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2023: Orizzonti di guerra
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2023: Orizzonti di guerra
E-book306 pagine3 ore

2023: Orizzonti di guerra

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Questa raccolta di saggi, incentrata sulla produzione delle armi e il loro passaggio di mano in varie situazioni mondiali, prende spunto da un dossier su www.ogzero.org nel quale abbiamo monitorato costantemente lungo tutto il 2022 alcuni degli innumerevoli traffici di cui la stampa specializzata dà notizia, quelli che potevano apportare un tassello in più al completamento dei mosaici globalizzanti delle varie aree geopolitiche più investite da tensioni e fenomeni bellici. Ossia: "dove vanno le armi, lì si prepara la guerra”.
Da queste analisi invece proviene una spinta ad aprire gli occhi sull’abisso, ad acquisire consapevolezza di ciò che avviene quotidianamente nel mondo che ci viene raccontato dai media, o che ci viene volutamente nascosto affinché non se ne parli, mentre una militarizzazione sempre più diffusa e una folle corsa al riarmo sostengono un commercio in rapida ascesa che crea comparti economici veri e propri del mercato globale.
Per un anno ci siamo calati in un abisso di orrore costituito da pubblicazioni esaltanti le performance di macchinari di distruzione di massa, sbirciando cataloghi guerrafondai, e abbiamo notato un’accelerazione della spirale innescata dall’industria bellica dal 24 febbraio che ci ha permesso di cogliere esplicitamente il motore primo che innesca l’escalation di ogni corsa al riarmo: fornire armi a un belligerante – dapprima svuotando gli arsenali e poi sollecitando l’industria bellica a sovraproduzioni mirate – innesca richieste da parte di tutti i vicini di ordigni più potenti per essere certi della propria “sicurezza” percepita come in pericolo.
L’intreccio di relazioni tra accordi diplomatici e joint venture in vista di produzioni di macchine belliche risulta palese, comprendendo cosa offriva il mercato e quali criteri muovevano le compravendite: la scommessa si fonda sulla varietà dei conflitti che deriva dalla tipologia dei contendenti, degli aggressori e degli aggrediti, della forma di guerra innescata volta per volta e su cui diventa importante identificare il tipo di tecnologie messe a disposizione.
Nello stesso calderone di orrori il libro indaga il rapporto tra la ricerca scientifica in ambito “civile” e il suo utilizzo con fini militari, mascherando scopi, attraverso una logistica mirata e camuffata. Inoltre, lo sdoganamento da parte della sensibilità occidentale della nuova era bellica è palese nelle vetrine offerte dalle fiere del settore.
Il passaggio dal monitoraggio al volume rivela come ora le armi siano diffuse capillarmente e così il conflitto globale – con diverse modalità – sia in corso.
LinguaItaliano
Data di uscita22 mar 2023
ISBN9791280780195
2023: Orizzonti di guerra

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    2023 - OGzero

    CALATI IN UN ABISSO DI ORRORE MILITARISTA

    di OGzero

    La filiera economica dei prodotti bellici

    Economia di guerra per procura

    «Chi è pazzo può chiedere di essere esentato dalle missioni di volo, ma chi chiede di essere esentato dalle missioni di volo non è pazzo», il paradossale Comma 22 del romanzo di Joseph Heller impediva la diserzione dei piloti americani durante la Seconda guerra mondiale. Ora la retorica dell’informazione embedded ipermaggioritaria si fa carico di manipolare i cervelli, orientando il controllo attraverso un dispositivo totalitario che non lascia spiragli alle argomentazioni avverse agli interessi dell’industria bellica. L’idea è che l’esenzione non sia contemplata: tutti sono arruolati per produrre, promuovere, commercializzare, usare e consumare l’apparato di macchinari di aggressione e difesa messi a disposizione. Utile a questa bisogna un nemico: se non c’è, si fabbrica attingendo alla schiera dei contendenti, definiti come tali per la loro più o meno lieve diversità. Le difformità portate a pretesto sono molteplici e persistenti da secoli, con intensità date da una ciclicità collegabile a molti fattori, uno di questi – quello che ci aveva spinti a intraprendere il monitoraggio di OGzero già a novembre 2021, prima dell’inizio della nuova guerra per procura combattuta in territorio europeo – è il bisogno dell’innesco di un’economia di guerra, che subentri alla rivalità commerciale, quando la potenza di riferimento inquadra l’antagonista come maggiormente dinamico e in una fase di sviluppo più dirompente e per questo bisognoso di stabilità e condizioni di sicurezza per gli scambi commerciali. Il cambio di passo avvia il processo che conduce a un confronto globale, nelle intenzioni della superpotenza sfidata, prima che lo sfidante sia in grado di contendere anche militarmente il primato; e infatti l’escalation comincia con un potenziamento dell’industria bellica, il concentramento della ricerca in ambito militare e il conseguente bisogno di potenziare la domanda di armi, che finanzi il comparto e svuoti gli arsenali.

