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I delitti del dragone: Torino, una nuova indagine per Meucci e Vivaldi
I delitti del dragone: Torino, una nuova indagine per Meucci e Vivaldi
I delitti del dragone: Torino, una nuova indagine per Meucci e Vivaldi
E-book234 pagine3 ore

I delitti del dragone: Torino, una nuova indagine per Meucci e Vivaldi

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Info su questo ebook

In una tranquilla serata a pochi giorni dal Capodanno, Torino è scossa da due eventi drammatici. In una villetta di via Servais, un’intera famiglia viene trucidata in modo orribile. Si tratta di cittadini cinesi che nulla hanno a che fare con la giustizia. Genitori e due figli. Un muro bucato e la scoperta di una stanza segreta. Quasi alla stessa ora, un boato scuote la Val Susa. Si tratta di un ordigno esplosivo in un cantiere della TAV di Chiomonte. Altri cadaveri che non sanno chi ringraziare. Si tratta forse di un atto terroristico? Alessandro Meucci, dirigente della squadra mobile e Maurizio Vivaldi, ex poliziotto e investigatore privato, vengono coinvolti in un’indagine che appare da subito paradossale. Le ipotesi, per entrambi i casi, possono infatti provenire da molto lontano e sconvolgere del tutto l’ordine naturale delle cose. Ma, eliminato l’impossibile, ciò che resta, per improbabile che sia, deve essere per forza la verità. Lo diceva un certo Sherlock Holmes.

Maurizio Blini, è nato a Torino nel 1959. Oltre a innumerevoli racconti inseriti in antologie, tra cui, per Edizioni del Capricorno, Porta Palazzo in noir (2016), Il Po in noir, (2017), Montagne in noir (2018), ha pubblicato i seguenti romanzi: Giulia e altre storie Ennepilibri Editore (2007, tradotto e pubblicato in Bielorussia, 2012 e 2013, Giulia), Il creativo Ennepilibri Editore (2008), L’uomo delle lucertole A&B Editrice (2009), Il purificatore A&B Editrice (2011), Unico indizio un anello di giada, Ciesse Edizioni (2012), R.I.P. (Riposa in pace) Ciesse Edizioni (2013), Fotogrammi di un massacro, Ciesse Edizioni (2014), Figli di Vanni, con Gianni Fontana, Golem Edizioni (2015), Rabbia senza volto, Golem Edizioni (2016), La ragazza di Lucento, Fratelli Frilli Editori (2018), La ragazza di Lucento (2020) riedizione a cura de “Il Giornale”, La strategia del coniglio, Fratelli Frilli Editori (2019), Le bugie della notte, Fratelli Frilli Editori (2020) e I cattivi ragazzi, Edizioni del Capricorno (2021).
LinguaItaliano
Data di uscita29 set 2021
ISBN9788869435645
I delitti del dragone: Torino, una nuova indagine per Meucci e Vivaldi

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    I delitti del dragone - Maurizio Blini

    1

    Torino, domenica 28 dicembre 2020

    «Volante cinque da centrale. Volante cinque.»

    «Avanti…»

    «Via Servais 138. Hanno segnalato alcuni uomini sospetti salire su un furgone scuro. Sono usciti da una villetta. Date un’occhiata.»

    «Altro sul furgone? Modello, targa…»

    «No, al momento solo quello. Un signore anziano che vive nella palazzina di fronte li ha visti uscire. Asserisce che possa trattarsi di ladri.»

    L’assistente Matteo Riva, capoequipaggio, guarda l’orologio. Sei del pomeriggio di una domenica noiosa e inconcludente. Sbuffa osservando il suo collega che volta in via Pietro Cossa. Accende i lampeggianti ma non la sirena. Sono abbastanza vicini e in strada poca gente.

    Quando imbocca il tratto di via, nota sulla destra, una serie di villette molto simili di un quartiere residenziale. Sul lato opposto invece, delle palazzine di tre piani. Una zona tranquilla. In strada solo qualche auto.

    La volante rallenta in prossimità del civico segnalato. I poliziotti si guardano intorno.

