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Ombre
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E-book308 pagine4 ore

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Info su questo ebook

Ambientato nell’anno 476 verso la fine dell’Impero Romano, in un periodo di profondi sconvolgimenti politici e religiosi in cui il cristianesimo e le religioni pagane si scontrano, Viviane, una ragazza di origini nobili, vive con la sua famiglia caduta in disgrazia in una fattoria nei pressi di Mutina e soffre della propria nuova condizione sociale. Di carattere ribelle e sensibile, la giovane lotterà per sopravvivere quando un'orda di barbari comandati dal re Varg, di origine visigota, il primo di tanti condottieri che combatterà nella sua vita, attaccherà la sua casa.
Viviane si salverà miracolosamente grazie ad alcuni misteriosi megaliti che in seguito la guideranno facendole incontrare uno dei più grandi maghi di quel tempo che la inizierà in parte alla magia: il suo nome è Myriddin.
All’origine di questi eventi, sull’Olimpo, Ades re degli inferi sfida Zeus e gli propone di sottoporre la giovane Viviane, scelta dallo stesso Zeus, ad una serie di prove terrene per convincere il re dell’Olimpo che gli uomini non meritano il suo amore. Se ella rinnegherà Zeus, il dio dovrà abbandonare il suo trono e cederlo ad Ares facendo sprofondare gli uomini nell’oscurità.
I suggerimenti di Ades per ingannare il re dell’Olimpo si susseguiranno durante le prove.
Viviane sarà combattuta tra la sete di potere, l’amore del mago per lei e le attenzioni di un giovane maniscalco. Le ombre che tormenteranno il suo animo le faranno prendere decisioni difficili che segneranno la sua esistenza e il futuro oscuro che attende l’umanità.
LinguaItaliano
Data di uscita13 mag 2020
ISBN9788835827191
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    Anteprima del libro

    Ombre - Giuliano Ferrari

    Giuliano Ferrari

    Ombre

    UUID: b0130a9c-567d-461d-a855-4f1ae460f291

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    Capitolo 1

    Capitolo 2

    Capitolo 3

    Capitolo 4

    Capitolo 5

    Capitolo 6

    Capitolo 7

    Capitolo 8

    Capitolo 9

    Capitolo 10

    Capitolo 11

    Capitolo 12

    Capitolo 13

    Capitolo 14

    Capitolo 15

    Capitolo 16

    Capitolo 17

    Capitolo 19

    immagine 1

    Didascalia...

    Giuliano Ferrari

    OMBRE

    Prologo

    Nel 476 l’Impero romano d’Occidente cessa ufficialmente di esistere. Ma la sua destabilizzazione era già iniziata all’inizio del V secolo, quando le invasioni barbariche ne avevano cominciato a provocare il frazionamento politico-istituzionale, l’assetto economico e il patrimonio culturale. Due secoli, il V e il VI, tra guerre, incursioni armate, saccheggi, violenze, carestie ed epidemie.

    La civiltà e la cultura romana scricchiolava paurosamente sotto il peso dei nuovi dominatori barbari. La religione degli antenati cedeva il passo alla nuova forza prorompente del Cristianesimo e della sua Chiesa.

    Tuttavia, coesisteva un Mondo di mezzo, un mondo dominato dagli Dei e dai Maghi che si tenevano nascosti agli occhi degli uomini e si rendevano invisibili alle cronache della storia.

    E q ui si narra proprio di un tempo che vide in una città circondata da spesse mura e da numerose paludi, Mutina, il più famoso mago di tutti i tempi, Myriddin, e una fanciulla, di nome Viviane che, perduta la sua innocenza, riuscì a ingannarlo, ad avvelenargli il cuore e a divenire una potente Maga.

    Capitolo 1

    Olimpo in un remoto, imprecisato futuro .

    Zeus.