    Economia di guerra globalizzata

    Le situazioni potenzialmente belliche rispondono a un unico criterio: creare profitto per il sistema capitalistico ormai globale. Perciò le crisi mondiali sono riconducibili al bisogno di vendere armi, consumarle e reinnescare la spirale, che produce profitto in altri comparti (energetico in primis, e in prospettiva la ricostruzione – già appaltata da Zelensky ad aziende americane, vere vincitrici). Una logica insita nel capitalismo, l’unica religione globalizzata – il cui massimo attuale officiante si trova a Washington e infatti le 5 più importanti aziende di armi sono statunitensi, tutte hanno ottenuto plusvalenze stratosferiche nel 2022 alle spalle dei contribuenti, visto che le commesse provengono in maggioranza dall’esercito americano (Greg Hayes, l’amministratore delegato di Raytheon, ha dichiarato agli investitori che l’instabilità globale rappresentava un’opportunità di profitto per la sua azienda di armi; anche se l’invasione russa ha «scatenato pressioni finanziarie e umanitarie in tutto il mondo, causate dall’aumento dei prezzi dell’energia, da un’inflazione in crescita e da interruzioni della catena alimentare», gli investitori ci hanno rimesso, ma i profitti per quelle 5 aziende sono stati enormi – rivalutate in media del 12,78%). Tra le prime 10 troviamo 4 industrie cinesi, lo sfidante a subentrare agli Usa nel ruolo di guida della dottrina liberista.

    Era un concetto già assodato da John Raston Saul 30 anni fa nel suo I bastardi di Voltaire, quando scriveva: «Viviamo nel bel mezzo di un’economia di guerra permanente. Il bene più importante che produce oggi l’Occidente sono le armi. Il settore più importante del commercio internazionale non è quello del petrolio, né delle automobili, né degli aeroplani. È quello delle armi» (p. 147).

    Questo testo risale al 1992 e quella consapevolezza non è servita per evitare le guerre intercorse nel frattempo, anzi ha prodotto assuefazione ai sempre nuovi orizzonti di guerra. Una sensazione che è tra gli elementi fondativi del progetto: il dossier aggiornato per tutto l’anno solare 2022 sul sito OGzero.org prende spunto dalla percezione che il rivolgimento dell’equilibrio globale avrebbe comportato guerre e la loro preparazione ci risultava evidente nell’accumularsi di armi in certe zone che ancora non erano focolai di conflitti, oppure si trattava di aree già interessate da azioni belliche, spesso incancrenite – di cui l’Occidente si ricorda solo per aggiudicarsi commesse dell’industria pesante. "Segui le armi e troverai la guerra: dunque abbiamo iniziato a raccogliere dati sui prodotti per la preparazione dei conflitti ben prima dello scoppio dell’unica guerra di cui tutti si occupano, mantenendo però costantemente accesi i riflettori sui tanti altri orizzonti di guerra". Di qui la scelta di non porre limiti di frontiere al monitoraggio. Non è facile intercettare informazioni chiare sul traffico di armi, ma esistono pubblicazioni per ripercorrere tracce e con ricerche mirate si trovano conferme; i siti governativi dovrebbero persino fornire i contratti, ma è dall’intreccio delle informazioni sulle mosse geopolitiche dei protagonisti che si comprende a chi potranno servire quelle produzioni e le quote di mercato occupate a quali meccanismi di alleanze e obiettivi diplomatici si nascondono dietro al grilletto.

