Una scoperta meravigliosa: Harmony Collezione
3.5/5
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Info su questo ebook
Quando Michael D'Alessandro scopre che tre anni prima l'ex moglie ha messo al mondo un bambino e l'ha dato in adozione, l'unico desiderio è ritrovarlo e recuperare il tempo perso. Rintracciarlo risulta semplice, la difficoltà si chiama... Camille,la madre adottiva del piccolo Jeremy. Tra loro due, infatti, esplode una passione immediata e travolgente che impedisce a Michael di raccontarle la verità. Inoltre il loro legame è malvisto dai futuri suoceri, che tramano fino a...
Catherine Spencer
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Recensioni su Una scoperta meravigliosa
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Anteprima del libro
Una scoperta meravigliosa - Catherine Spencer
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
D’Alessandro’s Child
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 2001 Catherine Spencer
Traduzione di Maria Paola Rauzi
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.
© 2003 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5894-181-2
www.harlequinmondadori.it
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1
Mike aveva pianificato di osservare il bambino da lontano, e di verificare, per quanto possibile, che vivesse in un ambiente sereno e che tutto fosse a posto.
Avrebbe poi fatto visita per l’ultima volta alla ex moglie in fin di vita, cercando di rassicurarla e di alleviare i rimorsi che le torturavano il cuore, infine sarebbe salito sul primo volo che da San Francisco lo avrebbe riportato a Vancouver, senza rivelare ad anima viva che quattro anni prima quella donna aveva concepito suo figlio. Lui stesso si sarebbe sforzato di dimenticarsene...
Gli era sembrata la decisione migliore, la più umana. Che diritto aveva lui di comparire all’improvviso a complicare una situazione che ormai aveva un suo equilibrio?
Quelli, però, erano i suoi pensieri prima. Prima che si trovasse di fronte al bambino sulla giostra, prima che vedesse i suoi capelli scuri così simili ai suoi e sentisse la sua risata contagiosa.
Lo stomaco gli si strinse, e osservare da lontano non fu più sufficiente. Voleva toccarlo, parlargli, ascoltarlo, voleva sapere tutto di quel figlio venuto al mondo a sua insaputa tre anni e mezzo prima: qual era il suo gioco preferito, di cosa era goloso, se gli piaceva la musica, o giocare a pallone, nuotare, pattinare.
A pochi metri da lui la donna, la madre, salutò con la mano il piccolo che stava passandole davanti sul pony colorato. «Tieniti stretto, tesoro» gridò con una voce melodiosa.
Tieniti stretto!, ripeté mentalmente Mike con ironia. Forse se lui e Kay si fossero tenuti stretti il loro matrimonio non si sarebbe trovato lì in quel momento, a cercare disperatamente un modo per iniziare una conversazione senza destare sospetti.
Già sentiva su di sé gli sguardi della gente, incuriosita dalla presenza di quello straniero nel parco di una cittadina piccola e benestante come Calder.
La giostra si fermò e la donna, sollevandosi sulla punta dei piedi, lo chiamò. «Sono qui, Jeremy.»
Jeremy? Aveva sentito nomi peggiori, anche se quello non era certamente uno dei suoi preferiti. Un uomo aveva bisogno di un nome forte e virile. Come Michael, si disse. E un cognome che sottolineasse le sue origini... Come D’Alessandro.
Il bambino scese dal pony e nella fretta di raggiungere la madre scivolò e cadde praticamente ai suoi piedi. Istintivamente lui si chinò per aiutarlo a rialzarsi. C’erano macchie di erba sul ginocchio. Il suo corpo era solido e gli occhi marroni che lo fissavano erano uguali a quelli di Kay.
Come descrivere l’emozione di quell’istante? Era come se una voragine si fosse aperta nella sua anima, e Mike venne colto da un senso di perdita così acuto da togliergli il respiro. Il piccolo che si scansava impaurito era sangue del suo sangue.