    «Non vedo furgoni scuri nei pressi» esclama l’assistente Riva al collega.

    Si fermano proprio di fronte al civico centotrentotto. Scendono dall’auto. Una rapida occhiata tra i due. Si avvicinano all’ingresso esterno di una villetta in paramano con un bel giardino, con alberi e cespugli.

    Sta facendo buio e Riva accende la torcia ispezionando la cancellata. Poi il collega lo chiama. Gli mostra delle orme che man mano svaniscono allontanandosi dall’ingresso.

    Riva le illumina. Sembra sangue, ma potrebbe essere anche altro, chissà. Meglio evitare condizionamenti. Lo comunica alla centrale e basta.

    «Ispezionate il perimetro, controllate ingresso e finestre. Si riesce dall’esterno?» chiedono.

    «Sì, abbastanza. L’abitazione è sopraelevata di qualche metro rispetto al marciapiede esterno. Appare come appollaiata su una piccola collinetta artificiale. Un giardino con un vialetto in pietre di Luserna. Si vedono delle impronte più marcate verso l’interno. Ripeto, potrebbe anche essere sangue ma non intendo spingermi oltre per ora…»

    Riva illumina con la torcia il possibile, e così il collega Aruga. Tutto sembra a posto. Nessuna apparente attività all’interno. Poi sentono chiamare, si voltano.

    Il signore che li ha fatti intervenire, attraversata la strada, si presenta loro come un carabiniere in quiescenza. Avrà una settantina di anni ed è ancora piuttosto in forma. Veste una tuta da ginnastica dell’Adidas azzurra, capelli bianchi a spazzola. Asserisce con un certo vigore che erano dei tipi loschi e che lui non ha certamente perso il fiuto di un tempo.

    «Erano sicuramente dei malviventi» afferma.

    «Camminavano uno dietro l’altro, come dei militari. Tutti vestiti di scuro, con dei berretti in testa e mascherine scure indossate. Uno di loro, l’ultimo, trascinava anche un trolley. Credetemi, quelli devono aver rubato là dentro» aggiunge sicuro di sé.

    Riva torna all’ingresso e illumina il cancello. Osserva la buca delle lettere e la serratura. È regolarmente chiusa così come pure la porta dell’abitazione in fondo al vialetto. Blindata, da quel che si può intuire alla distanza di una ventina di metri. Per scrupolo risuona il campanello. Nulla.

    Riva si inginocchia a illuminare nuovamente quei frammenti di impronta. Li fotografa con il telefonino. È perplesso.

    Quando improvvisamente il suo collega urla attirando la sua attenzione, lui si volta di scatto come una molla.

    Una decina di passi sul marciapiede, quasi di corsa. Vede il collega abbassato sulle ginocchia che illumina dietro un cespuglio di forsizie.

    «Che c’è?» chiede.

    «Guarda…»

    Riva si acquatta e osserva. Poi prende la radio e informa la centrale che all’interno del giardino c’è un cane, un pastore tedesco, morto stecchito.

    «Volante cinque. Vi mando una pattuglia della squadra mobile in ausilio, intanto noi cerchiamo di contattare chi abita lì, qualche parente, conoscente. Restate sul posto e non fate avvicinare nessuno.»

    L’agente Paolo Aruga, autista della volante cinque, sospira visibilmente e guarda il collega con le mani piazzate sui fianchi.

    «E pensare che questa sera avevo una cenetta romantica con la mia ragazza. Porca troia!»

    2

    Chiomonte (Val di Susa)

    Quando un boato sconquassa il cantiere di Chiomonte in Val di Susa, sono ormai quasi le sei di sera. Il rumore appare assordante e i detriti piovono ovunque, come piccoli meteoriti impazziti. Il fumo avvolge tutto mentre alcune sirene iniziano a suonare incessantemente. Tutti si fiondano veloci verso il punto dell’incidente, compresi i poliziotti del reparto mobile e della DIGOS già a presidiare la zona.

