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Alternanza formativa: Radici storiche e attualità di un principio pedagogico
Alternanza formativa: Radici storiche e attualità di un principio pedagogico
Alternanza formativa: Radici storiche e attualità di un principio pedagogico
E-book335 pagine5 ore

Alternanza formativa: Radici storiche e attualità di un principio pedagogico

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Info su questo ebook

Il volume indaga le radici e le ragioni storiche dell’espressione “alternanza formativa” per argomentare l’importanza di questo strategico principio pedagogico. Infatti, l’alternanza formativa non può essere considerata solo una metodologia che si concretizza in singoli percorsi di insegnamento-apprendimento come il tirocinio, il laboratorio, l’alternanza scuola-lavoro o l’apprendistato, ma rappresenta un vero e proprio orientamento della pedagogia generale che appartiene alle finalità stesse di questo sapere. La prima parte del testo approfondisce i diversi pregiudizi che appartengono alla nostra tradizione e che tendono a privilegiare la teoria e lo studio astratto rispetto al valore della pratica, dell’esperienza e del lavoro manuale, impedendo, in questo modo, un’autentica alternanza nei percorsi formativi attuali. La seconda propone un’antologia commentata di estratti dell’opera di autori che, a partire dal mondo classico fino alla contemporaneità, si sono confrontati in modo diretto o indiretto con il legame tra pratica e teoria, lavoro e studio, dimostrando che quanto finora è stato letto sotto la categoria degli “opposti” si deve recuperare sotto quella della “complementarità”.
LinguaItaliano
Data di uscita27 mar 2020
ISBN9788838249297
Alternanza formativa: Radici storiche e attualità di un principio pedagogico

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    Alternanza formativa - Andrea Potestio

    Andrea Potestio

    ALTERNANZA FORMATIVA

    Radici storiche e attualità di un principio pedagogico

    Tutti i volumi pubblicati nelle collane dell’editrice Studium Cultura ed Universale sono sottoposti a doppio referaggio cieco. La documentazione resta agli atti. Per consulenze specifiche, ci si avvale anche di professori esterni al Comitato scientifico, consultabile all’indirizzo web http:// www.edizionistudium.it/content/comitato-scientifico-0.

    Realizzato con il contributo del Dipartimento di Scienze Umane

    e Sociali dell’Università degli Studi di Bergamo.

    Copyright © 2020 by Edizioni Studium - Roma

    ISSN della collana Cultura 2612-2774

    ISBN 978-88-382-4929-7

    www.edizionistudium.it

    ISBN: 9788838249297

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    INTRODUZIONE

    I. L’ALTERNANZA FORMATIVA COME PRINCIPIO PEDAGOGICO

    1. Che cosa significa alternanza formativa come principio pedagogico

    2. L’alternanza formativa come principio di una pedagogia generale

    3. La visione dell’uomo come condizione per l’alternanza formativa

    4. L’uomo incarnato e le sue possibilità

    5. L’uomo teoretico: lo studio e la contemplazione

    6. La valenza formativa del lavoro

    7. Le condizioni di realizzazione dell’alternanza formativa: tempo, imitazione e armonia

    II. LE RADICI STORICHE DELL’ALTERNANZA FORMATIVA. ANTOLOGIA PER UNA PEDAGOGIA DEL LAVORO

    1. Le mani e l’intelletto nel mondo classico

    2. Corpo e anima nella riflessione cristiana medioevale

    3. Negotium e otium nella modernità

    4. Teoria e pratica nel Novecento

    APPENDICE NORMATIVA

    INDICE DEI NOMI

    CULTURA STUDIUM

    CULTURA

    Studium

    197.

    Scienze dell’educazione, Pedagogia

    e Storia della pedagogia

    Questo ebook è protetto da Watermark e contiene i dati di acquisto del lettore: Nome, Cognome, Id dell'utente, Nome dell'Editore, Nome del Content Supplier che ha inserito l'articolo, Data di vendita dell'articolo, Identificativo univoco dell'articolo. Identificativo univoco della riga d'ordine.

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    A Franco, per ciò che resta

    A Giuseppe, con amicizia

    «Io non prometto né prospetti né nuovi orari per licei e per altre scuole […]. Senza dubbio vedo approssimarsi un’epoca in cui uomini seri – al servizio di una cultura completamente rinnovata e purificata, e con un lavoro comune – diventeranno altresì i legislatori dell’educazione quotidiana, dell’educazione che porta appunto a quella cultura.

