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Sophia
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E-book867 pagine12 ore

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Info su questo ebook

“Come per le piante è naturale fiorire rallegrando il cuore delle persone, così per gli esseri umani è naturale impegnarsi per la felicità degli altri.”
D.Ikeda

La felicità è un traguardo quotidiano e Sofia l’ha imparato sulla sua pelle. Il viaggio in India ha risvegliato in lei un potere che l’ha trasformata in una vera e propria calamita per le persone più problematiche del pianeta.
Markus, sicuro di sé e in guerra col mondo, ha un passato che non riesce a dimenticare. Saltare da un letto all’altro, per lui, sembra essere l’unico modo per evitare di pensare, ma il destino ha deciso di mettere Sofia sulla strada.
Magia, spiritualità e colpi di scena si intrecciano in un romanzo di formazione dove anche l’amore diventa imprevedibile, proprio come la vita.
LinguaItaliano
Data di uscita6 dic 2017
ISBN9788827528686
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    Anteprima del libro

    Sophia - Fiorella Londino

    PROLOGO

    Markus amava il cielo, per lui uno scrigno affascinante. Lo scrutava nelle notti limpide attraverso il telescopio, imparando e riconoscendo all’istante tutte le costellazioni.

    Di giorno, invece, si lanciava in corse pazze senza meta per poi buttarsi a terra sfinito, rimanendo fermo e incantato a guardare il cielo, a contemplarne l’azzurro o qualsiasi altra sfumatura del momento, soprattutto nelle giornate mutevoli, quelle in cui il colore cambiava in tempo breve.

    Era un ragazzino vivace, introverso e riflessivo, peculiarità reputate strane alla sua età, ma chiunque osasse mettere in discussione il suo carattere, veniva messo subito a tacere dalla nonna. Con lei Markus non aveva bisogno di parlare, si intendevano con uno sguardo.

    Il suo carattere, le sue inclinazioni e forse anche il suo destino mutarono all’indomani di un giorno nefasto, quando Markus dovette salutare per sempre la sua già scarsa spensieratezza.

    Durante una battuta di caccia con il padre Erik, il nonno George, e suo fratello Derek, di qualche anno più grande di lui, il giovane Meyer, decise di staccarsi di sua iniziativa, benché per i ragazzi l’ordine fosse tassativo: mai lasciare il gruppo guidato dagli adulti.

    Curiosità, giovanile baldanza e intraprendenza presero però il sopravvento e, solo e in avanscoperta, Markus percepì un rumore dalla fitta boscaglia al suo fianco. In lui crebbe la voglia di guadagnare fiducia e prendersi, perché no, il merito di aver fiutato la preda.

    A differenza di suo fratello che aveva già compiuto sedici anni, Markus non possedeva un’arma, e dubitava del fatto che sarebbe mai riuscito a uccidere un altro essere vivente.

    Ora, finalmente, avrebbe potuto guadagnarsi il tanto agognato momento di gloria.

    Sentì un fruscio e si ritrovò ben presto in un piccolo spiazzo tra gli alberi. Guardò con attenzione in direzione del bosco e sussultò terrorizzato: un cinghiale avanzava verso di lui. Era enorme, le zanne inferiori ricurve facevano bella mostra di sé, sfoggiando tutta l’aggressività dell’animale.

    Dopo aver indugiato, la bestia caricò verso di lui e Markus fece appena in tempo a emettere l’urlo più acuto di cui le sue corde vocali fossero capaci. In men che non si dica sentì il quintale di un essere pericoloso e selvatico investire il suo povero pony che, scaraventato via da una forza mostruosa, si produsse in un volo di una mezza dozzina di metri.

    Markus tento di riflettere, ma il tempo fu troppo breve per prendere una decisione. Era paralizzato dalla paura e la bestia lo puntò nuovamente. Sentì il padre chiamarlo e poi uno sparo, solo allora Erik scese da cavallo mirando ancora al cinghiale perché il colpo di prima non l’aveva ammazzato.

    La ferocia dell’animale si concentrò tutta sul nuovo nemico ed Erik non ebbe scampo. Mirò e sparò ancora, ma l’animale si avventò su di lui.

    «Papà!» urlò Markus sconcertato per la scena raccapricciante.

    L’animale aveva infilzato suo padre all’altezza dell’addome, scaraventandolo di lato.

    Le urla del nonno e del fratello si unirono a quelle di Markus che udì altri colpi di fucile finché il cinghiale non stramazzò a terra. George si abbassò su Erik rivolgendosi al nipote: «Figliolo, corri! Prendi il cavallo di tuo padre e chiedi aiuto, presto!» ordinò urlando.

    Markus annuì coraggioso mentre poco più in là sentiva Derek piangere e disperarsi. Con agilità saltò sul garrese del purosangue e corse via, verso casa. Arrivava a malapena alle staffe e dovette tenersi aggrappato con la sola forza delle cosce. Non percepiva dolore né fatica.

    Giunsero i soccorsi e il padre di Markus fu condotto in ospedale, dove, in seguito a un intervento d’urgenza, la speranza di un suo recupero si dissolse in fretta. Dopo qualche giorno di agonia, l'uomo si spense e Markus si chiuse in un silenzio di svariate settimane che presto diventarono mesi.

    Tutti erano comprensivi con lui, nessuno gli affibbiava la colpa dell’accaduto. Nessuno tranne il fratello che, per indurlo alla reazione si divertiva a stuzzicarlo.

    Markus e Derek, per questa ragione, arrivarono a picchiarsi più volte. Tuttavia, durante gli episodi di violenza, Markus manteneva un comportamento passivo, limitandosi alla sola difesa. La madre dei ragazzi, che aveva dovuto prendere in mano la gestione dell’azienda di famiglia, si assentava tutti giorni da casa e tale situazione, agli occhi di Derek, appariva una ulteriore conseguenza dello scellerato allontanamento di Markus dal gruppo, comportamento che aveva sortito la morte del padre e la rottura degli equilibri familiari.

    Dopo mesi, esasperata, la donna decise di mandare Derek in un college inglese mentre Markus venne seguito in casa, da diversi insegnanti, con progressi sporadici e lenti. Dopo tre anni di attesa e scarsi risultati, Markus seguì le orme del fratello maggiore e proprio durante l’esperienza collegiale il suo carattere si manifestò aggressivo e irascibile fino all’eccesso.

    Il ragazzo passò il primo anno scontando continue punizioni seguite da inevitabili sospensioni tentando più volte di abbandonare la scuola. L’unica persona al mondo in grado di farlo ragionare e desistere dai propri intenti autodistruttivi era l’adorata nonna. Al secondo anno, quando rischiò di essere espulso definitivamente per ragioni disciplinari, nel suo animo cominciò a farsi largo anche l’interesse per il genere femminile. Il suo rendimento scolastico non voleva saperne di migliorare, ma energia repressa e buona volontà erano sempre più convogliate nelle attività di corteggiamento che, considerando l’avvenenza e i modi furbamente persuasivi del giovane, non duravano molto.

    Gli anni a venire passarono così, tra l’interesse verso il gentil sesso e le scorribande con gli amici. La fama del suo caratteraccio, però, lo precedeva sempre, e mentre il bell’aspetto compensava le lacune comportamentali con alcune delle donne che incontrava, con gli uomini, compresi gli insegnanti, c’erano continue difficoltà di approccio e il giovane Meyer si trovava spesso invischiato in situazioni spiacevoli e in conflitti generati dal suo temperamento irascibile.

    UNO

    Vienna, settembre

    Markus se ne stava in disparte, i suoi occhi luminosi passavano in rassegna gli ospiti presenti nella sala affollata da palloni gonfiati fintamente interessati alle parole dei propri interlocutori.

    La maggior parte dei presenti aveva superato gli anta da un pezzo, chi perdendo la prima moglie per strada, chi cercando una compagna molto più giovane, spesso con una differenza di età direttamente proporzionale al passare degli anni. Molte donne erano belle e avvenenti, sempre parecchio attente a ricoprire di attenzioni i rispettivi compagni che - poveri illusi - pensavano di essere amati da creature perfette, rese tali anche grazie all’aiuto di una buona dose di chirurgia estetica.

    Non di rado capitava che molti dei presenti avessero ceduto alle stesse tentazioni delle mogli, concedendosi miracolosi ritocchini per rendere zigomi e palpebre del tutto simili a quelli delle affascinanti consorti.

    Markus fece una smorfia pensando al motivo delle sua presenza in un posto come quello: gli era stato proposto di candidarsi a membro del club, in qualità di giovane e brillante imprenditore. L’intento era spillargli denaro per opere di bene, che di bene avevano solo il nome. Ciò che interessava a ogni socio del club era mantenere blasone, visibilità e prestigio che, molto spesso, erano legati al solo ricordo di un passato di potere e benessere.

