Il signore dei diamanti: Harmony Destiny
Di Tracy Wolff
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Il signore dei diamanti - Tracy Wolff
successivo.
1
Isabella Moreno si bloccò nel bel mezzo della lezione, anzi, per la precisione, a metà della frase, quando la porta sul retro dell'aula si aprì ed entrò il presidente del GIA, il Gemological Institute of America. Ma non fu la presenza di Harlan Peters ad ammutolirla. Era un'ottima professoressa e ne era consapevole. Una visita da parte del suo capo non era niente di che. No, era l'uomo alto, moro e silenzioso alle spalle di Peters che le incuteva un vero e proprio terrore e che le spediva dei brividi giù per la schiena.
Senza contare che è anche un vero schianto, pensò mentre si sforzava di riprendere il discorso interrotto relativo al taglio e alla lucidatura degli zaffiri grezzi. I suoi studenti, tutti laureati specializzandi, avevano iniziato a girarsi per vedere cosa l'avesse distratta e fu solo questione di secondi perché perdesse definitivamente l'attenzione di tutte le singole femmine presenti. Da ogni angolo della stanza risuonavano già risatine e sospiri, e ancora le ragazze non sapevano chi fosse l'uomo misterioso che le aveva stregate.
Oh, non che lei ne ignorasse l'identità. No davvero. L'aveva riconosciuto subito. Era difficile trovarsi nel settore delle gemme e non essere in grado di identificare Marc Durand, CEO del secondo maggior esportatore di diamanti del paese. I suoi capelli neri un filo troppo lunghi, gli occhi di un azzurro vivo e un viso d'angelo maledetto erano difficili da non notare... e ancor più difficili da ignorare. Ma l'espressione che sfoderava, lo scintillante disprezzo in quel suo sguardo particolare e la piega vagamente beffarda sulle sue labbra piene, non era abituata a vederle in lui. Tanto che lo trasformavano in una specie di estraneo.
Il Marc che conosceva, quello che un tempo aveva amato, l'aveva guardata solo e soltanto con tenerezza. Complicità. Amore. Almeno, fino a quando tutto non era andato a rotoli. Allora lui aveva esternato ben altri sentimenti. Rabbia, dolore, tradimento. E l'aveva quasi uccisa vedergli riflesse in volto quelle emozioni e sapere di esserne responsabile.
Tuttavia l'espressione presente sul suo volto adesso... il disprezzo, il gelo, facevano di lui un'altra persona. Una persona che non conosceva, né desiderava conoscere.
Quando erano insieme, il loro rapporto era stato caratterizzato da una passione talmente ardente che si era ritrovata spesso a chiedersi quanto ci sarebbe voluto perché finisse per scottarsi. La risposta era arrivata dopo sei mesi, tre settimane e quattro giorni, ora più, ora meno.
Non che avesse tenuto il conto...
E non che lo biasimasse per com'erano finite le cose.
Come avrebbe potuto, visto che, se era finita, era stata tutta colpa sua?
Oh, forse lui avrebbe potuto essere più gentile. Era la prima ad ammettere che buttarla in mezzo alla strada a New York nel cuore della notte, senza niente con sé eccetto i vestiti che indossava, era stato un gesto orribile. Non che non se lo fosse meritato. Perfino adesso, c'erano notti in cui se ne stava distesa a letto a fissare il soffitto e a chiedersi come avesse potuto fare quello che aveva fatto. Come avesse potuto tradire l'uomo che aveva amato con tutta se stessa.
In realtà proprio questo era il problema. Era stata presa fra due uomini che amava, adorava e per cui avrebbe fatto qualsiasi cosa. Per questo aveva rovinato tutto. Sapeva che suo padre aveva derubato Marc e, sebbene avesse cercato di convincerlo a restituire le gemme, non aveva rivelato a Marc l'identità del ladro fino al momento in cui era stato troppo tardi per salvare il salvabile. Poi aveva peggiorato ulteriormente la situazione implorando Marc di non sporgere denuncia, ammettendo che quando lo aveva abbordato al gala in cui l'aveva incontrato per la prima volta anche lei aveva in programma di derubarlo. I suoi programmi, al pari della sua vita, erano cambiati nel momento in cui aveva cominciato a parlargli, nel momento in cui lui l'aveva guardata con quei suoi occhi meravigliosamente azzurri, ma...
Isabella rifuggì istintivamente da quei dolorosi ricordi. Perdere Marc proprio mentre le capitava quello che le stava capitando l'aveva quasi messa in ginocchio sei anni prima. Be', non avrebbe permesso che si ripetesse una cosa del genere.