    Osservo questo pianeta, così piccolo e così imponente. Casa degli uomini che noi abbiamo creato, a nostra immagine ma mai eguali. Ho dato loro la capacità di amare e tu Ades di odiare. Per millenni odio e amore si sono alternati nella vita dei mortali, abbiamo causato cataclismi, il Grande Mare Emerso e guerre indicibili, quasi siamo riusciti a estinguere l'umanità intera e questo solo per metterli alla prova.

    Ma loro, sebbene mortali, sono più forti di quello che crediamo io e te Ades, Dio della guerra che vivi tra di loro e istighi il loro odio e il loro ego, poiché essi sanno risorgere dalle loro stesse ceneri. Ed ora che giunta è la pace in terra grazie a coloro in cui ho forgiato lo spirito per sconfiggere l'odio che tu hai creato, posso finalmente godere del mio operato. Mentre tu Ades, fratello mio, urli, gridi disperato per le tue sconfitte nel fondo degli Inferi nella ricerca di trovare nuovamente il modo di generare il seme dell'odio tra gli uomini.

    Eppure ti capisco, fratello, io mi nutro di amore degli uomini mentre tu di odio per poter esistere. Nell'attesa di rincontrarti, contemplo l'azzurro di questo pianeta, ricordando come tutto ha avuto inizio, da come dall'amore si è creato l'odio e dall'odio è sorta colei che ha salvato l'umanità dalle spire della stupidità. Sì, è così Ades, ti ho ingannato, mentre godevi delle sofferenze di lei in cui cresceva ogni giorno di più l'odio nei confronti dell'umanità, io nei secoli l'ho forgiata fino alla sua forma completa. Ed è questo che facciamo noi Dei, giochiamo con le loro vite, li mettiamo alla prova e godiamo del nostro operato, solo perché il nostro amore è grande e vogliamo farli sedere al nostro fianco nell'Olimpo.

    Quella Salvatrice è la mia più grande delle creazioni. Ade, Afrodite, Ecate, Artemide, Atena, Demetra, Era, Estia, non siate invidiose di lei, ella ha sofferto per divenire ciò che è con i vostri stessi poteri nonostante la fragilità della sua immortalità. Sono fiero e dispiaciuto che non sieda al mio fianco, ma non ha voluto abbandonare la terra e i suoi abitanti, ha deciso così di rimanere a difenderli insieme al suo fedele compagno.

    Anche gli Dei faticano a ricordare bene, ma credo che il suo primo nome fu Viviane.

    Ricordi Ades? La nostra scommessa?

    Anno 476, Italia. Estate.

    L’uomo di nome Myriddin con la corta folta barba grigia, completamente calvo e dall'aspetto trasandato si svegliava lentamente dal suo giaciglio vicino al fuoco dell'accampamento in mezzo alla foresta, assonnato. Vestito di una toga che non toglieva da giorni si chiedeva cosa avesse sognato. Gli Dei si prendevano gioco di lui, che razza di sogno era? Si trovava in un futuro misterioso, cosa volevano gli Dei da lui? Cosa potevano significare Zeus e Ades? E quel nome, sì quello della salvatrice, non se lo ricordava nemmeno più.

    Si alzò in piedi, diede un calcio a ciò che rimaneva delle braci, montò il suo cavallo bianco e se ne andò con mille domande che si accalcavano in testa verso la città di Mutina.

    Le campagne intorno alle mura di Mutina faticavano a produrre i loro frutti a causa di un’opprimente e precoce siccità. I buoi faticavano a tirare l'aratro che solcava la terra secca, bagnata solo dal sudore pungente e acre dei contadini che gocciolava fastidiosamente tra pelle e la veste logora.

    Paolo con la sua blusa sporca di terra, già dalle quattro del mattino lavorava nei campi e a stento riusciva a portare a casa il denario necessario per gli acquisti, anche vendendo o barattando quello che riusciva a ricavare dalla terra, gli rimanevano sempre pochi sesterzi.