    Fissò il bicchiere annusando il contenuto: champagne, e neanche buono. Marchio ed etichetta che, almeno in teoria, avrebbero dovuto garantire la qualità del prodotto e che adesso, al contrario, contravvenivano spudoratamente alle attese, proprio come le persone di cui era circondato, nomi altisonanti, privi di reale valore e sostanza. Presenziando alla serata, sperava che qualcuno degli invitati l’aiutasse a trovare aree edificabili abbastanza grandi, dove poter spostare due comparti della sua azienda di trasporti.

    Valutò attentamente chi aveva davanti e, sospirando, formulò un pensiero di rinuncia dopo che i suoi occhi perspicaci si erano poggiati su una persona in particolare. No, a individui di tal fatta sarebbe stato meglio non chiedere niente, anche perché la causa principale del suo problema era proprio lì, in mezzo a loro: Dominique, il più viscido essere di sua conoscenza. Le aree papabili erano di sua proprietà e quell’uomo odioso e tracotante non aveva alcuna intenzione di vendergliele, obbligandolo così a pagare un affitto carissimo.

    Sbuffò pensando a come, anni prima, era stato solo un giovane ingenuo.

    Aveva conosciuto Dominique per via della relazione con la figlia, Helena, una ragazza viziata di cui il padre assecondava ogni capriccio. Markus aveva stretto legami con loro rilevandone un’attività ubicata su un terreno di famiglia. All’epoca, Dominique aveva tutto l’interesse di far subentrare Markus, riconoscendo nel giovane imprenditore lo status perfetto di pollo da spennare.

    Dal canto suo, Markus era stato molto abile: nel giro di tre anni era riuscito ad aprire altre succursali e con gli introiti delle stesse riusciva a ricavare guadagno, andando a equilibrare i conti delle realtà in perdita. Il mese prima, però, c’era stata l’ennesima meschinità: con il rinnovo del contratto, Dominique gli aveva raddoppiato l’affitto. Voleva strozzarlo, era chiaro.

    Cosa aveva in mente? Uomini così non facevano niente per caso.

    Si incupì, era davvero stufo di barcamenarsi in certe realtà. Il rischio era il fallimento, aveva persino considerato l’ipotesi di sacrificare gli operai, ma una scelta del genere andava contro i suoi principi.

    «Markus, allora?» Amanda si avvicinò squadrandolo.

    Era sempre più bello - pensò la donna - e la maturità esaltava quell’aura carismatica di cui era da sempre dotato. Lo sguardo di Meyer si posò sull’avvocato di famiglia: occhi del genere - rifletté ancora la donna - avrebbero dovuto considerarsi fuori legge, capaci com’erano di far capitolare chiunque a piacimento del loro legittimo proprietario che, forse anche in virtù di tale fascino, aveva costruito un’attività molto redditizia in così poco tempo. La natura aveva fatto la propria parte in modo magnifico, donando a Markus un viso perfetto corredato di mascella forte, labbra carnose al punto giusto, naso diritto e importante. Portava i capelli leggermente più lunghi rispetto al passato, di un colore che sembrava schiarito dal sole. Alto e atletico, esibiva sempre una postura regale e sicura, che preannunciava un’arroganza nei modi che non avrebbe tardato a palesarsi.

    Non chiedeva, Markus; esigeva. E con tutti. Amanda lo conosceva bene e aveva imparato ad ammirarlo e apprezzarlo perché, fascino a parte, non tradiva mai i suoi principi.

    «Cara Amanda, ti prego, fammelo notare subito se un giorno, superati i cinquanta, mi trasformassi in un essere botulinico e grottesco...»

    «Perché, cos’hai contro i cinquantenni?»

    «Beh, nei confronti di donne meravigliose e al naturale come te, nulla…»

    «Ti ringrazio, e da dove deriverebbe la certezza che io sia naturale

    «Sei troppo sicura di te, cara, per permettere a una ruga di impoverire la tua personalità».

    «Diciamo che ho lavorato prima per arrivare a questa meravigliosa età preparata e serena».

    «Chissà come mai non ti sei mai sposata...»

    «Lo sai benissimo, come mai... Non ho trovato nessuno alla mia altezza. Se solo tu, magnifico uomo, avessi vent’anni di più...»

    «Una come te?» provocò Markus alzando un sopracciglio. «La sposerei domani» rispose fin troppo serio.

    «Se ci sentisse tua madre...» ribatté lei facendo l’occhiolino.

    «Cambiando discorso, io abbandonerei volentieri questa noiosissima serata...»

    Markus squadrò Amanda, amica intima della madre nonché, come detto, una dei suoi avvocati. Era stata lei a consigliargli di prendere in considerazione l’ipotesi di candidarsi al club.

    Alta e snella, mora, occhi grandi, scuri e intelligenti. Quella sera indossava un tubino blu con bolero in tono.

    «Non vorrai forse rinfacciarmi la tua presenza qui per i prossimi anni? Ricordatelo bene: a chi chiedevi consigli su tutto, quando hai cominciato?» lo punzecchiò. «Ora sei un uomo adulto che ha acquisito sicurezza e che, forse, ha dimenticato i propri esordi...»

    «No, lo sai che non lo farei mai» sorrise.

    Amanda gli scoccò un bacio sulla bocca.

    «Se ci vedessero mi etichetterebbero come colei che si è accaparrata il miglior toyboy su piazza!»

    «Ma perché, scusa, gli uomini possono andare con ragazze che sembrano loro figlie e le donne no?»

    «Ti assicuro che tante donne lo fanno, caro, ma usano ancora molta discrezione» fece una pausa. «Forse perché siamo noi le creature che danno la vita a voi, incorreggibili maschi...»

    «Interessante considerazione» constatò Markus bevendo un sorso, poi, facendo una smorfia, posò il bicchiere sul tavolo, si guardò intorno tornando a rivolgersi ad Amanda: « Taglio la corda, mia cara, ci sentiamo in settimana. Ho un appuntamento imminente».

    «Già immagino con chi... Perché non metti la testa a posto e ti cerchi una brava ragazza?»

    «Perché le brave ragazze non esistono, le donne cercano solo una cosa, anzi, tre: soldi, soldi, soldi!»

    «Allora trovatene una ricca!»

    «E per fare che?! Non sanno neanche crescere i figli quelle così, basta l’esempio di mio fratello» i suoi occhi dorati si adombrarono. «Amanda, adoro mia madre, ma credo che abbia dei sensi di colpa nei nostri confronti per il fatto che si sia assentata molto per seguire l’azienda, ringrazio il cielo per aver avuto una nonna e una tata molto presenti. Ma se non fosse stato così?» sospirò, poi riprese a parlare: «Trovami una donna che non voglia, oltre ai soldi, anche realizzarsi. No, grazie, le lascio volentieri alle loro carriere! Quelle che hanno fatto figli è solo perché verso i trenta hanno sentito la sveglia dell’orologio biologico. La donna che sto frequentando ha costantemente i bambini parcheggiati da qualche parte. Ti ammiro, sai? Perlomeno tu sei stata coerente dedicandoti solo alla carriera».

    «Sei molto più sensibile di quello che vuoi dare a vedere, ma io l’ho sempre saputo» lo incensò. Lui continuò con tono rammaricato:

    «E ti dirò di più, per concludere questo piacevole scambio, aggiungo che le femmine di oggi, alla luce del fatto che possono fare sesso liberamente, credono di aver raggiunto la parità. Bene, vogliono questo? Basta così poco? E allora io le accontento» fece sarcastico. «A presto, cara» la baciò e uscì.

    Amanda scosse la testa: quel ragazzo aveva ben chiaro in mente il funzionamento della società, tuttavia doveva pur esistere qualcuno capace di sorprenderlo.

    Markus arrivò a casa di Paula esattamente quindici minuti dopo.

    Lei, come al solito, lo accolse nella mise più trasparente e sensuale che il suo armadio a dodici ante avrebbe potuto proporle. Era una donna bellissima, molto alta e con lunghi capelli castani ondulati. Aveva occhi verdi da cerbiatta e da giovane era stata una modella, finché non aveva avviato un’agenzia pubblicitaria, accumulando in breve tempo una fortuna. Successivamente si era anche sposata con un famoso fotografo da cui si era separata subito dopo la nascita del loro secondo bambino. Presto aveva fatto entrare anche i figli nel mondo della moda e loro adesso erano talmente calati nella parte che pensavano di essere piccole celebrità. La maggiore, a sei anni, senza indossare il rossetto non sarebbe mai uscita di casa.

    Entrando la squadrò dalla testa ai piedi: avrebbe potuto inventarsi qualcosa di nuovo per una volta...

    Le donne, almeno con lui, stavano coperte solo fino al momento in cui le portava fuori a cena. Era successo che cominciassero a spogliarsi già in macchina, togliendogli il piacere di svestirle.

