Dadaumpa
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Anteprima del libro
Dadaumpa - Davide Scuotto
633/1941.
Prefazione
Un uomo siede ogni sera alla sua scrivania, in pausa dalle traversie della giornata.
Qualcosa gli impone di passare al setaccio della scrittura i materiali sparsi del suo mondo interiore. In una segreta ricerca di senso che le difficoltà del quotidiano sistematicamente scompaginano.
Misteriosa è la forza che lo muove, quando attorno tutto manca.
Questo ‘operaio della fantasia’ custodisce il patrimonio affettivo e culturale della propria famiglia d'origine, ormai estinta, e lo trasfonde in un racconto ammantato di gratitudine per quella città superstiziosa e strana in cui vive da sempre.
Nella fierezza di una comprovata appartenenza spirituale.
Così, nel condurci tra le intime pieghe dello stile di vita essenziale di una volta, ci regala una preziosa iconografia dell'epoca, coi suoi morigerati personaggi in bianco e nero.
Dai loro dialoghi vibranti trasuda quella originale ‘versatilità di spirito’ che contraddistingue in ogni tempo gli abitanti della controversa metropoli.
Respiriamo allora l'aria di quell' inafferrabile sistema di significati, antico e nuovo insieme, che la storia e la latitudine hanno fortemente contribuito a plasmare, senza che se ne possano pertanto mai disegnare i contorni.
Sempre antico nelle radici e nuovo nel loro vivo palpitare.
Arcaico e moderno nel riservare un posto importante anche a qualcosa che non si può né vedere né toccare.
Vetusto e fresco in quello spontaneo, sempre dinamico, bilanciamento degli opposti che solo a Napoli sembra essere possibile.
Anna Elena Conti
Il Dadaumpa
Di sera, quasi sempre di sera, mi chiudo nel mio studio.
E come una bestia che vuole restarsene da sola, fuori dal mondo, comincio a scrivere.
Sento come una febbre che mi sale su per il torace fino al cervello, come se fossi pervaso da una sorta di oblio, da una malattia desiderata, da un qualcosa di molto simile all'effetto dell'alcol o di una forte droga.
Questo stato di frenesia che mi assale lo chiamo trance dello scrittore.
E in questa condizione viaggio tutte le sere della mia esistenza, spandendo parole sulla carta virtuale, con la speranza di riuscire poi a regalare ai miei lettori un po' di quelle emozioni che io stesso vivo.
Campavo arrangiandomi come potevo, fino a qualche anno fa. Poi la vita si è messa di traverso, negandomi anche il minimo per sopravvivere.
E dalle mie prime lacrime di solitudine e disperazione è nata la prima poesia. Poi, altre 1000 ancora.
Il Dadaumpa, in prosa, è nato nell'abbandono e nella miseria più nera.
Ma grazie a questa mia magica disposizione interiore attivata dal crepuscolo, hanno cominciato a prendere forza i ricordi, per trasformarsi in una musica nuova, una danza che inocula fiducia in un domani migliore.
Ritmo di una danza antica, tribale… tam tam che batte scandendo il tempo giusto, aumentando a poco a poco il coraggio di raccontare.
Sopravvivere spesso vuol dire avere ancora nella mente e nel cuore dei bei ricordi. Aneddoti e ritratti di un passato familiare, vite realmente vissute che somigliano a leggende. Melodica armonia, filippica e al tempo stesso nenia, in una città superstiziosa e strana.
Il Dadaumpa risuona nei ricordi di una famiglia napoletana simile a tante altre, nei vicoli dimenticati dal sole.
Amori e sofferenze di un passato che ritorna e non si può dimenticare: Napoli
Un' infanzia ingegnosa
Talloncini di cartone quadrati per fanteria, triangolari per la cavalleria e rettangolari per catapulte o cannoni.
L' idea mi apparve in quel lato del cervello aperto alla fantasia, quel posto dove improvvisamente, senza una vera ragione, si accende quella luce che ti porta a inventare.
Tutto accadde mentre tornavo da scuola, in una giornata serena, un maggio di tanti anni fa. Canticchiavo il Dadaumpa, quel successo delle gemelle Kessler che piaceva molto sia a me che a mia madre, e che spesso intonavamo insieme.
Quel giorno di fine maggio ero stato promosso in quarta elementare.
Reminiscenze che si dipanano nella mia mente.
L’aria era più sincera e fresca da respirare, un milione di pacchetti di sigarette fa.
