Dire, Fare, Digitale
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Info su questo ebook
1) che la scuola non può fare a meno della Rete;
2) che l’uso della Rete da parte della scuola pone dei problemi di didattica;
3) che i problemi di didattica sono intrecciati con le questioni di cultura.
Bisogna fare uno sforzo partire dal terzo punto per arrivare al primo. Questo è il senso di un lavoro sulle culture nel digitale come prospettiva di impegno per la scuola.
Questo testo presenta una pluralità di spunti e prospettive, indica linee di intervento e di fuga, con l’intenzione di offrire ancoraggi per affrontare con consapevolezza pedagogica l’attuale situazione di incertezza.
Salvatore Colazzo, professore ordinario di pedagogia sperimentale, si occupa di metodologia della ricerca in riferimento alle problematiche dello sviluppo di comunità e del valore trasformativo sociale delle arti performative. Il lavoro più recente è La comunità come risorsa (con Ada Manfreda) per Armando editore.
Roberto Maragliano, già professore ordinario di didattica, attualmente svolge attività pubblicistica nei diversi canali della comunicazione pubblica a partire dai social. Il lavoro più recente in forma di libro è: Zona franca (Armando editore); buona parte della sua produzione è in Rete in Scaffale Maragliano (bit.do/MARAGLIANO).
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Anteprima del libro
Dire, Fare, Digitale - Salvatore Colazzo
Salvatore Colazzo e Roberto Maragliano (edd.)
DIRE, FARE, DIGITALE
Copyright © 2021 by Edizioni Studium - Roma
ISBN 978-88-3825-142-9
www.edizionistudium.it
ISBN: 9788838251429
Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write
https://writeapp.io
Indice dei contenuti
Prefazione
Settembre 2020
Presentazione della rubrica
La DAD al tempo di SARS-CoV-2: una imprescindibile occasione trasformativa
Ottobre 2020
Comunità Educante
Frontalità dello sguardo, interiorizzazione della voce: spiegare la scrittura nella lezione a distanza
Novembre 2020
Il digitale, la scuola e la vita
Comprendere il digitale e la rete: verso una scuola aperta. Oltre la didattica a distanza
Dicembre 2020
Imparare ad abitare la distanza
Il digitale dietro alla lavagna
Gennaio 2021
No, quella di rete non è scuola!?
La Didattica tra pregiudizio e cultura scientifica
Febbraio 2021
Cartoline sonore
Partecipazione comunitaria e cittadinanza digitale
Marzo 2021
Diritto alla salute e alla formazione
Cos’è (e non è) un gioco educativo?
Aprile 2021
Oltre i problemi amministrativi
Le parole della Costituzione
Maggio 2021
Mettere in gioco la scuola
Divario digitale e nuove povertà
Giugno 2021
Tra inclusione e diversa abilità
Intervista a Vincenzo Deluci
La disciplina dell’esclusione
Prefazione
Salvatore Colazzo, Roberto Maragliano
Il 2020/21 è stato un anno del tutto particolare, per la scuola italiana e non solo, avendo, le problematiche connesse con la pandemia coinvolto praticamente e a vario titolo le istituzioni scolastiche di tutti i paesi toccati dal virus. Ma qui ci interroghiamo sulla nostra. Cosa è capitato? Si è, in maniera rapida – e tutto sommato tempestiva – trasferita la scuola (cioè ciò che si è reputato come, alla luce dell’emergenza, irrinunciabile dei processi di insegnamento/apprendimento che la caratterizzano) sulle piattaforme digitali. Si è detto: ma questa è scuola
? Comunque, vi è da rispondere, s’è fatta scuola. E questo è un punto. Un altro punto è che, a causa di questa inattesa novità, mai come in questo anno si è parlato di scuola, dentro e soprattutto fuori dei circuiti dedicati. E due. Il terzo punto è che sono successe tante cose, dentro gli spazi allargati del fare scuola, ed è dunque difficile dare un giudizio sicuro su quanto è avvenuto in questi mesi. Occorrerà del tempo per capire il senso dello shock subito e dei suoi effetti sul modo di pensare, agire, interpretare il ruolo della formazione, istituzionale, e non solo. Ma non è tempo, questo, che possiamo perdere, andando dietro le piccole cose e aspettando che le grandi vengano alla luce. Non si è fatto così, nei mesi scorsi, in tantissime situazioni, sia interne agli istituti, sia di supporto alle loro attività. Non si è perso tempo, crediamo almeno di poterlo sostenere a viso aperto, tutte le volte che l’apertura al digitale, non importa se subita dalle condizioni o voluta, ha comportato un ampliamento degli orizzonti entro i quali contattare ed elaborare il tema classico del che cosa fare a scuola e come farlo al meglio. Per capirci: tutte le volte, e sono tantissime, in cui ci si è resi conto che l’immissione di digitale comportava un aumento e non già una diminuzione degli ordini di complessità della problematica non solo scolastica ma anche educativa in senso più lato, tale dunque da coinvolgere esistenzialmente non solo gli studenti, ma anche i docenti, le famiglie, l’opinione pubblica.
Il Coronavirus ha avuto la capacità di indurre la scuola a chiedersi cosa sia rilevante o meno tra le attività che propone e che quotidianamente svolge. Cosa costituisce l’essenza irrinunciabile del suo operare? Quale e quanta tecnologia può essere integrata in modo da rendere l’insegnamento più produttivo e proficuo?
Di fronte all’inevitabile collasso del senso che il virus ha procurato (ci ha fatto intravvedere l’apocalisse, ci ha portato a doverci interrogare sul degrado ambientale a cui abbiamo portato il pianeta), la scuola ha cominciato a domandarsi: cosa insegniamo? Perché lo facciamo? Riusciamo a costruire realmente degli orizzonti di senso in queste generazioni che stanno vivendo in una realtà diventata sì tanto difficile?
