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Fronti ribelli
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E-book384 pagine5 ore

Fronti ribelli

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Info su questo ebook

Architetture bellissime e paesaggi mozzafiato fanno da sfondo alla vita di Blue, protagonista del libro, il quale compirà determinate scelte per sua volontà o perché influenzato da eventi esterni.I personaggi, il cui destino risulta intrecciato a quello di Blue, proveranno sulla loro pelle cosa vuol dire perseguire un'ideale. I fatti si sviluppano per lo più ad Alexandra, una nazione dal maestoso passato ora sull'orlo di una guerra civile.
LinguaItaliano
Data di uscita22 apr 2019
ISBN9791220048293
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    Anteprima del libro

    Fronti ribelli - PAGANONI ANDREA

    Andrea Paganoni

    Fronti ribelli

    ISBN 979-12-200-4829-3

    I mari

    O regina dei mari

    amami

    prima della tempesta

    prima che tutto cambi

    lascia che la luce del sole ci unisca in un unico abbraccio di speranze

    l'acqua degli oceani non sarà nostra nemica

    unisciti a lei come un’orda selvaggia che promette a noi infinite possibilità di sensazioni

    vivile

    non ci sarà un domani

    il nostro domani non esiste

    è una semplice addizione di incognite infinite

    nuota amore mio

    nuota e combatti

    Le sfumature incantevoli dei mari

    ingannano con il loro fascino

    è impossibile resistere a quell'ardore di colori

    era un’illusione essere re e regina

    l'azzurro assassino ci ha allontanati dalla sicurezza della nostra terra

    siamo ormai stanchi di resistere alla forza delle onde

    resisti

    vedo un’isola

    le correnti, speriamo che le correnti, accompagnino la nostra volontà

    aggrappati a me

    il tuo sguardo ancora forte, con le sue paure ci accompagna

    lo sento, onda dopo onda, quel tremito ci sta abbandonando

    ora l'azzurro che ci aveva ingannato

    è la nostra sicurezza

    siamo salvi

    Dedicato a mia moglie, Valentina,

    un grazie particolare alle mie amiche Silvia ed

    uno ancora più grande ad Elena.

    Capitolo uno

    Salto di qualità

    Eppure un colpo così non l'avevo mai ricevuto. Riaprii gli occhi, ero con le spalle a terra e la testa rivolta verso sinistra. La vista era offuscata, distinguevo comunque tra i palazzi il cielo azzurro tagliato da nuvole bianche.

    All'improvviso mi sentii trascinare, il colletto della maglia, mi soffocava.

    << La prossima volta mettiti un casco, genio! Un passamontagna non basta! >>

    Me lo fece notare con la tipica ironia degna delle sue origini, la cosiddetta zona delle miniere, il mio amico Neco Terriè, ma che noi tutti chiamavamo T.

    Mi aveva tirato fuori dal caos della sommossa, più che altro, direi una guerriglia urbana, per certi versi ben organizzata.

    << Sei pronto? >> mi domandò T.

    << Le incendiare dove sono? >> chiesi.

    << Lì, nello zaino. >>

    << E Miro e Kira? >>. Volevo essere certo che anche gli altri fossero nelle posizioni decise.

    << In posizione e la Terza Squadra è già pronta nella parte alta. >>

    << Gli altri sanno già quello che devono fare una volta partito l'attacco? >>

    << Si cazzo! L'hai ripetuto fino allo scoglionamento a tutte le squadre! >>. Il vocabolario di T non si faceva mai attendere.

    << Dai, forza Blue! Dai l'ordine! >>

    Urlai nella radio: << Via!!! >>

    E così dal palazzo sul lato opposto dell'incrocio Miro e Kira iniziarono il lancio delle incendiarie sulla squadra di agenti antisommossa al centro della strada, pochi istanti dopo fu il nostro turno.

    Mi rimasero impresse le urla strazianti che si mischiavano all'odore di benzina e carne bruciata e dopo l'inizio del caos, ci disperdemmo. Con la puntualità che li ha resi celebri, entrò in azione la Terza Squadra; spinse giù dalla collina i cassonetti pieni di benzina e copertoni di auto. Una strage, una vittoria.