    Probabilmente costoro dovranno ancora una volta fare prospetti:

    ma com’è lontana quest’epoca! E quante cose saranno accadute

    nel frattempo! Forse tra il presente e quell’epoca il liceo

    sarà stato distrutto, forse persino l’università sarà stata eliminata, o per lo meno avverrà una così totale trasformazione delle suddette scuole,

    che le loro vecchie tabelle si presenteranno agli sguardi futuri

    come residui dell’epoca delle palafitte»

    [F. Nietzsche, Pensieri sull’avvenire delle nostre scuole, 1872]

    INTRODUZIONE

    Il principio dell’alternanza formativa. Linee per una pedagogia del lavoro

    La riflessione sull’idea di lavoro ha attraversato la tradizione occidentale che, da molteplici prospettive e con finalità disparate, si è interrogata sulle modalità attraverso le quali l’umanità, fin dalle origini, si è procurata le condizioni e i mezzi necessari per la propria sopravvivenza. Ogni paradigma teorico che ha indagato l’oggetto di studio lavoro ha dovuto tematizzare, in modo diretto e indiretto, una specifica visione dell’uomo e del suo modo di relazionarsi con gli altri e con la realtà esterna. Sia coloro che affermano che il lavoro coincide con l’attività che assicura «non solo la sopravvivenza individuale, ma anche la vita della specie» [1] , o coloro che lo identificano con la dimensione generativa dell’uomo o, addirittura, con l’orizzonte spirituale, in quanto: «da quando lavora, l’uomo è uomo, e s’è alzato al regno dello spirito, dove il mondo è quello che egli sta pensando» [2] sono costretti a proporre una determinata, anche se non sempre esplicitamente dichiarata, visione degli uomini che lavorano e dei legami individuali e sociali che li costituiscono. A maggior ragione, questo processo è evidente nella modernità, nel momento in cui lo specializzarsi delle discipline ha consentito di studiare l’oggetto lavoro da diverse prospettive epistemologiche che, per essere realmente tali, hanno la necessità costante di rendere esplicito e di giustificare il proprio sguardo ermeneutico.

    Questo volume non può che inserirsi nella tradizione e nell’epoca culturale alla quale appartiene. Non si tratta, però, di uno scritto che analizza il lavoro in generale, che vuole fornire uno specifico paradigma teorico di lettura su questo fenomeno o che descrive le attuali condizioni sociali, normative o di benessere lavorativo. Infatti, il testo si pone la finalità di approfondire il tema dell’alternanza formativa come principio pedagogico. L’intenzione è quella di indagare, attraverso il principio dell’alternanza formativa, il legame tra pratica e teoria, lavoro e studio ed esperienza e riflessione, inserendosi nella prospettiva di studio tipicamente pedagogica, che si caratterizza almeno per tre aspetti fondamentali. Il primo riguarda l’oggetto di studio della pedagogia, che non essendo una scienza dell’educazione che indaga attraverso il logos un oggetto che si è realizzato e compiuto in un determinato tempo e luogo, si occupa, al contrario, dei soggetti che si trovano all’interno di un processo educativo o formativo. Come sottolinea Bertagna: «la pedagogia, al suo livello di unità minima, non può che avere, come proprio oggetto di studio, sempre almeno due soggetti dell’educazione e/o della formazione (genitivo soggettivo), tra loro in costante relazione esistenziale, nel e con il tempo e nel e con lo spazio» [3] . Non il lavoro e lo studio, l’esperienza e la riflessione, quindi, come oggetti di studio, ma chi lavora e studia, chi fa esperienza e riflette, come soggetti di una relazione formativa che vengono analizzati dalla pedagogia in quanto scienza. Il secondo aspetto concerne la dimensione idiografica ed è iscritto negli oggetti di studio della ricerca pedagogica, ossia nei soggetti in relazione all’interno di un processo educativo che, in quanto esseri umani irriducibili gli uni agli altri, possono essere studiati solo a partire dalle loro caratteristiche singolari e irripetibili. Il terzo aspetto riguarda la dimensione prospettica e rivolta verso il futuro della pedagogia, ossia la sua tendenza, pur partendo dall’esperienza presente e passata, a mettere in evidenza gli orizzonti di trasformazione positiva e di apertura verso il possibile che appartengono a un determinato processo educativo o formativo. Quindi, non tanto la descrizione delle condizioni attuali di chi lavora e studia o l’analisi delle ragioni storiche e culturali, ma una riflessione su ciò che consente ai singoli soggetti di un processo educativo di trasformarsi, migliorandosi, attraverso il lavoro e lo studio, l’esperienza e la riflessione, la pratica e la teoria [4] .

