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La stirpe di Lucas
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E-book391 pagine6 ore

La stirpe di Lucas

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Info su questo ebook

  Un senso di incompletezza accompagna Lucas, un’inspiegabile inquietudine lo spinge ad affrontare la sua vita un momento alla volta, portando con sé la scomoda eredità dei suoi ricordi.
  Fino a quel giorno.
  Un insolito fenomeno si rivela a lui, un passaggio verso una scoperta che lo cambierà per sempre e lo coinvolgerà in un’esperienza unica ed incredibile.
  Un viaggio iniziatico intrapreso insieme a pochi altri verso l’ignoto che li obbligherà a riflettere sul senso della vita per gli uomini e sulle terribili implicazioni delle loro scelte. Una presa di coscienza collettiva su cosa l’uomo è diventato.
  Non si può immaginare nulla di più desolante e definitivo dell’estinzione della specie umana, eppure lui gli altri prescelti dovranno affrontare una sfida contro il tempo per salvare un sogno e conquistarsi un futuro.
LinguaItaliano
EditoreDan Ubsar
Data di uscita25 ott 2020
ISBN9791220211970
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    Anteprima del libro

    La stirpe di Lucas - Fabio Giudice

    529

    1 - LA RIVELAZIONE

    Lucas è in moto. Sta percorrendo gli ultimi tornanti che lo riporteranno a casa. Ha 26 anni, un fisico atletico, occhi scuri e capelli neri trattenuti all’indietro da un laccio di cuoio. È un uomo decisamente attraente. Dalla madre macedone ha ereditato gli occhi ed una risolutezza di spirito non comune, che lo aveva già salvato in numerose occasioni nel tortuoso sentiero della sua giovane vita. Il padre canadese gli aveva regalato un fisico statuario e lo smisurato amore per la natura. Per oggi ha finito, ha riparato il tetto di una baita poco lontana, un lavoro semplice ma che gli ha fruttato una buona ricompensa oltre ad avergli concesso l’opportunità di lavorare all’aperto e di impegnare la mente. Già, impegnare la mente è diventato per lui un scopo primario, da quando, circa un anno prima, ha cominciato a riflettere sulla sua vita. All’inizio era solo un pensiero emarginato nei recessi della sua mente, che fluttuava sottotraccia e compariva raramente, ponendolo di fronte ad interrogativi ingombranti, poi, con il tempo, quest’idea aveva preso consistenza ed era diventata insistente, fino a trasformarsi in una presenza ricorrente e silenziosa che provocava in lui un senso di inquietudine ed una condizione psicologica di insoddisfazione ed incompletezza.

    Anche adesso, che ha terminato il suo lavoro e sta correndo con la moto, si sta concentrando sulle sensazioni e sulle percezioni fisiche, il vento sulla pelle, lo scorrere delle immagini, il rombo del motore, le vibrazioni del telaio, qualunque cosa che possa distoglierlo da quelle domande senza risposta. Non ha avuto una vita facile, un più attento e approfondito esame dei suoi occhi e del suo comportamento, rivelerebbe una persona più matura della sua età anagrafica, più triste forse e sicuramente disillusa.

    Tuttavia, a dispetto di questo, gli occhi scuri possono comunicare facilmente i sentimenti e le emozioni che fluiscono libere in lui ed inducono quasi ad una dipendenza, nel tentativo di continuare ad apprezzarne l’assoluta linearità e coerenza con la propria anima. Il sorriso è però la sua vera caratteristica, una naturale e genuina manifestazione di ciò che gli occhi hanno già anticipato, mai nulla di inespresso o trattenuto, una disarmante offerta di sé stesso senza condizioni.

    Eppure avrebbe poco per cui sorridere, la sorte, per nulla benevola, si è accanita su di lui quasi a volerlo spezzare, e fin da subito ne aveva saggiato la resistenza. Lucas infatti perdeva i genitori all’età di 12 anni.

    Suo padre era un commerciante di legnami che viveva in Canada ed aveva conosciuto la sua futura madre durante una festa locale, nata molti anni prima per festeggiare uno dei più vecchi e tenaci scapoli del paese, che finalmente convolava a nozze.

    Successivamente fu rinnovata di anno in anno, modificandone lo scopo in un imprecisato e propiziatorio omaggio alla fertilità familiare, un po’ come nei rituali dedicati alla Dea Madre Terra.