    Entrò nel grande atrio dove il bianco spadroneggiava su tutto l’arredamento. Paula adorava luce e candore di quel colore; persino a terra c’era una moquette chiara, a pelo lungo.

    Markus, infastidito, pensò a quella volta che Paula aveva voluto fare sesso appena rincasati, lì, per terra, all’ingresso.

    «Tesoro, ma come sei elegante... Sono contenta di aver lasciato i bambini a dormire da mia madre, Avevo voglia di stare con te e... oggi ho intenzione di far durare la cosa molto, molto a lungo».

    «Ehi, solo un attimo... Almeno dammi l’illusione che non mi vuoi solo per...» fece una pausa. «A proposito, senti, avresti qualcosa da mettere sotto i denti? Non ho nemmeno cenato...»

    «A parte sedano, carote e altra verdura, intendi?» domandò sorpresa per una domanda che, se lui la conosceva davvero, era senza dubbio fuori luogo. «Beh, qualche merendina dei bimbi».

    «Ma davvero ti nutri sempre così?»

    «Lo sai che non pranzo mai a casa, mentre a cena non mangio praticamente niente».

    «Cazzo, potevo capire quando facevi l’indossatrice, ma ora potresti godere dei piaceri del cibo, non sei più una ragazzina...» sospirando rassegnato si diresse al mobile bar.

    Pensò alla fortuna di aver mangiato nervosamente due tartine alla cerimonia e si versò un cognac, ma solo dopo averne appurato la provenienza.

    Quella che aveva in mano era una bottiglia nuova, Paula sapeva quanto lui fosse esigente.

    «Lasciamo perdere» proseguì «mi è passata la fame».

    Si sedette allungando le gambe, sorseggiò gustandosi tutta l’aroma del distillato e fissò, assorto, il bicchiere, facendo ondeggiare il liquido ambrato.

    «Sei un dannato arrogante! Ti sembrano queste le migliori parole da rivolgere a una donna?»

    Paula lo fissava furiosa, con le mani sui fianchi.

    «Ma piantala, una buona volta! Sei bellissima e qualche chilo in più non potrebbe che farti bene».

    Lei si lasciò cadere al suo fianco e si girò a guardarlo, sospettosa.

    «Pensi davvero io sia bellissima?»

    «Ma perché voi donne siete sempre così insicure? Hai fatto la modella, non credi sia già di per sé la prova provata della tua bellezza?»

    Paula sbuffò, alzando le spalle infastidita. «Ma sì, tutto sommato hai ragione, chi se ne frega! Non voglio analizzarmi» e salì a cavalcioni sulle sue gambe cominciando ad armeggiare con il cavallo dei pantaloni di Markus, strusciandosi e muovendosi su e giù. Prese a baciarlo famelica, mentre lui pensava che un po’ di psicanalisi le avrebbe giovato. «Tesoro, giochiamo un po’?»

    Infastidito, tra una bacio e l’altro, Markus rispose: «So cosa intendi per giocare... E se i giochi che proponi sono gli stessi dell’altra volta, no, lasciamo perdere».

    «Allora, vediamo un po’ quanto fai durare questo amplesso...»

    Markus pensò che il sesso, quel sesso, fosse solo uno sfogo fisico di cui cominciava a stufarsi.

    «Ti stai lamentando di come lo faccio? Non ho mai sofferto di eiaculazione precoce!»

    Paula gli sfilò la giacca e cominciò a sbottonargli la camicia. La cravatta, Markus se l’era tolta già in macchina. «Sei così bello, perfetto... Maledetto uomo!» gli morse un lobo, scendendo sempre più in giù con le labbra, fino al torace. Gli sbottonò i pantaloni e si diede da fare. Era sempre molto brava, Paula, lui resistette, anche se nel profondo aveva voglia di chiuderla lì. Non lo fece perché pensò soprattutto alle parole di prima: come avrebbe potuto finire subito dopo essersi vantato? La strinse a sé mettendola supina, aprì la vestaglia e le gambe lunghe e snelle di Paula si aggrapparono ai sui fianchi mentre i piccoli seni si alzavano e si abbassavano di pari passo al suo ansimare.

    «Dai, usa il giochino, per favore».

    «Sei una cagna, non ti basto io?»

    Lei si alzò andando in camera.

    Oddio, che palle! Giuro che questa è l’ultima volta pensò Markus. Paula si fece trastullare con vari aggeggi per una buona mezz’ora, mentre lui stava ben attento a non farsi toccare. Ma dov’era finito il vecchio, sano sesso? Davvero non esisteva più? Cercò di non farsi distrarre da certi pensieri, si concentrò su ciò che stava facendo e si sporse per prendere il preservativo dalla giacca.

    Possibile che trasgressione, oggi, voglia dire farlo in modo tradizionale?

    «Ora basta, vieni qui e finiamola! Domani avrò una giornata impegnativa».

    La prese da dietro afferrandola per i capelli, mentre lei gridava eccitata. Sapeva quanto le piacessero le maniere forti. Raggiunse il piacere, la fece sdraiare e la baciò, sforzandosi di essere dolce, quindi si alzò per andare in bagno. Pochi istanti dopo la salutò dalla porta, uscendo frettolosamente.

    In macchina, sulla via del ritorno, tenne la radio spenta, situazione insolita per lui, e, all’improvviso, percepì una strana sensazione, infida e strisciante, partire dal ventre e salire inarrestabile fin dentro al petto. Gli si chiuse la gola. Accostò sul ciglio della strada e prese a massaggiarsi ripetutamente il collo mentre l’angoscia si impossessava di lui. Cercò una spiegazione e non la trovò. Picchiò con rabbia la mano sul volante e lo strinse con tutte le sue forze. «Cristosanto!» urlò.

    Appoggiò la fronte sulle nocche serrate e tenne le mani a tenaglia, come se dall’aggrapparsi a qualcosa dipendesse tutta la sua vita. Si sentiva violentato. Da sempre usava il sesso per sopperire alla sua atavica rabbia nei confronti del mondo, ma adesso, quella che gli era sempre sembrata un’innocente distrazione, stava diventando un circolo vizioso. Ne era forse dipendente?

    Finché era stato giovane, poteva anche andare. Ma ora? «Dio!» imprecò. Si sentiva troppo maturo per considerare il sesso una valvola di sfogo. Gli venne la nausea pensando a se stesso e a tutte le donne che erano state o stavano con lui. Sollevò il capo dal volante e con calma aprì le dita, una alla volta, con fatica. Guardò davanti a sé i fari delle auto che sopraggiungevano dalla parte opposta. Sentiva gli occhi bruciare, per le luci e perché stava trattenendo le lacrime.

    Adesso era tutto chiaro: voleva mettere a tacere l’assordante senso di colpa per la perdita del padre?

    Sul ciglio di una strada, di ritorno da casa di Paula forse comprese perché ogni santa volta si sentiva e si era sentito depredato. Aveva ancora la gola serrata, ma quell’accenno di pianto fu provvidenziale.

    Basta! si disse. Avrebbe affrontato i suoi demoni guardandoli in faccia.

    Respirò profondamente e mise in moto. Sarebbe riuscito ad evadere da questo circolo vizioso? Dove usava il sesso come espediente per raggiungere una serenità fittizia? 

    DUE

    Badem bei wien, ottobre

    Sofia era una donna di aspetto comune, con un’interiorità particolare. Si definiva complessa, benché la cosa non si evincesse dalla sua quotidianità. Svolgeva un mestiere comune e per lei gratificante: l’estetista, e alcune esperienze drammatiche l’avevano portata a valutare la vita in modo profondo, al di là dell’apparenza. C’era voluto molto tempo, ma ora viveva serenamente; per scelta, non aveva nessuno nella propria vita, forse perché il passato incombeva ancora su di lei e sul suo presente.

    Le persone si accontentano di sopravvivere - si diceva - tra relazioni superficiali e drammi, così che fosse sempre presente in ognuno una depressione latente, il più delle volte neanche percepita.

    Sofia era di origini italiane e aveva un debole per tutto quanto appartenesse alla sua terra. I nonni materni si erano trasferiti in Svizzera per lavoro quando sua madre era ancora una bambina e lei era nata lì, benché lingua e usanze italiane fossero radicate in lei come un timbro, forse perché anche suo padre era figlio di genitori romani. I capelli rossi e gli occhi verdi avrebbero potuto ingannare, farla passare per un’irlandese o una donna originaria del Nord Europa, tuttavia le sue migrazioni erano limitate, almeno da quando era nata, a spostamenti dalla Svizzera tedesca all’Austria, dove aveva deciso di trasferirsi da pochi anni. La proposta dell’azienda per cui lavorava, a Thun, era arrivata al momento giusto: talvolta, per voltare pagina, bisogna lasciare i luoghi zeppi di ricordi.

