Quattro passi in galleria
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Anteprima del libro
Quattro passi in galleria - Carla Fiorentini
genio.
Prefazione
Pensate ad una persona che da trent’anni si è impegnata molto per la propria crescita personale e da oltre dieci anni lavora sulla comunicazione nell’ambito della salute.
Ora immaginate che proprio questa persona, cioè io, riceva una diagnosi di cancro.
Ho avuto molto tempo per pensare, e mano a mano che passavano i giorni e i mesi ho riflettuto su come ciò che conoscevo, avevo studiato, utilizzato e insegnato, poteva essere applicato nella situazione che stavo vivendo. Ha influito anche una mia decisione, presa di istinto: dichiarare subito la malattia. La decisione ha influito sul mio lavoro, ma mi ha permesso di usare le energie per me stessa, e ha comportato che molte persone mi hanno raccontato di aver avuto un tumore, o di vivere da anni con malattie gravi, ereditarie, degenerative, ma di non averlo mai raccontato o di aver scelto di non parlarne per evitare riflessi negativi sul lavoro. La medicina ha fatto molto per allungare la vita, ma sia la medicina che la società fanno ancora poco per aiutare l’esistenza di chi ha avuto, o ha, gravi problemi di salute, come se la quantità di anni potesse sostituire la qualità di vita. Eppure abbiamo dimostrazioni e grandi esempi di come la vita possa essere meravigliosa, indipendentemente da problemi o limitazioni.
Quattro passi in galleria è il mio piccolo contributo affinché una diagnosi antipatica diventi un’esperienza che rende la vita più ricca e più bella.
Il libro è in parte diario personale e in parte manuale d’uso, alternando i due percorsi. Un diario un po’ crudo, un racconto senza sconti su ciò che è stato, ma alleggerito da momenti in cui, credetemi, si ride davvero. Il titolo, Quattro passi in galleria, nasce dai quattro elementi da ottimizzare:
1. La ricostruzione del proprio mondo, andato in frantumi con la diagnosi
2. La costruzione di una relazione utile con i medici e i terapeuti
3. La vita sociale, le relazioni con amici e familiari
4. La gestione della malattia come esperienza e il personale viaggio dell’eroe che il paziente fa
C’è anche un sottotitolo, copiato da una battuta di Geppi Cucciari: quando non vedi la fine del tunnel, arredalo. Perché il viaggio è lungo, i momenti di sconforto ci sono, eppure vivere felicemente è possibile.
Da quando ho iniziato a scrivere il libro, Quattro passi in galleria è diventato un progetto, con alcuni lavori ancora in corso. Non mi limito a questo libro! Sono in preparazione i quattro manuali pratici che approfondiscono i quattro passi, arricchiti da esercizi e consigli pratici. Sul sito, e sulla pagina Facebook, Dottore, mi ascolti! potete seguire il progetto nel tempo, trovare qualcosa di utile. Perché dopo aver messo tanto impegno a scoprire come ciò che avevo imparato poteva sostenermi nei momenti difficili, desidero condividere e, spero, aiutare qualcuno.
Milano, 25 Ottobre 2018 Carla Fiorentini
L’inizio della storia
Qualche anno fa mi è stato diagnosticato un cancro al seno. Sono laureata in chimica e tecnologie farmaceutiche, ho lavorato per molto tempo in aziende farmaceutiche e da anni, come libero professionista, mi occupo di comunicazione medico–paziente. Questo miscuglio mi ha portato, nel momento in cui la paziente sono diventata io, a esaminare ciò che, man mano, mi stava accadendo. Ciò che racconto è dunque il diario della malattia, le riflessioni, le scoperte, le spiegazioni, i suggerimenti, le tecniche e i consigli. Il testo è scritto quasi come un romanzo, ma dietro
ci sono ovviamente le diverse tecniche di comunicazione, che possono essere approfondite con varie modalità.
Ci sono malattie in cui la vittoria è la guarigione, e la malattia viene poi dimenticata. Ci sono malattie, come quelle croniche, ereditarie o i tumori, in cui la guarigione totale è molto lontana, talvolta impossibile.
Eppure è proprio in queste situazioni che si può vincere di più e ci sono moltissime testimonianze di questa realtà.
Ora vincere significa vivere felicemente ogni giorno.
Tranquilli, non ho avuto illuminazioni sulla via di Damasco, non sono improvvisamente diventata una fervente religiosa, e non ho incontrato Dio quando ero in preda ai deliri della febbre a causa della chemioterapia. Personalmente ritengo che Dio, da qualche anno a questa parte, venga a guardare i terrestri solo saltuariamente e passi la maggior parte del suo tempo a curare i nativi di qualche altro pianeta. Probabilmente sta pensando che occuparsi di noi sia assolutamente uno spreco di tempo e di energie poiché nel giro di non molti anni, o ci sterminiamo tra noi, o riusciamo a distruggere il pianeta, e noi con lui. D’altra parte, mettetevi nei Suoi panni: per quanto un genitore possa amare i figli, è difficile pensare di salvare chi causa le peggiori distruzioni in nome della religione, tirandolo per la giacchetta per convincerlo a stare da una parte o dall’altra. Poi, non contenti, cerchiamo altre modalità per distruggere i nostri simili e noi stessi.
Ma sto divagando!
Volevo solo rassicurarvi che la mia felice normalità, pur essendo pienamente consapevole della malattia, non è imputabile a un’improvvisa fede recuperata nei meandri dei ricordi infantili per prepararmi a un possibile passaggio nell’altra stanza. Con l’idea e la conoscenza della morte convivo da molti anni, ma la mia vorrei che fosse decisamente lontana.