    Si piacquero subito e dopo un anno si sposarono. Si stabilirono nella casa di lui, una vecchia baita ristrutturata a due piani, in cima ad una collina, tra Telkwa e Houston vicino al Mc Quarrie Lake nella Columbia Britannica, con vista impareggiabile su un piccolo lago e la circostante foresta di conifere che faceva da cornice.

    La bellezza del posto era tale che persino le scomodità dovute all’isolamento invernale ed all’ultimo tratto di strada dissestata erano per loro un prezzo accettabile da pagare di fronte alla possibilità di vivere in totale sintonia con la natura e stabilire con essa un legame di mutua simbiosi. Dopo poco arrivò Lucas, circondato dall’amore e dalle attenzioni dei due genitori. Imparò ad amare il piccolo mondo circostante, con occhi disponibili ad accettare la natura così com’era, apprezzandola e rispettandola, ma comprendendo anche la sua ambivalenza, da dolce e accogliente poteva diventare crudele e spietata.

    Sebbene giovane, percepiva già il fragile filo che legava le esistenze, una silenziosa e spesso inconsapevole comunanza di intenti che era la vita, come lo stringersi le mani per affrontare insieme qualcosa di imponderabile ma consapevoli di avere, tutti, il diritto di esserci. Talvolta capitava che si fermasse ad aiutare qualche giovane uccello a riprendere il volo, un allocco o una ghiandaia bloccate a terra, oppure a soccorrere qualche roditore ferito ma scampato ad un attacco di una lince.

    Era con questo profondo e radicato senso di appartenenza che si rivolgeva agli altri, ai pochi bambini della comunità del paese, rivelando già quella che sarebbe stata la sua principale peculiarità: schierarsi a paladino dei più deboli.

    Poi tutto finì.

    L’involucro protettivo che doveva condurlo ad essere un adolescente prima ed un giovane adulto dopo, si frantumò nell’istante in cui i genitori morirono in un incidente stradale di ritorno da una riunione del Consiglio comunale sulla regolamentazione del disboscamento locale. Il corso della sua vita mutò repentinamente, e lui fu affidato alle Istituzioni fino al raggiungimento della maggiore età. L’azienda paterna, che scoprì poi essere indebitata, fu pignorata dalle banche, e solo per fortuna, ciò bastò a ripagare i creditori, che altrimenti si sarebbero appropriati anche della sua casa. In questa fase della sua vita conobbe dinamiche diverse nel rapportarsi con gli altri, scoprì con stupore, quanto la violenza e la forza fossero l’elemento dominante nello stabilire una gerarchia sociale nei gruppi, e si rese conto con sgomento che non erano la ricerca del benessere comune e del mutuo soccorso, i principi ispiratori che guidavano le azioni degli uomini, ma soltanto l’esercizio del potere a beneficio di pochi e talvolta anche fine a sé stesso.

    Come l’ossigeno alimenta la fiamma, nello stesso modo, i soprusi acuivano in lui due aspetti caratteriali preminenti: la totale e incondizionata difesa di chi veniva vessato e tiranneggiato ed una volontà formidabile nel portarla avanti.

    Il primo, istintivo ed incontrollato, nasceva per proteggersi dall’innaturale e dissonante comportamento di distruzione che era implicito in quegli atti di violenza, mentre il secondo era più viscerale ed auto alimentante, e si comportava come un nodo scorsoio, diveniva via via più saldo quanto più si metteva alla prova. Si palesò in questi frangenti una genuina ed incontaminata rabbia che lo aiutò nell’affrontare situazioni difficili.

    << Ehi piccolo sparecchi tu il mio tavolo? Quando hai finito sali su, al piano di sopra, la nostra stanza è l’ultima a destra, in fondo al corridoio.

    Oggi è il giorno della pulizia, guarda di farla bene altrimenti io ed i miei amici ti spacchiamo subito il culo.>>

    Questo era stato il suo benvenuto.

    < Perché è così bastardo?> Pensava sconsolato. < Non gli ho fatto niente.> Non sapeva come trattare questi ragazzi e come gestire se stesso, nel suo apprendimento alla vita non era ancora arrivato al capitolo: tecniche di sopravvivenza all’interno di un branco appartenente alla specie umana. All’inizio non prestò attenzione alle perentorie disposizioni di Fred e dei suoi amici, poi un giorno, in una zona tra le tante, poco controllata dal personale, fu circondato, volarono calci e pugni e non poté che rannicchiarsi sperando che tutto finisse. In quel momento il tempo sembrò fermarsi e lui tornò indietro di qualche anno quando si accucciava dietro al grande acero della sua casa per simulare un attacco di un felino e sorprendere suo padre totalmente indifeso, che a quel punto, fingeva un puro terrore di fronte ad un tale furore animalesco di quel cucciolo di uomo.

