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E se non fosse così?
E se non fosse così?
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E-book281 pagine4 ore

E se non fosse così?

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Info su questo ebook

Bastano pochi giorni per rivoluzionare la propria vita; un incontro speciale dà il via a una magica concatenazione di eventi, tappe di una misteriosa caccia al tesoro che vede coinvolta una giovane donna, ignara lei stessa delle regole del gioco e del premio che l’attende.
Stanca di tutto quello che la circonda, Alexia ha la necessità di ritrovarsi, di ri-conoscersi, di riassaporare il gusto del desiderio, di scoprire e coltivare le sue ambizioni. Per questo decide di intraprendere un viaggio, ritagliarsi del tempo e rifugiarsi nella natura, nell’incontaminato paradiso della montagna; sembra però che una forza divina abbia già tracciato per lei un percorso, iniziandola all’introspezione, alla meditazione, alla più profonda conoscenza di se stessa e all’amore. Ogni incontro segna un passo in più verso la felicità, fino a quando incappa sulla casella sbagliata e si ritrova costretta a ripartire dal “via”…
Una lettura sorprendente, un romanzo che da un momento all’altro si trasforma sotto i nostri occhi, insinuando il dubbio che non si possa crescere, sperare, amare fino in fondo…

Elena Pasqualin nasce nel 1978 in un paese in provincia di Vicenza. Dopo aver conseguito la maturità scientifica coltiva la sua passione per la filosofia e la psicologia. Inizia il suo percorso partecipando a concorsi letterari con racconti brevi, conseguendo premi al merito e una pubblicazione.
LinguaItaliano
Data di uscita31 gen 2019
ISBN9788830602496
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    Anteprima del libro

    E se non fosse così? - Elena Pasqualin

    Alighieri

    CAPITOLO 1

    LA DECISIONE

    «Non posso credere che dopo anni di studi universitari hai intenzione di continuare il tuo stupido lavoro in pizzeria! Quando hai intenzione di ripagare me e tuo padre per tutti i sacrifici che abbiamo fatto per farti studiare? In questi ultimi mesi non ti riconosciamo più, non hai ancora cominciato a cercare un posto degno della tua intelligenza, non sei mai a casa di giorno, non fai che uscire, addirittura prendi l’auto e te ne vai al mare dopo il turno di lavoro facendo un dritto senza neanche riposarti. Ma quanto andrà avanti ancora questa storia?».

    Ed ecco l’ennesimo litigio con mia madre e quella maledetta frase che nessuno vorrebbe sentirsi dire.

    Sono Alexia e ho deciso di partire per un viaggio, un’avventura alla scoperta di me stessa.

    Ho trascorso anni di perfetta condotta, in una famiglia perfetta che vuole che la tua vita perfetta, regolare, stabile e programmata, renda felice loro, che hanno sacrificato anni per educarti, crescerti con le buone maniere, trasmetterti dei valori e farti studiare per darti un futuro.

    Ecco, troppo tempo così e sono esplosa. Adesso proprio non ce la faccio più.

    Mia madre e mio padre mi vorrebbero realizzata con il posto fisso, magari statale, con un fidanzato da sposare per metter su famiglia e far diventare loro nonni. Il problema è uno solo: ma si sono mai chiesti se questa pseudo-vita è realmente quello che io voglio, che io nel mio intimo ho sempre sognato?

    Assolutamente no! Fin da bimba ho represso dentro la ribellione ad una vita di regole, monotona e fatta di routine.

    Eppure devo ammetterlo: sono fortunata! Loro non mi hanno fatto mancare mai nulla, mi hanno dato tutto quello che era nelle loro possibilità e oggi, a ventotto anni, mi ritrovo con una laurea in Economia gestionale e il mio lavoro di cameriera in una pizzeria che ho da quando ho iniziato l’università e che, a dire il vero, non mi dispiace per niente perché adoro stare in mezzo alla gente, sorridere e osservare e studiare gli atteggiamenti delle persone. Proprio questa cosa fa imbestialire mamma: il mio amore nei confronti di un lavoro così umile, che non è certo il lavoro degno dei miei studi, ma soprattutto per cui loro hanno pagato. Sono arrivata al dunque: mamma e papà mi hanno sempre fatto pesare il fatto di essere stata un peso economico per loro. Nonostante avessi un lavoro part time che abbia permesso di togliermi qualche capriccio, non posso negare il fatto che comunque tante spese scolastiche abbiano gravato sulle loro spalle. A mio avviso, comunque, questo non dà loro il diritto di pensare con la mia testa, impormi le loro idee e i loro sogni, ma soprattutto non dà loro il diritto di chiedere in cambio qualcosa!