    La prima linea di agenti in pratica bruciò e quando i mezzi antisommossa dietro di loro tentarono di intervenire rimasero bloccati dai loro stessi compagni della seconda linea che non indietreggiarono e non tentarono nemmeno di aiutarli.

    << Abbiamo fatto un bel casino stavolta. >>. Si leggeva l'esaltazione negli occhi di T.

    << E adesso muoviamo il culo, dobbiamo trovarci con Miro e Kira. Di corsa! Stavolta li abbiamo fatti incazzare! >>

    Ci muovemmo velocemente verso il punto di uscita.

    << Questo tombino non si vuole proprio aprire. Aiutami a tirare. >> mi urlò T.

    Tirammo e di colpo si aprì. Ci infilammo giù per le fogne. Seguimmo le istruzioni dateci dal nostro gruppo di infiltrati tra i governativi e da qualche funzionario lealista, che diciamo, non aveva avuto molte alternative al fornirci informazioni, soprattutto se durante la sua intervista T non fosse stato dell'umore.

    << Quei bastardi hanno messo telecamere e sensori ovunque. >> dissi, quasi sorpreso.

    << Si guardano le spalle, siamo a duecento metri dai palazzi governativi. >> rispose T con la più chiara naturalezza.

    Dopo dieci minuti di passi nel buio delle fogne, in compagnia di opache acque maleodoranti abitate non solo da ratti, che con il loro evaporare torbido mi spezzavano di continuo il respiro, scorsi lontano un riflesso tra le ombre acquee ed una frazione di secondo dopo, quattro luci pallide salivano dal buio, due sul lato destro, due sul lato sinistro del tunnel, solo il tempo di uno sguardo e all'improvviso un colpo sordo.

    << La gamba, la gamba.>> T era a terra. <>

    Con la mano destra lo aprii, estrassi la granata: era gelida, a gennaio non poteva essere diversamente. Un respiro profondo mi aiutò a controllare la paura, non ne avevo mai lanciata una... Certo, ero esperto in guerriglia urbana, ma era la prima volta che usavo un'arma che non fosse fatta in casa. Con un colpo secco estrassi la spoletta, strana sensazione il suo defluire ondulato.

    Con un movimento rapido, ruotando verso il basso, lanciai la granata facendola poi scorrere a terra, il tempo di chiudere gli occhi, di voltarmi e poi.... E poi un lampo accecante mi penetrò dentro, scuotendomi persino la spina dorsale. Non so quanto tempo sia passato, ma quando riacquistai la vista, se così si poteva definire, vidi che i due militari a destra erano scomparsi, forse caduti in acqua, mentre quelli di fronte a noi erano a terra, il lampo li aveva annichiliti. Mi avvicinai, una volta afferrati, nonostante un loro mutilato tentativo di reagire, feci in modo che quelle acque putride si potessero prendere cura di loro.

    <>

    <> rispose T.

    << Dai, usciamo fuori da qui. Ce la fai a camminare? Siamo a cinquanta metri dal punto di ritrovo. È meglio che facciamo in fretta. >>

    Gli ultimi istanti nel buio.

    << Dai, dai. Le scale, le scale. >> dissi. Trascinai T per gli ultimi gradini. << E la porta? >> gli domandai.

    << Se Miro e Kira sono già arrivati è aperta. >>

    Toccai la maniglia e una lama di luce tagliò in due il nero buio delle fogne. Due sagome grigiastre dai bordi lucenti ci apparvero di fronte.

    << Siete in ritardo... Che ti è successo T? >> chiese Miro.

    << Un colpo di striscio. >>

    << Portiamolo in macchina! >> esclamò Kira.

    << Un regalino dei tuoi amici del Sistar. >> disse Miro, con il suo immancabile sorrisino arrogante.

    Sistar stava per Servizi Interni Tattici Azzeramento Rivolte.

    << Lo sai che di questa storia non voglio neanche sentirne parlare! >> chiuse T con gli occhi talmente iniettati di sangue che quasi scoppiavano.

    << Ragazzi, i cellulari e tutti i sistemi di comunicazione sono spenti? >>. Tutti con un cenno fecero sì.

