Infamia: L'informazione tra manipolazione e repressione
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Questo libro racconta le fasi di questo scontro, le armi con cui si sta giocando e quelle con cui dovremo confrontarci nel futuro immediato. L’esito di questo confronto sarà deciso dal numero di quanti ne saranno consapevoli, se la battaglia sarà persa le prossime elezioni politiche in Italia potrebbero essere le ultime che si svolgeranno con una informazione libera.
Enzo Pennetta da anni in prima linea nell'informazione indipendente è il fondatore del sito di analisi sull'informazione scientifica e dei fenomeni geo politici 'Critica Scientifica', ha pubblicato nel 2011 “Inchiesta sul darwinismo” un'indagine sull'origine e le implicazioni sociali della teoria darwiniana e nel 2016 “L'ultimo uomo”, un saggio sulla mutazione antropologica in atto nella società contemporanea che ha raggiunto la prima posizione nella classifica Amazon dei saggi socio economici.
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Anteprima del libro
Infamia - Enzo Pennetta
condicio"
Prefazione
Claudio Messora
Quelli di noi che hanno più di vent’anni sono cresciuti in un mondo dove l’informazione potevano farla solo un partito politico o la Fiat. Uffici, personale, distribuzione, permessi e licenze… chi non disponeva di grandi budget non poteva raggiungere le masse. Sul fronte della produzione televisiva, ad esempio, anche filmati molto semplici richiedevano telecamere, studi, banchi di regia da 500 milioni di lire e così via, che relegavano il mondo della comunicazione video ai soli grandi editori, i quali o rispondevano a un partito, o avevano
un partito. Il risultato era che una notizia, prima di essere pubblicata, doveva passare numerosi filtri, la maggior parte dei quali non valutavano la sua credibilità, ma la sua convenienza. E ciò che non era dato sapere, vuoi perché sconveniente per tutti, vuoi perché ritenuto socialmente destabilizzante o contrario agli interessi dei timonieri, era come se non esistesse.
Questo panorama era andato costruendosi sul modello della crescita progressiva dei grandi network di news americani, che dalla seconda guerra mondiale in poi avevano monopolizzato il mondo dell’informazione cannibalizzando tutto il mercato delle idee e incanalandolo in due grandi flussi dai quali, come accade per la luce nel campo gravitazionale di un buco nero, nulla poteva sfuggire. Il brulichio pre-esistente, fatto da decine di riviste di associazioni e attivisti, organi di partito, ciclostilati clericali, giornali di quartiere, era stato assorbito e neutralizzato da colossi come CNN o FOX. Ma mentre il dibattito pubblico, lasciato libero di fluire, con le sue posizioni anche estreme e contrapposte, beneficiava dalla pluralità e dalla ricchezza delle idee diverse, il mondo dei confronti tv patinati e controllati restituiva allo spettatore una rappresentazione del mondo fasulla e costruita ad arte, nella quale anche i nemici non si combattevano per davvero bensì seguivano un copione. Era nata l’era degli spin doctor
. O, per dirla con il Piano di Rinascita Democratica di Licio Gelli, scritto nel crogiuolo della Loggia P2 (un’associazione paramassonica segreta ed eversiva per la Commissione Parlamentare guidata da Tina Anselmi, un semplice circolo culturale
per Berlusconi che ne faceva parte), si doveva dare l’illusione della democrazia
, costruendo due schieramenti contrapposti che ponessero fine all’era precedente della frammentazione di idee, interessi e potere, la quale non consentiva ai pochi di prendere il controllo sui molti. E così, mentre moriva il proporzionale puro in Parlamento, nascevano in Italia il Pd e il Pdl. E giornali di centro-sinistra e giornali di centro-destra, e conduttori rossi e conduttori azzurri, il pericolo della magistratura schierata e quello del conflitto di interessi e delle cene di Arcore. In tutto questo, i veri temi come il referendum per legittimare la costituzione di un nuovo grande Governo Europeo, o l’ingresso nell’Euro, passavano sotto banco, e i trattati venivano ratificati in piena estate, come nel caso del Trattato di Lisbona, quando la gente è al mare ed ebbra di vino e di veline di Striscia la Notizia.