    Partendo da questa prospettiva tipicamente pedagogica, la finalità del volume è indagare se e come il principio dell’alternanza formativa consente di promuovere, in modo autentico e integrale, le potenzialità degli esseri umani, unendo in modo armonico le due polarità che lo costituiscono (pratica-teoria; esperienza-riflessione; lavoro-studio) e che sono separate solo a causa di pregiudizi culturali. L’ambizione è superare sia il pregiudizio separativo che ha attraversato parte della cultura occidentale, anche nell’ultimo secolo, riducendo la polarità del lavoro concreto e della pratica a una dimensione inferiore rispetto alla riflessione e allo studio [5] , sia una certa retorica che tende a elogiare la pratica e il lavoro attribuendo loro astrattamente valore e dignità, senza problematizzare tali affermazioni e senza indagare, in profondità, le conseguenze e le dinamiche di questo legame fondativo.

    Nietzsche nello scritto Lo stato greco, riflettendo sull’idea di lavoro nel mondo classico con un orizzonte teorico ampio e volto a comprendere la natura stessa del lavoro, critica in modo radicale il concetto moderno di dignità del lavoro umano: «noi parliamo della dignità dell’uomo e della dignità del lavoro. Tutti si tormentano per perpetuare miseramente una vita miserabile: questo tremendo bisogno costringe a un lavoro divorante, che l’uomo (o meglio l’intelletto umano), sedotto dalla volontà, ammira talvolta come un qualcosa pieno di dignità. […] Che cosa possiamo trovare, nel bisogno di lavorare di tutti i milioni di uomini, se non l’impulso a esistere a ogni costo, quel medesimo impulso onnipotente per cui le piante intristite spingono le radici sin nella roccia priva di terra?» [6] . Riprendendo il pensiero di Schopenhauer e la sua idea di uomo dominato dalla forza irrazionale e impersonale della volontà [7] , Nietzsche sottolinea la dimensione di necessità del lavoro, che si identifica in uno sforzo costante, irrinunciabile e penoso che consente all’essere umano di sopravvivere, soddisfacendo in modo parziale e temporaneo i propri bisogni. In questa interpretazione, il lavoro non può che produrre ciò che sempre si consuma e mostrarsi come un’attività condizionata che l’uomo non può controllare e alla quale non può sfuggire. La moderna idea di esaltazione del lavoro e della sua dignità, non sarebbe altro che un inganno raffinato prodotto dalla ragione, anch’essa dominata inconsapevolmente dalla volontà, per rendere più tollerabile la condizione di vita schiavistica e misera dell’umanità.

    Questo volume parte proprio dalla consapevolezza che la domanda di Nietzsche sul lavoro è radicale e non può essere elusa. Il lavoro umano appartiene sicuramente alla dimensione della necessità, dello sforzo, dell’obbligo di soddisfare i bisogni che consentono la sopravvivenza e della produzione di beni effimeri che vengono consumati in funzione delle esigenze dell’esistenza. Inevitabilmente, le condizioni di lavoro sono strutturate a partire dalle necessità umane e hanno prodotto e producono dispositivi che tendono a favorire comportamenti servili, fenomeni di alienazione e sfruttamento, come è stato ben descritto dalle analisi di Marx e dalle riflessioni autobiografiche di Weil, o come è stato persino teorizzato durante il taylorismo e fordismo per organizzare scientificamente la produzione industriale avendo come fine unico l’efficienza. Fenomeni che, come osserva Nietzsche, coinvolgono anche la ragione umana che si trasforma in uno strumento stesso dei dispositivi, andando a celebrare, con categorie astratte e illusorie di dignità o di produttività, aspetti di sfruttamento o di limitazione della libertà umana, fino a giungere al paradosso delle frasi che sono state poste come motto alle entrate di molti campi di concentramento nazisti [8] . Eppure il lavoro umano, in quanto appartiene all’orizzonte dell’esperienza umana è anche la pratica che consente all’uomo di manifestare se stesso in modo integrale, la propria creatività e libertà, riuscendo a produrre qualcosa di nuovo, nel senso dell’agire arendtiano. Per questa ragione, o si nega completamente la dimensione della libertà e della creatività umana, come avviene nell’interpretazione di Nietzsche e Schopenhauer e si concede all’uomo, in quanto essere dominato dalla volontà cieca e irrazionale, l’unica possibilità di non volere ( noluntas) negando al fare e all’agire umano ogni forma di libertà e originalità, o si ammette che nell’esperire concreto, nei dispositivi generati dal lavoro e dalle attività umane vi sono, almeno in potenza, aspetti di apertura che, se opportunamente valorizzati, possono consentire, a ogni essere umano, se pur in modo parziale e temporaneo, di manifestare la propria libertà e intenzionalità. Proprio questa seconda ipotesi è il punto di partenza di questo scritto e costituisce la tesi che il principio pedagogico dell’alternanza formativa vuole dimostrare, sottolineando che nel movimento non parallelo, distinguibile ma non separabile e sovrapponibile, di pratica e teoria, esperienza e lavoro, corpo e mente è possibile generare gli spazi che consentono a ogni essere umano di manifestare la propria libertà.