    Una lacrima rigò la sua guancia graffiata, ma non erano le percosse, era la lenta ma inesorabile consapevolezza di ciò che aveva perduto, la dissoluzione delle residue illusioni di una vita precedente, lontana milioni di anni.

    Fu curato e curato di nuovo, ma Lucas non si piegava, non reagiva in alcun modo alle provocazioni, e quando ne aveva la possibilità faceva valere le sue ragioni, almeno a parole, ma non serviva, non era quello che loro volevano sentirsi rispondere.

    Tutto questo durò fino a quando Fred ed i suoi amici non tornarono ad occuparsi delle precedenti prede.

    Fu un errore per loro.

    Se poteva sopportare soprusi e derisioni in quanto bersaglio, non riusciva a tollerarlo, se rivolte ad altri. Questo era lui, e così, quando si avvicinarono a Tommy, un ragazzino con un evidente problema all’anca destra che lo obbligava ad un innaturale trascinamento della gamba, Lucas si irrigidì.

    << Ciao Tommy, ti siamo mancati? Zoppichi meno oggi, forse stai guarendo e non ci dici niente… e noi come faremo senza il nostro strisciamerda? >> Risata generale.

    << Non posso guarire, lo sapete. >> Disse con rassegnazione. Fred non se ne curò e proseguì. << Dai su! Gioca con noi, oggi facciamo corsa campestre. >> Nuove risate, il branco era in gran forma quel giorno, poi il più grosso si staccò dal gruppo e senza un motivo, gli diede uno spintone talmente violento da farlo cadere pesantemente a terra, quindi si girò verso Fred per ricevere il giusto tributo di approvazione per quel gesto.

    Lucas aveva 12 anni, si alzò, si mosse deciso verso Fred e si piazzò davanti a lui. Lo guardò negli occhi dal basso verso l’alto e con una calma glaciale gli sussurrò: << Se tu e i tuoi amici gli farete ancora del male, tu avrai solo due possibilità Fred, o mi uccidi adesso, oppure vivrai sempre nella paura, perché prima o poi ti addormenterai nella tua stanza ed io sarò lì con il coltello da cucina di Nick il cuoco e te lo pianterò nel cuore, ed io sono molto paziente. >>

    Il ghigno di Fred si spense. Non fu per quello che disse ma per come lo disse, lui lesse negli occhi della sua vittima preferita una tale furia a stento nascosta dall’apparente tranquillità che non ebbe dubbi su quella minaccia e capì che l’agnello era diventato lupo.

    Negli anni a seguire questa sua incapacità di adattarsi ad uno schema predefinito e ad una legge non scritta che premiava soltanto i più forti, lo rese subito famoso all’interno dell’orfanotrofio, e per ironia della sorte, fu considerato come un soggetto rissoso ed una persona socialmente difficile, sicuramente disaggregante.

    Ma lui aggregava invece, univa le anime e le vite dei più deboli che si facevano intorno a lui, attratte da un muto richiamo di appartenenza e riconoscimento. Il fatto che fosse sempre coinvolto in qualche zuffa, non poteva attribuirsi al suo carattere iracondo, ma al diffuso livello di ingiustizia praticata all’Istituto.

    I rapporti periodici sull’andamento della disciplina nell’Istituto testimoniavano di un ragazzo, sempre in punizione e purtroppo spesso in infermeria, dove poteva curare le sue ferite superficiali, mentre quelle interiori, sarebbero invece restate come eredità nel suo patrimonio emotivo di conoscenza umana.

    A quindici anni, era l’indiscusso riferimento per i ragazzini dell’Istituto, aveva rotto gli schemi comportamentali precedenti ed aveva stabilito una rete di rapporti basati sulla solidarietà ed amicizia, un antidoto che potesse in qualche modo alleviare la sofferenza e la solitudine tra quelle sfortunate esistenze.

