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Il prezzo dell'orgoglio
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E-book241 pagine3 ore

Il prezzo dell'orgoglio

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Info su questo ebook

Dopo una vita dedicata alla famiglia, Marco trascorre pigramente la vecchiaia nella sua casa di campagna. Gli fanno compagnia gli amici di sempre, i suoi ricordi e un vecchio cane. Frammenti di spensieratezza si intersecano nei momenti di nostalgia, la caparbia volontà di vivere prevale sulla rassegnazione.

Vittima di una meschina macchinazione, si trova costretto ad abbandonare la casa in cui, con il cuore ferito, lascia un po’ di sé.

L’orgoglio non gli consente di accettare l’ospitalità che le figlie gli offrono. è un padre che si rifiuta di cedere all’inevitabile egoismo della vecchiaia.

Il suo coraggio, che il tempo non ha saputo domare, gli consentirà di costringere la vita a concedergli ancora uno scampolo di felicità.

Questo racconto è la meticolosa osservazione di sentimenti, emozioni e fragilità di chi non ha più traguardi da raggiungere.
LinguaItaliano
Data di uscita5 mar 2016
ISBN9788892562134
Il prezzo dell'orgoglio

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    Il prezzo dell'orgoglio - Daniela Cardo

    cena

    I - Una vita al crepuscolo

    Seduto a braccia incrociate, all’ombra del vecchio salice, con lo sguardo fisso contro il cielo, Marco sembrava aspettare qualcosa o forse qualcuno. Ma nessuno arrivò a soddisfare quell’attesa, e il sole lentamente scese fino a scomparire oltre la campagna, tra le nuvole tinte di un rosso inquietante, mentre l’aria ancora calda gli scompigliava i capelli.

    Gli ultimi raggi di luce illuminavano le rughe del suo volto. Il tempo aveva ingrigito l’azzurro degli occhi, i lineamenti decisi e regolari suggerivano una bellezza di cui ormai non restava più traccia.

    Lentamente si alzò per incamminarsi verso casa, attraversando il giardino, tra ortensie e gerani quasi sfioriti in quel fine agosto di un’estate siccitosa.

    Lupo, il vecchio pastore tedesco, non si allontanava mai da Marco, difficile stabilire se il tempo fosse stato più benevolo con l’uomo o con il cane. Zoppicante quanto il padrone, esprimeva tutta la sua solidarietà, nel camminargli accanto, adagio, per consentirgli di poggiare la mano sul suo dorso sorreggendolo quando sembrava dubitare del precario equilibrio del vecchio.

    Ad una ad una aprì le finestre della vecchia casa per lasciar passare la brezza serale. Il fardello degli anni si faceva ogni giorno più pesante, Marco lo avvertiva rassegnato.

    Da tempo i suoi ottantacinque anni non gli consentivano più di dedicarsi alla cura dell’orto, un’antica passione che nelle giornate di pioggia rimpiazzava con la scultura del legno. Piccole cose. Aveva imparato a prendersi cura delle rose e dei fiori che sua moglie amava tanto, gli sembrava un modo per sentire ancora vicina colei che era stata sua compagna per una vita intera.

    Lara se n’era andata da un anno, alla fine dell’estate, dopo una breve malattia, ma il vecchio aveva continuato a fare ogni cosa come se lei fosse ancora lì al suo fianco. Ogni mattina il caffè, per due, e ne lasciava un po’ nella caffettiera fino al giorno successivo, solo allora si rassegnava a vuotarla per poi prepararne altri due.

    Anche il pranzo che apparecchiava era molto più abbondante del necessario e sopra la tavola c’era sempre un secondo piatto, vuoto, anch’esso in attesa di qualcuno che non sarebbe più arrivato a tempo per quel pasto.

    Eppure non era triste, anzi. Quei gesti non erano l’espressione delirante di un disagio senile, ma un modo molto personale di rimanere in contatto con la sua Lara cui spesso rivolgeva domande, complimenti e battute come fosse stata accanto a lui, serenamente.

