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Ritratti Cosentini. Vivere il pesente imparando dal passato
Ritratti Cosentini. Vivere il pesente imparando dal passato
Ritratti Cosentini. Vivere il pesente imparando dal passato
E-book173 pagine1 ora

Ritratti Cosentini. Vivere il pesente imparando dal passato

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Info su questo ebook

“Ritratti Cosentini” non è un libro di storia.
In esso, l’autore, espone, come in una galleria, tanti “quadri” che raffigurano persone, rievocano luoghi ed avvenimenti della nobilissima ed antichissima Città di Cosenza.
Non sono biografie ufficiali.
I lettori leggeranno pochissime date e riferimenti specifici e saranno portati per mano a scoprire i “volti”, le epoche, i vicoli e le strade della Città, in un susseguirsi di inedite rivelazioni che Francesco D’Ambrosio ha deciso di offrire al giudizio dei lettori.
È il primo libro di una trilogia che impegnerà l’autore nei prossimi anni.

 
LinguaItaliano
Data di uscita17 mag 2018
ISBN9788868226671
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    Anteprima del libro

    Ritratti Cosentini. Vivere il pesente imparando dal passato - Francesco D'Ambrosio

    Collana

    check-in

    FRANCESCO D’AMBROSIO

    RITRATTI

    COSENTINI

    Vivere il presente imparando dal passato

    Proprietà letteraria riservata

    © by Pellegrini Editore - Cosenza - Italy

    Edizione eBook 2018

    ISBN: 978-88-6822-667-1

    Via Camposano, 41 (ex via De Rada) - 87100 Cosenza

    Tel. (0984) 795065 - Fax (0984) 792672

    Sito internet: www.pellegrinieditore.it - www.pellegrinieditore.com

    E-mail: info@pellegrinieditore.it

    I diritti di traduzione, memorizzazione elettronica, riproduzione e adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi.

    A mia moglie

    Prefazione

    Chi conosce l’autore sa che non è strano che egli abbia pensato di dar vita a questa opera sicuramente particolare.

    Lo sa perché la sua natura lo ha sempre indotto a raccogliere nel tempo documenti ed annotazioni che solo chi ha vissuto intensamente, e non da spettatore, riesce a conservare come memoria di eventi e di persone incontrate nella vita.

    Il testo è un inno al senso di appartenenza alla sua città, che non è per lui un’entità geografica, è un luogo, è una comunità, è la sua Cosenza dove è nato e dove ha vissuto.

    Al di fuori di questa chiave di lettura ogni riflessione sarebbe fuorviante.

    Franco D’Ambrosio non è persona sconosciuta, ha sempre fatto politica anzi di politica si è nutrito ed ha attraversato i cicli di questo mondo interpretandone la passione ma anche le contraddizioni.

    Ha avuto, come noi, l’incommensurabile fortuna di stare accanto ai grandi della Politica, del Partito Socialista, quando le idee contavano, quando non ci si improvvisava politici o amministratori. Quando la gavetta si faceva ed era dura, quando prima di far parte di una lista di partito, dovevi dimostrare di esserne capace. Allora la candidatura non te la offriva nessuno come oggi, una candidatura la dovevi chiedere e faticare per ottenerla.

    Era un’altra politica, che se per un verso ha educato all’impegno civico ed al senso delle Istituzioni per un altro non ha fornito gli strumenti per reggere al colpo del suo degrado e del sovvertimento di ogni regola etica.

    È forse per questo che la promessa Franco D’Ambrosio non si è realizzata come avrebbe meritato e nel mondo, quello politico, che aveva scelto da sempre.

    I lunghi anni in cui ha cercato affannosamente qualcosa o qualcuno che si avvicinasse ai modelli che aveva avuto, compiendo scelte da molti giudicate incoerenti con troppa facilità, ci consegnano oggi un uomo più maturo che forse inconsapevolmente ha deciso di parlare ancora una volta alla sua gente.

    Ci auguriamo che egli venga ascoltato e sostenuto in questa nuova fase della sua vita. Troppe volte le sue doti sono state oggetto di commenti lusinghieri cui, però, non è seguito altro e che hanno, paradossalmente, acuito il suo senso di amarezza come sempre avviene quando un uomo sa che potrebbe dare molto e non trova il modo giusto per farlo.

