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Rosa Carne
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E-book134 pagine2 ore

Rosa Carne

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Femminilità ed erotismo, passione e conflitti interiori: le donne di Fiorella Corrado sono le protagoniste assolute di Rosa Carne, una raccolta di racconti brevi, intensi, che ci svelano le ombre e le luci amalgamate e nascoste nel corpo e nell’anima di eroine contemporanee combattute tra il desiderio del piacere carnale e quello di una felicità sfuggente e sognata. Eppure, è attraverso i sensi e l’eros che la donna cerca di conoscere l’antagonista maschile e al tempo stesso di conoscersi; non mancano i tradimenti, le bugie, le incomprensioni, le maschere indossate e poi strappate per rivelare un’identità femminile più profonda che arriva fino a quel rosa carne dello smalto steso sulle unghie, pallido e fragile tentativo di difendere il proprio naturale universo interiore.
LinguaItaliano
Data di uscita5 dic 2016
ISBN9788893330626
Rosa Carne

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    Anteprima del libro

    Rosa Carne - Fiorella Corrado

    © Alter Ego s.n.c., Viterbo, 2016

    Collana: Specchi

    I edizione digitale: dicembre 2016

    ISBN: 978-88-9333-062-6

    www.alteregoedizioni.it

    info@alteregoedizioni.it

    "Sei sposato?

    Nossignore. Ho solo 16 anni.

    Non ti sposare. Le donne sono tutte pazze.

    Sissignore.

    Credi di averne trovata una normale e poi sai cosa?

    Cosa?

    È pazza anche quella.

    Sissignore".

    (C. McCarthy, Oltre il Confine)

    Libertà

    Lo hai definitivamente espulso con la prima pipì della mattina. E ti sei rimessa a letto, finalmente leggera. Ma lo capisci solo dopo, molto dopo. Ed è quella la prova vera che l’hai dimenticato. Ora sei sola. In casa un ritrovato silenzio. Ti giri intorno, vai in cucina e prepari un caffè. Mezzo cucchiaio di zucchero e la tua tazza preferita. Nessuno ti intralcia, in casa oggetti sparsi qua e là. Maglie, calze, svariate paia di scarpe. Da sera col tacco sottile, più professionali da lavoro e delle ballerine bellissime che non sai mai quando mettere. Non hai fretta, ma fuori c’è il sole e hai fame di qualcosa di buono. Il pensiero va oltre, incontrollato, fin oltre le mura. Pensi ai mille possibili incastri, che poi a percorrerli tutti c’è da impazzire. L’idea ti scuote. Accendi una sigaretta chiamando un’amica: anche lei è ancora tra lenzuola e toilette. «Andiamo a Campo» ti dice «che lì c’è il mondo. Il mondo a colori». «Allora a dopo» rispondi. Fai un tiro profondo. Butti fuori l’aria girando per casa e ti soffermi a guardare. Rivedi i tuoi ex nelle piccole cose. Ecco, cose. Hanno preso la forma delle cose. Un bricco porta tè, che giace sul lavello da giorni, o quella sciarpa in seta dimenticata chissà quando e con cui ora ci lucidi i vetri. Ti piaci. La tua immagine riflessa ti piace. Non hai trucco e sembri anche più giovane. Se non fosse per il contorno occhi che davvero un po’ inganna, ti daresti molto meno degli anni che hai. Eppure è già da un po’ che ti chiamano signora. Ma non hai figli, ancora no. Per dirla tutta, non hai più nemmeno un uomo: da oggi non più. E non stai a chiederti perché o di chi è la colpa. Che senso ha. Avrai anche tu la tua parte di responsabilità, ovvio che sì. Ma una cosa è certa: i maschi di sicuro non sono più quelli di un tempo. Di questo ne siete convinte tutte. Tu e le tue amiche, intendo. E se parli, in giro, ne sono convinte molte altre. Milioni di donne la pensano così. Quanto ci hai pianto. Ma è roba passata. Ti guardi ancora una volta allo specchio, ti vesti, sospiri e cerchi un’altra Marlboro light.