    A diciott’anni anni compiuti, gli fu consegnata la sua vita da adulto, e mentre percorreva il piazzale dell’Istituto per raggiungere il cancello di uscita, i ragazzini gli si fecero intorno salutandolo e seguendolo con gli occhi per non interrompere quel legame visivo che ancora li confortava. Per lui, che già aveva il cuore sulla pelle, la prova più dura doveva ancora arrivare, era di fronte, vicino al cancello. Era Tommy che lo aspettava.

    Appena giunto di fronte all’amico gli dava una spinta e sogghignando gli diceva: << Non penserai di andar via senza prima sfidarmi ad una corsa campestre…stronzetto! >>

    << Sei il solito storpietto molesto e linguacciuto, pensi forse che ti libererai di me? Tra pochi mesi uscirai anche tu, quindi non farla troppo lunga.>> Non dissero altro perché non serviva, si abbracciarono con calore e poi Lucas si girò verso i suoi compagni di viaggio, salutandoli un’ultima volta con l’ormai consueto e rassicurante segnale, alzò la mano destra e sollevò prima soltanto l’indice e poi in sequenza il medio e l’anulare. Era il loro segno, il segno degli ultimi, di quelli che come loro avevano perso tutto ed erano soli come l’indice ma che potevano farcela avvicinandosi gli uni agli altri, come dita di una mano. Seguì un boato ed una distesa di mani che si sollevarono, scolpendo nella sua memoria un’immagine indelebile che avrebbe sempre portato con sé, come una sensazione quasi fisica di totale coesione.

    Negli anni che seguirono si guadagnò da vivere con lavori saltuari ed occasionali, spesso interventi di riparazione dei tetti delle molteplici baite presenti nella zona. Chi aveva conosciuto i suoi genitori gli aveva dato volentieri una mano, chiedendogli dei lavoretti di manutenzione o pulizia dei giardini che non richiedessero grandi competenze. Tuttavia lui si era mostrato fin da subito molto abile e scrupoloso, tanto, che dalle attività più elementari, si era spinto alle riparazioni ed alle coibentazioni di tetti e solai, fino a vere e proprie opere di ristrutturazione di piccole baite. Il suo lavoro divenne molto richiesto, e sebbene fosse nato da un semplice gesto di solidarietà, si era subito sviluppato in un’opportunità professionale perché, oltre alla sua riconosciuta affabilità, aveva anche dimostrato meticolosità e precisione.

    Per anni, la sua esistenza trascorse tranquilla in compagnia di alcuni suoi vecchi amici di Istituto, tra cui Tommy naturalmente, e qualche occasionale ragazza che tuttavia non si fermava, ma sostava giusto il tempo per rendersi conto di quale vita isolata avrebbe condotto in quella baita nel bosco. Tommy spesso suggeriva all’amico di spostarsi.

    << Ti stai trasformando in un orso bruno>>, gli spiegava semiserio, << perché non vieni a stare in città da me o in qualche appartamento vicino, in modo che tu possa apprezzare un po’di civilizzazione? Forse, qualche ragazza finirà per affezionarsi anche a te! >> << Ricordami, ti prego, perché ti ho scelto come amico? >>

    Rispondeva divertito. << Hai estinto qualche mio debito di gioco o ero ubriaco? Comunque la vita in città non mi attira, anzi mi spaventa ancora. Qui mi sento al riparo, e come se dopo l’Istituto, avessi ancora bisogno di riprendermi e di vivere sottovento dove tutto mi arriva più attenuato. >>

    <> Chiede subito dopo.

    << Se la cavano, chi più chi meno, riescono a tirare avanti. >>

    Risponde l’amico e poi continua: << Proprio ieri ho contattato Ron per la distribuzione dei giornali, sostituirà il vecchio Will che ha preso una bella infezione e ne avrà per almeno un mese.>>

    Lo ammirava, era anche molto orgoglioso di lui che aveva raccolto così poco dagli altri e dalla sorte ma che era pronto ad aiutare non appena ne aveva l’occasione. Lui, che insieme a Lucas, avevano rappresentato per molti ragazzi sfortunati, l’unica spiaggia sicura in cui riposare.

    << Comunque, tornando al discorso di prima, essendo un orso, non potrei allontanarmi da quei boschi>>, diceva sorridendo, << sono la mia casa tanto quanto lo è la baita in cui vivo. Non posso certo abbandonarli, sento che potrei tradirli.>>

    << È una partita persa, mi toccherà continuare a venire in questo eremo per aggiornarti sulla vita di noi umani. >> Replicava, poi aggiungeva: << Senti amico, almeno non mancare alla fiera giù in paese, c’è Susanna che muore dalla voglia di rivederti.>>

    << Si papà, ci sarò.>> Rispondeva sornione.