    Alla guida c'era Rio, l'ultimo arrivato. Anche lui un riesumato dal mondo oscuro, come tutti noi del resto. Ex pilota di gare clandestine, ma che ebbe più fortuna come autista nelle rapine. Lo avevamo reclutato dopo l'assalto alla Banca Centrale, simbolo del potere governativo. Lui ed i suoi colleghi avevano sfondato l'entrata della banca con un mezzo blindato della società di trasporto per cui lavorava e sottolineo che lavorava per il governo. In centoventi secondi ripulirono il caveau e il blindato pieno d'oro, lasciando tutte le guardie, comprese quelle dei mezzi di scorta imballate all'entrata della banca. Diedero forfait con un mezzo di estrazione già pronto nei pressi. Durante la fuga fecero fuori otto auto della polizia azzerando la loro forza d'inseguimento ed illusero l'elicottero cambiando mezzo e direzione nel tunnel che porta fuori città ad ovest. Così divenne il nostro autista e gli altri suoi amichetti Stilo, Argo, Deco e Sio diventarono la Terza Squadra. Solo uno di loro venne beccato, Zero. Durante la rapina, da un'immagine delle telecamere si vide il suo teschio tatuato sul collo: la settimana dopo lo presero. Quelli del governo la videro come un affronto e fecero gestire la cosa a quelli del Sistar. Lui non disse una parola, né sul colpo né sui suoi complici, tanto mirabile quanto suicida.

    Non finì bene, di lui dopo non si seppe più nulla. Se avessi chiesto a T avrebbe potuto dirmi che cosa potevano avergli combinato, ma non ebbi il coraggio.

    << E ora tutti a rapporto dal Vecchio! >> fece presente T.

    << Il tragitto per la base è senza telecamere? >> chiesi a Rio.

    << Si, più o meno. Ne sfioreremo un paio qui, in uscita dal centro. Per il resto siamo ok. >>

    Feci una deduzione semplice. << Una macchina con cinque persone a bordo è un pericolo per la nostra sicurezza. >>

    << Ne avevamo solo una pulita. >> rispose T, quasi scocciato.

    << Il vero pericolo saranno ora i posti di blocco dopo tutto il casino che abbiamo fatto! >> sussurrai con un po' di paura e le mani tremanti.

    Proseguimmo per un paio di minuti e ad un incrocio svoltammo a destra trovandoci di fronte una colonna di auto in attesa di passare un posto di blocco del Sistar.

    << Fare inversione? >> domandò Kira.

    << Pessima idea. >> fece notare Rio.

    << Quei cazzo di pick-up con gli MG. >> dissi.

    << E non solo, ci sono agenti ovunque lungo la strada. >> sibilò Miro. Anche a lui traspariva la paura, gliela si leggeva dagli occhi.

    Io cominciai a sudare, il battito del cuore ed il respiro cominciarono ad invadere la mia calma. Kira era seduta di fianco a me, per la prima volta la vidi spaventata. Quando un agente passò al lato della macchina il suo mento tremò, facendole muovere quelle splendide lentiggini che l'avevano sempre resa affascinante ai miei occhi. Quindi T si girò, era seduto alla destra del lato guida e ci disse sottovoce:

    << Sapevo che questo era l'unico punto in cui potevano formare un posto di blocco, quindi ieri ho pensato di aprire una via di fuga nel caso di problemi. D'altronde questa è una delle tre strade che portano fuori città e se fossi in voi terrei giù la testa... Vero Rio? >>

    Guardai attonito T e vidi che agitava tra le mani un detonatore, l'azione era accompagnata da un sorriso di soddisfazione, quasi o persino paradisiaca. Schiacciò il pulsante, la luce rossa si accese. Con la mano destra tenni giù Kira.