    Parabola commerciale di un prodotto paradigmatico di successo

    Il nuovo paradossale Comma 22 ancora non dichiarato in nessun romanzo e maggiormente applicato nella fase del neoliberismo che stiamo vivendo potrebbe essere: Le guerre finiscono quando finiscono le armi… ma le guerre si fanno per dare un motivo alle armi di esistere, creando profitto per il capitalismo. E il profitto non è mai sazio. Lo abbiamo visto perfettamente esplicitato nell’esaurimento dei Javelin, i missili glorificati persino da canzoni ucraine all’inizio del conflitto e che ha prodotto gadget, il cui successo ha costretto Raytheon a esternalizzare la produzione per rispondere alle richieste (non dei gadget, ma delle armi, di cui sono stati evidenziati i problemi di approvvigionamento e ricostituzione di scorte, un intoppo palesato solo grazie a scenari di guerra guerreggiata). Una domanda in buona parte proveniente anche da altri potenziali focolai di guerra costituita a seguito della pubblicità derivante dai successi sul campo di guerra reale, dove le macchine vengono finalmente collaudate e non solo messe in vetrina nelle molte fiere che si svolgono non a caso in aree precise del mondo: da un lato in tutti i paesi che sono rappresentati nei primi 100 posti della classifica delle aziende armiere (che abbiamo riportato nell’editoriale di luglio del dossier La guerra viene con le armi: lo spaccio nel 2022), dall’altro negli stati nel cui bilancio la voce dedicata alle armi rappresenta una corposa percentuale sul Pil e che ne fanno largo uso. Diventa una curiosità per le orride riviste specializzate assistere all’esposizione di armi russe in uno stand dell’Idex di Abu Dhabi il 24 febbraio 2023 di fianco ai Javelin esibiti dallo stand statunitense insieme ai Patriot, adibiti all’abbattimento dei missili di Mosca lì di fianco.

    I Javelin sono ancora in uso in Ucraina, ma i sistemi anticarrro forniti a Kyiv sono ormai molteplici – e l’evoluzione della guerra e le forniture occidentali hanno trasformato l’apporto dei carri armati (nella pianura di Vuhledar, vicino a Bakhmut, si è svolta il 1° marzo la più cruenta battaglia di carri della Guerra), che erano stati protagonisti unilaterali nei primi mesi, esaltando i successi di Javelin e Bayraktar TB-2 nell’annientamento dei Golia cingolati con i David lanciarazzi – e sono messi in campo altri ordigni simili ai razzi anticarro portatili, anche più sofisticati; In questo volume sono evocati proprio perché analizzando la messe di schede prodotte nel monitoraggio lungo un anno si possono annoverare un certo numero di apporti dedicati all’efficace per quanto elementare sistema anticarro della Raytheon/Lockheed, al mondo le due maggiori aziende per fatturato (dunque non così David). E questo giocattolo diventa anche per altri versi emblematico, perché è la cartina al tornasole dell’escalation, non solo in quanto innesca una corsa alla fornitura, ma anche – dato che viene affiancato da apparati più sofisticati che impongono ricerche per difendersi da parte russa – un livello tecnologico diverso di scontro, sempre meno controllabile dal fattore umano e con una sempre maggiore preminenza degli esperti militari sui politici.

    Vetrine per contractors, milizie… eserciti

    Nel mondo infinite sono le proxy war, combattute per procura da quelle stesse potenze o altre regionali: molti sono i conflitti a sfondo religioso, che la rapacità di multinazionali rinfocola per esercitare un commercio che si colloca anche nel disegno che contrappone le potenze tra loro, affrontandosi… con il culo degli altri; spesso sfruttano povertà e superstizione per arruolare fanatici, mercenari e disperati in milizie a cui nazioni e multinazionali affidano con le armi anche i loro interessi; non diverso è il caso di stati impegnati in scontri con i vicini, o a soffocare secessioni su base coloniale; altrettante sono le lotte contro il neocolonialismo predatore. Le conseguenti battaglie e stragi… sono rese possibili dallo spaccio di armi: il traffico, ma anche gli accordi tra stati, gli scambi con la droga, o di favori geopolitici. Le fiere che espongono, propongono e vendono ordigni in tutto il mondo (e nel Golfo in particolare – Riyadh, Abu Dhabi, Mishrif… –, ma anche Farnborough in Gran Bretagna, Eurosatory a Parigi, Asda a Spalato, Mspo a Kleice in Polonia, Idef a Istanbul, Kadex ad Astana, Armiya in Russia, Arms & Security a Kyiv, Videx a Hanoi, Isdef a Tokyo, Cnte a Pechino, Defexpo a Lucknow, Ideas a Karachi, Ridex a Rio de Janeiro, Cansec a Ottawa, SeaFuture a La Spezia…) sono un segnale che… c’è mercato e la richiesta aumenta, come prima di ogni conflitto mondiale. Tutto questo andrebbe schedato, rubricato e pubblicizzato per ricostruire con precisione la filiera delle armi e la filosofia guerrafondaia che sta a monte.

