Pregiudizi
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Anteprima del libro
Pregiudizi - Fabrizio Bernabei
BIBLIOGRAFIA
INTRODUZIONE
In che modo posso aiutarti?
Questa è la domanda che io, disabile dalla nascita ma oramai adulto e alle prese con i postumi di un tumore da curare, vorrei sentirmi fare da chi ha in proposito di aiutarmi. Purtroppo però non è stato sempre così e questa domanda incomincio a sentirmela fare solo ora, sulla soglia dei 50 anni. Sarà per un fatto culturale e per un’accresciuta sensibilità sociale al problema, sarà che la gente mi vede fare sempre più fatica e mi vede invecchiato
e di conseguenza è portata ad avere più rispetto …fatto sta che questo, secondo me, è il modo giusto di rivolgersi verso chi è in una condizione di bisogno, di qualsiasi cosa si tratti, di chiunque si tratti, uomo, donna, bambino, adulto, anziano, normodotato che sta vivendo in una condizione di disagio momentaneo o disabile. Ancora di più verso chi la disabilità la porta con sé da una vita e lo farà per sempre, e avrà sempre, suo malgrado, bisogno dell’aiuto degli altri. Ma quest’aiuto sarà più utile ed efficace man di mano che diminuiranno i pregiudizi e il senso di superiorità dell’interlocutore preposto a portarlo.
L’idea di cominciare a studiare quest’argomento, per poi eventualmente progettarlo e portarlo a termine con un libro, mi venne il primo venerdì del 2020, dopo aver parlato con una stimata infermiera della Pediatria, la quale nominò il pregiudizio a proposito di un capitolo del mio primo libro che l’aveva particolarmente colpita. In realtà fu un vero e proprio tarlo
quello che, involontariamente, mi mise in testa qualche giorno prima, durante il mio turno di volontariato all’Ospedale, l’ultimo sabato del 2019. Mi raccontò del disagio provato da molti pazienti disabili una volta terminato il percorso pediatrico. Disagio con i reparti in cui erano stati indirizzati per gli esami di routine propri delle diverse patologie …evidentemente dovuto all’incontro con personale non troppo preparato all’accoglienza di questa tipologia di pazienti e, probabilmente, non esente da pregiudizi. Rimasi colpito da questa conversazione con l’infermiera, perché mi ricordò la stessa reazione che personalmente ebbi quando tocco a me, una volta uscito dal Centro Spina Bifida di Parma, nel momento in cui mi trovai catapultato in una nuova realtà completamente diversa. Rimasi colpito perché, in proposito, ho sempre pensato che quel particolare passaggio della mia vita, rappresentasse un unicum dovuto alla mia esperienza e al particolare momento storico in cui si è svolta. Sono stato una delle prime persone ad essere curato per la mia patologia in quel Centro, che ancora non era il punto di riferimento della regione come invece lo diventerà in seguito, dove mi portarono dopo la mia nascita perché il chirurgo ne aveva già operato un altro
, come lui stesso disse a mia nonna Rina. Ma poco e niente si sapeva con certezza in quel momento, almeno per quello che avrebbero desiderato sapere i miei famigliari. Tanti perché ai quali ancora oggi, a tanti anni di distanza, si sta cercando di rispondere, anche se i passi avanti sono stati enormi, soprattutto dal punto di vista chirurgico. Se sull’eziologia (cioè lo studio della causa della malattia) e sulla prevenzione c’è ancora tanto da fare, almeno sulle cure ora ci sono punte di eccellenza anche nel nostro paese. Io sono cresciuto insieme alle scoperte e alle conoscenze che, a poco a poco, venivano sviluppate e messe a punto e mi sono sempre sentito parte integrante di un gruppo di lavoro, sempre trattato quasi da collaboratore più che da paziente. Questo sia al Centro Spina Bifida di Parma, sia, soprattutto, al Centro Ortopedico, dove venivano e vengono prodotti, presidi ortopedici, ortesi (cioè gli apparecchi correttivi che si applicano agli arti del corpo) e ausili per i bambini disabili. Come ho avuto modo di ricordare nel mio primo libro, c’ero io alla Nordica di Montebelluna (Treviso), stabilimento dove venivano prodotti gli scarponi da sci da cui è nato il know how per le scarpe che porto tuttora, con i titolari del Centro Ortopedico Emiliano che si erano appena messi in proprio e il giovane fisiatra di allora che poi diventerà un’istituzione nel suo campo. Da li è partito tutto e da piccoli artigiani sono diventati prima un punto di riferimento a livello nazionale e dopo un’azienda ambita a livello internazionale. Persone capaci, competenti ed empatiche che sapevano come comportarsi con il paziente, precorrendo i tempi rispetto alle leggi nate molto dopo, argomento che affronterò nelle prossime pagine. Con un’esperienza del genere, dall’adolescenza in poi è stato difficile confrontarsi con nuovi ospedali e nuovi professionisti del settore medico-sanitario, dove nessuno ti conosce e devi sempre ripartire da zero a raccontare la tua vita, cercando di non risultare presuntuoso ma allo stesso tempo di far capire che proprio proprio non sei del tutto ignorante degli aspetti medici che ti riguardano. Queste difficoltà le incontro ancora adesso …e spesso sono causa di frustrazione.
Ah già, dimenticavo… non ho ancora specificato la mia condizione iniziale. Sono nato nel 1971 con una patologia congenita, la Spina Bifida. Che cos’è? E’ una grave malformazione che interessa la colonna vertebrale del nascituro durante i primi mesi di gravidanza. Comporta disabilità motorie e funzionali a carico dei diversi organi e apparati come la perdita, parziale o totale, della mobilità degli arti inferiori, la difficoltà nel controllo degli sfinteri e altre complicazioni neurologiche.
Fatta questa doverosa parentesi, perché allora parlare dei pregiudizi? Forse l’ho spiegato bene nel mio primo libro (L’INTRECCIO, autoprodotto e stampato a settembre 2019) con un passaggio che qui riporto: "Quando si percepisce di non essere pienamente valutati sulla base delle proprie caratteristiche, ma si ha la sensazione di dover sempre, perennemente, dimostrare qualcosa, e alla mia età non ne posso francamente