    Ho passato gli ultimi due mesi tra feste, serate fino all’alba, giornate al mare o in montagna ma soprattutto ho passato più tempo con loro a litigare che non a parlare civilmente semplicemente perché per loro questi atteggiamenti superficiali non sono idonei ad una ragazza come me. Ma alla fine ho solo trasgredito un pochino, finita la laurea, per svagarmi dall’ultimo anno trascorso, impegnativo e alquanto stressante.

    Il peso delle parole di mio padre e mia madre però comincia ad essere così intollerante che ho deciso di andarmene per un po’. Ho parlato con i titolari della pizzeria, Luca e Giulia, persone splendide e comprensive, chiedendo a loro se potevo prendermi qualche settimana di riposo. Ovviamente dopo cinque anni di collaborazione mi hanno abbracciato e con un sorriso mi hanno concesso di prendermi ben quattro settimane dicendomi che meritavo comunque un regalo di laurea, visto che nel loro locale non ero mai mancata una volta.

    Dove andare?

    Voglio partire e fare qualcosa di diverso da un comune viaggio, voglio che le prossime settimane rappresentino per me un passaggio, voglio fare qualcosa che comunque segni un passaggio importante.

    Devo capire cosa voglio essere...

    Già, essere, non fare.

    Le persone spesso si confondono: ci impongono delle credenze che si radicano fortemente dentro noi fino a farci credere che siamo fatti per FARE una determinata cosa, in realtà il problema di ogni uomo è che noi non siamo quello che facciamo ma facciamo quello che siamo, me lo ha insegnato Alfredo.

    Mi ritrovo a filosofare! Ahimè sì, perché questa frase che mi ronza in testa da un po’ di tempo mi ha fatto riflettere molto.

    Sono stata abituata ad un regime di vita tranquillo, fatto di regole e restrizioni, di valori quali la famiglia, il sacrificio, le buone maniere, l’onestà e negli ultimi due mesi, dopo un periodo per me molto duro, sono entrata in un mondo diverso e con gli amici ho invece trascorso il mio tempo tra il divertimento, la libertà, l’avventura, senza ovviamente però dimenticare gli altri valori. Questo mio vivere libertino ha però messo in allarme mamma e papà che mi hanno accusato di aver fatto un cambiamento che mi sta portando sulla cattiva strada.

    Non voglio deludere i miei genitori, ma voglio comunque capire cosa fare della mia vita, voglio capire chi sono realmente... Tra la mia folle e curiosa voglia che capiti qualcosa di straordinario e la forte credenza che nulla capiti a caso, sono qui sdraiata sul prato a cercare la risposta dall’Universo su dove andare. Perché devo scegliere a caso io quando la vita ti manda quel che chiedi?... Quindi io, proprio in questo momento, faccio una domanda: dove devo andare per liberarmi la mente e capire chi sono e cosa voglio?

    Nei momenti di sconforto, camminare a piedi nudi sull’erba o sdraiarmici sopra per me è sempre stato un modo per cercare quel contatto con la natura, come se proprio Madre Natura (o Universo, se lo pensiamo in grande) fosse colei che rispondesse ai miei quesiti. Non voglio parlare di religione, non importa di che religione sei o in cosa credi, io credo e basta: a qualcosa di superiore che comunque ha un ruolo nella mia vita: farmi sentire protetta e non sola. Secondo me c’è qualcosa che fa muovere il mondo in maniera ciclica, costante, lenta ma incredibilmente infinita e affermo questo semplicemente osservando la natura. In ogni caso, proprio come ho creduto in Babbo Natale fino all’adolescenza, voglio credere che sia così: che dall’Universo ci giunga una risposta a tutto.