    Il presente volume si pone la finalità di mostrare la valenza pedagogica dell’alternanza formativa come principio che, attraverso il legame tra pratica e teoria, esperienza e riflessione, corpo e mente, analizza e promuove azioni libere e intenzionali, tenta di superare ogni tentazione gerarchica tra le polarità che compongono la natura umana, coglie gli aspetti che distinguono ma non separano l’integralità dell’essere umano e valorizza il lavoro come una forma specifica dell’esperienza umana che non può essere considerata un concetto astratto e svincolato da colui che la esperisce. Proprio il movimento dell’alternanza formativa sembra individuare e aprire, in prospettiva pedagogica, orizzonti di indagine fecondi per chi vuole approfondire il tema dell’apprendimento situato, del ruolo delle istituzioni scolastiche, del valore dei momenti occasionali e informali di formazione lungo tutto il percorso di vita di ciascuno, del lavoro come esperienza feconda e giacimento formativo, dell’importanza della didattica in quanto modalità di sviluppo armonico e integrato per tutte le potenzialità dell’essere umano.

    La riflessione sull’alternanza formativa come principio pedagogico consente di sottolineare la funzione dei pregiudizi che hanno attraversato la tradizione occidentale, e che ancora adesso esercitano un ruolo significativo sulla riflessione educativa. Pregiudizi che si riflettono in una tendenza a gerarchizzare e separare le polarità che costituiscono l’essere umano generando un’idea di uomo, che trova la sua manifestazione più elevata nel contemplare senza agire o nello studiare senza lavorare, o, al contrario, che può essere ridotta alla dimensione empirica, alla risposta necessitata ai bisogni e alla lotta per la sopravvivenza. La tendenza a gerarchizzare, privilegiando la teoria alla pratica o viceversa celebrando la pratica contro ogni teoria – movimento tipico del Novecento -, che appartiene, in forma più o meno latente, a gran parte della riflessione sull’educazione sottolinea che il principio dell’alternanza formativa può costituire una chiave di indagine utile per una pedagogia che vuole analizzare il significato dell’esperienza e del lavoro, allontanandosi da una retorica astratta, celebrativa e alla moda, che non fa altro che riprodurre, sui temi del lavoro e della corporeità concreta, le stesse categorie utilizzate per esaltare la funzione dello studio, della cultura e della contemplazione.