    Erano già le sette di sera e doveva uscire a comprare da mangiare per sé e per i suoi coinquilini, se non voleva che le bestiole morissero di fame.

    L’unico esercizio aperto fino a tardi era il centro commerciale. Arrivò nel parcheggio coperto e constatò che molte persone, quella sera, avevano avuto la sua stessa idea: dieci minuti buoni di giri a vuoto senza trovare posteggio. Sbuffò concentrandosi e si impose pazienza. Ecco un posto libero finalmente; piccolo, certo, ma per la sua Smart il buco che aveva davanti era sufficiente.

    Fuori soffiava un vento gelido e il freddo era tagliente. Indossò il cappello in lana grigia mélange e la sciarpa, che avvolse con cura intorno al collo. Guardandosi nello specchietto notò che del viso si vedevano solo gli occhi e sorridendo aprì la portiera. Una folata improvvisa, molto forte, fece sbattere lo sportello sulla fiancata della macchina accanto.

    Si accorse solo dopo il violento impatto che il conducente era nell’abitacolo.

    L’uomo era al telefono e, sussultando, scese dall’auto liquidando l’interlocutore.

    «Ti saluto, Joe, una pazza mi ha appena ammaccato la portiera...»

    Sofia lo guardò timorosa e registrò tutto in un solo secondo: bello, e sicuramente stronzo. Stronzo sì, almeno da come aveva parlato. Fece un respiro profondo per incoraggiarsi ed esordì: «Sono rammaricata, ma offendere così una donna... mi sembra fuori luogo. È stato il vento!»

    Cercò di distogliere l’attenzione dal fascino dello sconosciuto, le parole faticavano a venire fuori, una sensazione mai provata. Quel tipo, era bellissimo. Lui la fissò dritto negli occhi, anche perché di lei si notavano solo quelli. Imbarazzata, Sofia distolse lo sguardo per poi riportarlo, di scatto, al viso dell’uomo: aveva occhi dorati, una sfumatura che non aveva mai visto.

    «Pagherò il danno» balbettò. «Non ci sono problemi. Le do il mio numero di telefono, ma mi risparmi di compilare la constatazione amichevole, fa troppo freddo...» e si strinse nel piumino.

    «Guarda, non mi interessa» la guardò sprezzante. «Il danno non è un problema, è che dovrò lasciare la macchina chissà quanti giorni dal carrozziere, questo mi infastidisce parecchio».

    Con lo sguardo basso, Sofia sentiva gli occhi di quell’uomo squadrarla con veemente insistenza.

    «Okay, mi dispiace ancora. Se non è per il danno, beh, io andrei allora... Arrivederci».

    «Un momento!»

    Sofia alzò il capo di scatto, quegli occhi... Le procurarono uno smarrimento profondo. Si sentì inquieta.

    Markus la scrutò pensando che fosse carina. Un po’ anonima, certo, eppure quella donna così sfuggente lo incuriosiva. Non era abituato a essere ignorato.

    «Guarda che non ho il potere di pietrificare nessuno con lo sguardo. Sei timida, forse?»

    «Sì... no... Voglio dire...» farfugliò Sofia.

    « Mi chiamo Markus».

    «Sofia» replicò laconica. «Bene, la saluto. E scusi ancora!» si allontanò senza aspettare risposta.

    Markus, con una smorfia, la guardò allontanarsi. Sorrise. Aveva suscitato reazioni diverse alle donne che aveva incontrato, ma terrore mai. Era consapevole di avere un brutto carattere, ma con le donne cercava di tenerlo a bada, o meglio, spesso non faceva nemmeno in tempo a farlo emergere per quanto fulminee fossero alcune delle sue relazioni.

    Al supermercato Sofia provvide a una piccola spesa per sé e comprò il cibo per gli animali. Visto che erano passate le otto, decise di fermarsi a mangiare lì. Cenò sbrigativamente e prima di darsi in pasto al freddo della notte si recò alla toilette, dove si lavò le mani nell’antibagno, poi spinse la porta da cui si accedeva ai gabinetti con forza, senza considerare che dall’altra parte potesse esserci qualcuno.

    Un tonfo secco e un ahi mozzato le fecero capire di aver sbagliato valutazione.

    «Mi scu...» non finì la frase e rimase allibita: ancora lui?!

    «Cazzo!» imprecò l’uomo del parcheggio.

    «Sono davvero mortificata. È incredibile, mi faccia dare un’occhiata...»

    A differenza di Sofia, Markus non la riconobbe subito senza cappello né sciarpa. La guardò perplesso, quasi furioso, attratto fortemente dai suoi capelli rossi. Aveva sempre avuto un debole per le rosse. La sorpresa lo disarmò, ma non comprese il motivo, perché Sofia non era certo la prima donna dai capelli rossi che avesse incontrato. La fissò circospetto e confuso, mentre lei gli continuava a chiedergli se si fosse fatto male. Aveva gli occhi chiari e deliziose lentiggini abitavano un naso all’insù perfetto e impertinente al punto giusto.

    «Hai deciso di marchiare tutto quello che mi appartiene?» chiese Markus quando la riconobbe, mentre Sofia cercava un fazzoletto nella borsa. «E lascia perdere, faccio da solo, preferisco non avere addosso le tue mani!»

    «Guardi, le posso assicurare che chi ha provato le mie mani non si è mai pentito» replicò acida.

    Non lo sapeva ancora, ma a quella frase avrebbe ripensato spesso in futuro.

    Sofia ritornò al lavabo e bagnò il fazzoletto sotto l’acqua fredda. Markus la scrutava con curiosità, non riusciva a spostare lo sguardo dalle curve di quella vivida montagna di capelli. Era come se lo chiamassero, se lo attraessero con un magnetismo ineludibile. Scosse la testa mentre lei

    si avvicinava tamponandogli lo zigomo con il fazzoletto umido. Al contatto, Markus provò un brivido e la chiara sensazione di aver già sentito sulla pelle quelle dita. Da quella distanza poteva distinguere nitidamente ogni efelide del nasino sbarazzino di Sofia. Non molte, ma graziose.

    Anche Sofia provò qualcosa di intenso, ma preferì ignorare la sensazione.

    La mano di Markus salì di scatto bloccandole il polso. Voleva stoppare sul nascere attenzioni che avrebbero potuto generare conseguenze, preferiva pensarsi immune alle emozioni profonde, perché la sua sensibilità, ormai lo sapeva, era stata erosa da anni di sensi di colpa.

    Si limitò a fissarla e Sofia cercò di trasformare almeno un pensiero in una frase di senso compiuto, ma non riusciva più ad articolare le parole. Aveva il cervello in black-out.

    «Con l’acqua fredda la contusione dovrebbe migliorare» disse confusa. «Adesso corro a casa così azzeriamo il rischio di incontrarci ancora... Buona serata».

    Lasciò a Markus il suo fazzoletto, rinunciando persino a fare la pipì e se ne andò immediatamente. Lui, guardandola uscire, mise sotto al naso il quadrato di cotone e inspirò: rosa. Pensò che avrebbe voluto chiederle cosa intendesse con chi ha provato le mie mani, ma lei non gli aveva dato quell’opportunità.

    Sola nel parcheggio, Sofia esaminò meglio il danno causato allo sportello e, considerate marca e modello dell’auto danneggiata, restò male: ammirava le Maserati. Quella era nero opaco.

    In casa, a tarda sera dopo aver dato da mangiare a Miù, il suo cavalier king e a Red, il suo gattone, filò dritta a letto, esausta, ripensando a due occhi dorati che l’avevano scossa nel profondo.

    Quel tizio era bello, indubbiamente, ma poteva trattarsi solo di questo? Poteva bastare l’emozione di incontrare un bell’uomo in un parcheggio a generare tutta quell’inquietudine? No che non bastava, e lei sentiva come se lo avesse già incontrato altrove.

    Markus praticava kung-fu da qualche anno , gli piaceva molto, perché quella disciplina affinava pazienza e forza e incanalava le energie positivamente. Per uno come lui, che faceva fatica a tenere a bada l’irascibilità, un’attività che temprasse lo spirito e aiutasse a espellere le tossine era una salutare abitudine.

    Arrivò al centro benessere alle otto e trenta. Il suo insegnante si chiamava Lin, un orientale della sua età con discreto fascino. La palestra si trovava all’ultimo piano di uno stabile che comprendeva anche terme, area relax, ristorante e bar. Si cambiò e percorse scalzo il pavimento in legno.

    Lin, come sua abitudine, era vestito di bianco, Markus sempre di nero.

    «Ciao Markus, come stai?»

    «Bene, se non fosse per questi maledetti dolori cervicali... Il vento della settimana scorsa deve avermi irrigidito il collo».

