Alice, la voce di chi non ha voce: Storia della radio più libera e innovatrice di sempre
Di Luca Rota
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Anteprima del libro
Alice, la voce di chi non ha voce - Luca Rota
ponte.michele@gmail.com
ItaliaNascosta è una collana che ha l’obiettivo di recuperare e dare alla luce fatti, eventi, talenti e quant’altro di italiano sia malauguratamente o colpevolmente caduto nel dimenticatoio. Lo fa ospitando graphic novel (o fumetti, come ci piace chiamare quest’arte) ma allargandosi anche alla saggistica.
ItaliaNascosta vuole stupire, interessare, divertire.
Uomini futuri!
Chi siete?
Eccomi qua,
tutto
dolori e lividi.
A voi io lascio in testamento il frutteto
della mia anima.
VLADIMIR VLADIMIROVIČ MAJAKOVSKIJ,
Poesie, Garzanti, Milano, 1972, pag.109
Epilogo
(Un prologo alternativo)
Da La Repubblica – Bologna, edizione del 07/02/2007, articolo di Michele Smargiassi¹:
«Chiusi io Radio Alice ma ora la rimpiango.» Il marzo del superpoliziotto Lomastro. «Tentai di salvarla con una chiamata di preavviso, ma mi chiusero il telefono in faccia.»
La signora Lomastro era un'ascoltatrice assidua e fedele di Radio Alice. «Nel ´77 non c'erano i cellulari. Quando voleva sapere dov'ero, si sintonizzava. Se davano notizia di manifestazioni o scontri, era certa che io ero lì». A un certo punto, però, la signora si dovette arrangiare altrimenti, perché fu proprio suo marito, Ciro Lomastro, allora capo della Squadra mobile di Bologna, a chiudere per sempre la voce nell´etere del Movimento. «Inevitabile, ma fu un peccato», sospira quasi nostalgico, non senza gustare la sorpresa dell´intervistatore. Ma come, dottor Lomastro: lei era il poliziotto numero uno, era l´antagonista principale della protesta. La bestia nera dei cortei. «Ma no, esagerazioni, etichette. Io Radio Alice provai a salvarla. Bisogna che le racconti la vera storia». È stato questore, poi prefetto, in mezza Italia, a Napoli mise in cella 240 netturbini, ad Agrigento litigò col vescovo che proteggeva i palazzinari della valle dei Templi, non si può dire che il dottor Lomastro ne abbia viste poche nella sua carriera. Ma i suoi vent´anni a Bologna, dal ´68 all´88, sono quelli che non scorderà mai. Infatti è tornato qui da pensionato, e nello studio austero di casa sua, in pieno centro storico, col nome inciso sulla targa d´ottone sopra la scrivania, forse un souvenir di qualche suo ufficio in prefettura, accetta per la prima volta di raccontare il ´77 bolognese visto, letteralmente, dall´altra parte della barricata.
Non può negare che li mandò lei, i poliziotti, a fare irruzione a Radio Alice.
«Li mandai, ma non fu un'irruzione. Infatti, una mezz'ora prima telefonai alla radio. Io, personalmente. Per avvisare. Non racconto storie, c´è ancora la registrazione della mia telefonata, si può ascoltare anche nel film».
Avvisare di cosa?
«Che saremmo arrivati. Mi presentai, dissi: apriteci e state calmi, è solo una perquisizione. Ma quella ragazza che mi rispose si mise subito a urlare: Arriva la polizia! Arrivano!
Sentii del gran trambusto, poi mi chiuse il telefono senza dire altro».
Così la perquisizione diventò irruzione.
«Ma no. Se avessi voluto espugnare con la forza quell´appartamento, mica avrei telefonato per avvertire, no? I miei uomini bussarono».
Avevano la mano un po' pesante, allora.
«Avevo scelto con cura gli uomini da mandare. Poliziotti d´esperienza, padri di famiglia, non manganellatori. Prima bussarono. Ma quelli che erano dentro non vollero aprire, allora dopo un po’ entrarono sfondando la porta».
E addio Alice.
«Un peccato. Ho sperato a lungo che riprendesse le trasmissioni, magari in un momento più tranquillo. Penso che il movimento studentesco avesse diritto ad uno sfogo di comunicazione. La ascoltavano in tanti, quella radio, non faceva solo agitazione, mandavano dibattiti, musica, non era fatta male, era una vera novità... Ogni tanto, è vero, c´era qualche nota stonata».
Dottore, sia sincero: per voi era la radio di collegamento della sovversione.
«Be´, sì, anche. E in quello funzionava benissimo. Erano più bravi di noi, più attrezzati. Noi avevamo le ricetrasmittenti, ma era una comunicazione uno-a-uno. Il loro schema invece era studiato: mandavano istruzioni a chiunque avesse un transistor, poi raccoglievano informazioni dai militanti nelle cabine telefoniche, e le rilanciavano. Efficientissimo».
Stroncato.
«La radio non aveva alcun permesso, era completamente irregolare. Doveva chiudere per forza».
E tutti dentro.
«Non era previsto, ci fu resistenza».
La pagarono con le botte in questura, almeno così raccontò Valerio Minnella, uno dei redattori della radio arrestati. Colpi alle reni, al volto...
«Non successe in mia presenza. La gestione dei fermati non competeva al mio ufficio. Minnella lo vidi dopo, capii dai segni che aveva addosso che qualcuno degli agenti si era lasciato andare. E gli chiesi scusa. Anche quello non doveva accadere. Ma lei forse non ricorda cos´erano quei giorni».
Quelli dopo l'uccisione di Lorusso?
«Fino all'11 marzo c'erano stati momenti di tensione, ma avevamo la situazione in mano. Dico noi e il movimento. C´era comunicazione tra noi, ci si parlava. Chieda ai leader di allora, a Benecchi, a Monteventi, quanti altri possibili 11 marzo abbiamo evitato parlandoci chiaro: fin qui potete arrivare, oltre no, intesi? Intesi, e tutto filava liscio».
Ma l´11 marzo vero non funzionò.
«Invece sì, stava funzionando. La scaramuccia tra CL e estremisti di sinistra era finita. C’era stata una trattativa, gli animi s´erano calmati. Avevo dato l´ordine di fine intervento, stavamo lasciando via Irnerio in direzione di piazza Martiri. In coda alla colonna c'era quella jeep telonata...».
Quella guidata dal carabiniere di leva Massimo Tramontani.
«Ci fu una specie di ritorno di fiamma, un gruppo scendeva da via Mascarella tirando sassi. Poi una Molotov. Vidi tutto: Tramontani scese, spense le fiamme, risalì, altra Molotov, stavolta lo vidi scendere con quel fucilino, e mettersi a sparare davanti a lui, nel fumo denso, mi ricordo di aver gridato