Avrebbe desiderato rassicurarlo, accarezzargli le guance, abbracciarlo teneramente e sussurrargli nell’orecchio: Non devi avere paura di me. Sono il tuo papà.
Invece mormorò solo un: «Attento, piccolo!» e si bloccò. Non aveva problemi a ridere e scherzare con i suoi nipoti gemelli di quattro anni, ma con quel bambino doveva misurare le parole, e controllarsi.
Un’ombra gli si parò davanti oscurando la luce del sole. «Vieni qui, Jeremy.»
La voce, anche venata da un senso di allarme, rimaneva pur sempre melodiosa e la mano che allontanava il figlio dallo sconosciuto era esile e delicata, con dita affusolate e unghie laccate di rosa pallido.
Sollevando lo sguardo Mike si trovò di fronte due occhi azzurri. Fece un passo indietro e osservò: «Ha preso un colpo, ma non credo si sia ferito».
La donna era troppo educata per ribattere che non le importava quello che pensava lui, tuttavia quel messaggio fu evidente dal tono gelido con cui rispose: «Ne sono sicura anch’io. Grazie comunque per il suo interessamento. Jeremy, ringrazia questo signore per averti aiutato».
«Grazie» ripeté il piccolo ubbidiente, osservandolo con la curiosità tipica dei bambini di tre anni, adesso che era al sicuro vicino alla madre.
Mike avrebbe tanto desiderato poter arruffare con una mano i suoi capelli neri, ma la cosa era fuori discussione. La donna lo stava fissando con uno sguardo penetrante e l’istinto materno all’erta. Infilando i pollici nelle tasche posteriori dei jeans e stampandosi in volto un sorriso che sperava non sembrasse troppo artefatto, si limitò a borbottare: «Ciao, piccolo».
La madre lo prese per mano e si voltò. «Dobbiamo andare. Be’, grazie ancora.»
Lui li osservò mentre si allontanavano. Lei aveva il portamento altero di una principessa e Jeremy le saltellava attorno allegro. Hai raggiunto l’obiettivo che ti eri proposto venendo qua, gli suggerì la sua parte razionale. Il bambino è ben vestito, nutrito ed educato, e anche uno stupido capirebbe che sua madre lo adora. Torna da Kay e dalle la buona notizia, poi dimentica che questo pomeriggio sia mai esistito.
Mike guardò madre e figlio che raggiungevano il buffet allestito sotto una grande tenda a righe. La scena, perfetta in ogni dettaglio, sarebbe stata ideale per un dipinto. Peccato che non riuscisse a cancellare dalla sua mente l’immagine della stanza del St Mary Hospital di San Francisco e il volto di Kay sofferente, reso ancora più spettrale dall’angoscia e dal dolore.
«L’ho dato via» gli aveva sussurrato con gli occhi infossati pieni di lacrime, aggrappandosi alle lenzuola con le dita scheletriche. «Ho scoperto di essere incinta proprio quando stavo per ricominciare tutto da capo. Ero così vicina a realizzare i miei sogni, sentivo già l’odore del successo... Non potevo occuparmi di un bambino, Mike, non allora.»
Ma io sì, pensò lui che, dopo quanto era successo quel pomeriggio, non poteva più andarsene e dimenticare l’esistenza di Jeremy, di suo figlio.
«Chi è il tuo ammiratore segreto, Camille?»
Sebbene la domanda fosse stata posta con un tono divertito lei non poté fare a meno di arrossire. «Non so a cosa tu ti stia riferendo.»
«Dai, è con me che stai parlando!»
Camille avrebbe dovuto sapere che non era facile ingannare la donna che, sin dai tempi dell’asilo, era sempre stata la sua migliore amica. Frances Knowlton aveva condiviso la sua passione per Mortimer Griffin a nove anni, l’aveva aiutata a tingersi i capelli di un orribile rosso a quindici, sostenuta quando a venti aveva affrontato un matrimonio con quattrocento invitati, e le era stata vicino il giorno del suo divorzio.