    «Lo sai che le tue tensioni nervose fluiscono tutte lì».

    «Me l’hai già detto. E cosa potrei fare, staccarmi la testa?»

    «Se si potesse...» replicò con una risata contenuta. «Scherzi a parte potrebbe giovarti un bel massaggio, ho un’amica davvero brava qui, al centro benessere, se vuoi ti prenoto una seduta. Anzi, ho appuntamento con lei tra un’ora. Se non stai bene, ti cedo volentieri il turno».

    Markus rifletté. «Non ho mai tratto sollievo dai massaggi» rispose laconico.

    «Fidati, lei è davvero brava, è stata in India ed è esperta in Ayurveda».

    «Okay, dai, ho solo un impegno di lavoro intorno alle undici».

    «Perfetto, ottima scelta, dopo avviso che vai tu. Adesso iniziamo!»

    Lin rise sotto i baffi: che curiosa accoppiata! Pensò a Sofia, non poteva esistere donna più lontana dai gusti di Markus. Certo che con i massaggi ci sapeva fare, però. Eccome.

    Sofia aveva tutte le ore piene e, terminato un trattamento di pressoterapia, la aspettava il suo amico Lin, il maestro di arti marziali. Uomo interessante - pensava - un vero orientale! Erano usciti insieme un paio di volte, tuttavia tra loro non era scattato nulla, e comunque Lin non era il tipo d’uomo che insisteva. Già, gli orientali erano proprio diversi.

    Cleo la bloccò giusto in tempo, stava andando dritta dritta nella cabina dei massaggi: «Sofia, guarda che non c’è Lin, ha mandato un suo cliente che aveva bisogno di un massaggio decontratturante. Un tale mister Meyer». Detto ciò, la collega, una brunetta con vivaci occhi azzurri, ammiccò sottovoce: «Vedessi che pezzo di... Raramente ho incontrato uomini così belli» e passò oltre.

    Sofia sorrise, conosceva le storie tormentate e i pasticci sentimentali di Cleo, ci voleva poco per infiammare di passione la sua collega. Entrò nell’ultima stanza in fondo al corridoio, la più isolata e lontana dai rumori: le luci erano soffuse, solo due candele illuminavano l’ambiente. Lui era già sdraiato in posizione prona e non alzò minimamente la testa, come se non l’avesse sentita.

    Sofia cercò un approccio cortese e, a voce bassa, lo avvisò che avrebbe iniziato.

    «Buongiorno mister Meyer, preferisce cominciare dalla parte posteriore?»

    Markus aveva la faccia nel buco e vedeva solo i piedi della massaggiatrice.

    «Prima e solo, grazie. Ho fretta» rispose brusco.

    «Ah, va bene... Vuole comunicarmi qualcosa?»

    «Ho il collo irrigidito, esattamente dalla sera in cui c’è stato quel forte vento».

    Sì, esattamente da quella sera.

    «Bene, allora iniziamo».

    Sofia sentiva una certa familiarità in quel cliente, forse aveva già fatto qualche trattamento. Di sicuro quell’uomo era un burbero. Pazienza. Storse la bocca pensando che aveva avuto ogni tipo di esperienza con i clienti e andò a procurarsi dell’olio caldo. Prese in mano il piede destro grande e proporzionato dell’uomo e fece scorrere il liquido viscoso sopra, facendolo passare tra le dita. Di solito Sofia teneva gli occhi chiusi, la aiutava a sentire meglio le tensioni di chi si affidava alle sue mani sapienti. Contrariamente alle abitudini e alla sua proverbiale discrezione, il suo sguardo finì sulla zona lombare dell’uomo e, proprio sopra la salvietta arrotolata, scorse un tatuaggio: un tao.

    Rimase sconcertata, anche lei possedeva un disegno identico sul corpo, solo dalla parte opposta. Nonostante la curiosità, preferì non soffermarsi né chiedere lumi per analizzare la coincidenza, i suoi occhi critici e avvezzi a valutare l’anatomia passarono oltre, correndo lungo il busto del cliente: quel fisico era perfetto. Ogni muscolo, armonioso e proporzionato, le sue membra lunghe e forti. Era una forza della natura. Oltreché una bellezza. Sì, Cleo aveva ragione.

    Ritornò a concentrarsi sui gesti da compiere. Fissò lo sguardo sul polpaccio dell’uomo e chiuse gli occhi, le mani fluivano come sempre con armonia. Danzavano. Sofia paragonava il corpo umano a uno strumento da accordare e far vibrare fino a raggiungere l’equilibrio, come con la musica. Era assorta in tali pensieri quando lui la distolse, emettendo un sospiro rotto e fragoroso.

    «Tutto bene?» gli chiese delicatamente.

    «Perché non mi massaggi solo la schiena?» ribatté l’altro con tono incerto.

    «Non avrebbe senso» spiegò suadente e calma, Sofia. «I piedi sono molto importanti, scaricano a terra tutte le tensioni e devono farlo sempre bene, al massimo, altrimenti la rigidità si ripercuote su tutto il corpo, fino alla testa...»

    «Okay, okay» la interruppe irritato, con il solo intento di farla smettere di ciarlare.

    Sofia andò avanti, si spostò dal polpaccio alla coscia. Perlomeno non si depila. Arrivò alla fine della gamba e ripartì dall’altro piede, dedicando le stesse attenzioni anche all’altra parte. Lo sentiva respirare rumorosamente, come fosse affaticato. Dopo l’altra gamba, sempre a occhi chiusi, passò alla schiena, lavorò molto bene il trapezio, ragion per cui ci mise tanto a sciogliere i muscoli. Si sentiva insolitamente coinvolta, anche troppo per i suoi gusti. Aveva eseguito centinaia di massaggi, quelle che toccava così intensamente, per lei erano solo parti anatomiche, pezzi da mettere a posto, tuttavia... Prese a sentire caldo e si sbottonò il camice, quindi, aprendo gli occhi, passò sulla parte bassa della schiena. Massaggiò la zona dei lombi e si spinse più giù, all’attaccatura dei glutei, dove due bellissime fossette di Apollo facevano bella mostra di sé. Insistette su fianchi e reni e lui emise gemito che la portò a staccare immediatamente le mani, come scottata, e rimanere in attesa.

    «Basta così, grazie! Io... io devo andare» disse Markus, curioso di vedere il viso di quella donna dalle mani magiche. Si sollevò solo su un fianco, ben attento a non esporre le sue nudità, alzò la faccia rossa per via della posizione. «Tu?!» sussultò sconcertato.

    «Lei?!» gli fece eco Sofia che avrebbe voluto solo scappare. Le serviva aria. «Vado a prenderle una tisana» improvvisò temporeggiando e, senza aspettare risposta, uscì.

    Non riusciva a spiegarsi l’accaduto. Con lo sguardo perso nel vuoto versò l’acqua bollente nella tazza, rischiando di bruciarsi un dito. Sospirò profondamente e rientrò in cabina, dove Markus si era appena sollevato, mettendosi a sedere, apparentemente più calmo.

    «Scusi, le alzo immediatamente lo schienale...» farfugliò porgendo la tazza ed evitando di guardarlo in faccia, poi, meccanicamente, mise in ordine dei barattoli ignorandolo.

    «Che roba è?» chiese Markus con una smorfia di disappunto.

    «Cannella e altre spezie» fece una pausa aspettando una risposta che non giunse. «Bene, io avrei terminato, nella doccia troverà i teli e tutto l’occorrente. È stato un piacere».

    «Aspetta un attimo!» Lei si bloccò dandogli la schiena. «Cosa significa quello che ho sentito?»

    Sofia si girò sbattendo le palpebre, confusa.

    «Le ho fatto semplicemente un massaggio. Tratto parti anatomiche, come farebbe un medico. Mi spiace, ma non capisco a cosa si riferisce».

    Markus restò zitto e Sofia, dopo aver parlato, se ne andò lasciandolo smarrito e in attesa di risposte. Alla cassa, fu accolto dalla brunetta, che lo servì tra battiti di ciglia e smancerie varie. Il resto della giornata fu talmente ricco di impegni che non ebbe più tempo di pensare a lei, tuttavia, tornando a casa, di sera, si accorse che finalmente, come per magia, il suo collo era decontratto.

    Si sentiva bene, aveva addosso un vigore immotivato vista l’ora.

    Dopo la solita, lunga giornata, Sofia si concesse il tempo per una lezione di yoga. Fuori, nel parcheggio, notò che c’erano solo poche auto, ma per fortuna l’illuminazione non mancava. Era contenta di vivere in quella zona dell’Austria, dove gli inverni erano rigidi, sì, ma in compenso l’estate era mite, mai afosa. Percorse le strade caratteristiche di Baden Bei Wien, località famosa per le terme, e arrivò a casa come sempre in una decina di minuti. Il suo cucciolo di cavalier king era dietro la porta e la accolse festosamente.