    Il repertorio dell’arsenale di OGzero

    Singoli tasselli nel mosaico di strumenti bellici

    Non si può certo dare conto di tutto, ma gli esempi raggranellati in questo anno rappresentano un po’ tutti i panorami: le modalità del traffico, le strategie sottese all’import/export, ma anche le scelte nella produzione dei sistemi di Difesa (evidenziando come nella maggior parte dei casi si tratta di sistemi di Offesa) e l’intreccio tra velleità militari, profitti industriali, manipolazioni politiche… interpretando le molte informazioni di parte e aziendali diffuse nel web. La composizione di questa raccolta ha condotto alla percezione che si potesse arrivare a una lettura della contrapposizione tra opposte tattiche geopolitiche attraverso la chiave degli strumenti di combattimento.

    Nei primi mesi del 2022 ci siamo limitati a registrare nel dossier on line gli eventi più significativi del traffico di armi, poi si sono agglomerati dati e tendenze che dischiudevano interpretazioni, analisi e… joint venture; ricerche scientifiche, prototipi e tecnologie. E allora ci è parso più utile sottolineare quelle scelte che rispondono a esigenze geopolitiche attraverso l’accumulo di materiali bellici, producendo collegamenti su concentramenti di ordigni, alleanze industriali e militari, inusitate collaborazioni e condivisioni di progetti, quelli che potevano apportare un tassello in più al completamento dei mosaici globalizzanti delle varie aree geopolitiche più investite da tensioni e fenomeni bellici e di cui potete trovare traccia nei rimandi dislocati nei testi proposti.

    Spirali autoindotte di corsa al riarmo

    Siamo rimasti immersi per un anno nell’orrore di pubblicazioni preposte a esaltare le performance di macchinari di distruzione di massa, sbirciando cataloghi guerrafondai, sprofondati in un mondo sempre più infernale e amorale, abbiamo notato un’accelerazione della spirale innescata dall’industria bellica dal 24 febbraio ed è stato illuminante, perché ci ha permesso di cogliere esplicitamente il motore primo che innesca l’escalation di ogni corsa al riarmo: fornire armi a un belligerante – dapprima svuotando gli arsenali e poi sollecitando l’industria bellica a sovraproduzioni mirate – innesca richieste da parte di tutti i vicini di ordigni più potenti per essere certi della propria sicurezza percepita come in pericolo (il più palese esempio di questo è offerto dal riarmo maghrebino, dove al confine tra Marocco e Algeria si ammassano armi provenienti dai rispettivi pusher: Israele, Turchia e Nato da un lato e Russia, Iran e Cina dall’altro, come riportato nel saggio di Alice Pistolesi, contenuto in questo volume). Questo è già un fattore moltiplicativo di ordini, se poi si aggiungono altre strategie, quali la fornitura a nazioni contigue di armi con livelli diversi di aggiornamento tecnologico si ha la certezza che i differenti traguardi di sofisticazione del catalogo verranno assorbiti dal mercato nei successivi rilanci di ingaggio delle differenti guerre, ciascuna gradualmente combattuta usando macchine belliche diverse. Uno dei concetti sviluppati da Eric Salerno nel suo pezzo dedicato ai meccanismi che regolano le strategie di Israele.