    Proprio per evitare la tentazione di gerarchizzare una delle polarità che costituiscono l’uomo, l’alternanza formativa sembra offrire alla pedagogia generale, e in particolare alla sua parte che riflette sul lavoro, almeno tre prospettive di ricerca che possono essere utili per sviluppare temi, metodi e prospettive di indagine fecondi. La prima concerne la dimensione epistemologica, in quanto l’alternanza formativa consente di interrogare le condizioni di possibilità della pedagogia come sapere scientifico: ciò che la distingue dalle altre scienze che si occupano di educazione, ciò che identifica e differenzia alcuni suoi oggetti di studio, come la formazione, l’educazione e l’istruzione (o meglio colui che forma/è formato, colui che educa/è educato e colui che istruisce/è istruito), ciò che le permette di mettere in evidenza le dinamiche idiografiche e trasformative che la caratterizzano. Proprio partendo da un confronto con il principio dell’alternanza formativa, è possibile sottolineare le differenze di prospettiva che appartengono allo sguardo pedagogico quando si occupa del lavoro in quanto forma educativa dell’esperienza, rispetto a quello sociologico, psicologico, economico o giuridico. Infatti, il doveroso confronto con i contributi della sociologia, della psicologia, dell’economia o del diritto, in particolare sui temi del lavoro, non deve portare alla pretesa illusoria di rendere la pedagogia (del lavoro) un sapere di sintesi, capace di dare conto delle diverse interpretazioni per arrivare a un’unità armonica o, peggio ancora, per privilegiarne una. Questa prospettiva illusoria che tende a concepire la pedagogia generale (e del lavoro) come una scienza che raccoglie e garantisce la validità di altri saperi non può che avere come conseguenza la perdita di identità del sapere pedagogico e delle condizioni epistemologiche che lo rendono tale. Come avviene in alcuni contributi che dovrebbero essere pedagogici, il confronto con la letteratura scientifica di altre discipline si trasforma in una reiterazione semplificata, o nel migliore dei casi in un approfondimento delle categorie o dei dati che questi saperi propongono con l’intento, inevitabilmente utopistico, di mappare l’esistente, senza riuscire a mettere in evidenza lo specifico della prospettiva pedagogica, e, a volte, senza nemmeno porselo come finalità. Il tentativo di questo volume di identificare nell’alternanza formativa un principio fondativo della pedagogia generale ha come finalità anche quella di mostrare come le analisi pedagogiche sul lavoro non possono prescindere, mai, dall’interrogare e dall’evidenziare la dimensione idiografica e trasformativa della pedagogia, ossia dalla consapevolezza che l’oggetto di studio della pedagogia non potrà mai essere il lavoro o l’occupabilità di un cittadino in quanto concetti astratti o dati statistici, ma coincide con coloro che lavorano e, attraverso una relazione, tendono a formare/formarsi in modo armonico e asintoticamente integrale le proprie e altrui potenzialità.

    La seconda prospettiva di indagine riguarda la dimensione antropologica. Ogni riflessione che si basa sull’alternanza formativa interroga in profondità il legame tra le polarità che costituiscono l’essere umano e si pone la finalità di non gerarchizzarle, dando privilegio alla teoria sulla pratica o viceversa, per promuovere uno sviluppo integrale dell’essere umano. Ne consegue che non può essere elusa la domanda sull’idea di uomo che costituisce il fine delle riflessioni pedagogiche: quali sono le caratteristiche che consentono all’uomo di distinguersi da ogni altro vivente? Quali sono le conseguenze sull’idea di uomo nel teorizzare l’equilibrio alternato di corpo e ragione, pratica e teoria, lavoro e studio? A quale tradizione particolare si fa riferimento? Si può parlare realmente di libertà nell’agire (lavorare) umano? Queste domande non sono certo nuove per la tradizione occidentale e hanno generato un dibattito filosofico intenso e articolato che costituisce un sostrato problematico dal quale la riflessione pedagogica non si può sottrarre senza prendere una posizione. In questo volume, si è cercato di approfondire la visione dell’uomo che è condizione di possibilità per l’alternanza formativa [9] , sottolineando il pensiero degli autori – anche nell’antologia che costituisce la seconda parte del volume – che maggiormente hanno teorizzato un’antropologia complessa capace di porre le basi per la distinzione e l’equilibrio delle polarità che compongono l’essenza umana. Infatti, le domande sul legame tra natura dell’uomo e il principio pedagogico dell’alternanza formativa non possono essere risolte in modo dogmatico e, al contrario, devono essere riproposte, ri-attualizzate e ri-tematizzate per approfondire le molteplici sfumature e, soprattutto, per evitare la tentazione, sempre presente, di creare in una forma più o meno esplicita una gerarchia tra pratica e teoria, esperienza e ragione, lavoro e studio. I pericoli per la riflessione pedagogica sul lavoro (e per la pedagogia generale) di una mancanza di approfondimento dei temi che caratterizzano l’essenza dell’uomo sono molteplici e attuali. Da un lato, la proliferazione, anche in ambito pedagogico, di argomentazioni che, a livello superficiale, teorizzano la dignità del lavoro come pratica in sé formativa, ma che in realtà propongono percorsi e riflessioni volti solo all’orientamento e all’occupabilità della persona con una marcata prospettiva sociologica o psicologica, magari attraverso qualche percorso ponte tra la scuola e il mondo del lavoro, considerati sempre come mondi separati e in netto rapporto gerarchico. In questa direzione, anche la consuetudine sempre più diffusa di basare le considerazioni pedagogiche su leggi nazionali o europee, decreti e norme, che spesso non vengono utilizzati come materiale da analizzare pazientemente e decostruire in ottica pedagogica per coglierne i fondamenti teorici e culturali che agiscono sotto-traccia [10] , ma assunti in modo acritico come vere e proprie fonti che affermano autentici principi pedagogici, tradisce una tendenza a non indagare i temi generali e le visioni dell’uomo sulle quali, di volta in volta, le norme vengono redatte. Dall’altro, le riflessioni – a volte anche di intellettuali che a vario titolo si occupano di educazione – che criticano la situazione attuale del sistema di istruzione e formazione e delle pratiche educative, tematizzando la restaurazione di antiche consuetudini educative, il primato dell’istruzione e dell’autorità e la mancanza di valore dell’esperienza e del lavoro, non fanno altro che teorizzare una nuova versione della teoria dei due popoli, attraverso la quale chi possiede la cultura alta dello studio e della teoresi è destinato ad avere una funzione di guida del popolo, selezionando chi è meritevole da un punto di vista culturale. Proprio queste mancanze della pedagogia contemporanea impongono a chi si occupa di pedagogia (del lavoro) di esplicitare il più possibile la visione dell’uomo che giace alla base delle proprie teorie e, al contempo, di decostruire le idee e i paradigmi che agiscono, in modo non sempre esplicito, in ogni proposta educativa.