    Poco dopo, con calma regale le venne incontro anche il gattone tigrato.

    L’appartamento di Sofia era composto da un piccolo atrio che si immetteva nel soggiorno arredato da un mobile a parete in legno chiaro, un comodo divano e, davanti a quest’ultimo, proprio in mezzo alla sala, un tappeto colorato . Due grandi finestre facevano entrare molta luce, tende e divano giallo senape riscaldavano l’ambiente. La cucina, separata dal living con un muretto, era abbastanza spaziosa e al centro campeggiava un tavolo in legno verde intagliato. Anche lì i mobili erano in legno chiaro, stile nordico, e una portafinestra immetteva in un modesto balcone.

    Lo spazio era accogliente, sufficiente per una persona sobria e di poche pretese come Sofia. Il suo desiderio, due anni prima, era stato ricominciare altrove, provare a dimenticare una grave perdita.

    «Miù, ciao patata! Red, ma buonasera!»

    Il gatto si strusciò sulle gambe, il cane si alzò per farsi accarezzare la testa. Questione di abitudini.

    «Ora, tesorini, preparo qualcosa da mangiare».

    Il telefono prese a squillare.

    «Ciao tesoro, come stai?» era la sorella di Sofia, Adele, che viveva in Francia.

    «Bien sur! Bene, tu? Hai fatto l’esame? Lo sai che per scaramanzia non ti ho chiesto niente».

    «Certo, lo so... È andato bene! Ora io e Luis andiamo a festeggiare!»

    Sua sorella stava con Luis, un facoltoso uomo d’affari che, innamoratosi di lei, l’aveva obbligata a seguirlo dopo che Adele, per un anno, aveva fatto avanti e indietro dalla Svizzera. La manteneva, assecondandola in tutto, anche nel desiderio di finire l’università.

    Sofia ascoltava la sorella e preparava la cena, il telefono in equilibrio tra spalla e guancia.

    «Allora, siamo pronti a lanciarci nell’avventura giornalistica?»

    «Sofi, lo sai che senza spinte non vai da nessuna parte... Adesso vediamo, Luis ha un amico nel giornale della città... Certo, però, che senza la possibilità di dimostrare le proprie capacità...»

    «C’è da dire che quello è il tuo sogno sin da bambina» replicò Sofia, poggiando a terra le ciotole con il cibo delle bestiole.

    «Sofi, ti devo lasciare, abbiamo prenotato per le nove e trenta».

    «Okay, tesoro, allora buona serata e saluta Luis!» mise giù il telefono e tornò a scaldare la cena.

    Nel corso degli anni Sofia aveva sperimentato diverse diete, passando dal vegano al macrobiotico.

    Mangiò e optò per un bagno invece della solita doccia e con l’acqua calda che le avvolgeva le membra reclinò la testa e chiuse gli occhi. E cosa le apparve?

    Dio, no! Ma che palle! pensò. Esci dalla mia mente!

    Non le piaceva avere pregiudizi, ma quell’uomo avrebbe rappresentato una distrazione eccessiva per lei, almeno in quel momento. Quegli occhi dorati, poi, erano magnetici...

    Credeva nella sincronicità degli eventi, tuttavia si ostinava ancora a reputare i loro incontri come pura casualità. Non c’erano altre spiegazioni. Non le voleva. Eppure quello sguardo continuava a ossessionarla. Sospirando, si alzò uscendo dalla vasca. Considerata l’ora, decise di andare a letto e leggere qualcosa. La prevalenza dei toni chiari e del bianco rendeva più grande e luminosa la piccola camera da letto di Sofia, le pareti erano rosa; sì, era una donna romantica.

    Appena fu sotto le coperte, Miù e Red piombarono sul letto. «Eccovi qua, monelli!» Pensò a quanto affetto le davano e si sdraiò serena mentre Red faceva le fusa e Miù le leccava la faccia. «Così non posso muovermi!» protestò prima di crollare in un sonno profondo.

    La giornata successiva era di pausa, e volò. Di mattina pulì casa, poi portò Miù a fare una lunga passeggiata, approfittando del bel tempo e intrattenendosi con Julia, la rubiconda e gioviale fornaia giù all’angolo con cui si fermava spesso a chiacchierare.

    TRE

    Markus era alle prese con numerosi grattacapi lavorativi e in quei giorni così fastidiosi il massaggio, quel massaggio, tornò spesso nei suoi pensieri. Deve trattarsi della bravura della massaggiatrice pensava, non dell’atto in sé sui cui benefici reali aveva nutrito sempre parecchie perplessità.

    Come ogni mercoledì mattina ad attenderlo c’era la seconda sessione settimanale di kung-fu.

    Appena lo vide, Lin gli chiese di Sofia e Markus, senza guardarlo negli occhi, rispose fintamente vago: «Notevole bravura, non c’è che dire. Ci tornerò sicuramente, se è questo che vuoi sapere».

    Pensava che, se avesse ripetuto l’esperienza, si sarebbe messo l’anima in pace. Voleva accertarsi del fatto che quelle strane sensazioni fossero dettate da stress e spossatezza annientate da un tocco sapiente e professionale, non da qualcosa di diverso.

    «Certo, non avevo dubbi...» replicò il maestro.

    L’ora volò e, finita la lezione, invece di andare a fare la doccia, Markus fece una capatina al centro benessere, dove, alla reception, c’era la solita collega di Sofia.

    «Buongiorno» salutò cordiale.

    Appena lo vide, la ragazza sbatté gli occhioni azzurri: «Salve! Come posso aiutarla?»

    «Cercavo Sofia...»

    «Inizia alle 10:15» rispose delusa, quasi rassegnata.

    Markus sbirciò d’istinto l’ora: mancavano quindici minuti esatti.

    «D’accordo. Per caso oggi Sofia ha posto per un massaggio?»

    «È appena saltato l’appuntamento delle 10:30, se le interessa».

    Soppesò gli impegni della mattinata, ma la tentazione era troppo forte e la curiosità incalzava.

    «Perfetto, mi fermo. Se la cabina è libera, intanto che mi preparo, dovrei fare delle telefonate».

    «Ma certo! Era già pronta per l’altro cliente. Venga, l’accompagno...»

    «Grazie, non si disturbi. Conosco la strada» e senza aggiungere altro, imboccò il corridoio.

    Non aveva tempo per flirt o altre smancerie, doveva rispondere al telefono, erano due le chiamate perse segnalate sul display. Mancava un attimo e andavano tutti in tilt.

    In cabina c’erano candele e incensi accesi, lui non gradiva quegli odori, così spense tutto. Si tolse la tuta e con la salvietta avvolta al bacino chiamò in ufficio.

    Sofia era in anticipo di qualche minuto e arrivando al centro si fermò al bar, al piano terra. Bevve un caffè e salì al piano di sopra, pronta per la lunga giornata.

    Vedendola arrivare, già da lontano, Cleo prese a farle ampi cenni.

    Esasperata, Sofia si avvicinò alla collega e chiese sottovoce: «Che c’è, ora? Non sono nemmeno arrivata e già ci sono dei problemi?»

    «È qui, ancora per te...»

    «La signora Tina, dici? Certo, lo so».

    «No, no, lei ha disdetto, parlo del signor Meyer».

    Alzò gli occhi al cielo con la mente che prese a vorticare e aggiunse solo: «Ancora?»

    «Già, secondo me gli interessi».

    Sofia scosse la testa infastidita e camminò verso lo spogliatoio degli addetti.

    «Sì, come no! Ha un problema alla cervicale, vado a cambiarmi!»

    Si spogliò indossando il camice, quindi, giunta davanti alla porta della cabina, fece tre respiri.

    Su, cavolo si disse. Non le mangerà mica, le donne!

    Le servì a poco convincere se stessa, girando la maniglia sentiva già i palmi sudati.

    «Ma buongiorno, lieta di rivederla» esordì formale.

    «Ciao. Non riesci proprio a darmi del tu, vero?» Seduto sul lettino a braccia conserte, la scrutò dalla testa ai piedi notando che era più truccata, le gote rosa e il rossetto in tono la rendevano più attraente.

    Imponendosi una buona dose di indifferenza, Sofia cercò di ignorare l’accurato esame a cui lo sguardo di Markus l’aveva sottoposta e si accinse a preparare i prodotti per la seduta.

    «Meglio di no, lei è un cliente» tagliò corto. «Oggi ho intenzione di usare degli oli essenziali che lavorano in sinergia con l’olio da massaggio. Le faccio sentire delle fragranze, lei mi dica cosa ne pensa. Di solito chi esegue il massaggio sceglie in base al trattamento, io invece faccio decidere al cliente. Deve sentire ciò che la fa stare meglio... Prego» si avvicinò con un vassoio argentato.