«Se ti stai riferendo all’uomo seduto a quel tavolo laggiù» disse rifiutandosi di guardarlo, «ci siamo incontrati casualmente alla giostra. È stato gentile con Jeremy.»
«Il che, senza dubbio, spiega perché ti ecciti al solo menzionarlo. Di certo non posso biasimarti.» Fran, che non prestava molta attenzione alle convenzioni sociali, abbassò gli occhiali da sole e fissò attentamente lo sconosciuto. «Se non fossi felicemente sposata con l’uomo più sexy della terra farei un pensierino su Mister occhi blu prima di chiunque altra, te compresa, mia cara.»
Lei dovette ammettere che l’amica aveva ragione. Lo sconosciuto aveva due occhi di un blu intenso che spiccavano sul viso abbronzato. Inoltre quello sguardo affascinante e intenso era peggio di una calamita e la distraeva da Jeremy.
«Non è una vergogna che, proprio come te, sia solo?» osservò Fran appoggiando il tovagliolo e allungando le gambe sulla panca. «Rispolverando lo spirito d’ospitalità della nostra piccola cittadina penso che dovrò fare qualcosa.»
Le guance di Camille si imporporarono di nuovo. «Ti prego! Innanzi tutto non sono sola. Sono con Jeremy e...» cercò inutilmente di bloccarla. Fran, risoluta, stava già dirigendosi verso l’uomo seduto alcuni tavoli più in là.
Mike la ascoltò e la sua iniziale espressione perplessa lasciò il posto a un sorriso. Un momento più tardi si alzò, raccolse il proprio piatto e seguì quella donna briosa fino al tavolo dove c’era una Camille impietrita dall’imbarazzo.
«Se fossi in te cercherei di tenere tua moglie a freno» sibilò rivolta ad Adam Knowlton.
Questi sorrise. «C’è poco che io possa fare. È sempre stata così e non la vorrei diversa.»
Fran si accomodò vicino al marito così che Mike fu costretto a sedersi accanto a Camille.
Lo sconosciuto si presentò come Michael D’Alessandro, e li informò che si trovava lì per lavoro. Abitava a Vancouver e possedeva un’impresa edile. Disse che in Canada lo stile architettonico californiano era molto apprezzato e richiesto, per quello si era spinto fin lì per studiare un progetto edilizio che aveva intenzione di realizzare su un terreno che aveva recentemente acquistato. Specificò anche che era arrivato a Calder per caso e l’aveva trovata una cittadina pittoresca.
Mike raccontò molte altre cose di sé, e si proclamò fortunato per avere conosciuto Adam, che era un architetto specializzato in costruzioni e materiali antisismici.
Non si sottrasse nemmeno alle domande fin troppo dirette di Fran. Sposato? Non più. Viaggiava da solo? Sì. Era di passaggio o pensava di fermarsi un po’? Non aveva programmi né vincoli, dal momento che era il proprietario della sua società e poteva decidere di organizzarsi come meglio credeva.
Mentre rispondeva a quel fuoco di fila di domande trovò anche il tempo di prestare attenzione a Jeremy, intrattenendolo con la facilità di chi era abituato ad avere a che fare con bambini piccoli. Il bimbo pendeva dalle sue labbra e con l’orgoglio dei suoi tre anni a un certo punto annunciò tutto d’un fiato: «So nuotare, ho una palla e mi sono tagliato i capelli». Informazioni che Mike assorbì con estrema attenzione.
L’istinto di Camille le suggeriva che quell’uomo sarebbe stato una fonte di guai, a partire da quegli occhi magnetici, il sorriso affascinante e la voce calda e sexy.
Sexy? Quasi cadde dalla panca dallo stupore. Come poteva aver formulato quel pensiero? Doveva avere preso un colpo di