    Oggi ci regala una parte importante del suo sentire: Cosenza ed i suoi tanti volti, le sue tante storie, nomi noti altri meno, gocce di una umanità che ci appartiene perché ad essa ci legano i ricordi o la curiosità di conoscerla.

    Molti lettori ritroveranno qualcosa di se, altri scopriranno cose che non sapevano, noi ritroviamo l’amico di sempre, il compagno, libero e finalmente sicuro di fare ciò in cui è bravo senza dover temere più i "però" che accompagnavano gli apprezzamenti che pure riceveva e che sono stati negli anni macigni.

    Non c’è uomo al mondo che possa sentirsi in pace con se stesso senza percepire di essere capito e, perché no, apprezzato.

    Non si tratta di narcisismo, questo gli avrebbe impedito di accendere i riflettori su tante figure diverse da se.

    Non si tratta di un testo un po’ ruffiano perché i riflettori hanno illuminato anche persone molto semplici che non potranno ricambiare l’omaggio in alcun modo.

    Si tratta solo di un viaggio e di un modo originale di dire al mondo: ecco, questi sono miei concittadini, questa è la mia Cosenza ed io ne faccio parte.

    Mimmo Frammartino e Fabiana Calvelli

    Le tre G della mia vita

    Mio padre per tutta la sua vita, come quella di tanti, fatta di sacrifici, di lavoro, di sogni, voleva che scrivessi un libro. Non gli importava su quale argomento. No, desiderava due cose: che diventassi giornalista e scrivessi un libro.

    Scrivi sempre, per te, per altri… e scrivilo un libro….

    È morto, purtroppo, anche con questo dispiacere.

    Oggi, dopo quasi dieci anni, l’ho scritto, il libro, e lui sarà contento, più di me.

    Ed ho deciso di scriverlo perché, giunto a sessant’anni, ho avvertito anche io, non un bisogno nostalgico, che è tipico dei vecchi, ma l’esigenza di scrivere della memoria.

    Prendo a prestito la bella frase pubblicata nel libro di Empio Malara, (Lo specchio a tre ante): … i fatti e le persone esistono solo se c’è qualcuno che li ricorda e li racconta.

    Ovviamente non è un libro di storia, un racconto, un saggio.

    Sarebbe presuntuoso.

    È un viaggio all’indietro, ma con tappe intermedie sull’oggi, sul presente, su persone, luoghi ed eventi che potranno interessare ed impegnare gli storici del futuro. Magari, i ragazzi e le ragazze della nostra bella Università che avranno a disposizione anche questo modesto contributo per i loro studi.

    Un viaggio lento, scandito da episodi, alcuni dei quali vissuti direttamente ed altri che mi sono stati raccontati dai protagonisti o che ho ricavato da ricerche appassionate e molto impegnative.

    Cosenza è una Città che ha una lunghissima storia, che si perde nella notte dei tempi. Una piccola città del Sud, che ha sempre anticipato, di tanti anni, le svolte, le conquiste, le trasformazioni avvenute.

    Una città difficile, controversa.

    È la città della leggenda di Alarico, dell’Accademia, di Bernardino Telesio, di Parrasio, dei Sette Colli.

    Una comunità di diversi ceti, quello medio, preponderante. Di commercianti, che hanno resistito alla globalizzazione, alla cinesizzazione, di piccoli imprenditori pionieristici, di grandi medici, avvocati, docenti.

    Di importanti e prestigiosi leader politici, di poeti, scrittori, di tanta gente sconosciuta, che ha lavorato, si è affermata.

    Io, come con il cavallo degli scacchi, ho fatto salti di tempo, di luoghi, ma con un filo, una strategia. Ho voluto dimostrare, spero d’esserci riuscito, che la storia è fatta di frammenti, poi di fili stesi, come quello di Arianna, per non perdersi, non smarrirsi, non smarrire la memoria che accomuna epoche, fatti e persone.

    Mi sono concesso, come certi registi, una furbata, anzi tre.