    La terza prospettiva di ricerca che l’alternanza formativa propone concerne la dimensione idiografica, ossia la necessità di partire dalla situazione singolare, dall’analisi delle biografie formative/educative di ogni persona, dall’esperienza concreta e dal contesto nei quali si generano le condizioni per il buono sviluppo di ogni pratica formativa. Ciò non può che avvenire, stando alla definizione stessa del principio dell’alternanza, rimanendo all’analisi del particolare concreto, ma si deve spingere verso una dimensione più ampia e teorica che sappia prendere in considerazione anche gli aspetti formali e astratti che si sviluppano in un determinato processo formativo, coinvolgendo, come afferma Strollo, «l’esperienza incarnata, il sapere personale, che diventa il punto a partire dal quale interpretare la conoscenza formale» [11] . Sicuramente, la didattica laboratoriale, l’apprendimento situazionale, l’alternanza scuola-lavoro, il tirocinio e l’apprendistato possono essere modalità privilegiate per realizzare processi in alternanza formativa. Ognuna di queste metodologie presenta caratteristiche specifiche, a livello normativo e didattico. Inoltre, ogni metodologia può essere realizzata in molti modi, in base ai contesti sociali e storici, alle persone che sono coinvolte, ai dispositivi che ne limitano e orientano l’applicazione, che possono essere oggetto di studio della pedagogia. Ma lo studio e l’analisi minuziosa di queste pratiche, anche attraverso rigorose metodologie di osservazione delle biografie delle persone coinvolte e dei singoli processi, non possono essere sufficienti per la pedagogia del lavoro. Possono essere un punto di partenza per ricavare dati qualitativi e quantitativi da approfondire e interpretare, ma non può bastare. Infatti, la pedagogia del lavoro che si basa sull’alternanza formativa non può accontentarsi dell’analisi dell’aspetto descrittivo, magari tentando anche di giustificare l’esistente per promuovere una retorica del legame tra teoria e pratica che rimane reale solo sulla carta dei libri.

    La riflessione pedagogica non può nemmeno procedere – come purtroppo accade – applicando, ai fenomeni educativi/formativi che studia, categorie interpretative formali che provengono, in gran parte, dal mondo anglosassone, nemmeno quando queste categorie hanno un sicuro valore epistemologico. La pedagogia del lavoro non può procedere in questo modo, non solo perché ogni categoria teorica è frutto del tempo e del contesto storico, culturale e disciplinare che la ha prodotta, ma anche e soprattutto perché l’alternanza formativa, che dovrebbe essere il principio della pedagogia del lavoro, impone un ripensamento di ogni categoria che osserva il fenomeno concreto alla luce delle altre due dimensioni che abbiamo preso in considerazione precedentemente: epistemologica trasformativa e antropologica. Non esiste una reale analisi pedagogica, se non si esplicitano le modalità, i luoghi e le azioni che consentono di trasformare e migliorare, a partire da una visione dell’uomo unitaria e complessa, le potenzialità delle singole persone coinvolte nei processi educativi/formativi analizzati, aprendo spazi di possibilità nei dispositivi presenti e permettendo nuove narrazioni che ri-strutturano e ridanno significato a ciò che accade.

