O Dio con noi o tutti in cenere: Cronache del primo dopoguerra su giornali, libri e manifesti
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Anteprima del libro
O Dio con noi o tutti in cenere - Luciano Costantini
Presentazione
La storia, diceva Jacques Le Goff, si fa con i documenti e con i monumenti. I primi sono scelti dallo storico, i secondi ereditati del passato. Accomunati dalla mens, mirano entrambi ad un’attività fondamentale per l’uomo: la memoria. Con questo suo ultimo libro, O Dio con noi o tutti in cenere , che fa parte del trittico dedicato a Viterbo, con Fuori le donne da Palazzo dei Priori e Il giorno che accecai il Duce , Luciano Costantini non ci dona il frutto deduttivo di una ricerca impegnata, né una sintesi teorica di avvenimenti, ma offre su un piatto d’argento quegli stessi golosi strumenti, quei materiali di prima mano, quelle fonti fragranti e prelibate con cui lo storico ricostruisce ed integra la memoria collettiva. Ricordare
non è solo il contrario di dimenticare
, ma anche sinonimo di educare
, illuminare
, erudire
su un passato che non è polverosa acribia da collezionisti, ma preziosa stele di rosetta per decodificare il presente ed orientare il futuro.
Nelle scuole troppo spesso l’insegnamento della storia procede per deduzioni e non per libera e induttiva scoperta. Partire dal manifesto, dalla carta stampata, dalla lettera, persino dal particolare colore di un semplice timbro può restituire non solo il sapore autentico di uno studio affascinante, ma anche esercitare un coraggio pioneristico nei confronti di un metodo basato sulle fonti dirette tuttora purtroppo controcorrente. Le testimonianze orali e le evidenze documentali, raccolte da Luciano Costantini, parlano di una Viterbo sorprendentemente update, come si direbbe oggi, in fatto di media. A cavallo tra il ‘44 e il ‘46 la fotografia della città restituisce un volto variegato all’uscita del dopoguerra. L’incredibile ricchezza di ben cinque settimanali, tre quindicinali e un mensile, a dispetto della carenza di carta e di inchiostro, all’epoca introvabili o costosissimi, lasciano allibiti se paragonati all’odierno funerale della carta stampata e all’imminente ed inesorabile chiusura di tante edicole.
Spenta la guerra, nel clima entusiastico della ricostruzione, l’emergenza della povertà, il ritorno alla vita agricola o commerciale fanno da sfondo al duello acceso tra filoamericani e filorussi, tra democristiani e comunisti. È vertiginoso pensare che, pur nel deserto del dopoguerra, a sopperire ad un cinema/teatro Genio distrutto dalle bombe – e rimesso in piedi in soli quattro anni – ci fossero ben due altre sale, il Corso e il Nazionale. Il confronto fa impallidire per la disarmante assenza di un cinema in città oggi. La gioia di vivere riversa i cittadini di allora a ballare nelle feste, a dibattere nelle arene, a praticare lo sport. Prato Giardino è teatro, in attesa del restauro dell’Unione, di danze e concerti, di comizi e gare. Persino l’opera lirica rifiorisce grazie all’inconfondibile timbro, recensito in locandine e trafiletti del baritono Fausto Ricci, titolare del concorso lirico odierno a lui dedicato, nel tentativo di arginare la lamentevole carenza di un cartellone stabile ai giorni nostri. Puccini, Mascagni, Rossini erano all’epoca occasione di commento e critiche, trovando la naturale cassa di risonanza nel Caffè Schenardi - altro tassello mancante, di cui Viterbo attende oggi con ansia la riapertura. Dopo l’interruzione della guerra, torna il trasporto della Macchina di Santa Rosa, altra analogica ripresa dei nostri tempi post-pandemici.
La spinta ricostruttiva che emerge dai media del tempo è così sinceramente entusiastica da contagiare tutte le forme di espressione: libri, striscioni, volantini, dépliant, giornali, manifesti fanno a gara per echeggiare questo clima di libero dibattito all’uscita dalla tirannia fascista
.
Vengono i brividi trovando, tra tanti lacerti cartacei e fogli sparsi, l’articolo di fondo del 1 dicembre del 1944 ne Il Bulicame, quindicinale di vita viterbese
. Chi scrive paragona l’ebollizione del bacino sulfureo alla rinascita di una città e di una Patria ancora più forte e più libera: Anche i giovani parlino e scrivano e agitino idee e propositi. Potranno davvero paragonarsi, meglio di ogni altro gruppo di energie, al
Bulicame risanatore: risanatore di cose, risanatore di uomini, risanatore di idee, risanatore di sentimenti. Perché la rinascita della Patria non è sono esigenza materiale, ma anche esigenza morale
.
Nella nostra epoca colonizzata dai social media ci domandiamo dove sia finita la confidence di allora, questa incrollabile fiducia di riuscire a farcela anche tra le macerie del post conflitto. I valori che tra le righe emergono dai documenti, amorosamente collezionati da Costantini, ci restituiscono una grinta e al contempo una spensieratezza che non riusciamo a guardare senza un velo di nostalgia. Lavoro e riposo. Riposo e lavoro
era il motto con cui donne e uomini risollevavano la cultura, l’economia, il libero pensiero di una Viterbo fotografata nell’atto della sua grande rinascita. Sfogliano le pagine del libro leggiamo sovente prima dobbiamo ricostruire gli italiani, poi l’Italia
.
Riusciremo ad eguagliare quei viterbesi di allora che credevano fermamente nella ricostruzione prima interiore e poi esteriore di una Patria morale?
Grazie, Luciano, per averci restituito a piene mani una Viterbo ricca di chiaroscuri, ma anche di tanta voglia di vivere, ritratta con il sapore della piccola, grande cronaca, sempre mosso dal tuo amore viscerale per la città. Mi auguro che sui tuoi spunti generazioni di ricercatori, scrittori e, perché no, sceneggiatori possano attingere per meditare, riflettere e ricostruire ancora.
Barbara Aniello
A mio nipote Matteo
Introduzione
Probabilmente l’amore per la storia è nel mio Dna, certo la passione è emersa fin da bambino, ancor prima che andassi ad occupare un banco di scuola. E’ stato mio nonno, Romoletto, a farmi scoprire e poi apprezzare il piacere per le cose, gli avvenimenti, i personaggi del passato, miscelando e quindi mitizzando i racconti attraverso una ineguagliabile carica di fantasia. Piccole e grandi narrazioni che venivano trasformate in fiabe di altri tempi. Poi il trascorrere degli anni e la consultazione dei libri hanno giustamente fatto riguadagnare spazi alla oggettività storica senza per questo far scemare il piacere della indagine e della scoperta. Tutt’altro. Semmai il desiderio di ampliare il terreno della ricerca ha accresciuto progressivamente la consapevolezza della mia ignoranza. La cultura, in tutti i campi, più arricchisce il bagaglio personale e più estende i campi della non conoscenza. Insieme alla amara certezza che si tratta di un gap incolmabile, pure se si potesse vivere mille anni. Alla storia, oltre tutto, non si possono fissare argini temporali che non siano quelli canonici e spesso fuorvianti delle fredde date riportate sui libri. A mio modestissimo e personalissimo parere, spiegare la storia, o peggio, interpretarla esclusivamente