    Il capoprogetto, l’ingegner Palombella insieme al capocantiere, il geometra De Letteriis, corrono come forsennati. Qualcuno urla di un attentato dei No Tav.

    Mentre il fumo sembra diradarsi lentamente, i primi soccorritori estraggono da una piccola voragine che ha inghiottito in parte un escavatore due operai entrambi deceduti. Un altro di loro, ferito piuttosto seriamente, viene trasportato poco distante in attesa dell’arrivo delle ambulanze.

    «Cosa diavolo è successo?» interroga il dottor Palombella.

    Nessuno lo sa. Per ora solo confusione e panico.

    L’odore acre di polvere da sparo si unisce in un connubio infernale alla puzza di carne bruciata. Si sentono altre urla. Degli operai iniziano a scavare come possono mentre il mezzo pesante viene fatto spostare di qualche metro.

    L’ispettore Amato della DIGOS informa dell’accaduto il suo dirigente, il dottor Rossi, che non esita a partire a gambe levate dalla questura.

    Un attentato dinamitardo con dei morti? Possibile che in val Susa lo scontro si sia improvvisamente alzato a questi livelli? Questo è terrorismo, non più dissenso. I pensieri del dirigente corrono veloci nella sua mente mentre raduna in fretta e furia del personale.

    Chiama il questore e lo avvisa che si sta portando sul posto, che riferirà appena possibile. Poi sente nuovamente l’ispettore Amato.

    «Allora? Novità?»

    «No dottore, al momento non so dirle altro. Mancava poco alla chiusura dei lavori. Stavano ultimando uno scavo per dei pilastri e l’escavatore con chi ci stava accanto è saltato in aria.»

    «Quanti morti?»

    «Per ora due. Uno ferito piuttosto seriamente, un quarto lievemente.»

    «Presenza degli antagonisti?»

    «Beh, sì, ovviamente c’è un presidio, ma più a valle. Dopo l’acquisizione dei terreni confiscati da parte della TELT¹ che serviranno per lo svincolo autostradale a sud del tratto Torino Lione, sono ripartite le proteste.»

    «Ci vediamo tra poco. Acquisisci le informazioni. La scientifica è già partita?»

    «Sì dottore. Sono stati tra i primi a partire. Anche il magistrato di turno è stato avvisato. È il dottor Picozzi.»

    Il dirigente della DIGOS è tirato in viso. Un attentato il ventotto di dicembre. Che abbia un significato particolare? Con dell’esplosivo poi…

    «A proposito…» dice all’autista, l’agente Carrisi, «…gli artificieri sono stati avvisati? Bisogna bonificare la zona, capire se è presente altro materiale esplosivo.»

    Carrisi sembra soprappensiero in verità, qualche attimo di incertezza, troppa per i gusti del dirigente che chiama direttamente il centralino assicurandosi che siano presenti anche gli artificieri.

    «Con questo cazzo di buio non si vedrà molto immagino» aggiunge guardando la strada davanti a sé.

    3

    Il commissario Federico, arrivato sul posto, scruta la villetta dal marciapiede. Le mani affondate nelle tasche del giubbotto e il bavero alzato. Fa un freddo terribile e proprio non aveva voglia di uscire a quest’ora. Guarda l’ispettore La Porta inginocchiato a terra di fronte al cancello dell’ingresso. Lo vede discutere con l’assistente Vecchi e con i ragazzi della volante.

    Hanno ucciso il cane, pensa, forse è suo il sangue delle impronte. Lo hanno sicuramente trascinato sotto il cespuglio per occultarlo alla vista. Quindi saranno entrati veramente? Si volta verso il carabiniere in pensione. Si rivolge a lui dandogli del tu, forse per metterlo a suo agio, per riconoscere e condividere quel ruolo di appartenenza, cameratismo, solidarietà. Per renderlo parte della storia, non solo un semplice testimone oculare.

    «Come ti chiami?» chiede.

    «Nicola, Nicola Carratello. Ero un maresciallo dei carabinieri, per anni ho lavorato al ROS² qui a Torino.»

    «Che idea ti sei fatto?»