    L’ho chiamato Ritratti Cosentini, lasciandomi la facoltà di scriverne un altro, Ritratti Calabresi e forse un terzo, Ritratti della memoria socialista, una sorta di trilogia.

    E l’ho scritto per voi, miei cari lettori, perché possiate essere, come me, custodi della memoria.

    L’ho scritto per dedicarlo a tre persone: a mio padre ed a miei figli, le mie tre G, Gabriele mio padre, Gabriele e Giulia i miei figli, belli, bravi, ai quali non ho potuto dare ricchezze ed agiatezze, anzi, ma che sono cresciuti bene e sono forti, più forti di me, più bravi di me.

    Scrivono meglio di me, che sono autodidatta, avendo scelto altri per me gli studi tecnici ed avendo dovuto patire per cercare di imparare i classici. Loro invece da soli hanno scelto bene.

    A papà, perché ora non potrà più dirmi, … e scrivilo un libro ed ai figli perché non hanno un padre che gli chiederà di scrivere un libro, ma di custodire questo come esempio di esaltazione della memoria, attraverso il continuo divenire del tempo.

    E se a Gabriele e Giulia questo libro piacerà, vuol dire che ho fatto bene a scriverlo.

    Doveva essere bellissima la Cosenza degli anni ’30-’40

    Una città di quasi ventimila abitanti per lo più residenti nel centro storico. Un groviglio di strade, vicoli, taluni ciechi, con le piazze e gli slarghi animati da negozi e viandanti.

    L’immagine di oggi ci restituisce palazzi cadenti e vicoli ove incombe il pericolo di crolli ed in uno stato di abbandono totale.

    I bar, le cantine, le farmacie, i piccoli e fornitissimi spacci erano meta giornaliera anche delle persone dei

    paesi viciniori.

    Nel libro non potevo scrivere di tutti. Sarebbe stata impresa titanica e difficilissima.

    Raccontare, rievocare, descrivere le centinaia di attività, le persone, i luoghi che hanno animato la Cosenza nel corso di due secoli.

    Ricordare i Magazzini Spena, su Corso Mazzini, negozio di eccellenze alimentari, oggi si direbbe di nicchia. La saga degli Scarpelli, ancora oggi in attività, è diventanto una sorta di cult ed anche il punto di ritrovo dei giovani. Le signorine Palma (le zie dell’ex deputato Paolo) in Via Revocati o Pezzalorda, che vendeva fra l’altro il migliore baccalà e nel cui negozio si incameravano e custodivano i segreti e le chiacchiere della città. I mobilieri Giordano, De Bonis, Galasso e poi Attilio Giuliani.

    Avrei potuto scrivere dei Tagarelli, degli Oraso, di Valariano, di Redavide Gallo e delle Profumerie Ferraro e Giudice. Di Katia e Nino Rao. Le Farmacie, che erano cenacoli di intellettuali, anche durante il ventennio fascista: Misasi, Berardelli, Beneduce, Chetry, Coppola, Santoro, Gionchetti, Del Vecchio. Avrei potuto scrivere delle tipografie cosentine, divise in bianche e rosse, per ricordare che stampavano per i democristiani ed i socialisti: De Rose, Chiappetta e Fasano. La città delle Osterie, dei Gallo, dei Bifarella. Non ho scritto del Caffè Manna, del Gran Caffè Renzelli, della Standa, degli Scola, del Molino Bruno, dei primi Mini Market. Non ho scritto dei grandi Sarti cosentini, generazioni, che hanno fatto scuola anche oltre i confini cittadini.

    Avrei, forse, dovuto ritrarre i tanti esponenti politici: Riccardo Misasi, Dario Antoniozzi, Fausto e Luigi Gullo, Gino Picciotto e Francesco Martorelli, Consalvo Aragona, Michele Cozza e l’elenco ovviamente è molto parziale.

    Il libro, così, avrebbe assunto un altro valore.

    Non ho scritto della malavita cosentina, che ha segnato un’epoca. Solo perché il libro non ha questo intento. La città di Luigi Pennino, il boss elegante. La sua era "la

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