    Prese la prima fiala e svitò lentamente il tappo, sperando che le mani non tremassero.

    «Rosa».

    «Aspetti, ma se non l’ha ancora sentito?»

    «Tu. Profumi di rosa».

    Sofia sentì il viso andarle in fiamme. Per fortuna nella stanza c’era poca luce, ma non osò alzare lo sguardo comunque, tanto percepiva i suoi occhi indagatori addosso. Occhi ardenti.

    «Ah, certo. Prediligo la rosa, è l’essenza che apre il cuore».

    «Il tuo è aperto?»

    Lo guardò incerta per qualche secondo, la conversazione stava prendendo una piega troppo intima.

    «Certo, indubbiamente... Ma è meglio iniziare, il tempo corre» avvicinò l’olio al suo naso. «Neroli, fiori d’arancio. Essenza rigenerante» concluse.

    La sua voce era calma e bassa, lui fece cenno di no.

    «Camomilla, anti ansia, rilassante». Niente. Sofia continuò: «Lavanda, anche questa calmante...»

    «Non ho capito, pensi che mi debba calmare?» la provocò. «La tua vicinanza già mi calma. Voglio la rosa. Il tuo cuore, oltre che aperto, è anche occupato?»

    Sofia sospirò, chiuse la boccetta e spiegò: «Un cuore aperto non può ingabbiare nessuno. Non ho qui la stessa rosa, ma andrà bene comunque. Si sdrai» lo invitò con la mano. «Sono contenta che abbia scelto la rosa, è da sempre considerata un fiore sacro. La mitologia greca narra che sia nata dal sangue di Venere o da quello di Adone. Ha ispirato la letteratura, da Dante agli altri grandi, le sue spine rappresentano la vita e le varie difficoltà che si incontrano lungo il cammino verso la consapevolezza. Infine, è il simbolo dell’equilibrio».

    Markus ascoltava assorto, la voce bassa di Sofia risuonava melodiosa in lui, come se toccasse dei punti precisi, un massaggio alternativo, intimo, capace di calmarlo.

    «Notevole» replicò.

    «Ora chiuda gli occhi».

    «Continui a darmi del lei, non mi piace» la stuzzicò. «Cosa significa per te avere il cuore aperto

    «È difficile dare una spiegazione sintetica. Posso solo dirle, in breve, che un cuore aperto non giudica, ma comprende...» e si accinse a miscelare l’olio.

    Markus si accomodò, emettendo sospiri di impazienza e lei iniziò come la volta precedente, dai piedi. Chiuse gli occhi, ormai conosceva bene la sua anatomia. Quando arrivò alla coscia, la circondò con le mani per raggiungere la parte anteriore, quella contratta.

    Quasi ansimando, Markus chiese: «Com’è possibile che qualunque zona trattata sia così sensibile?»

    Sofia non diede spiegazioni, si augurò soltanto che il silenzio facesse cadere presto l’argomento e inducesse il cliente a desistere. Non poteva modificare il suo modo di massaggiare, così, finita una gamba, ricominciò dall’altra. Completata anche lì la zona inferiore, si dedicò alle spalle, con particolare attenzione al trapezio e, visto che durante il trattamento precedente lui l’aveva interrotta proprio in quel punto, proseguì spedita sulle braccia. Insolitamente turbata e coinvolta constatò quanto fossero perfette, lunghe e tornite. Armoniose. Prese la mano destra di Markus e provò una sensazione profonda. Sapeva quanto le mani fossero portatrici di informazioni. Si mise nel palmo l’olio caldo e gli massaggiò i palmi, trattando le dita affusolate e forti.

    Markus emise un rantolo, Sofia fece finta di niente e continuò delicatamente poggiando la mano trattata lungo il fianco e passando all’altro braccio cui dedicò la medesima cura.

    «Sono eccitato». Lo disse così, a bruciapelo. Le mani di Sofia si bloccarono, lui, con tono fievole e suadente continuò: «Perché? Anche l’altra volta mi è capitato».

    Sofia temeva quel tipo di confessione. Non le era mai successo, ma sarebbe potuto accadere. Perché proprio con lui, però? Si schiarì la voce e, con tono indifferente, rispose: «Ogni zona è sensibile e, diciamo, potenzialmente erogena... Gli occidentali, però, tengono poco conto di questo».

    «Ah, davvero? Quindi tu non saresti un’occidentale

    «Sì, ma ho approfondito l’argomento».

    La curiosità di Markus divenne irrefrenabile.

    Sofia valutò l’ipotesi di smettere e ritornò alle spalle, per andare a concludere.

    «Voglio saperne di più» incalzò lui.

    «Con la ricerca si comincia a sviluppare interesse per tutto il corpo, per le varie tecniche, e quando sono stata in India ho capito esattamente in cosa ci differenziamo da loro».

    «In cosa?»

    «Non è il luogo né il momento. Sto lavorando e lei è un cliente, non un amico. Oltretutto mi ha appena fatto una confessione che non mi era mai capitato di sentire prima...»

    Markus rimase in silenzio. Dalle spalle, Sofia si allungò verso le braccia per terminare il massaggio. Quando il suo seno si poggiò sul dorso del cliente, una scarica di brividi scosse Markus.

    «Ahhh, basta! Questo è tutto fuorché rilassante, credimi. Sicuramente se qualcun altro si è eccitato - e sarà capitato, fidati - non te l’avrà detto!»

    Sofia ritrasse le mani sconcertata e Markus si sollevò per metà, inchiodandola con lo sguardo.

    «Il trapezio era ancora contratto, ho fatto del mio meglio» comunicò con distacco, indietreggiando.

    «Non me ne frega un cazzo del mio trapezio!»

    «Sono mortificata. Qui non si eseguono massaggi erotici! Esco, lei si prepari».

    «Guardami!» Sofia era già sulla porta, di spalle, ma non poté fare a meno di voltarsi. «Dobbiamo uscire insieme. Devo approfondire».

    «No, mi spiace, non sono interessata» e senza aspettare risposta uscì dalla cabina.

    Dall’altra parte, al sicuro da quello sguardo inquietante e dopo aver chiuso la porta dietro di sé, Sofia si appoggiò al battente con una mano sul petto, fece un lungo respirò e andò ad attenderlo alla cassa, dove le sarebbe toccato per forza salutarlo.

    Cleo era occupata e Markus procedeva verso la reception. Aveva lo sguardo ancora più serio di prima, come se fosse tormentato da un dilemma. Aveva appena fatto la doccia e indossava un completo grigio con sotto una maglia a girocollo aderente e nera. In sottofondo, Halo di Beyonce. Sofia assistette all’avvicinamento di Markus come se questi fosse circondato da una luce particolare e pensò che la canzone fosse perfetta. Cercò di non tradire emozioni e pensieri.

    Lui le porse la carta di credito e lei la utilizzò riconsegnandogliela poco dopo a testa alta.

    «Grazie, mister Meyer. Sempre a sua disposizione».

    Markus si sporse sul bancone e una folata di citrus e sandalo investì le narici di Sofia.

    «Non ripeterò questa tortura, a meno che tu non mi convinca eseguendo il tuo massaggio a letto».

    Stava per rispondergli, ma quando comprese il vero senso della frase restò allibita e, alzandosi dallo sgabello, si lisciò nervosamente il camice con le mani replicando: «Questa sua villana allusione non merita risposta, la saluto!»

    «Allora rifiuti l’invito? Da quanto dici non sei legata a nessuno... Non sarai mica lesbica, vero?»

    «Non crede esistano altre motivazioni per declinare un invito?» sibilò sprezzante. «Lei è davvero un essere arrogante e insolente. Bah, incredibile!» scosse il capo infastidita.

    Markus sorrideva, finalmente, dopo parecchio tempo, sembrava che qualcosa lo entusiasmasse.

    «Ottengo sempre ciò che voglio» disse. «Non sai ancora con chi hai a che fare. A presto».

    Che supponente! Che uomo incorreggibile! pensò irritata guardandolo sparire dietro l’angolo.

    Cleo rientrò proprio in quel momento.

    «Sofi, ci sei?»

    «Eccomi, arrivo!»

    Si sentiva spossata, pervasa da una sensazione di vuoto profondo, rifiutò di analizzare gli eventi in maniera razionale. Una curiosità e un’attrazione incomprensibili e potenti la spingevano verso di lui. Quell’uomo ruvido disattivava le sue difese, sperava di non incontrarlo mai più.

    Con un sorriso sfacciato sulle labbra, Markus salutò Jack, il suo autista, un omone di centodieci chili. Salì a bordo del GLE Mercedes- Benz nero e disse: «Andiamo in sede, grazie».

    «Certo, mister Meyer».

    L’autista chiuse la portiera e condusse il fuoristrada nel traffico.