Sicuramente con la malattia ho smascherato molto di me stessa e del mondo che mi circonda
e ho avuto modo di sperimentare in prima persona ciò che sto studiando da anni, ma già da tempo lavoravo intensamente per quello che, in termini tecnici, può essere definito il mio benessere psicofisico. Ok, forse sul lato fisico potevo fare di meglio, ma globalmente mi ritengo una persona sana di mente, serena, e chi mi conosce credo che lo possa confermare.
La malattia non ha rivoluzionato la mia vita, mi ha reso più consapevole e mi ha accompagnato in scoperte e conferme.
Se ora sto scrivendo è perché molti mi hanno incoraggiato a raccontare la mia storia, e poi credo possa essere utile a chi si trova ad affrontare seri problemi di salute, in prima persona o come familiare o amico. Quello che vi presento è un mix di racconto – diario del mio cancro a cui si aggiunge la teoria, la spiegazione razionale e tante riflessioni.
Come scoprirete facilmente, non sono una persona con particolari sicurezze. La vita non è in bianco e nero, e neanche in infinite sfumature di grigio. E, per favore, non pensate immediatamente alle ormai famosissime cinquanta sfumature del suddetto colore.
La vita è colorata, ci sono infinite tonalità e infinite sfumature. Qui non troverete verità, ma pareri, consigli, esperienze.
Eleanor Roosevelt affermò: Nessuno può farti sentire inferiore senza il tuo consenso
. Indubbiamente aveva ragione, ma io andrei anche oltre: nulla può accaderti senza la tua partecipazione.
Si tratta di scegliere come contribuire e partecipare alla propria vita. A tutti è capitato di darsi ripetutamente martellate sui calli, e io l’ho fatto più volte. In altri momenti invece si trovano risorse sconosciute per ottenere ben più di quanto si potesse inizialmente sperare. Le variabili sono davvero tante.
Ciò di cui sono piuttosto sicura, come malata e come studiosa della relazione medico–paziente, è che quest’ultimo sia un elemento determinante non tanto per l’andamento della malattia quanto per la sua gestione quotidiana. Mi spiego meglio.
Non è il paziente da solo a determinare come procede la malattia. Ma può fare in modo di essere comunque felice. E può fare in modo che si determinino sinergie positive tra lui stesso, il medico, ciò che lo circonda e le terapie. Noi pazienti siamo comunque in ballo, facciamo dunque in modo che, anche se non siamo noi a scegliere la musica, la danza sia gradevole.
Chiunque si occupi di salute come professionista sa che la compliance è il maggiore problema che siamo chiamati ad affrontare in questi anni, e vengono fatti moltissimi progetti e tentativi per aumentare la compliance del paziente. Consentitemi alcune riflessioni su questo argomento, derivanti dal fatto che questo tema costituisce parte del mio lavoro.
La prima considerazione è che finché definiamo la compliance il maggior problema
ogni tentativo di risoluzione sarà più indirizzato alla ricerca di un colpevole piuttosto che a una vera via di ottimizzazione. La seconda considerazione è più tecnica. Esistono tre diversi fattori in ciò che chiamiamo compliance: l’aderenza alla terapia (assumere i farmaci come prescritto dal medico), la compliance (modificare comportamenti e stili di vita) e l’empowerment, cioè la piena partecipazione del paziente. Ciascuno di questi fattori coinvolge meccanismi diversi. Vivere felici dopo una diagnosi di tumore o di sclerosi multipla o di altre patologie analoghe richiede una piena partecipazione del paziente, un totale coinvolgimento. E, in fondo, è a questo che sto dedicando il mio scrivere.
In tempi non lontanissimi lo sciamano della tribù chiamava a raccolta gli spiriti, o gli antenati, per contribuire alla guarigione. In alcune culture tutti gli abitanti del villaggio si radunano intorno al malato per creare energie positive, in altre ancora il malato viene circondato dai bambini che gli trasmettono serenità e allegria.
La nostra cultura, complice l’illuminismo e i successi tecnologici, si è poco a poco convinta che i farmaci siano sufficienti, come se ogni malattia fosse un batterio che l’antibiotico debella con allegria. E l’esempio, in realtà, non è valido perché la stragrande maggioranza degli antibiotici agisce solo in sinergia con il sistema immunitario. Ma non importa. Il fatto è che stiamo scoprendo che il meccanicismo diagnosi – terapia – guarigione non funziona sempre.
La salute, come recita la dichiarazione dell’OMS del 1946, è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplicemente di assenza di malattia o infermità
. Personalmente sostengo che si può raggiungere il benessere, per lo meno quello sociale e mentale, anche in presenza di malattia o infermità. Credo che, in base a questa definizione, peraltro bellissima, sia piuttosto difficile trovare al mondo persone che si possano definire in piena salute, ma questa è un’altra storia.
Da molti anni ormai sono approdata a una convinzione che guida la mia vita. Non è certo un’idea rivoluzionaria, tant’è vero che se dovessi riportarla come citazione avrei a disposizione molte fonti che affermano la stessa cosa: ciò che ha davvero importanza nella vita non è quello che accade, ma come vivi ed elabori ciò che accade. Anche la malattia.
Non siamo totalmente determinanti per i fatti della nostra vita, esiste (secondo me) una componente che possiamo chiamare destino. Ma siamo assolutamente padroni di come viviamo il nostro destino. Questa è, a parer mio, partecipare alla propria vita