Obbligandosi a riportare la mente su ciò che stava facendo, si rese conto mortificata che tutti gli studenti della classe stavano guardando a turno lei e Marc. E lo stesso stava facendo il presidente dell'istituto gemmologico. A dispetto degli anni trascorsi, il legame fra loro era evidente e la tensione pareva quella di un cavo elettrico scoperto che minacciava di sprigionare scintille da un momento all'altro. Decisa a non permettere che l'atmosfera nell'aula si facesse ancora più imbarazzante di quanto già non fosse, Isabella si costrinse a tornare a calarsi nei panni dell'insegnante.
La parte successiva della lezione era incentrata sugli zaffiri più famosi al mondo e sui luoghi in cui si trovavano. Quando giunse alla parte relativa al furto del Robin's Egg Sapphire, una delle pietre preziose più pregiate e ambite del mondo, fece del suo meglio per non guardare Marc.
Alla fine, però, cedette alla tentazione e, come calamitata dalla forza magnetica della sua personalità, incontrò la sua espressione tagliente come un diamante, rimanendo impietrita. Marc sapeva bene cos'era accaduto al Robin's Egg. Si era incaricato personalmente di capirlo prima di affrontarla nella loro camera quella notte di tanto tempo prima.
«Spiacenti di interromperla, dottoressa Moreno» disse Harlan dal punto in cui si trovava in fondo all'aula. «Sto facendo fare un tour guidato del campus al signor Durand. Ha accettato di tenere un piccolo seminario sulla produzione di diamanti che inizierà tra qualche settimana e volevo che si facesse un'idea del posto. La prego, continui pure con la sua lezione. È molto coinvolgente.»
Solo che era tardi per continuare. Intorno a lei, infatti, gli studenti mormoravano eccitati. Non che li biasimasse. Non capitava tutti i giorni che uno dei maggiori produttori mondiali di diamanti di lecita provenienza accettasse di parlare a un gruppo di studenti. D'altra parte lei era la professoressa e questa era la sua lezione. Dunque, doveva riprendere il controllo non per la classe, che era quasi alla fine dell'ora, ma per non permettere a Marc Durand di destabilizzarla un solo istante di più.
Le aveva già portato via tutto. O, per essere sincera, era lei che gli aveva dato tutto, solo per vederselo rigettare in faccia. All'epoca se l'era meritato, e aveva pagato alla grande. Questo, però, era successo sei anni fa. Da allora, aveva attraversato gli Stati Uniti e si era rifatta una vita. Costasse quel che costasse, non gli avrebbe permesso di rovinare tutto quanto come nulla fosse.
Rifiutandosi di lasciar intuire a Marc quanto l'avesse turbata la sua presenza, Isabella continuò la lezione. A poco a poco, gli studenti si calmarono e Marc e Harlan sgattaiolarono via in modo molto meno appariscente di com'erano arrivati.
Se qualcuno le avesse chiesto di cosa avesse parlato negli ultimi venti minuti di lezione, Isabella non avrebbe saputo dirlo. Aveva la mente altrove, rivolta a un passato che rimpiangeva amaramente ma che non poteva cambiare e all'uomo che aveva modificato l'intero corso della sua vita. Comunque, dovette mascherarlo abbastanza bene, perché gli studenti non sembrarono accorgersi di nulla. Forse anche perché erano rimasti talmente ammaliati da Marc Durand che probabilmente non avevano seguito una sola parola di ciò che aveva detto.
Finalmente, l'interminabile lezione giunse all'epilogo e Isabella congedò gli studenti. Era sua abitudine trattenersi per qualche ulteriore minuto per dare l'opportunità a chi lo volesse di porle qualche domanda, tuttavia oggi non intendeva rimanere un solo istante più del dovuto, anche perché si sentiva lo stomaco sottosopra ed era certa che la minima mossa sbagliata avrebbe sbriciolato l'equilibrio che aveva tanto faticato a ritrovare.
Recuperati i suoi libri, Isabella si incamminò decisa verso la porta. Aveva parcheggiato sul retro della scuola. Se fosse riuscita a infilare l'uscita laterale, sarebbe potuta essere in auto e fuori dal campus in meno di cinque minuti. A quel punto, sarebbero stati solo lei, la sua decappottabile e la distesa infinita dell'oceano alla sua sinistra mentre percorreva la litoranea che portava a casa.
Solo che non arrivò all'auto. Non arrivò nemmeno alla porta laterale che era così ansiosa di raggiungere. Infatti, una forte mano callosa la afferrò per il gomito mentre si affrettava lungo il corridoio. Sebbene guardasse dalla parte opposta, non ebbe bisogno di girarsi per capire chi l'avesse intercettata.
Le ginocchia le si fecero di gelatina a quel primo contatto e il cuore le schizzò fuori controllo.
Non ci sarebbe stata nessuna fuga. Nessuna corsa costeggiando l'oceano. Né avrebbe avuto l'opportunità di rimettere ordine nei suoi pensieri prima del temuto confronto.