    Il lampo, il calore, i pezzi di vetro come proiettili e le lamiere delle auto che stridevano quasi a formare un lamento. Nei dintorni era pieno di gente che correva sanguinante. Due agenti strisciavano di fronte a ciò che restava delle loro auto governative. Quando mi voltai verso T vidi che un agente del Sistar era stato scaraventato sul cofano dallo spostamento d'aria frantumando anche il parabrezza. T con non poca fatica spostò il corpo.  Iniziò ad urlare:

    << Vai contro la loro auto! Vai contro la loro auto! >>

    Rio nel tentativo di capire gli chiese: << Perché? >>

    << La macchina deve bruciare, è piena delle nostre impronte e tracce di DNA.  Quanto pensi che ci metteranno ad individuarci? >>. Poi continuò: << Vi porto fuori io.>>

    Rio sbatté l'auto contro le carcasse in fiamme. Uscimmo fuori. T ci disse che cosa dovevamo fare: ognuno doveva prendere una strada diversa per arrivare all'appartamento della nostra cellula. Io dovevo procedere a piedi verso nord e alla prima fermata della metropolitana entrare e dirigermi fino alla stazione ferroviaria, da lì riprendere a piedi ed arrivare alla base.

    A Kira toccava andare al centro commerciale, da lì aspettare un pullman verso il centro che fermasse all'università, poi anche a lei spettava l'ultimo pezzo a piedi. Avrebbe dovuto però fermarsi prima in uno dei bar pieni di universitari.

    A Miro toccava un bel viaggetto. In pullman direzione sud-ovest verso il Ponte dei Mercanti, l'antico ponte di Tempia Dei.  Quindi scendere allo stadio, prendere il metrò che passava sotto il ponte, fermarsi sull'altra riva in corrispondenza del distretto dei magazzini storici e proseguire prendendo la sopraelevata che scorreva parallela al fiume e che collegava quel punto alla vecchia città murata passando di fianco a Ponte Nuovo facendo capolinea alle torri di fronte al ponte risalente all'età imperiale: il ponte Alexander. Miro doveva attraversarlo e giungere al parco nord, avvicinarsi alla base con la linea metropolitana ma poi fermarsi due stazioni prima perché, come per gli altri, il protocollo prevedeva che i due isolati vicini alla base dovevano essere percorsi a piedi.

    Rio doveva stare con T dato che la sua gamba sanguinava: troppo importante per essere lasciato solo, lui che era l'ala militare del nostro gruppo.

    Si nascosero in uno degli appartamenti d'appoggio giusto il tempo di una medicazione e di una puntura antidolorifica, poi anche loro, non so come, si sarebbero diretti al punto di ritrovo.

    Mi incamminai sul lato opposto della rotonda che precedeva l'entrata al centro commerciale.

    Si sentivano echi di sirene ovunque e le eliche degli elicotteri girare sopra i palazzi.

    La cosa che mi lasciava più atterrito era la gente, passava indifferente di fronte alle persone ferite, alle macerie o a macchine distrutte. Nell'ultimo anno ne avevano viste così tante che non provavano più nulla. Ciò mi rese triste.

    Scesi le scale che portavano ai tornelli di entrata della metro, tra Sistar e polizia regolare, ne avevo contati una ventina prima di salire sul vagone. La situazione era pericolosa, avevamo cambiato i vestiti per precauzione, tenendo quelli dell'attacco ci avrebbero potuto individuare più facilmente.

    Una volta partito in direzione stazione centrale vidi che nel vagone due regolari stavano controllando i documenti ai passeggeri. Mi guardai in giro: non avevo vie di fuga. Per la fermata successiva erano necessari due minuti. Dovevo scendere. Non avevo documenti con me, si sarebbero di sicuro insospettiti ed avrei cominciato ad avere problemi se avessero sommato la cosa con la ferita non molto evidente che avevo sulla testa. Ciò voleva dire che i poliziotti mi avrebbero arrestato di sicuro e avrei fatto una brutta fine.

    Pochi secondi dopo uno degli agenti cominciò a fissarmi, fece cenno al collega di avvicinarsi, ma a pochi metri da me sulla fila opposta alla mia un uomo, un senzatetto che stava dormendo si svegliò, la metro aveva sobbalzato di colpo. Non so perché, forse aveva bevuto un po' troppo o per qualche ragione malsana, quando si accorse di avere un agente di fronte gli toccò il braccio e gli disse:

    << Sc-scusi sa che ore sono? >>

    L'agente lo strattonò e gli urlò: << Ehi, hai voglia di scherzare? Ora ti faccio vedere io che scherzi amo fare! >>

    L'uomo spalancò gli occhi (me li ricordo ancora, erano verdi), il poliziotto lo prese per il braccio destro e glielo girò contro la schiena, gli diede un calcio dietro un ginocchio, costringendolo ad inginocchiarsi, ed aggiunse: << Ora ti porto a fare un giro in caserma, così parliamo meglio. >>

    Il vagone si fermò e si aprirono le porte scorrevoli... Io con apparente calma scesi e mi incamminai verso l'uscita di superficie, ero accaldato, sudavo.