    << Bravo bambino.>> Ribatteva mentre usciva dalla porta della sua baita.

    A quella festa Lucas non sarebbe mai andato.

    Tutto cambiò.

    Ora sta imboccando l’ultima curva che lo condurrà vicino a casa, la strada è in salita. Scala una marcia, il motore romba, non appena completa la traiettoria e riporta la moto in posizione verticale, trova di fronte a sé uno spettacolo insolito, una colonna d’aria sembra vibrare, sfrigolare e perdere in nitidezza.

    Inchioda bruscamente per non attraversarla e scende dalla moto.

    < Strano, sembra aria surriscaldata, quasi vapore . > Pensa.

    Si avvicina, sfiora con le dita quello strano turbine d’aria e sente al tatto una leggera tensione elettrica. Indeciso su come comportarsi, si gira per tornare alla moto ed aggirare l’ostacolo, ma dopo qualche passo si ferma, il fenomeno è troppo strano.

    < Che pericolo potrà mai nascondersi, in fondo è aria. > Riflette.

    Spinto dalla curiosità, introduce il braccio. Nulla. Spinge dentro anche la spalla, ancora niente. Allora fa un passo all’interno, ed ecco che non appena oltrepassa quel confine invisibile, viene immediatamente risucchiato da una forza smisurata che lo trascina e lo spinge in alto. Mentre avviene ciò, prova la strana sensazione di essere fermo e nello stesso tempo di muoversi ad una velocità folle, tanto da fargli mancare il respiro.

    < Cosa accidenti sta succedendo. Non riesco a vedere nulla. Ora muoio.>

    Difficile stimare o soltanto provare a valutare con parametri conosciuti quello che sta avvenendo, l’unica certezza è ciò che prova, e cioè la sensazione di essere sospinti da qualcosa di enormemente potente verso una destinazione sconosciuta senza percepire la velocità, anzi senza percepire quasi nulla, non odori, né freddo né caldo, solo un confuso caleidoscopio di colori che si allungano all’interno di un tunnel senza una fine e tutto assurdamente silenzioso se non per un leggero crepitio di tensione elettrica.

    Dopo qualche minuto, improvvisamente tutto ridiventa immobile. Lui si ritrova solo in un ambiente rischiarato da morbida luce, la cui sorgente non sembra artificiale. È sdraiato su una superficie solida, e mano a mano che riacquista la calma e controllo di sé, inizia ad analizzare la situazione sempre più anomala e misteriosa. Si alza con prudenza e si accorge che la stanza è composta principalmente da un materiale trasparente, lui stesso sta camminando apparentemente sopra un abisso, scuro ed immenso. Colto da una terribile premonizione alza lo sguardo davanti a sé e smette di respirare.

    Immobile ed incredulo sta fissando la faccia nascosta della Luna a poche migliaia di chilometri di distanza, e dietro ad essa, in secondo piano, il geoide conosciuto come Terra.

    La visione è agghiacciante e stupenda insieme e spiega la luce crepuscolare presente nella bolla dove si ritrova a tremare di paura ed eccitazione. Passano i minuti, contempla un paesaggio che a pochi umani è concesso assistere.

    Avido di scoperte, registra alcuni particolari sfuggiti in precedenza, la superficie lunare, nascosta alla vista dell’uomo, è molto diversa da quella che era stata rivelata dalle fotografie delle sonde umane. È sbalordito.

    < Perché nessuno ci ha detto che la superficie è abitata? Ci sono chiaramente delle costruzioni, sembrano strutture abitative, strane macchine globulari che volano vicino al suolo ad altissima velocità …chissà da quanto tempo lo sapevano. Mi sento così profondamente inadeguato ...e poi perché sono qui? Perché qualcuno o qualcosa mi sta facendo vedere queste cose?>

    Tra un cratere e l’altro, in una vasta area depressionaria conosciuta con il nome di Mar Moscoviense, distingue delle unità sferiche connesse l’una all’altra a comporre una vera e propria rete a schema alveolare, una struttura che si modella alla conformazione del suolo. Non esistono, o almeno lui non riesce a scorgerle, unità isolate dalle altre, e tutte sono collegate tra loro attraverso tunnel circolari.