    Infatti, le tre prospettive di ricerca che l’alternanza formativa offre alla pedagogia (del lavoro) si intrecciano l’una con l’altra. E solo in questo intreccio e attraverso uno sguardo compositivo, la pedagogia del lavoro, in quanto parte della pedagogia generale che ha come oggetto specifico di studio colui che si educa/educa e si forma/forma attraverso il lavoro, ha la possibilità di mantenere una sua autonoma prospettiva di ricerca, partendo dalla singola relazione educativa/formativa, aprendola al futuro, a ciò che non si è ancora compiuto e tentando di costruire le fondamenta per un sistema educativo di istruzione e formazione [12] in alternanza, capace di essere integrato e di valorizzare il lavoro, superando la logica della separazione tra istruzione, educazione e formazione professionale.


    [1] H. Arendt, Vita activa. La condizione umana [1958], Bompiani, Milano 1964, p. 8.

    [2] G. Gentile, Genesi e struttura della società. Saggio di filosofia pratica [1943], XI, 7-9, Sansoni, Firenze 1946, p. 111.

    [3] G. Bertagna, La pedagogia e le scienze dell’educazione e/o della formazione. Per un paradigma epistemologico, in id. (ed.), Educazione e formazione. Sinonimie, analogie, differenze, Studium, Roma 2018, p. 31.

    [4] Su questi aspetti, si rimanda al paragrafo I.2.

    [5] Bruni afferma su questo aspetto: «un vizio culturale molto radicato è considerare il lavoro manuale come lavoro di minore dignità rispetto a quello intellettuale, qualcosa che si addice ai servi o magari agli schiavi […]. L’idea che il lavoro con le mani sia meno dignitoso, puro e rispettabile di quello intellettuale è molto profonda – anche i relativi stipendi ce lo dicono con eloquenza» (L. Bruni, Fondati sul lavoro, Vita e pensiero, Milano 2014, pp. 64-65).

    [6] F. Nietzsche, Lo stato greco [1870-73], in La filosofia nell’epoca tragica dei Greci, Adelphi, Milano 1991, p. 95.

    [7] Non a caso, Schopenhauer sottolinea quanto l’agire umano sia dominato dalla volontà che ha come fine solo la sua esistenza ed espansione: «Ma quando si sia riconosciuto alla luce dell’evidenza che l’essenza dell’uomo non è che la volontà, che l’uomo stesso non è che un fenomeno di tale volontà, che infine questo fenomeno ha come forma necessaria e riconoscibile già dal soggetto il principio di ragione, qui tradotto in legge di motivazione, non si potrà più accogliere alcun dubbio sull’imprescindibile necessità con cui l’azione consegue al carattere e al motivo, come non si accoglie alcun dubbio sull’eguaglianza della somma dei tre angoli di un triangolo a due retti» (A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione [1819], Mursia, Milano 1969, p. 330).

    [8] «Arbeit macht frei» [Il lavoro rende liberi]. Questa è la frase che è stata collocata dai nazisti sui cancelli di ingresso di diversi campi di concentramento.

    [9] Si veda su questo tema il paragrafo I.3 del presente volume.

    [10] Si veda a titolo d’esempio il lavoro svolto da Bertagna sulla Carta Costituzionale italiana per mostrare le diverse idee di lavoro e di uomo presenti. G. Bertagna, Lavoro e formazione dei giovani, La Scuola, Brescia 2011, pp. 22-52.

    [11] M.R. Strollo, La formazione pedagogica alla rovescia: dalla pratica alla formalizzazione del sapere, in «MeTis. Mondi educativi. Temi, indagini, suggestioni», 8, 2, 2018, p. 102.

    [12] Non a caso la legge n. 53 del 2003, parla di un sistema educativo integrato di istruzione e formazione. Si veda l’appendice normativa del presente volume.

    I. L’ALTERNANZA FORMATIVA COME PRINCIPIO PEDAGOGICO

    1. Che cosa significa alternanza formativa come principio pedagogico

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