Poi è accaduta una magia. Tra la fine degli anni ’90 e l’inizio del nuovo secolo i cittadini hanno iniziato ad utilizzare internet per passarsi informazioni. I siti web sono diventati blog (contrazione di web log, registro in rete), e i blog sono diventati multiblog, vere e proprie riviste digitali, animatrici di interminabili discussioni su questioni che i grandi pachidermi delle news non affrontavano. O peggio, che affrontavano in maniera distorta o manipolata. In parallelo, la tecnologia di ripresa e montaggio video ha fatto un balzo epocale in avanti, consentendo a chiunque avesse a disposizione una telecamera amatoriale e un personal computer di fare montaggi, dapprima semplici e poi sempre più complessi, che solo qualche anno prima avrebbero richiesto costosissime apparecchiature. E infine, a metà degli anni 2000, è arrivata Youtube, una piattaforma che aveva quasi del miracoloso: si potevano condividere video di qualunque tipo, compresi quelli fatti in autonomia, caricandoli in rete con la propria connessione internet. Una rivoluzione copernicana paragonabile solo all’invenzione della stampa, ma forse anche più potente. Chiunque ora poteva animare uno spazio molto simile a un miscuglio tra un palinsesto televisivo e un giornale cartaceo. E, soprattutto, chiunque ora poteva raggiungere quello spazio e dare le sue coordinate ad altre persone. Ricordo che uno dei primi video che feci su Youtube, a cavallo tra il 2007 e il 2008, venne visto da oltre 80 mila persone. Numeri molto inferiori a quelli che si possono raggiungere oggi, ma che visivamente significavano avere riempito quella che allora era la capienza dello stadio di San Siro. E San Siro potevano riempirlo solo i cantanti o le sfide al vertice del campionato di calcio. Erano i tempi d’oro dei blog. Facebook era ancora di là da venire, e le persone venivano quotidianamente a visitare i loro informatori di fiducia, iscrivendosi ai feed rss e alle mailing list. La regola principale era: onestà e trasparenza. Si poteva sbagliare, certo, ma l’importante era che si fosse fatto in buona fede. Posti di fronte a dati, documenti, ma anche ragionamenti incontrovertibili, i nuovi cittadini – navigatori riconoscevano subito la finzione e la menzogna dei grandi network televisivi e dei grandi giornali, e non la sopportavano più. Qualcuno diceva che la televisione e i giornali erano morti
, nel senso che era solo questione di tempo prima che scomparissero. Sta di fatto che la ricchezza del dibattito che internet offriva, insieme alla sua capacità sistemica di smascherare chi faceva il furbo o pubblicava notizie false, costringeva anche giornali e televisioni a confrontarsi, anche solo nel tentativo di confutarli, con i nuovi giornalisti digitali in erba. È impossibile sottrarsi all’evidenza luminosa di un concetto autenticamente veritiero, o alla potenza di un mezzo capace di liberare energie, personaggi, idee e visioni del mondo che, repressi da decenni, attendevano solo un mezzo per far sentire la loro voce. Ed era una voce di dissenso. Professori, filosofi, economisti, giuristi, magistrati, avvocati, docenti… l’Italia era ed è una miniera sconfinata di intelligenze, visioni e analisi che rappresentano un autentico problema per un sistema di controllo che fino a poco tempo prima era stato capace di porre efficacemente un tappo su ogni tipo di confronto, culturale e politico. E, del resto, è il dissenso la vera ricchezza di una democrazia sana, così come il dubbio dovrebbe rappresentare il faro guida della comunità scientifica, così come la consapevolezza si alimenta della facoltà critica di sottoporre sempre le nostre convinzioni al vaglio del confronto con quelle degli altri.
Chiaramente tutta questa libertà non poteva durare. Dapprima arrivò Facebook, una grande vetrina dove ognuno conferiva spontaneamente gusti, legami di parentela, dati sensibili e preferenze commerciali e politiche, in cambio di una gratificazione istantanea, guidata dalla dopamina, come l’ex vicepresidente di Facebook Chamath Palihapitiya ha recentemente affermato in un incontro alla Stanford University, riferendosi alla dinamica dei like
sui contenuti. Cosa aveva a che fare Facebook con l’informazione libera e indipendente dei blog in rete? Apparentemente nulla, senonché la possibilità di pubblicare link, e di iscriversi ai feed di amici e