    Ancora gli sfugge un dettaglio sostanziale, vitale, la sua mente razionale non permette ancora l’elaborazione logica di ciò che sta osservando e non riesce quindi a prepararlo ai successivi eventi.

    Mentre si pone queste domande, come rispondendo ad una muta richiesta, con uno sbuffo pneumatico, un varco prima invisibile, si apre e lascia entrare qualcosa o qualcuno.

    In un silenzio assoluto, percepisce una presenza, si volta lentamente, abbandonando lo splendido scorcio sulla Luna, e vede, stagliarsi nella penombra, due figure straordinariamente alte che lo osservano. Raggiungono i tre metri e mezzo di altezza, o forse quattro, hanno tratti umani e la pelle del volto rivela leggere increspature a disegni regolari sotto la superficie, solo gli occhi sembrano decisamente diversi rispetto ai canoni terrestri. Sono più grandi e liquidi, molto distanziati tra loro, ed evidenziano, in maniera più marcata, i ridotti padiglioni auricolari che quasi spariscono al confronto. Portano un cappuccio che nasconde loro la testa ed una mantella scura lunga fino a terra, che copre interamente il corpo, alle mani portano dei guanti.

    L’impressione complessiva è quella di qualcuno che voglia celarsi alla vista. < Potrebbero essere l’equivalente del maschio e della femmina terrestre>, pensa, < non mi sembrano minacciosi ma accidenti se sono imponenti, faccio fatica a non indietreggiare, devo restare calmo, se mi hanno portato qui dovranno ora spiegarmi il perché.>

    La figura più esile avanza di un passo, alza il braccio ed indica la Luna dietro a lui ed inizia a parlare.

    <> La voce è chiara, nitida e indubbiamente femminile.

    <>

    Lei lo guarda a lungo e con una tale intensità che quasi Lucas non vorrebbe più ascoltare la risposta. Nota che i suoi occhi sono opalescenti e si illuminano incontrando la luce lattiginosa della Luna.

    << Io mi chiamo Fiaar e lui è il mio compagno Siuur. Come avrai capito, non siamo terrestri, e ti abbiamo attirato sulla nostra astronave per rivelarti una verità su voi umani e sulla vostra origine molto diversa da quella che conoscete. Dobbiamo avvertirti che quanto ti diremo potrà essere doloroso e sconcertante e dobbiamo avere la certezza che tu voglia veramente ascoltarlo.>> Continua lei.

    Si prende il suo tempo, sa che deve raccogliere le energie nervose per restare lucido ed affrontare argomenti che di certo lo sconvolgeranno. Tuttavia, mai come in quel momento, è deciso ad andare fino in fondo anche se il suo istinto lo avverte che sarà una strada senza ritorno.

    << Si, sono pronto. >> Risponde con voce ferma.

    Lei attende solo un secondo e poi inizia a raccontare: << Allora devi sapere che in un tempo antico, milioni di anni fa, una specie aliena molto evoluta, proveniente da un pianeta da noi conosciuto come Hixkorr, in una galassia a voi ignota, ma che potrebbe collocarsi secondo le vostre conoscenze oltre la costellazione delle Pleiadi, individuò intorno alla stella Sole, un pianeta che sotto certi aspetti era molto interessante per i loro scopi. Questo pianeta è il vostro, quello che chiamate Terra. La colonizzazione di altri pianeti era la loro principale missione, e sfruttando a loro vantaggio, sia la profonda conoscenza dei passaggi interstellari, sia la padronanza dei meccanismi di sfruttamento dell’inesauribile energia dell’antimateria, potevano muoversi nello spazio con le loro potenti navi e coprire distante spaziali per voi inimmaginabili. Avevano scoperto sul vostro pianeta, scandagliando la superficie ed il suolo sottostante, la presenza di materiali per loro molto preziosi, ed in grande quantità. La scelta fu quella di atterrare e recuperare i materiali, ma si accorsero immediatamente che sarebbe stata un’operazione lunga e faticosa, ma soprattutto costosa.>>

    << Voi siete gli alieni di cui parli? >> Chiede .

