Gli Invisibili
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Anteprima del libro
Gli Invisibili - Nelly Polizzi
Youcanprint
Premessa
La scuola è la prima, vera istituzione sociale all’interno della quale il fenomeno del bullismo può essere prevenuto e riconosciuto. Il ruolo degli educatori risulta infatti determinante non soltanto a frenare sentimenti e azioni che portano ad atteggiamenti prevaricatori, ma anche ad individuare, sul nascere, il malessere giovanile di cui ogni vittima del bullismo è portatore.
Purtroppo non sempre ciò accade. Il focalizzare l’attenzione sui programmi di studio o sulle dinamiche che regolano le attività squisitamente scolastiche, qualche volta, porta gli educatori a perdere di vista il contatto
diretto con i ragazzi, il dialogo con loro e la necessità di stabilire interazioni del tipo uno a uno.
Il mondo dei giovani e dei giovanissimi ha mille sfaccettature, ma anche tanto silenzio intorno. Spesso gli adulti, nonostante la vicinanza fisica e la presenza nell’accompagnarli in quella fase delicata che è la loro crescita, non si accorgono dei numerosi disagi che li affliggono, fino a quando non è troppo tardi per intervenire. Basti pensare che una recente ricerca ha fatto emergere dati allarmanti: circa il 33% degli studenti frequentanti le scuole superiori del campione è vittima di bullismo, mentre il 45% ne è spettatore.
Fin dalla scuola primaria ai docenti viene affidata la responsabilità di trovare spazi e risorse per sviluppare negli alunni valori e comportamenti positivi e coerenti con le finalità educative dell’istituzione scolastica e della famiglia
.
Sta agli educatori di ogni ordine e grado individuare e riconoscere sul nascere la piaga giovanile del bullismo, senza confonderlo con altri tipi di comportamento ma, soprattutto, sta a loro leggere
ogni indicatore comportamentale e decifrarlo adeguatamente.
Tanti sono questi indicatori comportamentali e i segnali utili della vittima o del possibile bullo, chi gravita attorno ai giovani o giovanissimi ha l’obbligo di riuscire ad individuarli per tempo, stroncando immediatamente comportamenti sbagliati in un’ottica di omogeneità e di intervento a lungo raggio e condiviso.
Promuovere la cooperazione, definire figure all’interno delle classi e attribuire ruoli specifici, come quello dell’operatore amico, sostegno e supporto nei momenti di pausa delle attività didattiche, incentivare tutte quelle attività di consulenza dei pari, con l’ascolto in gruppo, la creazione di uno spazio fisico gestito dai ragazzi per la richiesta di aiuto dei compagni, sono tutti momenti utili da fornire ai ragazzi per fronteggiare i problemi dei coetanei e affrontare le necessità psico-sociali del gruppo.
Non serve solo una conoscenza specifica dell’argomento attraverso corsi e momenti formativi, comunque. Agli insegnanti occorre pure un’adeguata capacità di osservazione e di ascolto che, attraverso la giusta empatia, li avvicini al mondo entro cui si trovano ad operare, per un dialogo autentico e produttivo.
DIARIO DI TOMMASO
18 maggio 2015
Presentazione
Mi chiamo Tommaso e ho 11 anni.
Frequento la quinta elementare, ancora per poco. Infatti manca qualche giorno alla fine della scuola e già pregusto il sapore delle vacanze che stanno per arrivare. Vivo a Palermo, capoluogo della regione Sicilia.
La mia è una città molto bella, calda e assolata, che si affaccia sul mare, e qui da noi la bella stagione non dura due mesi come nel resto d’Italia, ma di solito si prolunga per il periodo che va da maggio a ottobre. C’è quasi sempre il sole.
All’uscita dalla scuola con i miei compagni andiamo spesso al porto che non dista troppo dal nostro edificio scolastico, a vedere le barche che partono e quelle che arrivano. Corriamo con lo zaino sulle spalle incontro al vento che ci scompiglia i capelli e facciamo ogni tanto a gara per vedere chi è il primo ad arrivare a destinazione. Sempre sul marciapiede, però, come ci raccomandano le mamme; la strada a quell’ora è molto trafficata e occorre essere prudenti.
A dire il vero la corsa la fanno sempre gli altri: io non ce la faccio a raggiungerli, mi viene il fiatone. La mamma dice che sono fuori allenamento ma, secondo me, il problema è che gli altri hanno le gambe lunghe e un’agilità che a me manca. Sarà a causa del peso eccessivo, che ne so.
Mi piace mangiare, lo ammetto. Vado matto per la nutella e tutto quanto è zuccherato. Le ciambelle, poi, sono la mia passione. C’è chi le mangerebbe a colazione o a merenda: io le mangerei a tutte le ore. Gonfie, soffici, mollicose e dolci. Una delizia, specialmente quelle del signor Salvatore, il pasticcere che già alle 8 del mattino profuma la stradina adiacente alla mia abitazione. Mi viene l’acquolina in bocca a pensarci. Ma non mangio solo le ciambelle a volontà. Mi piacciono da morire tutti i dolci: i gelati, il budino al cioccolato, le caramelle gommose alla fragola e il tiramisù. La mamma me lo prepara spesso il tiramisù, con caffè decaffeinato però, perché dice che quello normale i bambini li rende agitati.
Tra il cibo salato al primo posto metto la pizza ai wurstel seguita a ruota dalle patatine e dalla caponata di melanzane. Quella di mia nonna, comunque. È davvero insuperabile, credimi. Ogni volta che la mangio c’inzuppo mezzo chilo di mollica di pane e la nonna mi guarda sorridendo perché è contenta quando faccio festa alle sue pietanze, dice che per chi cucina con amore è la più bella soddisfazione.
Ma torniamo alle corse coi i miei compagni, altrimenti mi riviene fame e ho già fatto merenda.
Parlavo del porto, già. Arrivati lì ci fermiamo al moletto e ci sediamo sulla banchina. Qualche volta tiro fuori dallo zaino la brioscina che ho lasciato a merenda (non ce la faccio a mangiarne tre nei dieci minuti della ricreazione) e comincio a sminuzzarla. Una volta in acqua le briciole attirano tanti di quei pesci che non ti sto a raccontare ed è un piacere vederne le bocche in superficie. Ingioiano voracemente le molliche dolci e poi giù, nel profondo.
I miei compagni mi chiamano Tommaso-sorriso perché sono sempre allegro e sorrido continuamente. Vedermi piangere mai, nemmeno quando ero