Quando torneremo in presenza, dopo quest’esperienza della scuola (forzatamente) a distanza, non potremo far finta di niente. Molto è successo, lo scenario è cambiato. La scuola potrà ritornare ad essere quella dell’ante- Coronavirus? Si potrà tornare a fare una vita normale
quando proprio quella vita normale
ci ha condotto alle aberrazioni di una pandemia? È chiaro che, ad esempio, la questione ambientale non è differibile, che non si può immaginare che l’individuo anteceda il sociale, visto che solo i suoi atti di responsabilità (l’abbiamo chiamata mascherina, distanziamento sociale) hanno reso possibile arginare la pandemia. Bisogna tornare a pensare il sociale, a immaginarsi nel sociale, a ritenere che, essendo tutti sulla stessa barca, dobbiamo coordinarci opportunamente per salvarci tutti assieme.
Con riferimento alla scuola, bisognerà convenire che per quel poco o quel tanto che essa ha funzionato, laddove ha funzionato, non è stato certo per merito della burocrazia amministrativa, che neanche in occasione della pandemia si è smentita, ma della buona volontà dei docenti, i quali, sollecitati dall’emergenza, si sono forzatamente misurati con le tecnologie, arrivando – dopo un primo sbandamento – a coglierne potenzialità e limiti, pervenendo a intuire come esse possano essere indispensabili quando si tornerà alla supposta normalità
. Gli insegnanti hanno dimostrato di potercela fare senza necessariamente essere imbeccati da corsi di aggiornamento dalla dubbia utilità, hanno risorse per svolgere i loro compiti professionali, si tratta di ritenerli abili a farlo (e spesso la formazione a cui accedono è disabilitante, li considera alla fine come operatori da indottrinare). Nei casi migliori si è creata tra loro una rete di solidarietà informale, che, attraverso il ricorso ai social, ha fatto circolare informalmente suggerimenti, risorse, pratiche…
Per la prima volta forse, dal basso, si è andata costituendo ed articolando una comunità di pratiche, supportata dalle tecnologie digitali.
Praticando la didattica digitale, si è compresa la complessità dell’atto educativo, che integra indistricabilmente lavoro con i contenuti, forme di socializzazione, gestione delle emozioni e delle dinamiche relazionali, vincoli istituzionali. Tale complessità spesso, nella didattica ordinaria, era agita attraverso pratiche riduzionistiche, che potevano esercitarsi al riparo di una coltre fumogena fatta della retorica tipica dell’istituzione, messa a disposizione dai tanti rituali proposti dall’organizzazione del lavoro educativo gestito attraverso norme, direttive, circolari, parole d’ordine, amplificate dalla pedagogia mainstream.
Proprio la didattica digitale a cui hanno dato corso – nei molti mesi del lockdown più o meno rigido che abbiamo subito – ha dimostrato con plastica evidenza ciò che sapevamo già e di cui forse non abbiamo in passato colto la gravità: le disuguaglianze fra nord e sud, fra studenti abbienti e meno abbienti, l’esistenza di sacche di povertà educativa, che c’erano già, ma che ora si sono fatte più marcate. La scuola digitale, ripetendo pari pari le contraddizioni di quella in presenza, si rivela incapace di essere realmente inclusiva, di pensare uno spazio comune
, di disegnare un mondo e renderlo praticabile mettendo a disposizione degli allievi i saperi e le disposizioni necessarie per affrontarlo.
La scuola è apparsa per quello che è, l’espressione di una società giunta al punto in cui è costretta a ripensarsi profondamente. A partire dall’impianto curricolare, dalle gerarchie che pone tra le discipline. Abbiamo necessità di riannodare i fili di una crisi che è ecologica, ma in quanto prima è sociale e psichica. E di farlo rendendo la scuola un utile strumento per comprendere ed agire la realtà, manifestando senso di autonomia, creatività, soprattutto. Per fare questo bisognerà puntare sull’autonomia della professione docente, che va riconosciuta come capacità di leggere l’esistente e di prefigurare il futuro, coinvolgendo le nuove generazioni in questo processo, lavorando con ciò a favorire coesione sociale, contrastare la formazione di disuguaglianze, non con la logica asfittica del merito, ma con quella ariosa della solidarietà.
Sulla base di questa consapevolezza abbiamo deciso di dar vita, dentro Nuova Secondaria, a una rubrica mensile articolata su due parti: una di trattazione, da parte di noi curatori, di una questione intesa come rilevante all’interno del rapporto che veniva via via stabilendosi tra consuetudini e novità dell’agire didattico; un’altra in cui altri, studiosi e insegnanti, erano invitati a presentare la loro esperienza, a vario titolo collegabile con l’esercizio dell’insegnare e dell’apprendere, ma sempre inscritta dentro una considerazione dell’impatto che l’uso del digitale produce sul vivere e far vivere le esperienze di cultura.
Mese dopo mese abbiamo raccolto idee, storie, testimonianze, evitando di indulgere al confronto fuorviante tra cultori e detrattori della tecnologia. Il digitale c’è, nel mondo, e c’era anche prima della pandemia. Anzi, va detto qualcosa di più: il digitale era già mondo e tanto più lo è diventato in questo frangente. Dunque, la scuola non può fare a meno di prenderlo in considerazione e dunque di trattarlo. Il come potrà o dovrà farlo dopo questo anno terribile
dipenderà anche da come riusciremo a dar conto di quel che è avvenuto e dei segni che ha lasciato.
Per