    QUATTRO

    La notizia del corso di formazione professionale fu accolta con entusiasmo da Sofia, almeno, nei prossimi giorni, non avrebbe rischiato di incontrarlo. Uscì di casa molto presto per portare Miù e Red alla pensione per animali, misura necessaria perché il meeting si sarebbe svolto in un centro congressi a molti chilometri di distanza e non sapeva con esattezza quando sarebbe rientrata.

    Durante l’evento rivide parecchie persone di sua conoscenza e, guardandosi intorno, constatò quanto il numero degli uomini che sceglievano il suo stesso mestiere fosse in crescita.

    «Ciao Sofi, come stai? Ti vedo in forma». Si voltò e fu felice di salutare Ivan, un collega dei tempi del suo arrivo in Austria. Ventinove anni, magro e di statura media, capelli castani e grandi occhi nocciola: non era cambiato affatto. La abbracciò calorosamente «Sei radiosa!» le sussurrò a un orecchio, invitandola con lo sguardo a fare un giro su se stessa per poterla ammirare meglio.

    «Grazie, così mi fai arrossire! Anche tu stai molto bene, chissà quante cose avrai da raccontarmi».

    «Stasera ceniamo insieme, mi spiace che non abbiamo tante occasioni di vederci».

    Sofia sorrise tenendolo a braccetto e presero posto in terza fila.

    «Il presidente della Gold, Berger, è davvero affascinante, non trovi? Dicono sia gay...» le sussurrò.

    Sofia cercò Berger nel gruppo di persone riunite davanti alla platea: «Quello moro, il tizio alto?»

    «Sì, proprio lui. Lo vedi?»

    Sofia fece sì con la testa e commentò delusa: «Ah... Bello, sì, ma davvero è gay?»

    «Certo, tesoro! Come la maggior parte degli uomini belli!»

    Sofia disapprovò teatralmente con una smorfia seguita da un risolino, poi disse: «Mio caro, posso confermarti che hai torto, ne ho conosciuto uno giorni fa e non è omosessuale. Fidati».

    «Ecco cos’è che ti rende così raggiante: sei presa da quell’uomo!»

    Sofia rifletté su quelle parole e si abbandonò sulla sedia, poi, incrociando le braccia al petto, riprese a parlare: «No, ti sbagli di grosso. Sono solo stupita dal fatto che una come me abbia attirato la sua attenzione... Pensa che, trovando strano il mio rifiuto, mi ha chiesto se fossi lesbica».

    Ivan la squadrò sgranando gli occhi: «Davvero ti ha detto una cosa una genere? Cara, a parte essere un villano, si vede che non ti conosce affatto!»

    Sofia si limitò ad annuire meccanicamente, lo sguardo fisso in avanti.

    «Signori, ben trovati! Siamo qui, quest’oggi...»

    L’esordio di mister Berger l’aveva salvata, il meeting era ufficialmente iniziato.

    «Dopo mi racconti tutto, okay?» fece Ivan.

    «Non c’è nient’altro da sapere» replicò secca, a voce bassa, guardando sempre avanti.

    Durante la pausa pranzo consumarono uno snack veloce e bevvero un caffè, poi il meeting riprese e, a fine giornata, Ivan le parlò di una locanda in zona, piatti tipici e ottima cucina. Arrivarono intorno alle sette e occuparono un tavolo sotto la finestra. L’ambiente era caldo e intimo, predominava il legno e tendine e tovaglie con colori e fantasie tipicamente tirolesi spiccavano su tutto.

    «Ivan, sono affamata!» esclamò sospirando con il menù in mano.

    Lui incrociò le braccia sul tavolo e iniziò a fissarla: «Che c’è?» le disse. «Sei più viva del solito...»

    «Cacchio, bel complimento!» rispose Sofia alzando gli occhi al cielo.

    «Dai, sai cosa voglio dire, il tuo viso è più... luminoso. Su, raccontami di lui».

    Sofia si fissò le mani e prese a giocherellare con la fedina. Lo faceva spesso quand’era nervosa. La cameriera arrivò per le ordinazioni. «Per me canederli, grazie, e una bottiglia d’acqua» disse decisa.

    Ivan la imitò accompagnando il primo con un calice di rosso.

    «Non mi fai compagnia con il vino?» chiese poi all’amica.

    «Non sono in vena».

    Il collega tornò a fissarla incalzando: «Parlami di quest’uomo, dai».

    «Non c’è nessun uomo!»

    «Su, ti si legge in faccia che c’è. E poi, si sa, fa sempre piacere essere corteggiati».

    «Si chiama Markus» ammise imbarazzata. «Molto bello, probabilmente molto ricco e... molto libertino. Ci siamo conosciuti per caso e poi è venuto al centro per dei massaggi. Che altro dire, ho declinato un suo invito per cena e... dopocena».

    La curiosità di Ivan crebbe vertiginosamente: «Dimmi di più, come è stato l’incontro?»

    «C’è una strana energia tra noi, credo che lui sia rimasto piuttosto colpito da me. Dice che non gli era mai successa prima una cosa del genere. Ma, non sono interessata a ciò che potrebbe accadere uscendo con lui, anche perché è evidente a cosa mira».

    «Senti, perché non ti vivi il momento? Hai diritto a qualche esperienza diversa, più emozionante...»

    «Mi conosco, Ivan, potrebbe coinvolgermi troppo. Ho un brutto presentimento, si tratta di qualcosa di troppo irrazionale per i miei gusti. Sicuramente si farà vivo ancora, perché sembra che basta che schiocchi le dita e ha il mondo ai suoi piedi. Credo abbia preso il mio rifiuto come una sfida».

    «Capisco. Come al solito, da brava conoscitrice dell’anima, ti sei già figurata il quadro completo... E come credi di gestire tutto questo? L’hai ammesso tu stessa: uno così potrebbe insistere».

    «Sono sempre stata troppo riflessiva, lo sai, tuttavia, se dovesse continuare, mi piacerebbe soltanto fargli comprendere che siamo diversi».

    Arrivarono i piatti e Ivan fissò prima le consumazioni e poi Sofia.

    «Sai cosa c’è?» continuò lei. «Quell’uomo, con la sua insistenza, gratifica il mio ego, mi fa sentire interessante, speciale. Sono disorientata. Pensavo di aver imparato a gestire quel tipo di emozioni».

    «Non troverai mai il compagno ideale. Mi chiedo solo se ci sarà mai un’altra persona adatta a te».

    «Probabilmente non più» commentò facendo spallucce.

    Le giornate successive passarono senza nulla di rilevante. Routine o poco più. Sofia cenò in altre occasioni con Ivan, perché per entrambi era stato un piacere ritrovarsi. Il venerdì il corso durò solo mezza giornata, fino alle tredici, e quando furono nel parcheggio, Ivan raccomandò per l’ennesima volta a Sofia di prendersi cura di sé.

    «Sai che lo faccio» lo rassicurò abbracciandolo. «Mi raccomando a te, piuttosto».

    Si promisero solennemente che si sarebbero visti prima di Natale.

    A casa Sofia fece una doccia poi chiamò al lavoro e raccontò, grandi linee, com’era andata.

    «E lì, invece, tutto okay?» chiese infine alla collega.

    «Sì, a parte i soliti elementi che conosci, voglio dire. La signora Kruger mi ha fatto un sacco di storie perché sosteneva che la profumazione dell’olio che ho adoperato, almeno secondo lei, era diversa da quella che usi tu. Ma ti rendi conto? Ah, dimenticavo, ha chiamato il signor Meyer chiedendo esplicitamente di te».

    «Cosa gli hai detto?»

    «Che eri a un corso e saresti tornata al lavoro la settimana prossima. Voleva a tutti i costi il tuo numero di telefono... Stasera comunque sei a yoga, giusto?»

    Sofia non si capacitava del fatto che Markus non demordesse, tuttavia, in fondo in fondo, la cosa la lusingava, benché fosse ancora convinta di non accettare suoi inviti.

    «Sì, yoga, come ogni venerdì. Ci vediamo lunedì. Bacio, buon weekend!»

    «Bene, gioia, a lunedì! Bacio».

    Guardò l’ora e cercò di togliersi quella certa persona dalla testa. Doveva ancora andare a prendere Miu e Red prima delle lezione, ed era già tardi. Indossò fuseau blu e una maglia morbida e colorata. Arrivò al centro giusto in tempo . Cercò un posto in fondo alla sala non pienissima, le altre persone, almeno la maggior parte, erano concentrate nelle prime file. Mise a terra il telo, assunse la posizione del loto, raccolse i riccioli vaporosi a mo’ di chignon e chiuse gli occhi, raddrizzando busto e spalle. Aveva solo pochi minuti per concentrarsi, allontanare tutti i pensieri molesti e rilassarsi.

    «Ma che splendida

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