    Chiudo gli occhi.

    L’erba mi solletica le gambe, punzecchia perché papà l’ha tagliata l’altro ieri, è morbida al tatto ma qualche ciuffo qua e là si sente più resistente, quasi come fosse il ribelle di turno che esce esuberante dalla massa. Anche l’aria è piacevole sulla pelle. È finito il caldo afoso, l’aria è più fresca, forse perché siamo a settembre. Amo l’estate e pensare che sta per finire mi rattrista, quindi devo godermi ogni istante di questi giorni estivi per portarmeli dentro tutto l’inverno. Annuso il profumo dell’erba: l’odore è inebriante perché ricorda l’estate, il sole, il temporale dopo la calura dei giorni afosi. Vicino a me c’è il roseto magico. Negli ultimi anni ha una fioritura particolare, ecco perché lo definisco magico: le rose sono sempre state gialle ma hanno assunto di recente riflessi di un arancio intenso: devo ringraziare le api forse? Mi avvicino ad una rosa che è già sbocciata, sento il suo profumo delicato e vedo sbucare da una foglia un’ape che chissà, magari ha impollinato qualcos’altro e sta dando vita a qualcosa di nuovo che passa inosservato a tutti gli uomini, ormai persi nel tran tran della vita quotidiana. Aldilà dell’aiuola invece il fico ha già maturato tutti i frutti che poteva dare procurando nutrimento agli uccellini e agli insetti che, inebriati dal sapore zuccherino, si sono ricaricati di energie per il lavoro giornaliero. Quanti fichi ho mangiato quest’anno, buonissimi, dolcissimi, li adoro!

    Dalla finestra dei vicini si sente la radio alzarsi di colpo: è una canzone di Jovanotti, Serenata rap e comincio a canticchiarla:

    «...mi provochi pensieri e sentimenti sempre nuovi, nei tuoi fianchi sono le Alpi, nei tuoi seni le Dolomiti, mi piace quel tuo gusto nello scegliere i vestiti...».

    «Ehi, un momento... Alpi?... Dolomiti?... Certo!!!!... Sapevo che l’Universo mi avrebbe risposto! Anche se alla fine non è stato proprio l’Universo a rispondermi... Ahahah!» rido a gran voce, felice.

    Quella canzone è arrivata al momento giusto, mi sento già euforica al solo pensiero di dove devo andare.

    Amo il mare almeno quanto adoro la montagna, quel luogo che il nonno adorava e che mi ha insegnato ad ascoltare.

    Mi alzo di colpo e corro in camera... andrò nei boschi adorati dal nonno.

    Trentino... arrivo!

    CAPITOLO 2

    LE PRIME STRANEZZE

    Sono davanti al pc e scrivo sulla riga del motore di ricerca vacanze in baita.

    Mi compaiono siti che ripropongono posti di villeggiatura solitari ma comunque sempre alla portata di tutti, per la massa come dico sempre io, con comodità nelle vicinanze, servizi ed escursioni organizzate. Non è certo quello che cerco!

    Ah, vero! Sono già un paio di volte che uso il termine per la massa, ora lo spiego.

    Sono convinta che nel mondo ci siano persone prescelte per una missione importante. Tutti abbiamo qualcosa di speciale da condividere, un talento, una caratteristica che ci rende unici, ma la società ci impone un compito, ad essere un uomo tra tanti. Quello che fai dipende dal luogo dove nasci, dalla cultura, dalla religione, dal ceto sociale e questo vivere secondo regole imposte ci rende ciechi alla nostra vera natura. Mi viene in mente il mito della caverna di Platone, che ho studiato in filosofia al liceo, che spiega bene il concetto.

    Platone descrive gli uomini come prigionieri che hanno sempre vissuto in una caverna con il volto rivolto verso il fondo e legati in modo da non potersi voltare. Fuori dalla caverna c’è un muro ad altezza uomo dietro al quale alcune persone camminano con in testa statuette raffiguranti oggetti di vario genere e parlano facendo rimbombare l’eco all’interno della caverna. Dietro queste persone vi è un fuoco che proietta nella parete della grotta le immagini degli oggetti, visibili quindi ai prigionieri. Questi ultimi, vedendo e sentendo solo ombre ed echi, credono che questi siano la realtà. Uno di loro, però, si libera e si volta; vede le statuette e si accorge che sono più reali delle ombre; poi esce dalla grotta, oltrepassa il muro e inizialmente viene accecato dalla luce del sole. Poi si guarda intorno e vede il mondo della natura e nota che tutto è più reale degli oggetti proiettati nella caverna.