    Paolo di antica famiglia nobile, erede di un senatore romano, aveva una moglie e una figlia di 16 anni di nome Viviane che non vedeva l'ora di riabbracciare. Poco tempo prima era stato il padrone di decine di contadini e di qualche schiavo, era considerato un uomo facoltoso e la sua famiglia viveva nel lusso. Poi a causa di un intrigo politico in cui il suo aristocratico parente era stato assassinato, il legato imperiale gli aveva tolto buona parte dei suoi averi lasciandolo con la casa dove dimorava, la servitù e un pezzo di terreno di cento Iugeri, corrispondenti a circa cento ettari di terreno. Era rimasto così quasi in miseria. La moglie risentiva relativamente di questo cambiamento così repentino della loro vita, essendo nata da una famiglia modesta; Viviane invece soffriva tantissimo, gli abiti sfarzosi che aveva indossato si stavano consumando e spesso la madre doveva ricorrere a rattoppi con stoffe di scarto; una donna dolce e paziente, molto curata nell’aspetto, di lei colpivano i grandi occhi neri e i lunghi capelli corvini che li teneva sempre raccolti con cura. I suoi modi erano aggraziati e gentili, cercava in ogni modo di ragionare con la figlia dal carattere ribelle, non alzava mai la voce, il suo tono era pacato e Viviane rimaneva come ipnotizzata dalle sue parole, sembrava l’unica che la potesse capire.

    Le ragazzine di Mutina dove l a giovane frequentava delle poche scuole rimaste , la deridevano e lei risentiva del fatto che poco tempo prima proprio le stesse alunne che ora la ignoravano erano state letteralmente ai suoi piedi.

    Viviane giovane di una bellezza rara , sembrava già una donna, affascinante, piena di vita e circondata da ragazzi che la corteggiavano e volevano starle sempre accanto, suscitava l’invidia delle altre. I lunghi capelli neri le incorniciavano il viso, un ovale perfetto; una piccola ciocca bianca dai riflessi azzurrini scendeva sulla fronte e i suoi occhi verdi scintillavano come stelle.

    Il podere di famiglia era poco lontano dalla città occupata dai pochi soldati romani che la presidiavano e che bevev ano tutto il giorno poiché il loro compito era solo quello di controllare i mercanti che obbligatoriamente passavano per la città. Non essendoci una vera guarnigione, la difesa dagli attacchi dei Barbari era organizzata dai Mutinesi stessi che spesso si raccoglievano a pregare nella cattedrale da poco costruita, scongiurando di non essere attaccati non appena venivano a conoscenza di razzie perpetuate nelle altre città vicine.

    Viviane in questo scenario spesso, a causa del suo carattere iroso, ricorreva alla violenza per difendersi dagli insulti delle sue coetanee e dal frate magister che faceva un uso frequente di punizioni corporali con una odiosa bacchetta di legno. Viviane, di indole ribelle, non accettava simili umiliazioni soprattutto quando tutta la classe la guardava ghignando e ridendo alle sue spalle mentre subiva fustigate e percosse, così fuggiva dalla scuola raggiungendo la sua casa attraversando i campi, piangendo e maledicendo la vita.

    Le mattine a scuola per Viviane erano interminabili, il suo sguardo era spesso rivolto verso la finestra mentre osservava gli uccellini che banchettavano con le poche briciole che regolarmente metteva sul davanzale. Ammirava quegli animaletti, la facevano sorridere. Avrebbe voluto essere come loro e volare via … lontano, del resto cosa mai ci faceva lì … con qu el magister poi … maestro! Un frate, ma quale maestro?! … un frate un ometto noioso, superbo, arrogante e prepotente come se fosse chissà chi. Lui e quel suo libro, il salterio … lui e la sua mania del nuovo canto liturgico … che noia! Anche quel giorno i suoi pensieri si perdevano nell’azzurro del cielo quando, all’improvviso la voce del maestro la scosse e la fece sussultare.

    «Viviane! - la voce del maestro scosse la ragazza - non sei mai attenta e hai la testa tra le nuvole. Mostrami i compiti così almeno smetti di guardare fuori.

    «Non li ho potuti fare, ho dovuto aiutare i miei genitori nei campi. Giuro che li farò oggi!» rispose Viviane.