    «L’ho già detto all’agente prima. Li ho visti uscire con una sorta di piglio militare. In coda indiana, tutti vestiti di scuro, con delle tute da lavoro tipo quelli dell’Enel, degli zaini in spalla, a mio avviso pesanti, e persino un trolley. Sono saliti su di un furgone scuro che era posteggiato più in là. Forse un Bedford ma non ci giurerei. Era già buio.»

    «E poi?»

    «E poi se ne sono andati ma nella direzione opposta, non sono passati qui sotto, altrimenti almeno la targa forse sarei riuscito a prenderla. Ma, sai, è stato tutto piuttosto veloce. Il tempo di insospettirmi e già avevano attraversato la strada.»

    Federico lo osserva. Poi continua.

    «Grassi, magri, alti, bassi…»

    «Su questo non so proprio cosa dirti. Normali direi, però è un dettaglio che non riesco purtroppo a fornirti.»

    «Chi abita nella villetta? Li conosci?»

    «No, non li conosco. Una famiglia comunque, penso gente per bene. Cinesi, hanno un paio di figli, due ragazzini giovani, non saprei dirti, dieci anni, forse qualcosa di più. Mai avuto modo di parlare con loro però. Mi spiace.»

    Federico nota con lo guardo arrivare la scientifica.

    «Ci avete messo un pochino…» dice al collega mentre questo scende dall’auto.

    «Lascia perdere, c’è appena stato un attentato dinamitardo in Val di Susa, in un cantiere. Metà di noi è andata là. In ufficio non c’è più nessuno.»

    Federico rimane immobile mentre racconta al collega le poche cose che è riuscito a sapere.

    «Intanto, per cortesia, hai un kit veloce per identificare tracce ematiche? Così almeno ci leviamo il dubbio.»

    «Certo che sì.»

    Tutti si avvicinano alle flebili tracce sul marciapiede. Il collega apre una valigetta, estrae un tampone e poi lo strofina leggermente su quel che resta dell’impronta. Apre una boccetta di reagente, mentre La Porta osserva con una smorfia dipinta sul volto.

    Pochi secondi, veramente, e il verdetto è sangue.

    Federico prende il cellulare e chiama il capo della squadra mobile, il dottor Meucci.

    «Dimmi tutto…» risponde lui.

    «Stallo. Sangue sul marciapiede e ovviamente nel resto delle impronte sul vialetto. Però tutto è chiuso, che dobbiamo fare? Sappiamo nulla dei proprietari?»

    «Sì, Guiotto se ne sta occupando in questo momento. Lì risiede una famiglia di cinesi, Wu Tian di anni quarantotto e sua moglie Gao Bi, di anni quarantadue. Entrambi gestiscono un ristorantino in via Verolengo angolo via Giosuè Borsi, nella zona di Lucento. Hanno due figli, Cui e Hua, rispettivamente di anni undici e nove.»

    «Non riusciamo a rintracciarli? Numeri di telefono?»

    «Fede, ci sentiamo tra poco, rimani lì. Ci stiamo lavorando ti ho detto» e chiude.

    Meucci dà un’occhiata a Guiotto. È al telefono, mentre l’assistente Orrù, al computer, cerca ulteriori notizie.

    «Che dici?» gli chiede Meucci.

    Orrù alza lo sguardo.

    «Hanno un allarme con combinatore telefonico. Non è scattato però. Ad ogni buon fine hanno lasciato quattro recapiti da chiamare in caso di attivazione. Due sono i cellulari dei residenti, marito e moglie, poi abbiamo altri due nominativi che corrispondono a parenti. Una deve essere la sorella perché ha lo stesso cognome, si chiama Fang, e poi un quarto, non so, un parente, amico, o il marito stesso della Fang, tale An.»

    «Chiama, dai!»

    Orrù non perde tempo. Inizia con il numero della sorella. Risponde qualcuno. Orrù inizia a parlare, chiedere, cercare di capire.

    Meucci lo guarda con attenzione, poi si alza dalla scrivania e si avvicina a lui.

    «Va bene, ma lei, signora Fang, ha per caso un mazzo di chiavi?» chiede ora Orrù.