    I prigionieri sono il genere umano che si adatta e accetta per vero il mondo che vede, basato sui sensi, che è inoltre la vita più facile; l’uomo che si alza e si volta è colui che si chiede, che cerca qualcosa in più e al di là del muro vede la vera vita che è poi la valorizzazione dell’anima. Verrà accecato solamente perché i suoi occhi sono abituati al buio, così come l’uomo che cerca i veri valori dell’anima si ritrova confuso perché ha sempre vissuto con credenze e convinzioni diverse.

    Io mi sento come l’uomo che si è alzato, stanca della vita impostata dalla società, dai miei genitori, che vuole vedere la vita dall’esterno della caverna.

    Ecco: per massa intendo i prigionieri della caverna, che poi sono la maggior parte della gente che conosco; per persone con una missione intendo gli uomini che sono già usciti dalla caverna e che hanno fatto conoscenza della vera vita dell’anima e che hanno il sacro compito di portare con se qualcun altro. Il mio professore di filosofia disse un giorno:

    «Non dobbiamo avere la presunzione di poter cambiare il mondo, basta semplicemente cambiare noi stessi, essere unici per chi ci sta vicino e rendere, almeno a loro, la vita migliore».

    Perché sono andata in crisi?

    Perché sto rendendo impossibile la vita dei miei genitori semplicemente perché non accettano la mia ribellione alle regole e non ho mai detto prima d’ora che così le cose non andavano bene! È così sbagliato vivere libera da pregiudizi e regole?

    Oggi sono l’uomo che si è alzato e voltato, voglio uscire dalla caverna; ma per farlo non posso fare certo le cose che fanno tutti i prigionieri, no?

    Io non sto andando in vacanza, sto cercando un posto solitario per entrare in contatto con la Natura. Non vanno bene le baite che trovi nel web, certo che no!

    Bene! Allora parto senza meta, all’avventura. Strada facendo troverò un posto per dormire.

    In camera metto qualche maglietta, tre magioni e un paio di jeans in valigia. Mi serviranno sicuramente poche cose e non voglio certo essere impedita da bagagli ingombranti. Prendo una coperta da pic-nic nel caso mi venisse voglia di fermarmi a sonnecchiare, sdraiata su un prato o sulla riva di un laghetto di montagna, butto uno zaino vuoto nel baule della Polo e due giubbotti in caso di temperature più rigide.

    Per il momento l’idea è di andare in Trentino: l’avventura mi porterà qualche sorpresa e mi verrà in mente cosa fare.

    Telefono a mamma:

    «Ciao mamma, ti ho chiamato per dirti che sto partendo. Non so ancora dove andrò perché non ho trovato nulla che mi convinceva. Ho deciso di andare qualche giorno in montagna, in Trentino. Ti tengo informata. Dillo tu a papà, ok?».

    Ovviamente mia madre contrariata, mi rifila l’ennesima polemica:

    «Tesoro, ma parti in questo modo? Possibile che sei diventata così imprevedibile e superficiale? Ti pare ci si comporti così? Senza dir nulla, senza salutarci?».

    «Mamma» trattengo il mio nervosismo e l’esasperazione, «ti ho chiamata per salutarti! Non parto per l’America! Sta’ tranquilla che mi faccio viva presto. Troverò un alberghetto per dormire. Ti chiamo quando arrivo, ho il telefono, quindi puoi chiamarmi quando vuoi. Vado piano, lo sai!».

    «Alexia, mi farai litigare con papà stasera appena lo vedo. Lo sai che odia le bravate che continui a fare ultimamente. Ti voglio bene comunque... e sta’ attenta. Chiamami tesoro, non farmi stare in pensiero, mi raccomando!».