    «Le solite scuse, dovrò parlare con i tuoi genitori!»

    Una ragazza seduta al suo fianco la guardava con malcelato disprezzo e le si rivolse dicendo:

    «Sei sempre la solita lavativa, e cambia i vestiti ogni tanto, mendicante !!!»

    «Ma cosa vuoi da me!! - rispose gridando Viviane e alzandosi di scatto in piedi - fatti gli affari tuoi!» così dicendo afferrò il barattolo di inchiostro e lo gettò addosso alla compagna che esterrefatta si mise a urlare:

    «Il mio vestito! Magister guardi cosa ha fatto! Lo ha rovinato quella maledetta! Era nuovo!!»

    Il maestro infuriato a sua volta afferrò il frustino gridando e ordinando alla giovane ribelle di sottoporsi alla punizione. No, non questa volta! La finestra era aperta ... non sarebbe stata umiliata ancora, pensava Viviane prima di lanciarsi e fuggire verso i campi. Viviane correva e ancora correva mentre le lacrime gli oscuravano la vista, poi, rendendosi conto di avere corso per molto tempo, si fermò con il respiro spasmodico e con il cuore che sembrava volesse uscirle dal petto. Con il dorso della mano si asciugò gli occhi per guardarsi meglio attorno e si rese conto di essersi perduta poiché si ritrovava in una radura circondata da alcune pietre enormi poste circolarmente. In quel momento si ricordò che il padre una volta le aveva detto che quello era un luogo da evitare, pieno di magia oscura e di spiriti malvagi e si era raccomandato di tenersene alla larga. Ora lei si trovava proprio lì, lì nel mezzo con le narici intrise dell’odore di acqua stagnante trasportata dal vento dalle vicine paludi. Stranamente tuttavia si sentiva tranquilla e in pace, la tristezza era svanita ed era pervasa da una rinnovata energia. Non avrebbe mai più voluto andarsene da lì. Poi ad un tratto uno scricchiolio proveniente da uno di quei megaliti la fece voltare di scatto, non vide nulla, solo un'ombra che si delineava come in un confuso miraggio tra le linee della pietra, un’ombra che man mano si avvicinava verso di lei. Non capiva … si mordicchiava il labbro e fissava quella strana forma di tenebra.

    « Viviane! » fece eco una voce ultraterrena chiamandola per nome. La fanciulla colta da un brivido lungo la schiena cominciò a correre terrorizzata senza una precisa meta, voleva solo allontanarsi da quella manifestazione sovrumana mentre il grano pungente le frustava le braccia e il viso graffiandole tutto il volto nella foga della corsa. Improvvisamente quando il fiato non riuscì più a reggere quel ritmo si fermò e si trovò con meraviglia di fronte alla sua casa. Il padre era appena tornato dai campi ed era lì, fermo davanti alla porta che la attendeva con uno sguardo severo. Che abbia già saputo? Si chiedeva preoccupata la fanciulla, forse era venuto a conoscenza dell'ennesima lite a scuola.

    La voce del padre congelò i suoi pensieri:

    «Dove sei stata? Sono ore che ti aspettiamo, è ormai sera! Ti abbiamo cercata dappertutto e tua madre è disperata. Ancora ti sta cercando presso gli argini del fiume»

    Viviane rimase sbalordita pensando, come? Già sera? Era da poco uscita da scuola ed era prima del pranzo … forse erano passate appena un paio d'ore ed era fuggita prima che finissero le lezioni e … così tanto tempo? Quelle pietre ... eppure era stata lì solo pochi minuti

    «Non capisco padre! Sussurrava, mordendosi il labbro, come di consueto, quando non comprendeva o non sapeva cosa decidere. Non … non è stata colpa mia mi insultano in continuazione, mi deridono, le ho dato quello che si meritava a quella smorfiosa!» Il pianto scendeva copioso mentre continuava a giustificarsi ancora confusa, cercando di raccontare solo i fatti.