    << No, noi siamo una specie molto diversa e avrai modo di scoprirlo.>>

    Risponde lei, quindi riprende: << Anche le nostre astronavi solcavano il buio universo da tempo immemorabile, ma il nostro principale scopo divergeva da quello degli Hixkorr. Per noi era conoscenza, scoperta e monitoraggio di vita su altre galassie, per loro era un’insaziabile richiamo alla conquista e alla colonizzazione di altri pianeti, abitati o meno. Spesso loro si aggregavano alle nostre spedizioni consapevoli della nostra superiorità nell’individuare parti di galassie con alta probabilità di vita. Il vostro pianeta lo trovammo noi, insieme a tracce di vita batterica. Quando sopraggiunsero gli Hixkorr presero la decisione di sfruttare le risorse della Terra, tuttavia, al tempo stesso, come specie sono sempre stati animati dal desiderio di emulare la natura, e la loro più grande aspirazione, perseguita per migliaia di anni, era quella di portare la vita dove non c’era.

    Però non si curarono di preparare un habitat favorevole allo sviluppo spontaneo della vita, sarebbe stato un processo lunghissimo e comunque non compatibile con le loro esigenze immediate, e così clonarono i primi abitanti del pianeta a loro somiglianza, donandogli parte del loro DNA.

    Voi Terrestri, siete la progenie degli Hixkorr! >>

    Lucas cerca di assimilare l’informazione che apre una breccia in un solido muro di convinzioni, credenze e fedi, oltre il quale si entra nella terra dell’ignoto. Ha radici profonde nella storia dell’uomo l’albero della fede, le sue verità vengono tramandate di generazione in generazione dalla notte dei tempi e lo hanno intrappolato in una crisalide di gioghi culturali e religiosi non permettendogli di spiccare il volo verso la conoscenza di sé stessi e della propria origine. Alza lo sguardo nuovamente sulla figura femminile e chiede: << Che ne è stato degli Hixkorr? E voi chi siete? >> Lei sembra ora più stanca ed i suoi occhi sembrano più espressivi, si volta verso il suo compagno e dice: << Siuur, ti prego continua tu, questa parte della storia mi rattrista raccontarla. >>

    Lui la rassicura con un impercettibile cenno del capo.

    << Sì, continuo io. >> Dice lui con voce calma e bassa.

    << Gli Hixkorr restarono per lungo tempo sulla Terra, addestrando le loro creature, prima nelle arti estrattive e poi successivamente in altri compiti specifici in diversi campi di applicazione, in modo che si rendessero progressivamente più indipendenti nel gestire i lavori a loro assegnati. In una prima fase, avevano clonato soltanto campioni maschi, robusti e resistenti, ma in seguito per garantire la continuità della specie affiancarono al maschio la loro versione femminile. Attento però, gli Hixkorr non trasmisero agli uomini la loro intera sequenza genica, ma trattennero per sé alcune caratteristiche cromosomiche uniche, che gli hanno permesso e ancora adesso gli permettono, di essere talmente longevi da mostrarsi ai vostri occhi come esseri immortali, come Dei. Il loro ciclo vitale, ed in realtà anche il nostro, e quello di molte altre specie che abitano lontane galassie del cosmo, è talmente lungo, che poche generazioni di noi coprirebbe un tempo di centinaia di migliaia dei vostri anni. Loro inserirono all’interno del vostro cromosoma, una specifica istruzione di deterioramento programmato dei telomeri durante la replicazione del DNA, e di fatto, pianificarono la durata della vostra vita. Vi volevano simili a loro, non identici. Voi siete stati uno dei loro primi esperimenti ma non l’unico, ci sono altre forme di vita senziente in pianeti così lontani che un vostro eventuale contatto sarebbe impossibile senza avere le conoscenze e la tecnologia adeguate per le traslazioni da una dimensione all’altra. Gli Hixkorr sono entità molto complesse, ed in loro coesistono nature diverse ed in conflitto, non c’è armonia in loro, ma forze contrapposte che si contendono il controllo delle loro intenzioni. Talvolta hanno prevalso la violenza, la forza ed il primordiale istinto di sopravvivenza che li ha portati a sottomettere e controllare specie diverse, altre volte hanno mostrato sentimenti di comunione e solidarietà, rompendo gli schemi individualistici per avvicinarsi veramente a comprendere le altre esistenze.