    Una volta uscito intravidi il rosso del tramonto tra le montagne, che faceva contrasto con la metà di cielo ancora azzurra, appena sopra gli ultimi piani dei palazzi grigi. Un cristallo di neve mi sfiorò il viso, stava cominciando a nevicare e io dovevo arrivare in fretta alla base. Decisi di passare di fianco al quartiere universitario per poi girare a destra, proseguire dritto e giungere al palazzo.

    Mentre camminavo notai un gruppo di ragazzi addossati all'entrata est dell'università, mi avvicinai e vidi che erano di fronte al mega-schermo all'interno dell'atrio. Si vedeva una giornalista in diretta dai palazzi governativi che stava elencando, era proprio il caso di dirlo, il bollettino di guerra.

    << Oggi una violenta protesta organizzata qui a Tempia Dei da un fronte di oppositori riconducibili alla cellula antigovernativa denominata Pegaso, ha causato la morte di tredici agenti e l'ustione di altri diciannove in un attacco avvenuto a pochi metri dalle sedi governative. I terroristi hanno usato un ingente numero di bombe incendiarie e diversi cassonetti in fiamme per attaccare le linee difensive della polizia regolare poste in difesa della manifestazione di inaugurazione del nuovo Senato. Circa cinquanta minuti dopo, in un secondo attacco, due bombe sono scoppiate nei pressi del centro commerciale sotterraneo, ferendo otto agenti del Sistar e uccidendone quattro. >>

    La giornalista continuava a parlare, mentre il mio pensiero si posava sulle ragioni di tutto questo, i sacrifici, come ci diceva il Vecchio, erano necessari allo scopo. Ed io, mai come allora cominciai a chiedermi quale fosse la via migliore per contribuire alla libertà, per contribuire a distruggere la tirannia e se fosse giusto vendicare i morti con i morti.

    Una coltre bianca aveva ormai ricoperto ogni superficie, si vedevano lungo il marciapiede le impronte sfuggenti dei pedoni affrettati dai ritardi della neve e dal caos della rivolta. Effettivamente il traffico era in tilt oltre che a causa della neve anche a causa dei punti di controllo sparsi per tutta la città. I rumori dei clacson non si risparmiavano. Iniziai ad allontanarmi dall'università, la base era poco distante, un paio di isolati, non di più. Da lontano vidi due senzatetto avvolti in una coperta. Infreddoliti. Mi avvicinai a loro.

    << Vado a prendervi qualcosa di caldo. >>, erano talmente presi nel tentativo di cercare di scaldarsi che forse nemmeno mi sentirono. Lì all'angolo c'era un bar, velocemente lo raggiunsi ed entrai. Ordinai al barista due cioccolate calde da portare via. Al momento di pagare, quando estrassi dalla tasca le banconote, queste mi caddero a terra e mi chinai a raccoglierle. In quel momento il tempo si fermò, ma non il mio cuore che, anzi, cominciò a battere come se dovesse esplodere... Kira. C'era Kira seduta ad un tavolo. Poi sentii una voce. << Tutto ok? >> era il barista.

    << Si, si. >> risposi.

    << Sembravi incollato al pavimento. >> mi disse ironicamente.

    Una volta uscito, dalla vetrina i nostri sguardi si incrociarono, lei mi accennò un sorriso. Con quegli occhi, con quello sguardo, con quei movimenti eleganti e raffinati riuscì a rendere insignificanti, per un secondo, tutte le tensioni ed emozioni della giornata.