    «Sono scappata … il maestro voleva frustarmi … e sono fuggita, poi mi sono persa e mi sono spaventata … scusami padre io non volevo farvi stare male...»

    Il padre la osservava, era combattuto, sgridarla non sarebbe servito a nulla, picchiarla non se la sentiva più, la amava troppo ed era la fanciulla più ribelle che avesse mai conosciuto. Comunque poi sarebbe fuggita di nuovo. Il vedere quel viso dolce con le sue lunghe trecce nere che le scendevano lungo le spalle e quegli occhi chiari e verdi che annegavano nelle lacrime con le labbra vermiglie serrate malinconicamente, lo rendevano triste e si sentiva in colpa per non essere stato capace di regalarle una vita come quella in cui era nata. Così la rassicurò con tono pacato abbracciandola:

    «Vieni qui Viviane. Vedrai si sistemerà tutto … tutto. Ora andiamo a cercare tua madre».

    Olimpo: Ades.

    «Vedi fratello quella ragazza? - disse rivolgendosi a Zeus con un ghigno di soddisfazione - basta poco per i tuoi umani. Qualche avversità! E odiano la vita. Una piccola spinta nella disperazione e odieranno il mondo. Come puoi ancora amarli? Si massacrano tra di loro per futili motivi, un pezzo di terra, la gloria, l'onore, ah, ah, ah e l'orgoglio! E ancora ti ostini a difenderli?»

    Il possente Zeus seduto sul trono dell'Olimpo si accarezzava la barba bianca prima di rispondere.

    «Ades, come al solito tu vedi solo quello che i tuoi occhi vogliono vedere. Non vedi l'amore di quei genitori che nonostante le difficoltà sanno esprimere? La fanciulla è giovane, è normale che perda la Via dell'amore per un attimo, ma come vedi infine, l'amore è la vera risposta, grazie ai suoi genitori lei non si perderà»

    Ades vestito dalle lunghe vesti frangiate, nere come i suoi capelli e con i suoi occhi vitrei come quelli di uno squalo batteva le mani in un applauso forzato, rispondendo con un tono di scherno esclamò:

    «Bravo! Bravo! Come al solito hai la risposta giusta, ma come credi che reagirebbe la tua fragile, dolce creatura se perdesse l'amore dei suoi genitori? Te lo dico io, che ben conosco l'animo umano, odierebbe gli uomini e arriverebbe a odiare persino te»

    Zeus esternò un sorriso compassionevole replicando:

    «Tu credi che gli uomini, non sappiano amare da soli? Credi davvero che una fragile creatura arriverebbe a odiare così tanto da dimenticare la vera natura che io ho donato loro? La natura dell'amore?»

    «Ci credo a tal punto che ti propongo una scommessa - replicò Ades - lasciami agire come meglio credo senza limiti e vedrai quella ragazza, vedrai quale mostro la farò divenire. Se perdo, l'unica mia dimora sarà l'inferno e non metterò mai più piede nell'Olimpo, se perdi tu, fratello, lascerai il tuo trono per sempre»

    Zeus rimaneva in silenzio, e Ades incalzò nuovamente dicendo:

    «Ti vedo preoccupato fratello, non credi più nell'amore dei tuoi prediletti?»

    Con uno scatto Zeus si alzò in piedi chiamando a sé tutti gli Dei che in un attimo si profilarono attorno a loro apparendo uno dopo l'altro per ascoltarlo, e dichiarò:

    «Ade, Afrodite, Ecate, Artemide, Atena, Demetra, Era, Estia! Voi mi siete testimoni. Accetto la sfida di Ades, metteremo alla prova gli uomini e io scelgo la ragazza di nome Viviane, se ella perderà la Via io lascerò l'Olimpo per sempre, se invece troverà l'amore, da qui al termine della sua vita, e solo la sua anima lo stabilirà, Ades rimarrà imprigionato negli Inferi per sempre e non avrà più potere diretto sugli uomini. Ho detto»

    Gli Dei presenti, Ades compreso, porsero un inchino rispettoso al loro re Zeus, dissolvendosi uno dopo l'altro.