    Le loro azioni sono il prodotto della loro natura antitetica. Voi avete ricevuto questa eredità, questa esplosiva dualità che ha caratterizzato la vostra storia evolutiva. Loro pensavano che avreste in qualche modo intrapreso un percorso di crescita pacifica, magnificandoli come Creatori, come Dei, ed hanno lasciato che tale convinzione radicasse e si consolidasse nella vostra coscienza, ma nello stesso tempo, vi hanno dominato e vi hanno mostrato la loro faccia peggiore, terribile e sanguinaria, divinità ciniche e vendicative. Voi li avete venerati tutti, indistintamente, amandoli senza condizioni, per paura o per riconoscenza, innalzando in loro onore opere imponenti o sacrificando la vita di migliaia di innocenti, solo per un loro capriccio. Ancora adesso voi li temete, vi siete creati il vostro personale inferno dove incubano le vostre ancestrali paure. >>

    Siuur si ferma guardandolo con un misto di tristezza e rassegnazione. Poi riprende a parlare. << Esaurita la disponibilità delle risorse per loro così preziose, vi hanno abbandonato a voi stessi, e sono partiti per fare ritorno al loro sistema di stelle, ma hanno lasciato un avamposto sul vostro satellite che potesse monitorare la vostra evoluzione e tenerli informati in modo che loro potessero decidere sul vostro futuro.

    Noi siamo il presidio sulla Luna, la nostra Specie. >>

    << Ci avete osservato per così tanto tempo? >> Si stupisce, e poi chiede: << Perché non vi siete mai mostrati a noi e non siete intervenuti per fermare le nostre guerre? >>

    << Aspetta >>, risponde Siuur, << devo prima spiegarti cosa successe, e poi potrò risponderti sul ruolo che giocammo.>>

    Il suo comportamento si è fatto serio, lo sta guardando come se volesse esaminarlo. < Sembra preoccupato. > Pensa.

    Siuur incrocia lo sguardo della sua compagna e continua:

    << La vostra crescita come popolo si dimostrò subito molto diversa da quella che loro avevano immaginato. Fu costellata da guerre e violenze di ogni genere per stabilire una supremazia e un dominio gli uni sugli altri, anche a costo di perdere più di quanto avevate. Nei momenti decisivi della storia terrestre, è stata la vostra natura peggiore e più distruttiva a prevalere ed a decidere per voi, arrogandosi il diritto di vita e di morte sui vostri stessi simili, sotto l’egida di un’aberrante concezione di crescita comune di un popolo.

    I momenti sporadici di pace ed i gesti di amore e fratellanza di cui eravate capaci, erano annichiliti dalla violenza e dall’odio, elementi permanenti delle vostre vite, e venivano emarginati a principi di secondaria importanza, mai considerati come basi su cui costruire un nuovo modo di vivere insieme.

    Inoltre, le fedi religiose che via via si svilupparono a seguito della comparsa dei vostri Creatori, non servirono a farvi comprendere l’importanza della vostra coesistenza, al contrario, acuirono ed aggiunsero altri motivi di odio e di intolleranza. L’intelligenza, asservita al giogo della vostra natura egocentrica, fornì tecnologie sempre più sofisticate e al tempo stesso pericolose, che nelle vostre mani hanno rappresentato innanzitutto uno strumento di controllo e secondariamente la possibilità di migliorare la vita di tutti.

    Più volte siete arrivati ad un punto di non ritorno, ma cosa peggiore, la vostra specie non ha mai imparato dai propri errori ed ancora oggi, tu stesso puoi renderti conto in che condizioni versa il tuo mondo, grandissima parte delle vostre esistenze sopravvive in sofferenza e privazione, conducendo una vita tradita nelle aspettative. Voi avete instaurato un ordine, una gerarchia nella dignità dei vostri simili, riducendo e svilendo il diritto alla vita come qualcosa che si possa negoziare come una merce di scambio. Chi ha la consapevolezza di esistere non ha il diritto di privare della vita i suoi simili, neppure quelle esistenze che hanno meno coscienza di sé, ma la grande responsabilità di tutelarla. >>

    Lui sa tutto questo perché nella sua breve vita, un battito d’ali se confrontata alla loro, ha potuto constatare di persona quanto sia tristemente vero, lui ha sempre combattuto per questo, tentando di cambiare le regole del gioco e pagandone un prezzo molto alto. << Siuur, conosco bene come siamo fatti, e me ne vergogno, ma continuo a non capire che ruolo abbia io e dove vuoi arrivare con questa storia. >> Chiede, soffiando fuori l’aria per liberarsi dalla tensione. Siuur riprende con voce ancora più bassa: << Voi vi state autodistruggendo e gli Hixkorr lo sanno. Rappresentate il loro più grande fallimento, un esperimento inizialmente nato per un’esigenza pratica, poi divenuto un’autocelebrazione

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