    Il tono da rimprovero e la solita cantilena mi mettono già ansia: «Sì mamma, starò attenta e sta’ tranquilla, anch’io ti voglio bene ma guarda che faccio qualche giorno di ferie, niente di più. Ti chiamo in giornata».

    Ovviamente assieme al ti voglio bene doveva pure rifilarci la frasetta secca per farmi sentire colpevole per un litigio con papà, solito di mia madre!

    Lascio da parte qualsiasi pensiero negativo perché ora sono pronta all’avventura: sola, libera e felice.

    Direzione: autostrada del Brennero.

    Adoro il pensiero di partire quando tutti sono già rientrati dalle vacanze, o quasi tutti, così non dovrò scontrarmi con i soliti domenichini, quelli che hanno il lavoro a due chilometri da casa, esasperati non appena fanno cinquanta chilometri: un pericolo per strada!

    L’aria di settembre, ancora ben calda ma non più afosa e pesante, entra dai finestrini aperti. Una sensazione meravigliosa mi avvolge, sarà forse questa mia scelta di andare via da sola e senza meta? O forse sarà l’aspettativa di quelle risposte che cerco dall’Universo?

    Prima tappa: autogrill! Devo dire la verità, l’Autogrill non ha nulla a che vedere con la natura, anzi, è uno di quei posti dove trovi un sacco di gente. Trovi quelli che trascorrono ore in auto per gli spostamenti di lavoro, o quelli che stanno andando a farsi qualche giretto, in vacanza come me. Autogrill è, comunque e sempre, una piacevole pausa caffè e toilette.

    Proprio alla toilette accade la prima cosa strana della giornata, proprio perché nulla capita a caso.

    Davanti a me, dall’entrata mi precede una ragazza bellissima: ha i capelli lunghi biondi e mossi, le forme del corpo sembrano quelle di una modella, impossibile non notarla. All’angolo della porta della toilette le cade qualcosa dalla borsetta e non se ne accorge.

    «Ehi, scusa!» le faccio io. «Ti è caduto qualcosa dalla borsa».

    Si gira e mi sorride, guarda per terra, raccoglie un libretto e mi dice: «Guarda che questo non è mio!».

    Quella ragazza è bella da togliere il fiato. Mi avvicino e le ripeto: «Ti è caduto dalla borsa, l’ho visto io!».

    «Ti sbagli sai, ti dico che mio non è!». Con timidezza, quasi come avesse paura di invadere la privacy di qualcuno, apre la prima pagina e legge ad alta voce: «Alexia Rossetto, io mi chiamo Angela!».

    «Come?» chiedo impietrita. «Cosa c’è scritto?».

    «Alexia Rossetto. La conosci?».

    «Sono io!» balbetto. «Ma non è mio, davvero!».

    Cose da non credere! Ma come è possibile che dalla borsa di quella ragazza sia caduto un taccuino e l’intestazione riporti il mio nome?

    Angela sorride e me lo consegna con un sorriso: «Guarda non saprei: o è una tua omonima oppure appartiene a te. In ogni caso tienilo tu, non è mio e non voglio che questo oggetto così personale sia tra le mie mani».

    «Grazie Angela. Comunque sono Alexia, ma non quella del taccuino!».

    Le tendo la mano e lei mi sorride:

    «Sono Angela e devo scappare in bagno. Comunque il piacere è mio! Forse quell’oggetto è semplicemente destinato a te. Tienilo con cura, troverai qualcosa di importante!» e si infila dietro una porta quasi fuggendo e facendomi l’occhiolino.

    La cosa più strana non è tanto quel taccuino, ma il fatto che da quella porta Angela non è mai uscita, come volatilizzata.

    Sbircio la pagina d’intestazione.

    Cognome: Rossetto

    Nome: Alexia

    Indirizzo: Strada Laghi, 1044

    Località: Terlago

    Voltando pagina leggo solo qualche riga:

    2 settembre 2016

    Questo è l’inizio del mio strano viaggio deciso dopo essermi resa conto che avevo un abito che qualcun altro mi aveva cucito addosso. Da dove vengo? Qual è la mia missione?

    Assurdo, quel taccuino sembra l’abbia scritto io…!

    «Ehi, attenta!».