    Il cane ascoltava con pazienza i lunghi monologhi di Marco per captare qualche parola a lui familiare ma sempre più raramente riusciva a udire i suoi vocaboli preferiti: biscotto, salsiccia, osso, corriamo o salta! Medico e veterinario si erano accordati per bandire ogni piacere dalla vita di entrambi, e solo raramente Marco concedeva a se stesso e all’amico qualche deroga, d’altra parte l’aveva promesso a Lara: Abbi cura di Lupo e di te! erano state le sue ultime raccomandazioni. Non se la sentiva di deluderla.

    Va bene, solo mezzo biscotto. è inutile che mi guardi così, lo sai che Lara non vuole.

    Tutta l’energia del vecchio cane si esauriva in un allegro scodinzolare a quelle parole, mentre, rinunciando a saltellare, si avvicinava piano alla mano che gli porgeva l’insperato premio.

    Bravo Lupo. Adesso vai a cuccia che devo leggere il mio giornale. Voglio vedere cos’altro si inventa il nostro governo per rubarmi quel che resta della mia pensione.

    Argomento principe dei suoi monologhi era la preoccupazione per la crisi economica e per la possibilità che qualche altra tassa, potesse ridurre le già precarie risorse di cui disponeva.

    Ogni mattina il ragazzo dell’edicola gli consegnava Il Gazzettino. Un lusso cui non avrebbe mai rinunciato, era il suo contatto con il mondo e l’inesauribile fonte di ispirazione per i suoi comizi contro i politici corrotti. Quando poi le notizie non erano più abbastanza fresche da meritare attenzione, quei fogli diventavano materiale indispensabile all’accensione della stufa con cui scaldava la cucina nei lunghi inverni.

    Il telefono a volte squillava, quasi sempre era Lucia, la più anziana delle sue due figlie, preoccupata più dell’incolumità della casa che della salute del padre:

    Ciao papà, tutto bene? Ti sei ricordato di spegnere il gas? È passata Marika? Ha fatto la spesa?

    Lui aspettava che la sfilza di domande si esaurisse per rispondere con un semplice Non preoccuparti è tutto sotto controllo.

    Poi ascoltava pazientemente le raccomandazioni della donna senza curarsene minimamente. Aveva perso un po’ di elasticità nei movimenti ma non aveva nessun problema ad organizzare la gestione della casa con l’aiuto della giovane moldava, che da un paio d’anni si era rivelata insostituibile e fidata.

    Lara aveva conosciuto Marika all’ospedale, in occasione del suo primo ricovero, quando le fu diagnosticata una leucemia acuta mieloide. La prognosi non lasciava dubbi sull’evolversi della malattia, scoperta troppo tardi. Erano anni che la donna soffriva per i suoi dolori alle ossa, accettandoli come un inevitabile effetto collaterale dell’età.

    Se solo si fosse indagato un po’ di più, per quel sintomo, si sarebbe potuto intervenire in tempo. Marco non si dava pace per non aver insistito, più di quanto non avesse fatto, affinché la moglie si affidasse ad un dottore più scrupoloso dell’indolente medico condotto che troppe volte l’aveva liquidata con qualche risposta sbrigativa:

    Alla sua età, signora mia, i dolori sono una compagnia frequente.

    Ma Lara non avrebbe voluto accanirsi contro quella che chiamava la sua cara nemica, sapeva che la terapia sarebbe stata devastante. Si era informata, precisa e scrupolosa come sempre, aveva saputo che probabilmente la cura avrebbe richiesto l’utilizzo della chemioterapia e vi si era opposta categoricamente immaginando che gli effetti collaterali sarebbero stati devastanti.

    Bisogna accettare la volontà di Dio, ribellarsi e prolungare un’agonia è solo fare violenza su se stessi. Non lasciare mai che mi curino con quei preparati tossici, non li sopporterei.

    Ripeteva queste parole stringendo la mano di Marco così forte che, a volte, qualche lacrima scendeva sul viso del vecchio. Lui la pregava di allentare la stretta, fingendo che quella fosse la causa del suo pianto.