    Dunque l’idea iniziale, corroborata già a gennaio 2022 da uno dei molti rapporti sul mercato mondiale (in quel caso sulle previsioni di incremento dei missili e razzi) che abbiamo consultato, si è evoluta da semplice schedatura onnicomprensiva di transazioni – impossibile per la quantità di contaminazioni di questa «peste del mondo», come l’ha definita Jorge Bergoglio di ritorno dal Congo –, trasformandosi in selezione di notizie relative a compravendite in grado di illustrare importanti e significative situazioni e preconizzazioni strategiche dal punto di vista militare, geopolitico e dell’utilizzo fatale di quegli oggetti del desiderio del sistema guerrafondato.

    Abbiamo tentato di capire a cosa s’ispirano le offerte del mercato e quali criteri anche e soprattutto politici muovano le compravendite in questo intreccio di industria ed eserciti, scommettendo sul fatto che i conflitti e i motivi di attrito sono variegati soprattutto per la tipologia dei contendenti, degli aggressori e degli aggrediti, della forma di guerra innescata volta per volta e su cui diventa importante il tipo di tecnologie messe a disposizione dei combattenti, siano essi eserciti regolari, compagnie private di mercenari, milizie, gruppi terroristici, partigiani resistenti. Perciò con la collaborazione dell’Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo abbiamo affidato a esperti di determinate aree la rilettura di come localmente si presenti la situazione della produzione e del mercato; dei rapporti di potere che ridisegnano la geografia del commercio di armi.

    Altra traccia non secondaria che ci ha spinto a tentare di seguire i traffici d’armi più da vicino è stata innescata dal bisogno di comprendere meglio i rapporti che intercorrono tra l’industria armiera e quelle strategie geopolitiche che il sito OGzero.org ha scelto di analizzare come proprio ambito di indagine; questo è avvenuto perché l’intreccio di relazioni tra accordi diplomatici e joint venture in vista di produzioni di macchine belliche ci era risultato palese. E la cooperazione alla progettazione di macchine belliche crea legami e saldature tra nazioni inestricabili.

    Spaventosa entità nell’economia di scala

    Finché non riesce il disaccoppiamento (il decoupling individuato come soluzione dagli Usa per sottrarsi all’abbraccio cinese che intreccia ogni affare) il controllo di risorse rimane su scala globale e quindi il livello di intervento delle potenze militari per assicurarsi approvvigionamenti per produzioni essenziali (in primis proprio quelle legate all’industria pesante) necessita di essere presente con le proprie forze dovunque… questo un altro dei motivi per cui abbiamo cominciato a interessarci a queste filiere industriali esiziali. Anche perché via via che accumulavamo notizie di commesse miliardarie, bilanci incrementati pretestuosamente, costi esponenzialmente lievitati per gioielli oggetto di vendite concesse agli alleati più fedeli (per esempio gli F-35)… soltanto dal paragone interno al repertorio quotidianamente incrementato ci si andava accorgendo dell’entità dei prezzi e degli stanziamenti di proporzioni colossali, di cui non si ha percezione concreta. Eppure è sufficiente consultare l’elenco dei contratti stipulati in un solo mese dall’esercito americano per provare una sorta di vertigine: i 10 più importanti accordi di agosto raggiungono il totale di 33.567.253.804 di dollari.

    Militarismo nazionalista

    Il controllo militare su produzione e distribuzione

    Chi richiede la cittadinanza americana si vede domandare se è disponibile a imbracciare le armi per difendere gli Usa: questo dato esprime bene lo spirito delle potenze mondiali; la Turchia è improntata al militarismo fin dalla più tenera età – come emerge dal paper che Murat Cinar ha incentrato sulle fabbriche del made in Turkey – e Tzahal è il perno su cui si fonda lo stato israeliano. Nell’articolo di Eric Salerno si evince come IAI sia il vero emissario diplomatico dello stato d’Israele e ne è l’ennesima prova il contratto da quasi 4 milioni di euro sottoscritto dal governo italiano nel 2021 per la fornitura di munizioni orbitanti Hero30, dimostrazione della stretta connessione tra Tel Aviv e Roma; è in consegna mentre si vanno stilando i contributi di questa pubblicazione la fornitura all’esercito italiano di droni Hero30 prodotti a Ghedi e Domusnova negli stabilimenti RWM di RheinMetall su progetto dell’israeliana UVision – di cui si fa cenno nell’articolo dedicato da Roberto Bonadeo e Marco Cuccu alle servitù militari in Sardegna.