    Mi libero quasi sobbalzando dai miei pensieri dopo aver urtato contro un ragazzo biondo che mi guarda un po’ arrabbiato perché per colpa mia ha rovesciato parte del suo caffè.

    «Scusami! Sono mortificata!» gli rispondo e dispiaciuta aggiungo: «Guarda, vado alla cassa per fare lo scontrino, aspettami qui che prendo un altro caffè anche a te! È il minimo che possa fare».

    Al ritorno noto che con lui c’è un altro ragazzo biondo, non sembrano italiani. Belli entrambi, abbronzati, occhi chiari e un sorriso spensierato. Hanno uno di quegli zaini enormi di chi parte per un viaggio a piedi con tutto l’occorrente in spalla.

    Mi avvicino a loro e intanto ordino i caffè, quindi mi presento:

    «Ciao, sono Alexia. Scusami per il caffè, non potevo non riordinartene uno!».

    «Non dovevi disturbarti, succede. Sono Pierre e lui è David, molto lieto».

    I lineamenti dei visi di quei due sono perfetti, ragazzi bellissimi e con un viso così rilassato e felice da far invidia, l’accento francese conferma la mia supposizione di poco fa.

    «Ma dove state andando con quegli zaini?».

    «Siamo in viaggio. Siamo partiti da Parigi quindici giorni fa in autostop e ora ci troviamo qui. Tu invece dove vai?».

    «Sinceramente ancora non lo so, in Trentino di sicuro! Ho preso le ferie e sono partita senza meta, come voi. Solo che io ho la mia automobile! Non so se avrei il coraggio di fare un’avventura come la vostra!» confesso sorridendo.

    «Tu non hai idea di quanto sia divertente!».

    Stavolta a parlare è David: «Piacere David! Stiamo chiedendo passaggi in autogrill, ci dirigiamo dove ci portano e una volta arrivati, giriamo la città. Abbiamo appena visitato Verona, città meravigliosa e ora vorremmo andare verso ovest. Pierre, chiediamo ad Alexia se ci porta con lei?».

    «Sì Alexia, se vuoi farti perdonare per il caffè ci dai un passaggio. Una volta arrivati dove vorrai portarci, ti offriamo noi il pranzo. Ci stai?» continua Pierre.

    Impossibile rifiutare una proposta così: «Certo che sì, venite con me. C’è un problema però, io sono diretta verso nord, non a ovest».

    Sono talmente angelici i loro visi, da bravi ragazzi, che è impossibile che abbiano cattive intenzioni. Certo, se i miei sapessero una cosa del genere, sicuramente mi rimprovererebbero. Mi sembra già di sentire le loro frasi: Non li conosci neppure e decidi di farli salire in macchina? Tu sola e loro in due?.

    Messi i loro zaini nel baule, saliamo in auto e penso che forse è proprio vero che questo sarà il viaggio più interessante della mia vita. Spero solo che tutto stia succedendo per un motivo preciso. Prima quell’Angela, sparita nel nulla, mi consegna un taccuino con il mio nome scritto sopra, e poi mi ritrovo a far salire due ragazzi nella mia Polo, tutti senza una precisa direzione ma con un’adrenalina particolare, quella che sale quando fai quelle cose proibite o fai qualcosa per la prima volta con l’aspettativa di divertirti un sacco.

    «E adesso dove andiamo?» chiedo spontaneamente.

    «Alexia, se non lo sai tu! Siamo nelle tue mani per i prossimi chilometri!» e Pierre comincia a ridere divertito.

    Quanto bello è Pierre! Quel sorriso mi fa persino arrossire.

    «Beh, mi è successa una cosa strana poco fa quindi voglio capirci qualcosa. Ho incontrato una ragazza e ho visto un taccuino caderle dalla borsa, credevo fosse suo, invece me lo consegna dopo aver letto l’intestazione. C’è il mio nome, capite?».

    «Forte! Fa’ vedere!» mi incita Pierre che è seduto accanto a me. Gli passo il taccuino, lo apre e legge la via e l’indirizzo a voce alta.

    «Sì, Pierre. Io mi chiamo Alexia, ma non abito a quell’indirizzo. Quello che voglio fare, però, è andare a quell’indirizzo. Non so di preciso dove si

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