    Marika era la badante di un’anziana signora ricoverata nello stesso reparto. Nei lunghi pomeriggi trascorsi sul letto d’ospedale, in attesa di altri e più approfonditi esami, Lara raccolse le confidenze della giovane che si era lasciata alle spalle miseria ed umiliazioni per venire in Italia a cercare lavoro. A Padova, per l’interessamento di un sacerdote, aveva conosciuto l’anziana di cui si occupava da un paio d’anni. Non era raro vederla piangere angosciata per le condizioni della donna che i medici avevano definito disperate e, perché no, anche per il proprio futuro: non sarebbe stato facile trovare un altro lavoro.

    Impietosita per le sue paure e consapevole di non potersi più occupare delle faccende domestiche, Lara si accordò con lei. La giovane moldava fu felice di quella proposta che le avrebbe consentito di rimanere in Italia.

    Io non posso permettermi di pagarti uno stipendio a tempo pieno, ma se per te va bene venire a lavorare qualche mattina a settimana...

    Marco si preoccupò subito di chiarire gli accordi e pattuire il compenso, non ci furono problemi, Marika non ebbe difficoltà a trovare altre persone bisognose di un piccolo aiuto, in fondo quella sistemazione le concedeva anche un po’ di tempo per se. Era perfetta.

    La giovane si rivelò preziosa nella casa, non solo per le faccende che sbrigava diligentemente, ma soprattutto per l’allegria che sapeva trasmettere.

    Fu lei ad occuparsi di Marco negli ultimi mesi di vita della moglie, cercando di restargli vicino anche oltre l’orario di lavoro, per rassicurarlo e accertarsi che non si abbandonasse alla tristezza. Poi, quando Lara lo lasciò, fu ancora lei a prendersi cura di tutto, mettendo ordine tra i mille ricordi che la donna aveva lasciato. A volte cantava incomprensibili canzoni per coprire il rumore dell’aspirapolvere che Marco detestava.

    Lucia, sembrava non gradire eccessivamente le attenzioni che la giovane riservava al padre. Senza troppe metafore, in più di un’occasione, aveva ritenuto opportuno metterlo in guardia da certe donne senza scrupoli capaci di approfittarsi di uomini anziani e soli, illudendoli con moine per alleggerire i loro conti bancari.

    Ma per chi mi prendi? si ribellava ogni volta Marco. Credi forse che io sia un vecchio rimbambito?

    Sapeva bene quanto l’apprensione della figlia fosse infondata e quell’interesse per le sue finanze lo infastidiva. A pieno diritto. Non si capacitava che Lucia avesse sposato Pietro, uomo tanto affascinante quanto inconcludente. Le sue occupazioni, negli anni, avevano registrato più metamorfosi di quante ne subisca la livrea di un camaleonte nel corso di tutta la vita. Da promotore finanziario a consulente per non si sa bene quali e quante multinazionali. Nonostante l’entusiasmo iniziale, ogni volta era un tonfo, spesso con conseguenze economiche imbarazzanti a cui, non di rado, Marco aveva rimediato mettendo mano ai suoi risparmi. Ora che non c’era più Lara ad intercedere in favore della figlia, si era ripromesso di non accondiscendere oltre alle sue richieste, era tempo che il genero si facesse carico delle proprie responsabilità.

    Concreto e metodico, Marco aveva imparato nei lunghi anni trascorsi alla sua modesta ma rispettabile scrivania di impiegato di banca, senza mai cedere ad altre lusinghe, a pianificare con cura spese ed investimenti, sacrificando ambizioni ed orgoglio per raggiungere obiettivi concreti sempre concordati con Lara. Assieme avevano risparmiato il necessario per poter acquistare un vecchio rudere con un piccolo appezzamento di terreno attorno, nella campagna veneta. Poco per volta lo avevano risistemato fino a farne la loro casa. Lì erano nate le figlie.

    Elisabetta, discreta più della sorella maggiore, non si preoccupava di sorvegliare troppo il padre. Consapevole della sua ancora indiscutibile autonomia, di tanto in tanto lo chiamava al telefono per non fagli mancare qualche attenzione, ma spesso finiva per limitarsi a raccontare quello che le era accaduto durante la giornata, presa com’era dal suo lavoro di giornalista che la portava spesso fuori città.