    Poco tempo dopo, nella città di Mutina, Italia.

    All'interno della città, le campane del Duomo suonavano freneticamente nella totale agitazione dei cittadini confusi, i legionari romani a guardia delle porte a fatica riuscivano a fermare un destriero in corsa con il suo cavaliere che gridava terrorizzato, trattenendo a stento il cavallo imbizzarrito con la bava schiumosa che usciva dalla bocca e colava dal morso delle briglie.

    «Allarmi! Siamo stati attaccati! I barbari!»

    «Calmati uomo e spiegati meglio!» intervenne un legionario mentre teneva per le briglie il cavallo che lentamente si stava calmando mentre sbuffava come un toro a causa della corsa forzata.

    «Felsina è stata attaccata! Hanno massacrato tutti e dato alle fiamme le nostre case. Hanno violentato e ucciso le donne che non sono riuscite a fuggire. Ora si stanno dirigendo in questa direzione»

    Il legionario volse lo sguardo verso il suo commilitone ed esclamò:

    «Dobbiamo avvisare la guarnigione di Flavio Romolo»

    «Impossibile! - intervenne il cavaliere giunto da Felsina - i soldati hanno tentato di raggiungerlo, ma la sua guarnigione si trova a Ravenna, una postazione troppo lontana tanto da essere stati intercettati e impalati, un orrore per nostro Signore!»

    I due legionari si scrutarono per un attimo sostenendo un silenzio di intesa, poi senza dirsi una parola presero a correre verso i loro cavalli e lanciandoli in una folle corsa lasciarono gli abitanti di Mutina al loro destino.

    «Santo Padre, ci hanno abbandonato! Dobbiamo chiedere aiuto!!!» esclamò un uomo, il fabbro, che si era avvicinato con il martello ancora in mano per ascoltare, mentre un'altra voce fece seguito:

    «Chiediamo aiuto al mago Myriddin è l'unico che può aiutarci» disse una donna ben pasciuta con una reticella che le conteneva i capelli.

    Myriddin abitava isolato in un colle poco distante, sembrava più vecchio di quello che fosse in realtà e portava sempre un mantello nero con il cappuccio. Myriddin era rispettato e temuto soprattutto per il suo fare ombroso e solitario. Il suo aspetto con quegli occhi accesi e ardenti dalle folte ciglia grigie incuteva timore ai suoi interlocutori che si sentivano leggere nella mente.

    Nessuno sapeva per quale motivo vivesse così isolato, era giunto in quella regione diversi anni prima con il suo mulo e la sacca piena di denari. Nessuno era a conoscenza del suo passato, che egli celava diventando scontroso con chi ficcava il naso nei suoi affari. Ma nonostante questa fama aiutava chiunque chiedesse il suo aiuto. I generali romani si fermavano spesso a chiedere consiglio su come condurre una battaglia o una sua predizione sull’esito finale. Nessuno aveva il coraggio di dire che era un Mago, lo bisbigliavano soltanto. La sua casa si trovava verso le colline ed era difficile trovarlo nella sua capanna di legno. Soventemente scompariva senza dire niente a nessuno e stava lontano anche per mesi, nessuno sapeva dove andasse o cosa facesse, tranne qualche sua amante. Quando tornava trovava comunque tutto in ordine come aveva lasciato prima della partenza. Il suo punto debole di fatto erano le fanciulle, amava la bellezza e qualcuna di loro amava lui e tali donne si prodigavano nell'accudire la sua casa.