    Evidentemente la risposta è positiva perché lui la invita a portarsi in via Servais 138 appena possibile.

    «Quindi?» chiede Meucci.

    «Lei asserisce che a quest’ora dovrebbero essere tutti a casa. Anche perché siamo in piena zona arancione, non è che si può fare quel che si vuole.»

    «Ma il ristorante era aperto oggi?»

    «No, la sorella ha detto di no. Riaprirà dopo tutto questo casino dei colori, dopo la befana presumibilmente. Posto che il Covid 19 non aumenti di intensità.»

    «Ok, avvisa Federico allora.»

    Meucci guarda l’ora, le sette e un quarto.

    Non c’è dubbio alcuno che questo 2020 sia stato un anno di merda, pensa avvicinandosi alla finestra. Speriamo che nessuno si sia fatto male, almeno questa volta.

    4

    Guardo l’ora mentre cammino a passo spedito sotto i portici di via Cernaia. Le sette e un quarto, di già. Come corre il tempo, due commissioni veloci e via, il pomeriggio è già volato in un battibaleno.

    Pensavo di riuscire a prendere un aperitivo fuori dal bar Stella con Meucci. Provo a chiamarlo.

    «Riusciamo a fare un brindisi sul marciapiede almeno? Veloce…» chiedo.

    «Mauri, lascia perdere, non è il momento, siamo veramente incasinati. Tanto comunque è da asporto, pertanto prendine un po’ e vieni sopra.»

    «Un po’ quanti? Una decina? Chi c’è lì?» domando.

    «Mauri, fai un po’ tu, dai, che tira una brutta aria. Vieni su che ti racconto.»

    Tira una brutta aria? Che diavolo sarà successo, mi chiedo.

    Imbocco corso Vinzaglio e raggiungo il Bar Stella. Con questa dannata pandemia sono messi piuttosto male. Aperti per miracolo e con servizio esclusivamente da asporto. Dalla porta d’ingresso chiedo di prepararmi una decina di aperitivi da portare alla squadra mobile. Ma la ragazza mi risponde che dieci sono forse un po’ troppi da portare. Scomodi quanto meno.

    «Senta dottor Vivaldi, facciamo così, le do una bottiglia di Campari, una di Gin e una di Vodka. In un sacchetto le metto del ghiaccio e delle arance, i bicchieri di plastica, e poi ve la vedete voi, ok?»

    Annuisco con il portafogli in mano. Prendo la busta e mi dirigo verso la Questura. Il piantone si ricorda di me e mi saluta, salgo al primo piano.

    Seguo il lungo corridoio che porta nell’ufficio di Meucci e intanto saluto chi incrocio. C’è fermento, agitazione. Busso allo stipite della porta di Alessandro e lui, con la mano, mi fa il segno di entrare. Orrù e Guiotto mi salutano. Poi vedo entrare l’agente Morra.

    «Che diavolo succede?» esclamo appoggiando la busta su di un tavolino.

    «Lascia perdere Mauri, una giornataccia, tanto per cominciare un bell’attentato a Chiomonte…»

    «TAV?»

    «Già, in un cantiere, due morti per ora. Un’esplosione.»

    Resto come paralizzato dalla notizia. Non è mai successo in passato, come mai proprio ora, mi chiedo.

    «Poi una strana segnalazione» continua.

    «Ha chiamato un ex collega dell’arma, pertanto affidabile. Beh, costui ha visto uscire degli uomini, a suo dire sospetti, da una villetta, che poi si sono dileguati a bordo di un furgone scuro. Apparentemente ladri.»

    «E quindi?» chiedo.

    «Innanzi tutto la dinamica, questi sono usciti in fila indiana con degli zaini carichi e pure un trolley, come se fossero militari, hanno lasciato tracce sul vialetto di casa, per ora inaccessibile, ma anche sul marciapiede. Bene, la scientifica ha già appurato che si tratta di sangue. Infine, l’equipaggio della volante cinque ha trovato il cane da guardia morto sotto un cespuglio nel

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