. Si sta in silenzio, non si hanno forze per poter parlare, se non per dire qualcosa di assolutamente importante. Nonostante siamo in tre, la sensazione di solitudine è enorme, ognuno di noi è immerso nei propri pensieri, nelle proprie paure. Sto male, mi sento frastornato, del resto la quota inizia a farsi sentire sul serio, è come trovarsi improvvisamente nel corpo di un anziano di novant’anni che si regge in piedi a malapena: ogni singolo passo è uno sforzo immane. Man mano che saliamo, con l’aumentare dell’altitudine, tutte queste sensazioni si acuiscono, camminare diventa proibitivo. Tra l’altro, è da un paio d’ore che avverto un fastidio alle ultime tre dita della mano sinistra. È un dolore urente, sembra proprio il nervo, come se si stesse congelando insieme alla mano. Tiro un sospiro, e con quel briciolo di lucidità che mi è rimasta, ripenso che la colpa è mia e del materiale scadente che ho racimolato per questa spedizione. Le scarpe, i guanti, il giubbotto, tutte cose fondamentali per la sopravvivenza in un contesto simile che superficialmente e per risparmiare ho preso in fretta in negozi sportivi non specializzati. È stato un errore di inesperienza: dopotutto, non ero mai salito su una montagna vera, nemmeno in Italia, e ora mi ritrovo a salire sulla montagna più alta d’Africa. E sono stato proprio io ad organizzarlo. Ero in cerca di un viaggio che mi permettesse di vedere posti nuovi e che rappresentasse un qualche tipo di sfida. Dopo aver rimuginato a lungo su dove andare, mi sono imbattuto quasi per caso a pensare al Kilimangiaro. Sembrava un’idea folle per un neofita come me, ma dopo averlo studiato bene, letto racconti e testimonianze di chi l’aveva fatto, ho realizzato che l’unico vero ostacolo era rappresentato dalla quota. Decisi di sentire Claudio, un amico della provincia di Como. Mi disse che l’idea lo intrigava, ma che si stava organizzando con Enrico, un nostro amico comune, per andare in Namibia. Lascia perdere la Namibia, cosa ci andate a fare, la coppietta in luna di miele? gli dissi schernendolo. Venite sul Kili con me e poi andiamo a fare anche un safari. Sapevo di premere il tasto giusto: Claudio è un atleta, per hobby fa maratone in giro per il mondo. Mi sono bastati un paio di minuti per convincerlo a buttarsi nel progetto, e così, in un batter d’occhio ci siamo organizzati con un’agenzia locale e siamo partiti.

    Sono le cinque del mattino, e siamo arrivati a Stella point, a circa duecento metri dalla vetta. La notte è meno buia e si prepara a lasciare il posto all’alba. Intorno è più chiaro, possiamo spegnere le lampade frontali. Ogni passo adesso è pura sofferenza, per fare dieci metri ci mettiamo una vita, e pensare che siamo ancora i più veloci, tutti gli altri gruppi sono rimasti indietro. La testa mi scoppia, ho il fiatone anche da fermo. Mi viene voglia di fermarmi, lasciar perdere, è solo l’orgoglio che mi spinge a non farlo. Passa un’altra lunghissima ora, dove ci trasciniamo letteralmente fino a su. Arriviamo ad una spianata, deve essere la cima del vulcano, il cratere sommitale. È un posto pazzesco, siamo circondati da iceberg e cumuli di neve e ghiaccio. Finalmente, in lontananza riusciamo a vedere il cartello giallo che indica la vetta. Claudio, con una forza che nemmeno lui sapeva di avere ancora, si mette a camminare molto velocemente fino a raggiungerlo in poco tempo. Io non riesco a velocizzare il passo, ma poco importa, mentre mi dirigo verso la cima capisco di essere arrivato, di avercela fatta. Nel frattempo, scoppio a piangere, non mi succedeva da decenni, non so se per il dolore, la gioia, o per la liberazione, ma non importa, sono sopraffatto da un turbine di emozioni violente che non riesco a spiegare. Guardo Enrico e Claudio, sono in lacrime anche loro, per i miei stessi motivi credo. Ci abbracciamo, ce l’abbiamo fatta. Nel mentre sorge il sole, il mare di nuvole sotto la montagna si

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