    È un quarto alle tre, scendi per strada. La città ribolle. Una donna cammina a pochi passi da te: indossa una camicia bianca di seta leggera che lascia intravedere la forma alta dei seni. Passeggia sola su gambe muscolose e pallide. La guardi, ti piace. Ti guarda anche lei e ti rifletti d’istinto in una vetrina. L’immagine è lievemente deforme. Sarai così larga? Il dubbio ti scuote mentre varchi l’entrata di un beauty shop. L’odore che assale ti avvolge insieme al benvenuto di una commessa dai capelli lunghissimi e neri. Perfettamente truccata: ampi occhi neri da cerbiatta e denti bianchissimi. Fiuta il sangue tale e quale a uno squalo. Ti mostra le ultime creme: «La texture è leggerissima, la provi. L’ideale per la sua pelle» dice. Hanno anche prodotti per i capelli. «Ottimi». È ancora lei a parlare. «Per una chioma da geisha, morbida e setosa». Ti giri intorno. È pieno di donne: adulte e bambine. Un miscuglio di gambe e braccia di ogni colore. C’è più carne che stoffa. Ti rispecchi in seni a prima vista più belli del tuo. Cammini. Inciampi in piedi maschili. Gli unici in tutto il reparto insieme a quelli della guardia in entrata. Il lui è seduto, un borsello a tracolla. Non guarda nessuna in particolare. Ogni tanto una mano dall’alto lo cerca sventolando le dita. Lui si avvicina, annuisce e torna seduto. Non sbuffa. Neanche parla. Sta lì e aspetta. Ti fermi di nuovo a guardarlo e provi un fastidioso disprezzo, poi paghi il tuo gloss rimpolpante ed esci. Continui a non incrociare che donne. Sei circondata. Tiri dritto. Ti superano ragazze in bicicletta. Hanno abiti corti, le cosce in mostra. Pedalano, a ogni movimento si intravede qualcosa. Più di uno si gira. Siamo in troppe, pensi. Troppe e di tutte le forme. Ti fai strada tra corpi accaldati, sei in via dei Giubbonari. Una ragazza parla al telefono a voce altissima. Gesticola tanto e il tintinnio dei suoi bracciali – mentre fa su e giù con le mani – quasi ipnotizza. Sono ricoperti di ciondoli dalle forme più svariate: cuori, orsetti e stelline. Il tintinnio rimbalza per l’intera stradina insieme alla voce di lei che ripete i motivi della sua incazzatura. Il tintinnio continua a sommarsi a quelle ragioni che sembrano così tanto le tue per cui non riesci proprio a darle torto, ma dieci anni di analisi ti hanno regalato una chiave di lettura dei rapporti con gli uomini tale per cui capisci che insistere in quel modo serve a poco, quasi a niente, perché basterebbe tagliar corto e non tornaci più sopra, e allora resti lì nei dintorni per capire come va a finire, fino a quando il telefono non comincia a squillare. È la tua amica che aspetta. Così tiri dritto e finalmente sei a ‘‘Campo’’. Campo dei Fiori. Il cielo azzurro si incastra perfettamente tra tetti alti e spioventi. Ai quattro lati i palazzi e in mezzo la piazza. Lei è già seduta al bar, quello all’angolo che va tanto di moda, ma all’altro di fronte c’è gente più figa e allora mentre la baci le dici: amore, magari dopo spostiamoci là. Lei fa segno di sì con la bocca perennemente attaccata a una birra gelata, la faccia ai passanti. Quanto sei bella, dice. Neanche tu scherzi, rispondi. È carina parecchio. Mentre parla e sorseggia sprigiona un qualcosa per cui è impossibile non guardarla e ti viene da imitarla quando muove la bocca in quel modo particolare che non sapresti neanche descriverlo e così le chiedi che rossetto usa e ti segni bene in mente la marca. Poi ti siedi, ordini delle bollicine (a una cameriera sexy nonostante la maglia extra large) mentre la tua amica comincia a raccontare della sua ultima storia. Un figo pazzesco, scomparso nel nulla dopo la prima notte di sesso. Continua a parlarti guardandosi intorno. «Cosa ho che non va» ripete. Cosa ho che non va. Intavolate una discussione inutile con frasi trite e ritrite: state fumando un’altra sigaretta e tu bevi un secondo bicchiere. Ti senti leggera e assapori appieno la grandezza della tua libertà. Lo champagne è già salito di brutto. Un po’ ti scappa. Vi abbandonate ai ricordi, come di quella volta quando due conosciuti, vattelapesca in chissà quale bar, vi salgono a casa e gira e rigira finite a passare tutti insieme la notte – due sul divano e due sul letto – e si sentiva di tutto, ogni minimo sospiro figuriamoci il resto. Che figata dice lei, davvero troppo figo rispondi tu, poi cercate di ricordarne i nomi ma non c’è verso, sapete solo che di sicuro erano di parecchio più giovani e allora ridendo li chiamate i piccoli e così rimarranno per sempre tali nel vostro ricordo. I piccoli e stronzi. Ordinate ancora bollicine e vi fate un’altra sigaretta. Intorno, intanto, nulla di buono. Ne è convinta anche lei che controlla da un pezzo la piazza: niente di niente. Sono quasi le otto e manca poco ai posticipi. La Roma è già in campo. Per una frazione infinitesimale pensi a lui e ti senti sollevata da tutte quelle demenzialità sopportate, l’agitazione prima del fischio d’inizio, per favore stai zitta e soprattutto la sua faccia da idiota, fissa e immobile, persa per ore nel video. Chiedete il conto e uscite. Ancora ti scappa ma non hai nessunissima voglia di passare alla toilette. Meglio un salto all’altro bar. Pensate: mai dire mai.