    Quel giorno, giunto innanzi alla porta del suo capanno, la aprì e stava già assaporando il profumo del suo piatto preferito, una zuppa di legumi che certamente una fanciulla del paese gli aveva preparato; non c’era nessuno all'interno della casa e già pregustava quella pietanza lasciata lì dalla gentildonna che discretamente se ne era già andata. Era da più di sei mesi che non mangiava qualcosa di decente, da quando aveva deciso di partire per la Britannia. Si chiedeva come quella donna di nome Chiaretta che lui ben conosceva, avesse saputo del suo arrivo. Che donna fantastica! Pensò con un sorriso sulle labbra mentre ricordava il suo prosperoso seno e si lisciava attorcigliando il lungo sopracciglio con gesto lento e ripetuto, tra l’indice e il pollice come di abitudine quando era pensieroso. Non fece in tempo a sedersi intento a pregustarsi la zuppa che poco dopo sentì una voce insistente gridare il suo nome.

    «Sir Myriddin! Sir Myriddin! Siete in casa?»

    «Cosa diavolo vorranno adesso!» borbottò il Mago che aveva appena afferrato il cucchiaio colmo di zuppa. Alla porta alcune persone bussavano ancora e ancora il suo nome veniva affannosamente pronunciato.

    «Basta con questo chiasso! Entrate!» rispose nervosamente ad alta voce.

    Un uomo proveniente dalla città e vestito da una toga che lo collocava tra gli illustri della città, aprì la porta cigolante e seguito da due suoi concittadini con reverente rispetto cominciò a spiegarsi.

    «Perdonateci l'ingerenza, ma abbiamo bisogno del vostro aiuto»

    «Di cosa si tratta?» Chiese Myriddin mentre si imboccava con cucchiaiate colme di zuppa senza staccare gli occhi dal piatto.

    «I Barbari streg... Signore! Stanno giungendo in città pronti a saccheggiarla. I legionari sono fuggiti e la guarnigione di Flavio Severo è troppo lontana per poterci aiutare. Cosa possiamo fare? Sappiamo che avete condotto la battaglia di Mons Colubrarius facendo vincere l'esercito dell'imperatore Graziano. Ci aiuterete? Solo voi potete aiutarci!»

    Myriddin sembrò non ascoltarli, si limitò semplicemente ad ingozzarsi di zuppa in silenzio, cucchiaiata dopo cucchiaiata, lasciando i tre uomini in piedi dal lato opposto del tavolo in trepidante attesa.

    L'attesa era angosciante e uno dei tre uomini cominciò a bisbigliare nell'orecchio di quello dinnanzi a lui:

    «Non ci aiuterà te lo avevo detto io»

    Myriddin prese ad asciugarsi la barba unta dal brodo della zuppa di cui era intrisa e si alzò in piedi imprecando e gesticolando:

    «Per mille salamandre! Non si può mangiare nemmeno una santa zuppa in pace!?! Vi trasformerei in rospi se non avessi già mangiato!»

    Agli uomini, vedendo sgranare gli occhi ardenti dello stregone e le pupille dilatate si gelò il sangue e non riuscirono a proferire parola, fino a quando Myriddin non li tranquillizzò esternando un bieco sorriso.

    «Ma sareste fastidiosi anche come tali, gracchiereste giorno e notte!! Questi Barbari dunque, sapete quando raggiungeranno la città?»

    «Tra qualche giorno sembra»

    «Uhmm… Forse posso fare qualcosa, ma se fallirò non so proprio come potrò ad aiutarvi»

    «Vi ringraziamo signore, grazie … grazie!»

    «Sì, sì … andate … andate, andate che poi vi raggiungo!»

    Gli uomini uscirono inchinandosi più volte con il cuore più leggero nel sapere che sarebbero stati aiutati da quell'uomo che aveva fatto leggenda in quella famosa battaglia. Si raccontava infatti che scagliasse palle di fuoco e che i fulmini dal cielo eseguissero i suoi comandi e si scagliassero contro l'esercito nemico. Le legioni romani erano riuscite facilmente ad annientare gli Alemanni di quella confederazione annientandoli. Ma cosa aveva in mente di fare? Si chiesero gli uomini mentre si incamminavano lungo il sentiero verso Mutina, non c'era nessun esercito a sostenerlo, solo commercianti e contadini. Nel frattempo Myriddin all'interno del suo capanno

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