Non che la cosa la sorprendesse. Dal momento in cui aveva alzato lo sguardo e aveva visto Marc in fondo all'aula, aveva capito che tutto questo sarebbe stato inevitabile. Aveva però sperato di poterlo rimandare fino al momento in cui fosse stata in grado di pensare a lui senza perdere la capacità di respirare. Naturalmente, aveva avuto sei anni di tempo, eppure non era riuscita a modificare quell'inconveniente, quindi altri due giorni probabilmente non avrebbero fatto alcuna differenza.
Inoltre, se era deciso a distruggere ciò che si era costruita con il suo nuovo nome, la sua nuova identità e la sua nuova vita all'insegna della legalità, allora meglio scoprirlo subito. Tormentarsi al riguardo l'avrebbe solo fatta impazzire.
Inspirando a fondo, sfoderò l'espressione più impassibile che poté prima di voltarsi lentamente, molto lentamente, per affrontarlo. Sperava solo che le ginocchia la sostenessero.
Era ancora più bella di come la ricordasse. E probabilmente ancor più infida, si rammentò Marc mentre si sforzava di mantenere il controllo sulle emozioni e, soprattutto, sulla sua libido.
Erano sei anni che non la vedeva.
Sei anni da quando avevano fatto l'amore.
Eppure, la voleva come allora.
Considerato che aveva fatto del suo meglio per non pensare a lei negli anni successivi, quell'ammissione fu una specie di shock. D'accordo, ogni tanto il suo volto gli tornava in mente. Qualcosa gli ricordava il suo profumo, il sapore della sua bocca, la sensazione della sua pelle. Tuttavia con gli anni capitava sempre meno spesso e la sua reazione ai ricordi, e a lei, si era come attenuata. O così aveva pensato.
Eppure, era bastata un'occhiata a quei magnifici capelli rossi e a quei caldi occhi castani per riportarlo di colpo alla bruciante e tumultuosa passione che aveva caratterizzato la loro relazione.
All'improvviso, non gli era più importato niente del presidente del GIA che aveva al fianco e del futuro della Bijoux, la società di famiglia alla quale aveva sacrificato tanto nel corso degli anni. Né gli importava più niente del seminario per tenere il quale aveva spostato la sede della Bijoux sulla West Coast. Insomma, per dirla tutta, non gli importava più di nient'altro che di entrare in quell'aula per capire se per caso la testa non gli stesse giocando uno scherzo.
Sei anni prima aveva letteralmente buttato fuori dalla sua vita Isa Varin, che, a quanto pareva, ora era diventata Isabella Moreno.
Oh, non si era pentito di averla messa alla porta. Come avrebbe potuto dopo il modo in cui lo aveva tradito? Tuttavia con il tempo si era pentito della modalità in cui l'aveva fatto. Quando era tornato in sé e aveva mandato l'autista a rintracciarla per consegnarle le sue cose, inclusi borsetta, cellulare e un po' di soldi, lei si era come volatilizzata.
L'aveva cercata per anni, semplicemente per mettersi in pace con la coscienza e dimostrare a se stesso che non le era accaduto niente di sconveniente quella notte, ma non l'aveva mai trovata.
Ora sapeva perché. La passionale, bellissima, seducente Isa Varin aveva cessato di esistere. Al suo posto c'era questa compita professoressa dalla voce e dallo sguardo più freddi di qualsiasi diamante avessero mai prodotto le sue miniere. Solo i capelli, quella gloriosa massa rossa, erano gli stessi.
Isabella Moreno li portava raccolti in una treccia che le ricadeva sulla schiena invece che sciolti nell'abituale criniera leonina, lui, però, avrebbe riconosciuto quel colore ovunque.
Un colore che ricordava quello delle ciliegie mature illuminate dalla luce delicata della luna piena.
E quando quegli occhi avevano incontrato i suoi al di sopra delle teste degli studenti, si era sentito rimescolare il sangue nelle vene e non aveva potuto nasconderlo. Perché solo Isa aveva il potere di farlo reagire in maniera così subitanea.
In seguito, si era sganciato dal presidente del GIA non appena aveva potuto ed era tornato in tutta fretta sui suoi passi per accertarsi di intercettare Isa prima che potesse svicolare via. Eppure, per poco non gli era sfuggita. Non che la cosa lo sorprendesse. In fin dei conti, discendeva da una lunga stirpe di ladri. Marc sapeva per esperienza diretta che, nove volte su dieci, se non voleva essere presa, non si faceva prendere.
Mentre attendeva che lei parlasse, Marc non poté fare a meno di chiedersi cosa faceva lì. Perché l'aveva fermata? Cosa voleva da lei? La verità era che non lo sapeva. Sapeva solo che non aveva saputo resistere all'impulso di vederla e parlarle.
«Ciao, Marc.» Lei alzò il volto per guardarlo negli occhi, mantenendo