    Diedi le bevande calde ai due sfortunati aggiungendo: << Mi dispiace, ma più di così non posso fare. >>

    Uno dei due mi rispose: << Che gli dei ti benedicano, ragazzo! >>

    Mai avrei pensato che alla vista di due persone così avrei avuto una reazione del genere, dopotutto erano stati i governativi ad aver ridotto molte persone in questo stato, portando la loro violenza ovunque. Lentamente mi diressi verso la base, la luce era ormai scomparsa e di colorato c'erano solo le luci degli stop delle auto che giravano lente, interrotte solo per qualche breve momento dai mezzi di pulizia delle strade con i loro grossi fari di luce bianca e dal blu accecante delle sirene.

    Pochi istanti dopo entrai nel campo visivo della telecamera posta al lato sud della base. Mi avvicinai al portone del palazzo, suonai il campanello e Doi, l'addetto alla sicurezza della base, mi aprì. 

    Feci i tre piani di scale necessari per arrivare al piano dell'appartamento, passai davanti alla microcamera situata sul pianerottolo e mi aprirono la porta. Entrai e richiusi immediatamente come era da protocollo. Non si accedeva direttamente alle stanze, tra l'entrata ed il resto dell'appartamento c'era un'anticamera dotata di sensori che percepivano eventuali sistemi di comunicazione o microspie ed un metal detector. Passato il controllo mi fecero entrare. Mi trovai di fronte due dei cinque membri della scorta del Vecchio, stanziavano davanti alla porta della camera adibita a stanza di comando. Non sapevo nulla di loro a parte che il loro addestramento militare era di altissimo livello e che erano dei grandissimi stronzi. Doi mi disse sottovoce: << Il Vecchio ti vuole subito a rapporto. Rio e T sono già dentro. >>

    << Subito.>> risposi.

    Mi avvicinai alla porta. Uno dei due mi fermò, mettendomi una mano sulla spalla.

    << Dove credi di andare? >>

    << Mi aspettano o no? >> controbattei infastidito.

    Con l'altra mano bussò, da dietro la porta sentii una voce.

    << Blue, rapporto sulla missione. >> era la voce rauca del Vecchio.

    << Ma T l'ha già fatto? >>

    << Ti ho fatto una domanda e voglio una risposta. >>

    << L'assalto con le incendiarie ed i cassonetti ha dato i suoi frutti. La polizia regolare ha avuto pesanti perdite, anche il Sistar ha perso agenti. Abbiamo dimostrato il nostro valore oggi. >>

    << Non è abbastanza. >> fece notare il Vecchio. << Il governo è ancora troppo stabile. >>

    << Si, ma noi siamo pochi e loro hanno un esercito. >> affermai quasi offeso.

    << Quante volte te lo devo dire, Blue? Sono io che do gli ordini e che comando, vuoi che qualche Sistar venga a sapere veramente chi sei? >>

    << Volevo dire che oggi abbiamo dato il massimo per la causa. >>

    Quindi si intromise T: << Capo, oggi abbiamo fatto più di quello che qualsiasi altra squadra potesse fare. >>

    << Non siamo della stessa opinione, T. >> incalzò il Vecchio. In quel momento bussarono alla porta, entrò Kira.

    Il Vecchio le chiese: << Valutazione sul tuo operato? >>

    << Abbiamo fatto il possibile, signore. >>

    << Mah, cazzate. >> insistette il Vecchio.

    Dagli occhi di T vidi la sua pazienza al limite. << Allora facciamo così signore, la prossima volta ci metta a disposizione più mezzi e risorse. Le organizzerò un bel casino. >>

    Una delle tre guardie del Vecchio si avvicinò a T, mettendosi di fronte a lui a distanza molto ravvicinata e gli sussurrò: << Evita di fare lo sbruffone come al tuo solito, T, o ti mostreremo noi come si fa un bel casino. >>

    Mai frase fu più fuori luogo. T lo prese per un braccio, gli sbatté la faccia contro il tavolo che era al centro della stanza, gli prese la pistola che aveva nella fondina e gliela puntò in faccia. Il tutto in un battito di ciglia.

    << Vuoi giocare con me? Dai che ci divertiamo un po'. >> T era arrabbiato.

    Gli altri due della scorta avevano già tirato fuori le pistole.

    Il Vecchio intervenne. << Calmatevi voi due, siamo alle solite! E voi altri, giù quelle pistole! >>

    T gli lasciò il braccio, estrasse il caricatore e scaricò il colpo in canna.