    Ma i sauditi non incrociano i loro cargo carichi di materiale bellico soltanto in acque italiane; la notizia che ha inaugurato il dossier di OGzero il 2 gennaio 2022 riguardava la nave Rawabi (battente bandiera emiratina) colta nel porto di Hodeida mentre trasportava medicinali molto esplosivi: gli houthi l’avevano perquisita trovandola carica di armi indirizzate alla coalizione guidata dai sauditi. Quello del delivery consegnato dalle navi in corrispondenza dei luoghi dove le armi devono essere consumate attraverso rotte marittime è un aspetto non secondario della tratta di ordigni di guerra; ed è un comparto che vede i porti italiani in prima linea – non solo per la contrapposizione dei portuali del Calp di Genova, ma anche come transito: sia per il carico (verso comparti di guerra), sia per lo scarico (per la logistica interna alle innumerevoli basi militari stanziate sul territorio). Per scoperchiare una realtà inquietante di rotte globali e carrette del mare che fungono da appoggio per la consegna a belligeranti, questo volume si avvale delle informazioni di Carlo Tombola che prende spunto da un tratto di oceano sottoposto a perlustrazione da parte della marina militare italiana – proprio in funzione antipirateria – la quale però non aveva rilevato la presenza di un sospetto barcone, per una volta non colmo di disperate persone in movimento, ma pieno all’inverosimile di armi destinate al mercato africano: un taxi del mare per munizioni lombarde in direzione ostinata e contraria ai migranti in fuga proprio dalle armi e alla disperata ricerca di un’opportunità di esplosione in Sahel, che scoperchiano un sistema di triangolazioni volta ad aggirare embarghi e rifornire milizie, mercenari, eserciti… guerre, prese in carico da Angelo Ferrari e Massimo Zaurrini nel loro intervento sugli aspetti che mobilitano il traffico di armi e contractor che riempiono il continente (i cui legami con le miniere avevamo approfondito nel dossier di OGzero nell’editoriale di novembre).

    Spedizioni e depositi; riciclaggi e autarchia

    A sua volta si va trasformando in un magazzino di armi provenienti da tutti i 40 paesi che partecipano al rifornimento antirusso soprattutto il territorio polacco, perché Varsavia mira a scalzare la primazia tedesca nella Nato europea e a proporsi come il più potente esercito di terra europeo. Già i suoi hub si sono sostituiti all’Eucom Control Center di Ramstein, sfruttando la logistica: la cellula nevralgica della distribuzione delle armi è il Centro di coordinamento internazionale dei donatori. Le spedizioni iniziali di armi, tra cui missili antiaerei Stinger e anticarro Javelin, sono arrivate in Polonia e subito trasportate rapidamente oltre il confine. Ma man mano che la guerra si va prolungando vengono donate armi più grandi, pesanti e complesse, i pianificatori militari inviano le spedizioni anche via mare, ferrovia e camion. A fine luglio il centro aveva spostato più di 78.000 tonnellate di armi, munizioni e attrezzature per un valore di oltre 10 miliardi di dollari, secondo i funzionari militari statunitensi e occidentali. Ma come si smaltiscono tutti questi materiali? E oltre allo smaltimento, va conteggiato pure l’inquinamento climatico prodotto da spostamenti di truppe, esercitazioni, emissioni: a questi dati si è applicata Alice Pistolesi in uno dei suoi due contributi, che fa riferimento al Global Peace Index pubblicato nel giugno 2022.

    Esercitazioni e sudditanza

    Servitù territoriali possono essere considerate le esercitazioni: infatti la Nato decide e per 15 giorni i cieli e i flutti teatro delle simulazioni (anche nucleari e annunciate) diventano oggetto di espropriazione e aree perniciose, che poi lasciano residui e radiazioni, un territorio devastato e inquinato. In questo tempo di guerra le esercitazioni programmate fioccano: a metà settembre 2022 la Sardegna era circondata come Taiwan un mese prima. Aree di guerra, in mare, in cielo e nei poligoni di Teulada, Quirra e Capo Frasca, esercitazioni speciali, visto che dal 24 febbraio le esercitazioni programmate erano state annullate, tutte tranne quelle collegate al warfighting.

    E quella servitù era

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