    Marco era orgoglioso di quella figlia così indipendente. Faticava a credere che fosse riuscita da sola ad affrontare la vita con tanto coraggio, lasciandosi alle spalle un matrimonio sbagliato e buttandosi a capofitto nel lavoro che, dopo tanti anni, ancora l’affascinava. Ogni mattina, sfogliando il suo giornale, cercava l’articolo che portava la firma di Elisabetta Varotti, quasi sempre un approfondimento su temi sociali e, con l’orgoglio di padre, spesso lo ritagliava e lo conservava assieme a molti altri in una grande scatola. Il primo portava la data del 5 aprile del 1988 e parlava del Dalai Lama e dei suoi guai con la Cina. Un luccichio negli occhi tradiva un po’ d’emozione leggendo, tra le righe, la sensibilità e la dolcezza della figlia. Immaginava che Elisabetta affidasse a quelle pagine le parole che avrebbe voluto dire a lui ma che uno stupido pudore le impediva di pronunciare. In qualche servizio si era occupata del disagio delle persone anziane, ponendo l’accento su isolamento e malinconia che a volte feriscono più dei malanni tipici dell’età. A Marco era parso che quelle attenzioni fossero rivolte esclusivamente a lui e alla sua solitudine.

    Elisabetta aveva lo stesso sorriso della madre, come lei era bella e delicata, Marco non smetteva di raccomandarle di aver cura di se, terrorizzato che da lei avesse avuto in eredità anche la vulnerabilità o peggio la malattia.

    Lara aveva educato le figlie con amore e tenacia, ma non aveva saputo infondere in entrambe la stessa dolcezza. Lucia aveva sempre dominato sulla sorella, il suo carattere fiero aveva capitolato solo davanti alle promesse mai mantenute del marito. Giacomo e Filippo, i figli, si erano ben presto adeguati alle altalenanti sorti della famiglia, approfittando dei momenti di agiatezza per avere in regalo tutto ciò di cui non avevano bisogno per poi barattarlo per concedersi il necessario nei periodi in cui il padre sembrava perdere il controllo della situazione.

    Giacomo aveva ormai compiuto trent’anni ma stentava ancora a trovare una direzione verso cui indirizzare i suoi pochi sforzi lavorativi. A volte sembrava seguire le orme del padre, ma senza riuscire a cogliere neppure uno di quei risultati positivi che di tanto in tanto Pietro invece registrava.

    Più giudizioso, almeno all’apparenza, Filippo era al suo secondo o forse terzo anno di fuori corso alla facoltà di scienze politiche. Nessuno si preoccupava di chiedergliene conto, la famiglia si accontentava di poter vantare un universitario tra i propri membri, gratificata da tanto impegno culturale, non osava approfondire oltre l’argomento.

    Gli infrequenti risultati positivi che Pietro riusciva a conseguire, venivano ampiamente sottolineati da regali che spesso non rimanevano in famiglia più di una stagione. Nel corso degli anni Marco aveva visto i nipoti in sella a motorini e scooter che ben presto lasciavano il posto a biciclette senza troppe pretese, per poi ostentare piccole utilitarie che duravano poco più del pieno di benzina che il nonno a volte si lasciava convincere ad offrire loro.

    Il vecchio aveva smesso di chiedere notizie su quell’andirivieni di mezzi di trasporto, sapeva bene che tutto dipendeva dalle fasi alterne della fortuna del padre e francamente preferiva non esserne costantemente aggiornato temendo l’ennesima richiesta di appoggio economico che da qualche tempo aveva deciso di negargli.

    Se durante il giorno Marco poteva contare sulla compagnia di Lupo o sulla collaborazione di Marika, la sera la malinconia si faceva più tangibile. Consumata la cena, riordinata alla meglio la cucina, il vecchio sedeva davanti al televisore, cercando tra un canale e l’altro un programma televisivo che riuscisse ad attrarre la sua attenzione, quel tanto da non farlo appisolare. Documentari e film erano i preferiti, ma non lo interessavano più come quando c’era Lara. Restare sul divano da solo a guardare in silenzio quelle immagini, senza avere accanto qualcuno con cui commentarle quasi lo infastidiva e Lupo non sembrava troppo disposto ad ascoltare i suoi apprezzamenti. Sazio com’era degli avanzi di cui aveva potuto beneficiare, rimaneva a dormire pesantemente nella sua comoda cuccia. Il più delle volte Marco si arrendeva allo scricchiolio delle sue ossa andando a dormire, o per lo meno ci provava.