    << Ora vi dirò io che cosa faremo. >>, continuò il Vecchio. << Dopo la sommossa e la bomba di oggi ci prenderemo tutti una bella vacanza fino a nuovi ordini. Abbiamo surriscaldato troppo l'ambiente. Continueremo solo le attività di propaganda antigovernativa. Per il resto nulla, le attività eversive sono congelate. Informeremo Miro al suo arrivo e la Terza Squadra domani. Ora potete andare. Anzi, prima vi dico una cosa. D'ora in avanti chi si permetterà certi atti violenti all'interno della cellula verrà giustiziato dagli altri membri della cellula stessa. Mi sono spiegato? Potete andare... >>

    Incrociai lo sguardo con T facendogli un accenno di sorriso.

    Il Vecchio sottolineò: << Naturalmente sono vietati i contatti e qualsiasi forma di comunicazione tra di voi. >>

    << Certo capo. >> risposi mentre gli altri facevano un cenno con la testa.

    Uscimmo dalla stanza, chiesi a T: << La gamba? >>

    << Per fortuna un colpo di striscio, niente di che. >>

    Quindi Doi ci interruppe ed intonò una cantilena.

    << Ragazzi, lo sapete che tutti assieme uscire non potete. >>

    << Vai tu per primo? >> mi chiese Kira.

    << Ok. >>, la guardai: chissà per quanto tempo non la vedrò, pensai.

    << Ciao T. Kira... Ci vediamo per la prossima missione. >> ed uscii dall'appartamento.

    Erano ormai le sette di sera. Fuori dall'edificio si sentivano ancora in lontananza le sirene dei mezzi governativi. Aveva smesso di nevicare, faceva troppo freddo. Il livido ed il taglio del proiettile di gomma che mi aveva colpito e che mi aveva fatto svenire iniziavano a farsi sentire. Per fortuna i miei capelli lunghi mascheravano decentemente il suo modesto rigonfiamento. Al lavoro poteva essere un problema, una cosa del genere in evidenza e troppe domande su di me avrebbero potuto compromettermi. La sommossa ed un ematoma sulla testa poteva voler dire spiata al Sistar.

    Per fortuna il giorno dopo non mi sarebbe toccato il turno di lavoro. 

    Capitolo due

    Tanti motivi, tante ragioni

    Come quasi tutti i giorni di riposo mi diressi da casa mia, poco più a sud del centro commerciale e nei pressi del palazzetto dello sport, al centro storico situato dall'altra parte della città. In quindici minuti di bus riuscivo a raggiungere la stazione della monorotaia situata sull'altra riva del fiume, tra la zona dei magazzini ed il porto fluviale. Da lì di solito proseguivo fino al capolinea, di fianco alle due torri che dominavano l'entrata della vecchia città medievale. Amavo salire sulla cinta muraria e guardare la città nuova. Quel luogo mi ricordava la mia infanzia. I pomeriggi passati con mio padre a correre su e giù per i camminamenti delle mura.

    Fu lì che incontrai il Vecchio ed iniziai a riflettere sui motivi che mi portarono a far parte della Pegaso.

    L'incontro avvenne pochi mesi dopo che la mia famiglia andò in frantumi a causa delle confische governative. Nessuno mi era vicino, ero solo e forviato dalle fantasie chimiche delle droghe. Un giorno dei primi di novembre dell'Anno Dei novecentosessantadue, sopraffatto dalla catastrofe che distrusse la mia famiglia, esagerai: mi ritrovai in preda ad uno stato di trance causato da un cocktail di pillole, di cui mi rimase solo il ricordo confuso di voci ed ombre blu tutte intorno a me. Mi risvegliai in una camera da letto, che a giudicare dall'arredamento mi parve appartenuta ad un ragazzo, era piena di poster di personaggi dello sport e trofei.

    Sulla porta apparve una donna. << Ciao, io sono Nina. >> mi sorrise.