Camminavo felice, cantando, con in mano la pagella ed alcuni fogli di cartoncino Bristol avanzati a scuola.
Meritavo un regalo per quella promozione in quarta elementare. Ma dal momento che mio padre diceva sempre che i soldi non bastavano mai, sapevo di non poter contare su una sua iniziativa in tal senso. Certe cose le davo per scontate già da piccolo: se in testa avevo un desiderio, un sogno, se sentivo il bisogno di realizzarmi in qualcosa di mio, dovevo pensarci da solo!
Camminavo e cantavo il Dadaumpa senza fregarmene nulla della gente che mi guardava. Dovevo avere l’aria dell’artista già da allora. Ero così applicato, concentrato su quello che avevo intenzione di fare, che tutto il resto del mondo spariva ai miei occhi.
Arrivato nella nostra modesta casa, poggiai sul grandissimo comò anni ‘50 il carton Bristol ed iniziai a tagliarlo in talloncini, per poi disegnarli e colorarli. Facendo in modo che ad uno ad uno, a seconda della Nazione di appartenenza e tipologia di unità, incominciassero ad avere ciascuno un aspetto proprio, un carattere particolare.
Anche se si trattava di semplici pezzetti di cartone di poco più d’un centimetro quadrato, ero capace con matite e pastelli di dargli un’identità specifica. Esempio: la guardia napoleonica, formata da giovani di poca esperienza, la facevo più pulita e brillante nei colori, mentre per gli esperti granatieri della vecchia guardia usavo un cartoncino più spesso e consumato, curandolo con colori e ombreggiature che meglio s' addicevano alle centinaia di giornate passate in battaglia.
Un' immensa pazienza di fanciullo serviva per segnare uno ad uno il loro rispettivo valore di movimento, e valutare il numero di attacco e quello di difesa da combinare al tiro dei dadi. Utile amico un semplice righello per misurar distanze di manovre: lo scenario della battaglia dei due o più eserciti schierati poteva così prendere corpo...
Quell’ immensa, sconfinata calma di bambino faceva in modo che imparassi da solo, senza nessun maestro, senza nessuna guida, a costruirmi giochi. Giochi nuovi di strategia militare storica.
A nove anni progettavo sul mio grande comò quello che dopo 10 anni inventarono le case editrici di giochi strategici e che successivamente negli anni 80 spopolarono in tutto il mondo. Lo scenario, il campo di battaglia era la cosa più semplice da realizzare: bastava un panno verde. O bianco in caso di scenari con neve. Sotto al panno piazzavo dei rialzi, con spezzoni di stoffa avanzata a mio padre, per alture o colline.
I fiumi invece scorrevano segnati con nastrini e fettucce azzurre o blu. Elementi che pure riuscivo a racimolare in casa.
Un grosso pettine marron di mia madre poteva fungere da fortino o zona trincerata da espugnare.
Invitavo i miei amici di scuola di pomeriggio, dopo aver fatto i compiti, per sperimentare con loro i miei giochi strategici in quella mia piccola casa, la stessa casa da cui vi sto scrivendo oggi.
La stessa casa dove mio padre lavorava con il suo grande bancone da sarto.
Oggi, queste mura, le pareti di queste due camere che mi restano da toccare con le mani, da fissare con gli occhi aperti al passato, sanno di sacrifici, di giuramenti fatti e poi rispettati, di buona fede, di tanta umanità.
Lavorava per terzi mio padre negli anni ‘70. Con datori di lavoro che lo sfruttavano a cottimo, senza inquadrarlo.
Di tanto in tanto riusciva anche a trovare, pover’ uomo, il tempo per cucire pantaloni o cappottini per me e mia sorella di 4 anni più piccola.
Vivevamo tutti e 4 in una casa di 40 metri quadrati, sopra i quartieri spagnoli, nel centro storico di Napoli.
A quei tempi, dalla mia personale torre di controllo, il nostro balcone del terzo piano, lanciavo aereoplanini di carta ripiegata. Specialissimi aereoplanini colorati con pastelli a cera.
Ad ognuno di essi dedicavo circa mezz'ora di tempo.
Li curavo nei minimi particolari: cabina di pilotaggio, ruote di atterraggio, bombe, siluri e quant' altro mi veniva in mente.
La cera dei pastelli rendeva lucida la fusoliera in cartone dandogli la giusta compattezza per cogliere bene il vento al lancio: mezz'ora per fabbricarne uno ed un solo secondo per