    Recitava in fretta una preghiera che la moglie gli aveva raccomandato di dire ogni sera per le figlie, poi cominciava a passare in rassegna i ricordi che inevitabilmente avevano come fulcro Lara. Rivedeva il suo sorriso, quello che lei gli riservava ogni mattino, anche quando il giorno precedente avevano discusso senza trovare un punto d’intesa su una banalità qualsiasi. Non serbava mai rancore lei, sempre disposta a perdonare ogni intemperanza delle figlie o del marito, pronta a scusare tutto e tutti.

    Sono giovani diceva. Quando diventeranno mamme capiranno le nostre preoccupazioni. Adesso lasciamo che si divertano, avranno tempo per rattristarsi, Dio non voglia!

    Com’era saggia Lara, sembrava immaginare che la vita avrebbe riservato loro tante illusioni e troppe amarezze.

    Non sapeva darsi pace per la sofferenza di Elisabetta, per un matrimonio deciso troppo in fretta. Aveva sposato un collega di lavoro con cui spesso si era trovata a viaggiare per qualche servizio, e quel bastardo aveva sfoggiato le sue scarse doti per conquistare la giovane e bella giornalista. Un paio d’anni bastò per scoprire che l’uomo che aveva giurato di prendersi cura di lei fosse irragionevolmente geloso. Non sopportava che Elisabetta potesse rimanere lontana da casa per qualche incarico di lavoro, e ad ogni suo ritorno la tempestava di domande che poco per volta diventarono insinuazioni ed accuse.

    Fu Lara, un terribile giorno, a precipitarsi a casa della figlia per sottrarla alla furia di quell’individuo che finalmente si era mostrato per quel che era realmente. Ottuso, violento, accecato di gelosia. Soffriva di una sorta di senso di inferiorità nei confronti della moglie che, più di lui, vedeva riconosciuto il talento di giornalista. Su di lei sfogò la frustrazione. Approfittando della sua forza infierì su quell’esile corpo che nulla poté, se non tentare di proteggersi raggomitolata su se stessa. Non bastò a salvare la vita che portava in grembo da pochi mesi.

    Elisabetta tornò a vivere con i genitori finché non riuscì a ritrovare la sua serenità, o per lo meno a farlo credere a loro.

    Marco avrebbe voluto che la figlia rimanesse più a lungo nella casa in campagna, temeva fosse ancora troppo fragile per affrontare il mondo da sola, ma dovette ben presto ricredersi e riconoscere che quella piccola donna dall’aria dolce e remissiva, nascondeva coraggio e determinazione che l’avrebbero sostenuta in ogni battaglia che inevitabilmente si sarebbe trovata ad affrontare nella vita.

    Sei vecchio ed egoista. gli ripeteva Lara, un po’ per scherzo un po’ per provocazione. Come puoi pretendere che tua figlia resti qui a far compagnia a noi. Devi lasciare che vada per la sua strada, lei è ancora giovane, si rifarà una vita, vedrai.

    E la strada la trovò, Elisabetta. Lunga, in salita, disseminata di curve, ma con molte soddisfazioni per un lavoro che amava più di se stessa e per il quale si era trovata a volte anche ad assumere qualche rischio, mettendo in apprensione i genitori. Ma quanto a rifarsi una vita... no, aveva sofferto troppo per quel farabutto e nessun altro uomo, al di fuori di suo padre, seppe più conquistare la sua fiducia.

    La casa di Elisabetta si riempì poco per volta di cocorite, gatti e pesci colorati. Amici e colleghi spesso trascorrevano le serate con lei ma a nessuno Elisabetta concesse più di varcare il muro di ghiaccio che aveva eretto tutt’attorno alla sua anima, nessuno avrebbe più potuto ferirla, nessuno più doveva amarla.

    Fino all’ultimo giorno Lara aveva pregato perché ci fosse da qualche parte un uomo capace di abbattere quella barriera e di renderla felice come Marco aveva saputo fare con lei, ma non sempre le preghiere vengono esaudite. Ci sono ragioni che non

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