    Fuori il cielo si è intanto scurito. Infili il giacchetto di pelle e ti godi il tramonto più bello del mondo. Il sole sta scomparendo oltre il Tevere, una palla tonda di un rosso intensissimo. Scivoli leggera lungo la via e sorridi a qualcuno che guarda nella tua direzione. Quando ti volti di spalle lui è lì ancora fermo a fissarti. Allora saltelli da un sanpietrino all’altro, con la borsa a tracolla, finalmente felice. Sei quasi a casa. Una vita nuova ti aspetta. Fai le scale a quattro canticchiando un motivetto allegro. Se non fosse per la pipì che ormai non riesci più a contenere ti fermeresti per una chiacchiera dai nuovi inquilini del piano di sotto ma lo stimolo è forte e ti danni che tutte le volte ti riduci così. Pregusti l’attimo in cui entri e corri al bagno slacciando i jeans attillati e mentre lo pensi – stringendo le gambe strizzi gli occhi pieni di lacrime – con la mano frughi nella borsa e trovi di tutto – scontrini, guanti, fermagli, monete, resti di niente – ma non quella chiave dannata. «Stai calma» ripeti, «stai calma, devi essere calma». Ti accovacci sul pianerottolo e svuoti la borsa sul tappeto d’ingresso. Hai le lacrime agli occhi. «Cazzo la chiave» continui a gridare, «dove cazzo è questa dannata chiave?». Anche il telefono comincia a squillare. È tua madre. «Come fai a chiamare sempre nei momenti peggiori?» le gridi, riagganci e in quello stesso momento avverti un fastidio alla pancia, quasi fosse un cazzotto che ti risveglia riportandoti lì, a terra, in lacrime tra gli oggetti smarriti. È questione di un attimo. E mentre il sipario lentamente si alza ti scorre avanti di tutto – le vigliaccate di lui e i tradimenti e una per una le cose che avresti detto ma non hai potuto perché è scomparso chissà dove da mesi – maledici quel giorno, le pene, le sofferenze e i sacrifici che hai fatto e mentre la pipì preme forte sulla vescica più gonfia che mai, senti i suoni dei goal da dentro e fuori le case, dalle finestre, lungo le strade, un crescendo di gioia, e pensi: Ecco è la sua squadra che ha vinto e lui chissà a quest’ora dov’è a esultare e soprattutto con chi....

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