    Sobbalzai confuso, mi tranquillizzò dicendomi: << Non ti preoccupare, sei tra amici. E poi sono un medico... Se i governativi ti avessero trovato in quello stato di sicuro non ti saresti svegliato in una stanza come questa. >>

    Il mal di testa era fortissimo, la guardai in viso e le dissi, mentre tentavo di alzarmi: << Devo andare a casa, subito! >>

    Lei, afferrandomi dolcemente per le spalle, mi fece sdraiare di nuovo.

    << Non è il caso. Devi riposare ancora, almeno un'altra notte. >>

    << Ma io...>>

    Dietro di lei apparve un'ombra. No, non ci potevo credere. L'ex ministro dell'interno, Draco. L'unico sopravvissuto del vecchio governo.

    << Lei non è ben visto ultimamente. Cosa ha fatto, ha venduto il resto del suo governo per poter sopravvivere? >>. Gli chiesi a fatica ma non nascosi la mia arroganza, anche se le energie non erano un gran che.

    << La prossima volta ti lascerò agonizzante su qualche panchina della città vecchia, visto che sei una persona così grata. >> poi continuò: << Ora riposati, domani forse dirai cose più sensate. >>

    Quello fu l'ultimo ricordo di quella sera.

    Mi risvegliai l'indomani, la sensazione di debolezza era molto diminuita, mi avvicinai alla finestra ed appoggiandomi al mobile di fianco, diedi uno sguardo fuori. Era autunno, si vedevano le foglie cadere dagli alberi imitando il movimento di un orologio a pendolo; sullo sfondo le montagne, le loro punte sembravano appoggiarsi a nuvole a forma di mani, che con le loro dita afferravano i pendii e le distese alberate, il tutto velato da una coltre opaca di pioggia finissima. Dallo scorcio che disegnava la finestra capii che ero nella zona residenziale ad ovest della città vecchia. Una zona di ville e residence, la parte ricca della città.

    Entrò nella stanza Draco, mi chiese: << Ti senti meglio? >>

    << Mi scusi per ieri, era fuori luogo ciò che le ho detto... >> gli risposi mentre fissavo un punto per terra. << Comunque si, sto meglio. >>

    << Vieni, è pronta la colazione. >>

    Nina mi attendeva in cucina con una colazione leggera a base di frullato di frutta.

    << Dai Blue, fai colazione. >> mi disse sorridendo.

    << Sapete il mio nome? >>

    << Dovevamo sapere chi avessimo in casa. >>. Dopo un sospiro continuò: << Sappiamo che cosa è successo alla tua famiglia e ci dispiace. >>

    Abbassai lo sguardo e feci cenno in direzione del bicchiere di frullato.

    << Come mi ha curato? >>

    << Sono un medico e so anche che cosa gira per le strade di questa città. >>

    << Faccio colazione e tolgo il disturbo. >>, precisai.

    Ritornai in camera e trovai Draco che fissava i trofei in fondo alla camera.

    << Sai perché sono l'unico rimasto vivo? >>

    Lo fissai dritto negli occhi, poi proseguì.

    << Si sono presi lui...>>. Continuai a fissarlo. << Lo hanno ucciso davanti ai miei occhi. Ero l'unico che fino all'ultimo aveva cercato di opporsi al complotto organizzato nei confronti del governo di cui facevo parte. Io porto il peso della morte di mio figlio. Tutte le mattine quando mi sveglio sento come se il cuore si fermasse. Hanno distrutto la mia famiglia, il mio potere e la mia influenza politica, isolandomi, ma ti giuro che restituirò il favore, costi quel che costi. >> Si fermò un secondo, distolse lo sguardo dai miei occhi. Poi concluse: << Passo passo ricostruirò tutto e gliela farò pagare>>. Non seppi cosa aggiungere.

    Entrò Nina. << Chiamo la scorta per farlo tornare a casa? >> chiese interrompendo il silenzio dei nostri respiri.

    << Come la scorta? >>, rimasi perplesso.

    << È l'unica cosa che non sono riusciti a prendermi oltre a mia moglie. Non sono cinque uomini, sono cinque ombre, faranno in modo che tu possa tornare a casa evitando problemi con i governativi. >> mi spiegò Draco.

    << Dieci minuti e due uomini della scorta si faranno trovare qui per portarti a casa. >>, disse Nina, invitandomi con una mano a prepararmi.

    Girandomi di nuovo verso

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